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Lezioni di sesso

By 6 Febbraio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

‘E questo &egrave il motivo per cui non si può ritenere”
Gonna corta, grigia. Gambe lunghe, da donna fatta e finita, matura, avvolte in collant neri.
”la prima guerra mondiale una guerra imperialista. E’ stata piuttosto una guerra di egemonia europea”
Gambe lunghe, atletiche. Tacchi bassi, neri. Anche senza tacchi, il fondoschiena sarebbe risultato sodissimo. Si vedeva che non aveva figli. Si vedeva che in ogni ritaglio di tempo libero andava a correre. Era solo leggermente largo sui fianchi.
”in cui le cose furono aggravate dal fatto che non esisteva alcuna rete diplomatica sovranazionale, in grado di”
Ma ciò la rendeva solo più gustosa. Era una vera donna. Paolo guardò per un attimo le sue compagne: erano ragazzine, viziate, bambinesche, belle per definizione, nei loro 18 anni; ma senza fascino. Ineleganti, scomposte, sdraiate sui banchi, vestite come straccione ad un corteo dei centri sociali, o altezzose e fredde in abiti firmati, non appena scoprivano di essere desiderabili.
”fermare la disastrosa serie di eventi concatenati che scaturirono dall’assassinio dell’arciduca, quando il sistema delle alleanze si mise in funzione.’
Lei si muoveva con grazia. Non ne aveva motivo particolare, era solo sul luogo di lavoro. Ma si notava una personalità evidente, un portamento suadente frutto della sua età, del suo amor proprio. Sopra una camicetta bianca, anonima, ed un tailleur scuro. Doveva avere una seconda di seno. Ma questo le permetteva di tenere slacciati i primi bottoni, lasciando intravvedere il suo petto magro e la pelle liscia. ‘Peccato per le poche tette, ma sono ancora così sode” pensò lui.
‘E dunque, come già nei secoli precedenti, una nazione del continente tentò di allargarsi e di prendere il potere territoriale, mentre le potenze periferiche e marittime si alleavano e reagivano, secondo i classici schemi ottocenteschi”
Erano seni compatti che ben si adagiavano su quel corpo longilineo. Tanto che spesso lei non indossava reggiseni, pur non risultando volgare. I vestiti sobri non mettevano in risalto la sua bellezza; almeno non volontariamente. ‘Io però la prenderei volentieri da dietro, mentre scrive alla lavagna. Scommetto che non le farebbe schifo un bel cazzo sotto la gonna’ Peccato solo per il fatto che mi odia, sta maledetta stronza.’
Quasi leggendogli il pensiero, la professoressa Fasano si girò verso la classe con aria interrogativa: ‘Lanza. Dunque? Chi era alleato della Serbia?’ chiese con aria spietata al ragazzo immerso nelle sue fantasie sporche.
‘Ecco, come volevasi dimostrare’troia.’ Pensò Paolo. ‘Non lo so prof’Mi spiace.’
‘Ti spiace ‘ rispose aspra lei, avvicinandosi alla preda ‘ Ti spiace. Sei sempre dispiaciuto, Lanza, ma non sai mai niente. Anzi, non &egrave che non sai, a te non frega nulla di quello che dico! Cosa devo fare per farti seguire una sola lezione?’
‘Mi ha già spostato al primo banco.’ replicò laconico.
‘Ma evidentemente non basta. Forse hai lasciato il cervello al posto precedente. O forse dovresti calcolare già ora di perderti un altro anno. O cambiare scuola. Eh? Che dici? Vuoi farci questo piacere?’ Inveì lei con un crescendo di odio nella sua voce.
‘Ma cos’ha, le sue cose?’ Rispose malefico il giovane, con la figura della donna a pochi centimetri dalla faccia.
Lei sgranò gli occhi verdi da gatta. Sentì il cuore stringersi, e le narici del naso appuntito si allargarono. Il suo braccio destro si distese all’altezza della spalla, e in una frazione di secondo lasciò partire un micidiale schiaffo a tutto braccio, che centrò il volto dello studente.
Nell’aula calò a lungo il silenzio, interrotto da un paio di gemiti di dolore condiviso empaticamente dagli altri alunni. Paolo raddrizzò la testa e la guardò con gli occhi socchiusi in segno di sfida, digrignando i denti come un animale rabbioso.
La donna si ammutolì e si appoggiò al banco della vittima. Era sconvolta e sentiva le ginocchia fragili. ‘S-scusa’ balbettò. Con la stessa mano che aveva sferrato il colpo, accarezzò tremante la testa del ventenne.
Poi, riacquistando la postura austera, si diresse a passo svelto verso la porta della stanza, fuggendo quasi di corsa nel corridoio. Pochi istanti e l’ultima campanella del sabato squillò salvifica nell’aria.
‘Scusa un cazzo’ sibilò Paolo. I suoi compagni si alzarono lentamente, tra l’imbarazzo e risa di scherno.
‘Quella &egrave deficiente, Paul! Vai dal preside!’. ‘Cazzo che botta, Paolone!’ lo apostrofò sghignazzante Trezzi, rifilandogli una pacca sulla spalla mentre usciva già vestito a prendere l’autobus. Mentre le femmine si dividevano sul giudizio, Clara, che aveva un debole per il povero percosso, gli si avvicinò.
‘Tu sei scemo, ma ‘sta troia va denunciata! Ti ha fatto male?’ Chiese con sincero interesse.
‘No’ Se no a quest’ora starebbe ancora scappando.’ Lei lo fissò con occhi compassionevoli. ‘Senti, dai, non ci pensare, stasera usciamo con un po’ di gente e ci divertiamo’ Che dici? Vogliamo andare all’Holland”
‘Che posto da fighetti” rispose massaggiandosi con indifferenza la guancia indolenzita, ‘Dai, se ho voglia vi raggiungo. Poi ci sentiamo” Clara sorrise e si allontanò.
Il pomeriggio Paolo rimase steso sul letto. A dispetto del dolore che svaniva, e della rabbia che provava a riversare nei confronti dell’insegnante, non riusciva a compensare con l’orgoglio l’umiliazione che avvertiva. Non era solo il colpo subìto. Nemmeno il fatto di essere stato schiaffeggiato in pubblico, o da una donna. Era l’aver offeso lei. E il fatto che proprio lei, quella donna, l’avesse punito così duramente. Perché doveva prendersela con lui? Cosa la spingeva ad essere così sfiduciata nei suoi confronti. E pensare che gli piaceva. Ma forse, ‘Se quella stronza sapesse quante seghe mi faccio pensando alle sue cosce, mi boccerebbe seduta stante.’
Lavato, profumato e vestito, Paolo uscì di casa. Si sforzava di pensare a Clara, mentre si recava alla discoteca. Parcheggiò la sua Panda scassata a qualche centinaio di metri dal locale per non essere buttato fuori dallo staff della discoteca prima ancora di mettervi piede, poi messaggiò con la sua compagna.
‘Clà, ‘ndo state? Sn arrivato cn tutta la mia simpatia’
‘; ) Sono davanti all’ingresso!’
Non fece in tempo a leggere l’SMS che due braccia nude, nonostante la temperatura, gli si buttarono al collo da dietro. Coi capelli biondi raccolti in una lunga coda, il naso alla francese e gli occhi azzurri che lo fissavano, la giovane lo baciò su una guancia sorridente: ‘Non pensavo proprio che alla fine saresti venuto. Però alla fine &egrave un posto per vecchi, e tu sei vecchio! Dai, ti ho aspettato fuori perché se no non ti avrebbero mai fatto entrare!’
‘Non sono io ad essere vecchio, sei tu che hai bisogno del babysitter!’ rise mentre , tenendole una mano, superava i buttafuori fissandole quello stupendo culetto incorniciato dai leggins.
La musica era potente, minimal ma ballabile, e la serata era iniziata da un pezzo: al bancone le amiche di Clara si facevano offrire tutto ciò che era liquido dai ragazzi. ‘Carne fresca per gli squali’ gridò facendosi udire appena nell’orecchio all’amica. ‘I quarantenni hanno il loro fascino! Comincia ad avere i capelli grigi, poi vedi!’
Camilla, compagna di banco di Clara a scuola, era particolarmente calata nell’atmosfera, con vodka-Redbull in mano, ragazzo incollato al fondoschiena e testa che faceva roteare i capelli neri sul ritmo di Animals di Martin Garrix.
Era sudata, pallida, vestita, per quel che sembrava a lui, solo con una lunga canottiera e tacchi rossi altissimi. La mano aperta dell’improvvisato compagno di danza appoggiava possessivamente sul ventre, e mentre lei muoveva il bacino su di un’erezione violenta, le dita dell’uomo le dettavano il ritmo premendola sul monte di venere.
Paolo, appoggiato con la schiena al bancone, aspettando che il barman gli versasse una Coca e Jack, osservava con la testa piegata da un lato quella situazione dall’oggettivo valore estetico. Clara, che lo teneva sotto braccio e lo guardava maliziosamente, avvertì il piacere scorrere negli occhi del ragazzo. Un’occhiata rapida al cavallo dei suoi pantaloni le diede la conferma. ‘Una bella scena, vero? ‘ chiese sorridendo ‘ pensa che va avanti così da un’ora e mezza! Fuori di testa!’
Lui ricambiò lo sguardo languido, mentre sorseggiava dal bicchiere. ‘A scuola ‘ le urlò con la bocca vicino al collo ‘ non fa mica così!’
Clara lo portò in mezzo alla pista, vicino ai tavolini. Lui ballava impacciato, doveva aspettare che l’alcool gli spegnesse il cervello, e intanto lei gli roteava intorno e agitava il suo petto acerbo sotto il naso, mentre schivava gli altri ragazzi che la approcciavano. Era bella, pensava Paolo. Era sempre stata carina, e lui le voleva bene. Ma lì, mentre si muoveva frenetica, era proprio bella. Tanto che, sciogliendosi, iniziò ad accompagnarla nei movimenti, scrutandola negli occhi chiari. Le mani scesero sui fianchi e lei gli mise le braccia al collo. Poi Jessica corse a chiamarla.
‘Clà, esci, veloce, che Cami sta male!’
Serata finita. Fuori, nella neve, la bella ballerina mora era immobile in ginocchio, con la testa sospesa tra le mani degli amici mentre riportava alla luce gli svariati drink consumati.
‘Devo guidare io ‘ disse sconsolata Clara ‘ l’ho portata con la mia macchina e le altre hanno bevuto troppo per mettersi al volante’. ‘Uff’ Guarda che posso accompagnarti’ E dai! Ti devi rovinare la serata perché questa non &egrave capace di stare sobria?’
‘Lascia stare Paolo’ Alla fine &egrave stata comunque una bella serata, no?’ lo placò facendogli un occhiolino ‘E poi cosa fai, vieni fino a Mondello per poi tornare a Villanova?’. Lo salutò avvicinandosi e dandogli un bacio vicino alla bocca. Lui sorrise e le accarezzò l’alto culetto. ‘Ehi!’ finse di scandalizzarsi lei mentre si voltava per portare via Camilla.
Lui rientrò nella sala. Aveva ancora altri amici all’interno. Ma non li trovava.
Percorse la larga sala e le piste da ballo, sballottato come un pacco, finché non si arrese e cercò sollievo al bancone. Lì la musica era poco più bassa, il giusto per non stordirlo completamente. ‘Un vodka-lemon!’
Mentre urlava l’ordinazione al barista, una mano femminile dalle lunghe dita gli prese la spalla. Smalto nero, braccialetti, qualche ruga sottile. Lui si voltò e quasi sobbalzò.
‘Lanza! Allora sei veramente tu!’ Lui fissava la donna sbalordito.
‘Che c’&egrave, sono troppo vecchia per la disco? Mi sa che sei tu ad essere un po’ giovane per venire all’Holland!’. ‘No’E’ che’Non me l’aspettavo di trovarla qui, prof!’
‘Senti ‘ gridò all’orecchio ‘ non sono mica un dinosauro!’ Poi si rivolse ad una barista, ridendo per l’alcool che evidentemente circolava già abbondante nel suo sangue: ‘Un altro di quello che ha preso lui!’, indicando incerta il bicchiere del suo studente. Quest’ultimo si sentiva un uccellino in gabbia. Un uccellino eccitato. Guardava la sua insegnante sporgersi sul piano sporco di cocktail. Era una gatta sinuosa.
Era bella di fronte ad una lavagna, così era da cardiopalma. Le lunghe gambe, proiettate senza motivo su dei tacchi vertiginosi, le alzavano i glutei appena oltre il bordo della minigonna. Indossava un vestito corto grigio, di paillettes, che da poco sopra l’ombelico si divideva in due lasciando partire una scollatura da urlo.
‘Ascolta ‘gli disse prendendolo da parte ‘ per stamattina’scusami. Io non so cosa mi &egrave preso. Non volevo”
‘Non importa prof”
‘No, davvero ‘ gli urlava appoggiandosi su di lui, frastornata ‘ non volevo’ Non volevo! E’ che tu sei intelligente, e quando mi hai risposto in quel modo” Paolo le osservò gli occhi verdi, allungati dietro agli occhiali neri con la montatura spessa, sexy in quel contesto. Quasi si stavano inumidendo.
‘Io’Scusi, prof!’, ‘Prof?? Mica sono la tua prof qui dentro, Lanza!’
‘Neanche io sono Lanza’ rispose con il solito tono strafottente.
‘Sì, giusto!’ Succhiò dell’alcool dalla cannuccia. Lo guardava con aria maliziosa, mentre lui le osservava le labbra stringersi e compiere quel gesto con calcolata lentezza. ‘Dicevo’ Devi scusarmi, sono stata stupidissima’ Ma in questi giorni sono fuori di testa, il mio compagno mi ha lasciata!’ Gli urlò con la bocca sull’orecchio e gli occhi corrucciati.
Lui la guardò sorpreso. Sulle note di Never been in love, lei assentì guardandolo con una buffa faccia di compatimento, quasi fosse lui a dover essere sostenuto. ‘Mi tradiva con una stronza del suo ufficio!’, spiegò scontrando il bicchiere con il suo: ‘Alla libertà!’ gridò sorridendo amara.
‘Non lo sapevo, prof! Sono stato uno stronzo!’. ‘Chiamami Francesca, qua!’
Bevvero in silenzio ciò che avevano in mano, con lei, splendida trentacinquenne, che mentre scuoteva i suoi capelli mossi e ramati di fronte al giovane, faceva morire di invidia tutto il locale.
Mentre il tasso alcolemico si alzava e quello di imbarazzo calava, la donna prese un braccio di Paolo: ‘Vieni a ballare, devo sfogarmi!’
‘I love it’, gridavano le casse mentre lui la seguiva al centro della sala. Le osservava la schiena nuda e, mentre si incuneavano nella folla ammassata, le si avvicinò e le appoggiò la mano sulla pelle. Liscia, perfetta. Sentiva, sotto i polpastrelli, la colonna vertebrale che si piegava al ritmo della musica, finché lei si girò e sollevò le mani verso il soffitto.
Lui era sciolto ora, e muovendosi come poteva la seguiva a poca distanza, sfiorandola: sembrava una candela ondeggiante al vento, e quando piegava le ginocchia l’orlo del vestito si alzava, scoprendole sempre più centimetri delle gambe lunghe, porzione di pelle dopo porzione di pelle. Quando si risollevava, gli sfiorava i pantaloni con la minigonna.
Ballarono qualche minuto stordendosi.
Poi, con una giravolta gli diede le spalle. Appena partì una versione remixata di Fade to grey, lei inarcò la schiena, e protese ondeggiante il fondoschiena. Lui deglutì, e fissando quel cumulo di carne soda, fece un passo in avanti e le posò le mani sui fianchi. Erano come li immaginava. Morbidi, compatti’ Al ritmo dei Visage, Francesca oscillava lentamente. Non era infastidita dall’azione del suo studente, e lo dava a capire.
Con un’erezione contenuta solo dai pantaloni, questo massaggiava delicatamente le natiche; poi salì lungo i fianchi e il costato sentendo la forma del corpo. Lei si spostò indietro e incontrò la protuberanza dura.
Paolo continuò a muoversi trattenendo il fiato, e quando lei girò unicamente la testa e indicò con occhi languidi i suoi pantaloni, sorrise appoggiandosi alla faccia del giovane. Si sentiva infuocato.
Aveva il viso immerso nei capelli della sua professoressa, e annusava il suo profumo sul collo, mentre il pene cercava di inserirsi, nonostante i vestiti, nel solco di quel culo magnifico.
Le appoggiò una mano sul ventre, proprio come facevano a Camilla tempo prima, e la spingeva dolcemente contro di sé. Lei roteava il bacino, e lui perse definitivamente il controllo, baciandole il collo.
Spostò i capelli e lei agevolò il compito inclinando il capo.
Lui si stava bagnando quando lei, massaggiando la sua erezione per l’ultima volta, si mise di fronte. La bocca semiaperta era un richiamo troppo forte. Lui era una mosca nella tela di un ragno. Lei gli circondò la vita con le braccia, e Paolo, sfiorandole la nuca, le assaggiò quelle labbra esperte. Lei gli mordeva lievemente le labbra, gli succhiava la lingua, prima di accarezzarlo all’interno della bocca.
Le prese il culo con entrambe le mani, e tenendosela premuta, infilò due dita ad esplorare il meraviglioso mondo sotto la sua minigonna. Trovò gli slip, e iniziò a spostarli, intanto che Francesca gli possedeva la bocca.
Aveva dei corti peli sotto le mutandine, e ora poteva tastare il bordo delle sue labbra vaginali. Lei contraeva i glutei, impattando sull’asta del ragazzo, con la cappella che saliva deformando la cintura dei pantaloni, e le premeva sotto l’ombelico. ‘Bravo Paolo” gli sussurrò facendosi comunque sentire.
Si appoggiarono ad una parete, e lui, infilandole da dietro tutta una mano negli slip, le aprì con trepidazione la vulva completamente bagnata.
Mentre lei, perso ogni freno, ricambiava strizzandogli il cazzo ormai gonfio, lui le percorreva in mezzo agli umori la fessura, fino a trovare la vagina calda. Mordendole la bocca, la penetrò con un dito.
Lei mugolò, coperta dalla musica che permetteva di vedere solo la sua bocca contorcersi.
Trascorsero dei lunghi minuti a ballare godendo, muovendosi vagamente al ritmo sensuale della musica.
Gli slip chiari di lei sporgevano ormai dalla gonna alzata, e gli occhi più attenti della pista avrebbero potuto notare la chiazza scura di godimento sulla stoffa. Paolo muoveva le sue dita nelle mutandine come delle anguille, e le roteava sopra e dentro le labbra inturgidite.
Poi la donna avvertì una sensazione di umidità, all’altezza della pancia: Il cazzo del ragazzo stava colando piacere senza sosta, e i suoi umori impregnavano i pantaloni e una parte della gonna.
‘Vieni’ disse trascinandolo. Lei barcollava, e lui non riusciva a mettere in fila due pensieri logici. La seguì ancora, poi, quando furono davanti alle porte dei bagni, Paolo capì improvvisamente. Prese l’iniziativa e si diresse versò i servizi femminili. ‘Non lì ‘ lo fermò Francesca ‘ a quest’ora fa schifo ed &egrave pieno. Vieni in quello dei maschi.’
L’avrebbe seguita anche in un parcheggio. Voleva quella gatta. Voleva farla sua.
Aprirono una porta e si trovarono in una delle tante cabine. Lei lo spinse contro una parete dello scompartimento; le casse fecero vibrare il compensato pompando le note oniriche di Angel dei Massive Attack.
Nel suo tubino di paillettes, si abbassò sinuosamente. Lo fissava, mentre scioglieva il vincolo di cuoio che tratteneva il pene eretto del suo ragazzo. Lo fissava mentre gli abbassava i boxer, umidi dei fili appiccicosi del suo liquido lubrificante. Lo fissava mentre con amore gli baciava il glande rosso. Lo fissava mentre gli solleticava il frenulo tra l’asta e la cappella, con la lingua, e lo fissava mentre ingoiava completamente quell’uccello duro, toccando col suo naso appuntito il ventre del giovane.
Lui le teneva la testa afferrandola per la massa di capelli, e mentre involontariamente contraeva i muscoli penetrandole la bocca, era catturato dalle pupille di Francesca. Lo scavavano, maliziose, perfide, sensuali, assassine. Sapevano esattamente cosa lui volesse. Aveva delle sottili rughe ai lati degli occhi, laddove i suoi tagli felini si stringevano. Le davano ancora più espressività, e sembrava sorridessero, mentre gli succhiava e avvolgeva con la lingua il membro. Le lentiggini che punteggiavano il suo volto si concentravano sul naso affilato.
Quando sentì la punta espandersi pericolosamente, Paolo la fece rialzare, inginocchiandosi a sua volta tra le gambe di lei. E lei sorrise, calandosi le mutandine impregnate dei suoi profumi. Il ragazzo baciò l’interno delle cosce, quelle cosce di donna, definite, affusolate. Si spostò con delle brevi leccate sull’inguine, fermandosi dove il bacino si congiungeva agli arti, e infilò la lingua in quelle insenature, lasciando che la sua dominatrice gli porgesse di sua spontanea iniziativa la fighetta gonfia di piacere.
Le piccole labbra erano increspate e viscide di umori, e lui trovò immediatamente il clitoride, che svettava prepotente già scoperto. Diede delle rapide passate alla carne morbida, poi lo prese in bocca. Lo succhiava e lo roteava, facendola tremare. Lei allargava disperatamente le gambe, come a volersi far penetrare da tutta la testa. Lui le infilò un dito, mentre con la lingua danzava su quella piccola biglia goduriosa.
Non ebbe bisogno di chiarimenti quando lei lo prese quasi di peso, e baciandolo con passione gli si strinse contro, alzando un ginocchio al livello del bacino. Paolo le prese la coscia sotto braccio, e lasciò che il suo cazzo, teso e bagnato di saliva, massaggiasse la vulva di Francesca.
Questa allargò nuovamente le gambe e come per magia la sua patatina si apri leggermente, così che l’asta le sfregasse la piccola fessura. Curvò sapientemente in avanti il culo e improvvisamente la cappella si accomodò dentro di lei.
Sentiva quella carne giovane che la possedeva, un corpo vigoroso e dei muscoli freschi la stavano fottendo violentemente. Questo la eccitava ancora di più. Si sentiva sporca, ma voleva lavarsi con lo sperma e la saliva del suo piccolo amante. Se lo meritava.
Gli prese la testa e la premette al petto. Subito sentì il fiato alcolico ed erotico sulla pelle, e mentre come un animale Paolo le allargava la scollatura, i capezzoli dritti venivano succhiati come un biberon, e le tettine sode erano leccate e mosse da una bocca indemoniata. Lui non sembrava curarsi delle leggere smagliature, la baciava e penetrava come una dea, e lei si sentiva dannatamente sensuale, dannatamente porca.
Si sfilò il corpo estraneo dalla vagina, lasciando colare un lungo filamento di umori mischiati, e si girò dandogli le spalle.
Davanti a quel fondoschiena compatto che spuntava dal vestito e all’invitante schiena scoperta, Paolo la piegò ad angolo retto e le entrò senza bussare in quel crogiuolo di liquidi gocciolanti, scivolando nella sua polpa. Stavolta, oltre ai sospiri ritmati, udì chiaramente un lamento, seguito da rantoli di piacere.
Lei era appoggiata con le braccia ad un pannello laterale, e i seni le ballavano scomposti mentre si sentiva penetrare senza ritegno. Era quello che voleva: essere goduta appieno. Sentì la mano destra di lui che le cercava il clitoride, e quando lo trovò iniziò a massaggiarlo con moti circolari.
Erano completamente persi uno nell’altra, lui come un giovane puledro, lei come una bella giumenta.
Quello che Paolo sognava segretamente al primo banco, ora lo stava ottenendo in una discoteca, a notte inoltrata, ubriaco con una donna ansimante e bellissima. Lei stringeva i muscoli della vagina, cercando di prendersi quel bastone, strapparlo al corpo del giovane, captare ogni singola vena che lo percorreva; lui accarezzava con intensità la schiena inarcata, toccandole la spina dorsale flessuosa, le spalle contratte per la tensione, il sedere che sbatteva sul suo bacino. Si sentiva il pene stretto in una morsa eccitante, e più si sentiva spremuto, più la affondava con forza.
‘Ti amo’ rantolò mentre, sfinito, stordito, tentava di spaccarla in due, tenendole il clitoride.
Lei si fermò. Si rialzò, portandogli la mano sul seno sudato. Si voltò e sorrise, con gli angoli della bocca gentilmente increspati dall’età. I bassi della sala da ballo rimbombavano nei corpi. Con uno sguardo suadente si accostò alla bocca di Paolo: ‘Sei tenero’ gli disse, prima di baciarlo affettuosamente, mordendogli le labbra. Poi, afferrandogli le spalle, lo fece sedere sul water. Alzò una lunga gamba e lo scavalcò, rimanendo in piedi sui tacchi, dominando sul suo pene strabordante di piacere. Accarezzandogli la testa, si calò dolcemente sul ragazzo, e di nuovo il cazzo venne inghiottito da un gorgo di flutti.
Ora era lei a condurre. Spinse dolcemente i fianchi sulla vita del giovane. Lui trattenne il respiro.
Lei massaggiava il membro al suo interno, roteando sulla sua base. Sempre più intensa, più decisa. Lui gemeva e tentava di pigiarsi disperatamente dentro di lei.
Francesca ballava come un’odalisca, veloce, rapida, angolando la schiena nella posizione migliore per provare piacere. Lo avvertì contorcersi, sotto il suo culo morbido, e perse la testa, ansimante.
Paolo sentì la calda figa che si contraeva, senza controllo, e vide un breve schizzo di godimento colare sulle palle uscendo dalle labbra gonfie. Si era fermata, schiacciandogli il petto contro la faccia, vibrando e tremando. Lui non poteva più resistere, col cazzo in quella culla calda e squassata dall’orgasmo, il seno ansante sulla bocca e i capelli biondicci sugli occhi. Si spinse a fondo nelle sue viscere, con colpi decisi, fino a quando non sentì le pulsazioni nel pene che portavano il piacere ed il seme: lo estrasse appena in tempo perché i getti violenti colpissero il ventre, il seno, il collo.
La strinse nuovamente, e il suo sperma gli cadeva sulla camicia. Lei si toccò la fossetta sopra lo sterno, e si leccò il dito sporco di liquido seminale. Poi guardò il suo giovane uomo, e gli accarezzò i capelli, felice.

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