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Racconti Erotici Etero

L’hangar

By 18 Agosto 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Il sole &egrave a picco sulla strada di campagna e Marco sta tornando a casa in macchina quando lo vede. Sulla sinistra, oltre le frasche, una costruzione grigia e anonima in mezzo al nulla. L’hangar.
Nel paese lo chiamano tutti così. &egrave un capannone di lamiera, che anni fa qualcuno ha costruito per chissà quale motivo, e ha lasciato lì, una bruttura inutile fra i campi. Non &egrave l’unico capannone abbandonato della zona, ma &egrave l’unico capannone di cui in paese tutti parlano, l’unico che ha un nome proprio: l’hangar.
L’hangar &egrave comparso nei discorsi qualche mese prima. Marco non ricorda quando l’ha sentito nominare la prima volta, o da chi; ma ricorda benissimo come si sentiva, all’inizio, quando nella conversazione qualcuno faceva un’allusione vaga, quasi casuale, e tutti annuivano e ridacchiavano. Tutti sembravano sapere perfettamente cosa fosse l’hangar, e quello che succedeva a chi ci andasse; nessuno mai che lo dicesse esplicitamente. Le ragazze del paese, poi, non ne parlavano mai, ma, se qualcuno lo nominava in loro presenza, distoglievano lo sguardo, si attorcigliavano nervosamente una ciocca di capelli intorno alle dita; qualcuna arrossiva, quelle più spigliate ridacchiavano.
Alla fine, Marco, frustrato dal dover sempre annuire come gli altri, aveva deciso di chiedere a qualcuno. Aveva scelto un giovane di cui si fidava, Kevin, un ventiduenne conosciuto a calcetto; era uno di quelli che nominavano raramente l’hangar, ma che, quando lo facevano, sembrano riferirsi a qualcosa di ben preciso. E così, in privato, Marco glielo aveva chiesto, cosa succedesse all’hangar. Quello aveva sogghignato, poi ci aveva pensato un po’ su, infine aveva parlato.
– Allora, ci devi andare da solo, nell’ora più calda, tipo le due e mezza. Parcheggi lungo la strada, passi oltre le fratte e vai alla porta. Entri, chiudi la porta dietro di te: dev’essere buio, capito? Con la porta chiusa ti devi spogliare, completamente, e lasci i vestiti accanto all’entrata. A questo punto arriva una ragazza… il resto puoi scoprirlo da solo.
Marco si era messo a ridere, mostrando di aver capito lo scherzo, ma l’altro era serissimo.
– Ho capito, ho capito, c’&egrave una prostituta, no? Fa pompini per soldi, qualcosa del genere?
Kevin aveva scosso la testa.
– Macché prostituta, non servono soldi. Non &egrave neanche la stessa per tutti. C’&egrave chi dice che &egrave una del paese, chi dice che per lui era sconosciuta… ma te l’ho detto, &egrave buio…
Allora Marco aveva alzato le spalle e se n’era andato; evidentemente aveva scelto la persona sbagliata a cui chiedere. Da allora, comunque, non aveva fatto più domande, per non farsi raccontare storie da video porno; quando si parlava dell’hangar, si limitava ad annuire e ridere come tutti gli altri.
Certo, non aveva potuto impedirsi di pensare: e se fosse vero? Cosa sarebbe successo, se ci fosse andato? Ma poi gli era balenata in mente l’immagine di lui nudo, la luce che improvvisamente si accende e tutti i ragazzi del paese che lo indicano e ridono a crepapelle, Kevin in prima fila. Preferiva evitare.

Quel giorno, Marco era passato accanto all’hangar per caso. Quando lo vede, però, sente una fitta allo stomaco. L’hangar. Peccato, pensa, non saprà mai che cosa c’era veramente lì dentro. Pazienza, prima o poi la gente si annoierà e smetterà di parlarne, e allora potrà smettere di annuire e ridacchiare. In fondo, probabilmente tutti in paese sono nella sua stessa situazione: fingono di sapere ma non hanno idea. Magari nessuno sa davvero cosa c’&egrave nell’hangar. Si dà dell’idiota: ma che cosa ci può essere in un vecchio capannone abbandonato? Niente, &egrave ovvio! O no?
Si accorge di aver rallentato l’andatura. Così, tanto per, dà un’occhiata all’orologio sul cruscotto della macchina. Le due e un quarto. L’ora più calda. Potrebbe davvero andare a vedere. Sente il battito del cuore accelerare. Fa davvero caldo… Sta sudando nonostante l’aria condizionata. Che stupido a ridursi così per la mera possibilità, per l’occasione che ha di scoprire, di vedere se davvero… se c’&egrave qualcuno… qualcuna…
Accosta, si ferma. O ci va adesso, o non ci andrà mai più. Per tutta la vita si chiederebbe cosa c’era nell’hangar, cosa sarebbe sarebbe successo se quel giorno, per una volta, avesse avuto coraggio. Se avesse fatto qualcosa di rischioso, di grande.
Scende dalla macchina. Guarda avanti e indietro, la strada &egrave deserta. In fondo, non sta rischiando molto. Può tornare indietro in qualunque momento, nessuno lo può costringere. Darà soltanto un’occhiata, tutti qui, vedrà che non c’&egrave nessuno e se ne andrà. E se poi qualcuno arriva, può sempre inventarsi una scusa, o nascondersi, o alla peggio scappare. Ma poi, di chi o cosa dovrebbe aver paura? Se c’&egrave qualcuno, se c’&egrave una prostituta, le parlerà tranquillamente, le dirà di non essere interessato e tanti saluti. Che può fargli?
Attraversa la strada e cerca un passaggio tra le frasche. Lo trova, c’&egrave una sorta di varco in mezzo ai cespugli. L’hangar &egrave lì, in pieno sole, a pochi passi. Avanza, il cuore accelera. Può sempre tornarne indietro, si ripete, può sempre andarsene, &egrave ancora in tempo…
&egrave giunto al portone. Da dentro, non si sente nessun rumore. Nei dintorni, nessuno, a parte le cicale. Se Kevin e i ragazzi fossero lì, se ne sarebbe accorto… no? Mica seguono i suoi movimenti, non potevano sapere in che giorno Marco ci sarebbe andato, giusto? Per sicurezza, si guarda dietro: le frasche, la strada e la macchina. Nient’altro.
Mette una mano sul portone, e quello si apre cigolando. Si immobilizza, lasciando la porta semiaperta, aspetta un rumore, un segnale di pericolo. Passa un minuto, sente il cuore segnare i secondi, ne passa un altro, niente. O la va o la spacca, si dice. Entra.
La luce dal portone alle sue spalle illumina un ambiente spazioso e placidamente vuoto. Sotto ai suoi piedi, il cemento; ai lati, alte pareti di lamiera intaccate dalla ruggine. Da fuori continua ad arrivare il suono delle cicale.
&egrave soltanto un capannone abbandonato, come doveva essere, pensa Marco sospirando. Il nodo allo stomaco si allenta, ma pulsa ancora: forse &egrave delusione. Che cretino, a sperare di trovare un… qualcosa… in un vecchio capannone. Come se queste cose esistessero davvero. Kevin può essere fiero di lui.
Kevin… Kevin gli aveva detto di chiudere la porta. Beh, già che c’&egrave, tanto vale provare, no? Quando l’ultimo spiraglio di luce sparisce, il buio riempie l’hangar. Marco ha di nuovo paura: e se Kevin e gli altri spuntassero fuori adesso? E se… se arrivasse qualcuno di peggio di Kevin, uno spacciatore, uno psicopatico… però lo sentirebbe arrivare. Non può vedere, ma può sentire, e, con la porta chiusa, il silenzio &egrave completo.
Dagli interstizi tra le pareti filtra un filo di luce, gli occhi si stanno abituando. Non abbastanza per vedere il fondo dell’edificio; soltanto quanto basta per distinguere le forme intorno a lui, quelle del proprio corpo almeno.
Nel silenzio, la voce di Kevin gli rimbomba in testa: ” ti devi spogliare, completamente, e lasci i vestiti accanto all’entrata’. Spogliarsi, completamente. Chiunque arrivasse, Kevin, uno psicopatico… o una ragazza… lo troverebbe così, tutto nudo in mezzo all’hangar. Sarebbe… sarebbe terribilmente umiliante. Eppure, se davvero poi succedesse qualcosa…
Con le mani tremanti, inizia a sfilarsi la maglietta, mantenendo i sensi all’erta per sentire se arriva qualcuno. Se la toglie, la poggia vicino ai suoi piedi.
Si slaccia la cintura, la toglie. Si toglie le scarpe, i calzini. Sente il cemento sotto ai piedi nudi. Infine, si sbottona i jeans, li abbassa fino a terra, e fa un passo avanti. Gli rimangono i boxer.
‘completamente’, gli &egrave stato detto. Potrebbe andarsene, pensa, potrebbe tornare in macchina e dimenticare tutto. Niente lo costringe. Potrebbe… ma se &egrave arrivato fin qui… esita ancora…
Passa le mani nell’elastico, si abbassa le mutande. Le poggia per terra.
Ecco. Un ragazzo tutto nudo, nudo in mezzo a una stanza vuota. Sente l’istinto di coprirsi, anche se non sa bene da cosa o da chi. Nella pancia scoperta adesso c’&egrave come un grumo doloroso di paura mista ad attesa. Il sangue turbina, passa tumultuoso per tutto il suo corpo. Non importa, si dice, tra qualche minuto deciderò che &egrave ora di andarmene. Non verrà nessuno.

Toc.
Un rumore. Dal fondo della stanza. Oh no, pensa Marco, ti prego no, i suoi sensi impazziscono, la mente si scioglie, non sa che fare, non sa che pensare, &egrave paralizzato.
Toc.
Un altro rumore, debole, eppure ai sensi di lui &egrave un terremoto, un crollo di montagna.
Tac toc tac toc.
Sembrano… passi…
Più vicini.
Due occhi. Due occhi aperti nel buio, dritti di fronte a lui. Due occhi grandi. Taglio appena obliquo, come orientale. Indagatori, con un guizzo di ferinità. Occhi di donna. Si stanno avvicinando, il rumore dei passi si unisce a quello del cuore tumultuoso di lui. A poco a poco vaghi contorni di una figura si disegnano intorno agli occhi. Il ragazzo intravede le forme del viso, il resto del corpo.
&egrave una donna, giovane. Una ragazza. Davanti a lui, con gli occhi grandi. &egrave completamente vestita, lei. Sta avanzando, piano, verso di lui, nudo. &egrave buio anche per lei, eppure il ragazzo sa di essere guardato, di essere visto alla perfezione, nei minimi dettagli; gli occhi di lei esplorano il suo corpo, la sua nudità, possono scrutarlo in ogni centimetro, ogni segreto, ogni vergogna. Gli &egrave quasi davanti, ormai, si ferma.
Il giovane vorrebbe terribilmente coprirsi, prendere i vestiti, o anche lasciarli lì, pur di scappare fuori, fuggire e non voltarsi mai, pur di sottrarsi allo sguardo di lei, che sembra avvolgerlo e inchiodarlo sul posto. Vorrebbe almeno parlare, balbettare qualcosa, alleggerire quel peso terribile che sente. Non può.
La ragazza &egrave immobile. Creatura diafana e selvaggia.
Lentamente, si muove. Si sta chinando, si sta… &egrave accovacciata ai suoi piedi. Si ferma proprio lì, di fronte al suo inguine esposto. &egrave proprio lì che guarda, poi a lui, poi di nuovo l’inguine. Non fa nulla, sta immobile così, respira.
Il contrasto fra loro due &egrave enorme, Marco lo sente. La grazia, l’eleganza di lei, femmina, con le forme sottili, i movimenti fluidi, gli occhi misteriosi. E lui, un maschio, alto e dinoccolato e tutto nudo, così sproporzionato, così sgraziato, fuori posto. Sotto lo sguardo indagatore di lei, si sente terribilmente ridicolo in quella condizione, con le gambe tremanti, la pancia scoperta, il pene esposto che man mano si inarca.
Con lo sguardo, la donna sta curiosando fra i suoi genitali. Lui non può fare nulla. Lei torna a fissarlo negli occhi, e adesso il ragazzo coglie una sfumatura indefinibile nei suoi occhi, forse divertita, forse… eccitata?
Un movimento, quasi impercettibile, della testa. La donna sta avanzando, sta avvicinando il viso al corpo di lui… le labbra morbide toccano la punta del pene. &egrave una sensazione breve e leggerissima, il ragazzo si chiede se non l’ha immaginata.
Tuttavia, il viso di lei si sta muovendo ancora, adesso Marco ne &egrave certo. La donna schiude appena le labbra: un bacio, leggero, sulla punta. Un piccolo rumore echeggia nell’hangar vuoto. Lo guarda negli occhi. Ferma a pochi millimetri dal suo pene, lo tocca: con la lingua. Una creatura selvaggia che annusa un oggetto nuovo, che prende confidenza.
Con un movimento brusco, piega la testa. Questa volta il ragazzo sente distintamente la lingua di lei lambirgli tutta l’asta, sotto, dalla base fino in cima. Lui si lascia sfuggire un gemito: lei improvvisamente si stacca, lo guarda fisso negli occhi.
Lui rimane immobile, timoroso e interdetto. Nessuna reazione.
Allora, con calma, lei piega di nuovo la testa, per scendere sotto il pene. Dà un bacio leggero sulla parte delicata e morbida alla base. Il bacio successivo &egrave sui testicoli. Più voluttuosa, inizia a passeggiare con la lingua, ad accarezzarglieli con percorsi sempre diversi, spingendosi prima più sotto, poi ai lati, poi ancora sotto, ignorando i peli, muovendo in modo lento e metodico, come se dovesse pulire lo scroto del maschio.
Fremiti di piacere attraversano Marco. Ha paura a muoversi, a emettere un suono qualsiasi, a pensare perfino, paura che tutto improvvisamente finisca, che lei svanisca e che si riveli un sogno. Osa solamente distogliere lo sguardo: ma una nuova scarica lo attraversa. La donna ha preso nella bocca una palla, la sta suggendo dolcemente, attenta a non fargli male. Fluida passa all’altro testicolo, lo accoglie nella bocca calda, succhia piano. Smette. Sposta la testa, strusciando la guancia sul pene. Per la prima volta, ne prende la punta in bocca. Inizia a succhiare, facendo avanti e indietro con le labbra, senza rumore.
Altra novità: lei poggia le mani sul corpo di lui, ponendogli i palmi aperti sul basso ventre, senza fare pressione. Per il puro gusto del contatto.
Continua a succhiare. Ogni tanto gli occhi di lei guizzano verso i suoi, non sa se per cercare approvazione, o per tenerlo inchiodato lì, o per stabilire un legame anche con gli occhi.
Fa una pausa, estrae il pene dalla bocca e torna a leccare l’asta, con più foga questa volta. La mano sinistra di lei si muove, passa sul fianco di lui, sull’interno coscia, poi raggiunge i testicoli, e a forma di coppa li circonda, come a volerli tenere al caldo, senza stringere. Riprende a succhiare, più veloce, più a fondo; lo spinge ancora più a fondo, lui sente rumore di strozzamento, lei si stacca.
Aspetta, lo guarda. Ormai ha capito, &egrave lo sguardo del desiderio. Muove appena la testa. Lui lo interpreta come un ‘ora sul serio’.
Riprende a succhiare, a ritmo rapido, regolare. L’asta entra ed esce, inghiottita, dalle labbra di lei, il ragazzo sente che il piacere, lontano, comincia a farsi sentire, a farsi più vicino. Le mani di lei si muovono, la sinistra abbandona i testicoli, entrambe premono sul corpo di lui, salgono sopra mentre lei succhia, salgono sulla pancia e sul petto, arrivano ai capezzoli, li toccano per un istante, poi scendono, lei non smette di succhiare, le mani passano dietro, lungo la schiena, arrivano al sedere, e ancora succhia, ciascuna mano afferra una chiappa e stringe, stringe forte, il ragazzo ansima rumorosamente, ora non gli importa fare rumore, purché continui, lei gli sta succhiando il pisello e non deve smettere, smettere mai, e lei non smette, accelera, sempre più rapida, gli sta strizzando il sedere, fa quasi male, il pisello scivola dentro e fuori sulla saliva, gli gira la testa, non capisce più nulla, &egrave un ritmo folle, &egrave un piacere insopportabile, &egrave una tortura, non si controlla più, le infila le mani tra i capelli, gli sta succhiando il pisello, glielo sta succhiando tutto, continua, vuole esplodere, vuole scoppiare, che smetta, purché non smetta, purché gli succhi il pisello, ancora, succhi il pisello, ancora, succhi, rantola…
Uno spasmo gli attraversa il pene, e sente violenti fiotti di sperma schizzare dentro la bocca di lei, colpirla in gola, riempire tutto. Il ritmo del suo respiro rallenta, il ragazzo finisce di svuotarsi, mentre lei, con calma, finisce di succhiare, aspettando anche l’ultimo schizzo. Il pene si indebolisce, s’incurva nel caldo della bocca di lei; finalmente ne esce, piccolo e nudo.

Ancora ansante, Marco fa un passo indietro. Lei si rimette in piedi, gli sorride. Non sputa, deve aver mandato tutto giù. Lo sguardo di lei adesso &egrave quasi affettuoso. Un movimento rapido, e forse Marco se l’&egrave sognato, ma lei gli ha fatto l’occhiolino. Senza voltarsi, la ragazza fa un passo indietro, e scompare avvolta nel buio.

Eru

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