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Racconti Erotici Etero

Lezioni di Piano

By 3 Novembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

“Tempo Maria, tempo!”
“Attenta a quelle dita!” “NO! Perchè ti ostini ad usare secondo, terzo, primo? E’ secondo, primo, secondo! Ripeti, di nuovo!
“Ancora, da capo!”
“Le pause dove sono?! Attenta! Di nuovo!”
“Il pedale, usalo meno, la seconda battuta non lo necessità”
“Tempo, tempo, tempo!”
“Dov’è l’accento? Te lo mangi? E’ sulla prima nota di ogni terzina, lo sai, bene! Ed allora fallo sentire!”
“Studialo bene a casa, lo voglio tecnicamente perfetto per la prossima settimana”

Tornavo sempre a casa con un potente mal di testa, e con nessuna voglia di riprendere quel maledetto spartito. Mio padre, musicista anch’egli, aveva voluto, o più precisamente preteso, che anche la sua primogenita studiasse musica. Affidò infatti la mia educazione pianistica ad un suo carissimo amico, Francesco. Un bravissimo musicista, spesso in giro per i teatri d’europa, ma con un discutibile rigore didattico. Il mio primo approccio allo strumento fu decisamente duro, lezioni infinite di solfeggio, esercizi muscolari, diteggiatura, ma non mi impedì, tuttavia, di sviluppare un viscerale amore per la musica classica. Mozart, Listz, Bach, Chopin erano i miei compagni preferiti mentre svolgevo ogni banale attività quotidiana, studiavo, andavo e tornavo da scuola, mi rilassavo sul sofa, andavo a fare sport. Era tuttavia un amore infantile, dettato dalla piacevole armonia di quei perfetti brani, così semplici, ma allo stesso tempo così tecnicamente strabilianti. Era forse per questo motivo che un compositore, tra i tanti ascoltati, non amai subito, anzi, direi piuttosto, suscitò la mia impulsiva repulsione.. così tedioso, noioso, inutilmente austero, incomprensibilmente cupo, “troppo adulto” definendolo con un termine probabilmente adatto ad una quattordicenne. Beethoven.. cos’avesse poi di così sublime, non riuscivo proprio a capirlo.

Come di consueto, mercoledì andai da Francesco, portando sempre con me quel paio di chilogrammi di libri e spartiti. Distava da casa mia poco meno di un centinaio di metri, ma l’ora, il carico, ed il caldo di quell’afosissimo pomeriggio di luglio, mi sfinirono.
Suonai, e venne ad aprirmi il mio insegnante.
“Eheheh, accaldata?” commentò ridendo, probabilmente notando il respiro affannoso e la fronte bagnata dal sudore.
“Ma tu sai che ore sono, in che mese siamo e quanto pesano questi maledetti libri?” chiesi piuttosto irritata.
“Certo che lo so, infatti per questo faccio venire te, io non ho alcuna intenzione di muovermi da casa con queste temperature”
“ah-ah-ah” risposi simulando una ironica risata, guardandolo alzando un sopracciglio ed entrando in casa urtando lo zaino contro il suo petto, facendolo sbattere contro lo stipite della porta.
“ehi, bimba, attenta!”
Buttai lo zaino e me stessa sul divano adiacente il piano.
“Comoda?”
“Molto, grazie, vorrei qualcosa di fresco se non le spiace, prof!”
“Agli ordini madame” disse dirigendosi verso la cucina e portando un bicchiere di limonata.
“Mer’ì! Adesso saresti così gentile da suonarmi qualcosa, oggi suona tu, io non ne ho proprio voglia!”
“Altro?” commentò ridendo, sedendosi sullo sgabello.
Cominciò a suonare.
Con mio dispiacere riconobbi immediatamente quelle note, era un pezzo del piano concerto n. 3.
“Francesco, per favore, odio Beethoven.. di grazia sarebbe così gentile di suonare qualcos’altro?”
“Odi Beethoven perchè sei una ragazzina… una “mela acerba””, disse guardandomi serio.
Seguì uno strano silenzio, da parte mia non sapevo se arrabbiarmi od ignorare la sua affermazione; eravamo in confidenza, ma non aveva mai fatto commenti così personali.
“Ascolta..” proseguì..
Riprese a suonare, un pezzo diverso, ma sempre dell’odiato compositore, la sonata in fa minore n.23, altrimenti chiamata “Appassionata”.
Non era il pezzo che avevo sempre sentito, era più dolce, melodioso. Mi spostai sull’angolo del divano più vicino al piano, appoggiai la testa sul bracciolo ed ascoltai, incantata.
Chiusi gli occhi, sentendo le note entrare dolcemente attraverso le orecchie, e giungere in ogni cellula del mio organismo. La mia anima si sentiva insolitamente appagata, il cuore batteva più forte seguendo l’alternanza dei ritmi incalzanti della composizione, il respiro seguiva quello del pianista che la eseguiva, respiri brevi, concitati, come se sentissi un senso di soffocamento, per poi riprendermi, sentendo i muscoli del torace rilassarsi, provando un piacere fisico per quei momenti di pace. Mi commossi, comprendendo che fino ad allora non avevo mai ascoltato quel pezzo, lo avevo semplicemente sentito.
Finito il primo movimento… mi interruppe. Alzai la testa dal bracciolo, lo guardai infelice.. “Continua..” gli chiesi dissi.
Sorrise accennando un diniego con la testa.
“Insegnamela allora, studiamola insieme” risposi nervosa.
“No Maria… sei piccola. La studierai quando sarai più grande”.
Delusa mi sedetti, con la braccia conserte sul divano, come una bimba capricciosa cui il papà rifiuta di comprare il gelato.
“Tra due settimane parto” disse spezzando il silenzio.
“Qualche concerto all’estero?” chiesi.
“No Maria.. mi ci trasferisco. Vado a stare a Vienna”
Lo guardai con aria perplessa.
“Ho già avvisato tuo padre, continuerai a studiare il piano con un mio collega del conservatorio, anche più bravo di me”
“Va bene, ma lo sai che mi dispiace, sei stato il mio insegnante per tanti anni”
“Lo so tesoro, ma ci rivedremo… e mi mostrerai tutti i tuoi progressi”
Sorridemmo entrambi. Si sedette sul divano insieme a me, parlandomi del perchè della sua decisione, di dove andrà a stare, dei suoi progetti.
Dopo un oretta ci salutammo, augurandoci l’un l’altra buona fortuna.
Tornai a casa stranamente triste. Avrei dovuto gioire nel sapere che non avrei più seguito quelle pesantissime lezioni, tediose, stancanti.. Ma un fastidioso senso di malinconia si era annidato in me. Ascoltavo mentalmente quelle note, e non potevo far altro che pensare a Francesco… in un modo diverso da come solitamente usavo pensare a lui.
Non come una sorta di “nazista” tale e quale a mio padre, ma come un Uomo. Il mio ventre lo desiderava, come mai era successo.
Mi affrettai a scacciare quelle emozioni, sigillandole dentro una cassaforte di cui preferìì buttare la chiave.

Passarono 8 anni, abbandonai le lezioni di piano per dedicarmi allo strumento da autodidatta, impostando finalmente il modo di suonare come più gradivo,suonando soprattutto solo ciò che corrispondeva ai miei gusti. Abbandonando il rigore teorico a favore di una maggiore espressività.
E soprattutto studiai l’Appassionata, quel meraviglioso primo movimento che quel giorno cambiò totalmente il mio modo di sentire la musica.
Un dì, un’altro afoso pomeriggio estivo, seduta pigramente sulla sdraio in giardino, arrivò mio padre.
“Francesco ha divorziato, sai?”
“Non sapevo neanche fosse sposato” commentai pigramente.
“Bene, vedo che siete rimasti in contatto con il tuo ex professore, eh?”
“Eheh, non lo sento più dall’ultima lezione papi”
“Comunque, verrà a stare da noi per qualche giorno in attesa che finiscano di imbiancare la sua nuova casa”
“Pensi che la cosa mi importi?” mentìì.
“E’ solo una comunicazione tesoro, ti avvisò che domani ci sarà un ospite e che gradirei evitassi di prendere il sole il giardino con quel succinto costumino”
“Ok, nessun problema”.
La mia placida indifferenza era solo momentanea, non avrei mai potuto immaginare i risvolti di quel singolare soggiorno.

L’indomani infatti papà andò a prendere Francesco in aereoporto, e in tarda serata arrivò il “gradito” ospite. Aprì mia madre alla porta, io studiavo in camera mia ed il suono di quel campanello non mi distasse, nonostante sapessi perfettamente chi fosse alla porta.
Non mi mossi neppure quando mia madre mi chiamò dal piano inferiore “Maria, cara, c’è Francesco”
“Arrivo mamma” risposi automaticamente, ma restando seduta alla mia scrivania.
Pochi minuti dopo, bussarono alla porta.
“Si può?” Franscesco entrò.
“Ehilà!” risposi, alzandomi ed andandogli incontro.
Ci abbracciammo affettuosamente.
“La mia bimba è cresciuta, vedo. Dio, ricordo ancora quando eri mia allieva, che piccola che eri”
“Il tempo passa” risposi “Anche io ricordo quando eri il mio professore, che giovane che eri, ed adesso, trovo un uomo di mezza età” sorrisi ironicamente.
“I tuoi complimenti mi lasciano sempre lusingata tesoro” rispose scherzando.
Sentì i miei chiamarci, dal piano di sotto, avvisandoci che tra un pò la cena sarebbe stata pronta.
“Dai, scendiamo” commentai.
Cenammo, parlando del più e del meno con i miei, Francesco ci raccontò della sua vita in Austria, dei numerosi concerti, del fatto che fare il musicista, lì, è ancora considerato un mestiere, non è relegato ad hobby di secondo ordine, com’è in Italia. Lo scrutavo, mentre parlava, cercavo di capire il perchè di certi suoi sguardi, di certi suoi sorrisi..
Finita la cena, sparecchiammo ed i miei andarono a letto.. Restammo svegli solo io e Francesco, lo aiutai a sistemare il divanoletto del salone e gli diedi un cuscino.
“Notte prof!” Dissi sorridendo
“Notte bimba, a domani!”.

Mi intrufolai sotto le coperte del mio letto, tentando di prendere sonno.. Riflettevo, analizzavo il suo comportamento, non era mai stato così “sensuale” nei miei confronti, mi aveva sempre trattata come una figlia, insegnandomi il piano, e con esso una filosofia di vita.
Mi scoprì con la mano sinistra dentro gli slip, mentre, mentalmente, ricordavo gli atteggiamenti e la voce di Francesco. Quasi imbarazzata, tentai di nascondere a me stessa l’accaduto, tentai di prendermi in giro giustificandolo con “non vedi il tuo ragazzo da una settimana.. è normale questa voglia. Ed in ogni caso, non è voglia di Francesco, ma del tuo fidanzato. Tuttavia non riuscivo a nascondere al mio inconscio le sensazioni fisiche che quell’uomo mi suscitava, in che modo il solo suo pensiero era in grado di procurarmi uno strano e dolce calore al ventre.

Il mattino seguente, i miei uscirono per andare a lavoro. Quel giorno non avevo lezione all’università, quindi rimasi in casa.
Mi svegliai, tardi, e scesi comodamente a far colazione. Trovai Francesco a tavola, che leggeva il giornale.
“Buongiorno, professore”.
“Buongiorno Maria! Complimenti per l’orario!”
“Non rompere sono in vacanza oggi!” commentai nervosa.
“Ecco, visto che sei in vacanza.. fammi sentire un pò quello che hai studiato in questi anni”
“Noiosa tecnica musicale, mio caro…ma, indovina un pò? Ho studiato per conto mio la famosa “Appassionata”
“Ahahah! Non ci crederei neanche se la sentissi, bambina! Sei ancora troppo piccola, non puoi suonarla!”
“Ah no?! Scommettiamo?” Dissi con tono di sfida.
“Bene.. vediamo allora..” rispose sornione.
Ci spostammo nel salotto, mi sedetti al piano, raccolsi i capelli in una coda, e cominciai a suonare le prime note dell’ Appassionata. Lo guardai, sorridendo, come per dire “Vedi? Ce l’ho fatta! Ed anche senza il tuo aiuto”.. Tuttavia, il mio sguardo, quasi presuntuoso, incontrò degli occhi per nulla stupiti, quasi soddisfatti.
“L’ho studiata tutta, carissimo il mio professore! Vedi? Non sono più una bimba!”, risposi, facendo l’occhiolino, e riprendendo da capo quel brano meraviglioso.

Lo guardavo di tanto in tanto, mentre suonavo, nella tregua che difficili battute mi davano, consentendomi di alzare lo sguardo verso Francesco. Stava li, appoggiato al piano, mi guardava, fisso, negli occhi, senza dir nulla, senza che i suoi occhi mi lasciassero capire “Brava, giusto, ottima tecnica…”. Ascoltava, e mi osservava.
Ad un certo punto si avvicinò, alla mia destra, in piedi, a braccia conserte… avvicinò una mano al mio avambraccio, tenendolo da sotto, dolcemente.
Tipico gesto di quando sbaglio la posizione della mano, o metto in tensione muscoli che non dovrei… non ci badai troppo.
Tuttavia.,. dopo un pò, la sua mano cominciò a salire, verso il gomito, ed ancora più su.. si spostò sulla clavicola.. e poi su, verso il collo, carezzandomi i capelli.
Il mio corpo non attese a rispondere a quelle carezze… avevo la pelle d’oca, sulle braccia, un leggero pizzicore sul collo.. cominciai a sentirmi accaldata, ma soprattitto nervosa.
Ripetè l’operazione con l’altra mano, sull’altro braccio.. finchè entrambe le sue mani non furono appoggiate alle mie spalle.
Dal canto mio continuavo a suonare, con molta più difficoltà di prima.. cercando da un lato di seguire le note ed il tempo, dall’altro di assaporare il calore di quelle mani calde su di me.
Scese, lungo la schiena, fino ai fianchi, sfiorò li dove terminava la maglietta, ed iniziavano i pantaloni, e risalì, pressando con entrambi i pollici immediatamente accanto la colonna vertebrale. Continuò il massaggio sulle vertebre cervicali, e riscese.. questa volta insinuandosi appena dentro i pantaloni, proprio all’inizio del solco delle natiche. Si portò verso l’alto, intrufolò entrambe le mani sotto la canottiera, ed afferrò i seni, da dietro.
Sospirai, reclinando il capo.. offrendo il mio collo alla sua bocca.. lo baciava, lo leccava, lo mordicchiava, mentre con amoìbo le mani massaggiava il seno, pizzicando i capezzoli, stringendoli. Con una mano scese, attraverso i pantaloni e la sottile stoffa degli slip, giocò con la mia rada peluria pubica, e proseguì oltre, soperò il monte di venere ed afferrò con la mano tutta la mia figa.
Ebbi un sussulto, smisi di suonare, mugolai. Allora smise di carezzarmi,. afferrò i polsi, mi alzo, e con una mano mi spinge verso il suo viso.
Ci baciammo profondamente, con voglia, lussuria: le lingue giocavano, affondavano nella bocca altrui, le mani toccavano il corpo dell’altro, mentre profondi respiri riempivano la stanza. Afferrò i bordi della mia canottiera, e senza troppi complimenti me la sfilò, velocemente, lasciandola cadere sul pavimento. Lo stesso trattamento riservai alla sua maglietta. Si avvinghiò a me, così che i miei seni toccassero il suo petto. Scese, con la bocca, verso i capezzoli, torturandoli con la lingue e con i denti, mentre sbottonava i pantaloni, e mi liberava da quella morsa fastidiosa… Una volta sul pavimento, si inginocchiò, mi allargò le gambe, e cominciò a mordere e baciare la mia fighetta da sopra la stoffa.
“Mmmm” fu la mia risposta.
Appoggiai un piede sullo sgabello ed allargai ulteriormente le gambe, in un esplicito invito. Francesco scostò gli slip, carezzò le grandi labbra, il clitoride, e si insinuò profondamente, laddove le sue carezze avevano sortito il loro sperato effetto. Mi penetrò con un dito, incontrando attrito alcuno, ma solo bagnate e calde pareti. Cominciò a masturbarmi con l’indice… poi il medio.. ed infine le bocca. Baciò il monte di venere, e con la lingua scese più giù, fino al clitoride, giocandoci in modo terribilmente piacevole.
“Si Francesco, così..” sospirai.
Poggiai le mani sulla sua testa, carezzai i capelli, dolcemente, spingendo il suo capo verso il mio ventre, mentre la sua lingua, sapiente ispezionava ogni centimetro della mia bagnatissima figa, portandomi al culmine del piacere in breve tempo.
“Oh Dio! Si!!!” commentai con un filo di voce, roca per il piacere, mentre dal basso la passerina reagiva sbrodolando umori.
Francesco di alzò velocemente, portando le sue labbra sulle mie, facendomi sentire il mio sapore attraverso la sua lingua, che violava appassionatamente la mia bocca.
“Girati!” Mi disse, spostandomi sul divano poco lontano “Voglio finalmente scopare questa meraviglia, la desidero da anni!”.
Mi spinse verso lo schienale del divano, in piedi, con la schiena piegata su di esso, afferrando i miei polsi, da dietro, tenendoli fermi con una mano.. mentre con l’altra sbottonava frettolosamente i pantaloni, liberando il pene. Mi resi conto di quanto fosse possente, quando, senza troppi complimenti, mi penetrò in un sol colpo. La lubrificazione abbondante aveva reso il mio ventre estremamente scivoloso, il che agevolava quella frenetica scopata. Lo sentivo sbattere contro il collo dell’utero, allargare le strette pareti vaginali, affondare sempre di più aggrappandosi alla carne del mio bacino.. con la mano destra afferrò i capelli, da dietro, dirandoli verso di lui. In risposta raddrizzai la schiena, accentuando la lordosi lombare affinchè la profondità degli affondi non diminuisse nonostante le nuova posizione. Mi ritrovai col viso accanto al suo, la sua lingua mi leccava il viso, l’orecchio, mentre tirando i capelli, mi teneva ferma in quella posizione.
“D’ora in poi sarai la mia puttana.. solo mia! E solo il mio cazzo può chiavarti e farti godere. Chiaro?”
“S-Si Francesco” mi limitai ad annuire, con un filo di voce, sentendomi ormai prossima ad un altro orgasmo.
Con la mano libera si spostò dal bacino, portandosi in avanti, in basso, verso il monte di venere e più giù. Con la dita tormentò il clitoride, lo strizzava, lo massaggiava, sentendolo sempre più duro. Accelerò. Con un urlo liberatorio venni, sentendo il ventre contrarsi, godere e dolere contemporaneamente di quella violenta penetrazione.
“Vieni, vieni, godi tesoro! Godi come una puttana!” .
Mi afferrò, girandomi. Mi prese in braccio e mi portò sul sedile del divano. Afferrò le gambe, divaricandole e portandole in alto. Le bloccò, sopra le sue spalle, e mi penetrò di nuovo, ancora più in profondità. Questa volta il dolore non fu lieve. Istintivamente provai ad abbassare le gambe, per fermarlo, o scendere il bacino affinchè la penetrazione fosse meno violenta, ma Francesco mi bloccò.
“Ferma.. devi sopportarlo. Se vuoi essere le mia puttana devi imparare a scopare come IO voglio!”
“Ma fa male, cazzo!” provai a dire.
Uno schiaffo colpì la mia guancia. “Non voglio giustificazioni.. sei mia, non rispondere e lasciati scopare!”
Non reagì a quelle parole come se fosse un affronto, un’ingiustificata violenza.. ma le assecondai. Zitta, mordendo il labbro ed afferrando la stoffa del divano, sopportavo il dolore, che a poco a poco, smetteva di tormentarmi, lasciando spazio ad un immenso piacere.
Cominciai a mugolare ed ansimare.
“Vedi? Alla mia puttanella piace il mio cazzo… e come la scopo! Dimmi che ti piace amore, dimmi che sei mia!”
“Mmmm, si, sono tua Francesco, sono la tua puttana, che gode del tuo cazzo, solo del tuo cazzo!”
Il ritmo non accennava a diminuire, ne egli sembrava essere ancora in procinto di venire.. MA continuava a chiavarmi con una forza ed una costanza incredibili.
Poi, imprivvisamente, sfilò il pene dell’ormai fradicia fighetta, poggiando il glande sullo stretto buchetto anale.
“N-no.. ti prego… non l’ho mai preso nel culo.. non farlo”
“Ssssshhh!” rispose Francesco. “Ti ho detto si stare zitta e godere! Lascia fare a me! Rilassati”
Eseguì, remissiva.
“Non contrarli per alcuna ragione”
Obbedì, anche quando il glande, dopo aver forzato lo sfintere, si faceva strada nell’intestino. Provai a non pensarci, a continuare a tenere rilassati i muscoli, nonostante sentissi un enorme verga sfondarmi il culetto, ancora vergine.
“Mmmmm!” Rispose Francesco quando l’intero cazzo entrò, fino ai testicoli. “Che culo delizioso! Fatto apposta per essere chiavato!”
Cominciò a muoversi, lentamente, dentro il mio intestino. La mia forza di volontà non resistette a lungo. Istintivamente contrassi i muscoli, sentendo un dolore atroce.
“Ahiiii!”
“Buona… rilassati.. lascia fare a me, ti farò godere come non hai mai fatto in tutta la tua vita!”
Con la lacrime agli occhi, provai ad ascoltarlo, respiravo lentamente, tentando di tener rilassato lo sfintere.
Dopo un pò lo stretto canale si abituò a quella possente presenza, accogliendolo in un morbido abbraccio. Non si rese più necessario lo sforzo suvrumano che mi aveva accompagnato fino a quel momento.. e cominciai a goderne.
Come aveva detto Francesco, il dolore svanì, lasciando solo uno strano piacere, nuovo ed eccitante.
Sentivo il suo cazzo entrare ed uscire, completamente dal culetto, aumentando progressivamente la velocità, e sentendo, dentro di me, un’asta più grossa e pulsante, probabilmente, finalmente, in procinto di venire.
“Mmmmm! Si, Dio, godo!! Da morire!!”
Sfilò velocemente il suo membro dal culetto, avvicinò il mio viso ad esso, spingendo il capo con la mano sinistra e con la destra cominciò a masturbarsi. Aprì la bocca, per accogliere ansiosa il frutto del suo piacere.
Dopo un paio di seconti venne, inondandomi la bocca e impiastricciandomi il viso.
“Mmmmmm..” mugolò. “Meraviglioso… puliscilo adesso, non devi lasciarne neanche una goccia”
Avvicinai le labbra, le cinsi intorno il pulsante glande, ed affondai il membro nella mio bocca. Sentì un sapore strano, per nulla spiacevole, il mio sapore e quello del suo sperma, fusi insieme. Leccai avidamente l’ancora pulsante asta, stando attenta a non tralasciare alcun centimetro. Poi, mi dedicai anche ai testicoli, prendendoli in bocca, e succhiandoli, dolcemente.
Lo guardai, con sguardo soddisfatto. Lui, dall’alto, sorrise, mi baciò, e commentò:
“Si, Sei davvero diventata grande, e mia!”.

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