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Racconti Erotici Etero

Lucidalabbra

By 22 Gennaio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Lei era girata, mi dava le spalle. Spalle scoperte, o almeno parzialmente. Era l’unica linea dritta, in diagonale, della sua figura. Il resto era tutto curve armoniose.
Indossava un abito succinto, che tagliava le sue cosce tonde a tre quarti, poco sotto la linea del sedere.
Era scuro, morbido. Le fasciava il corpo, come se fossero mille mani che la palpavano.
Sopra il bacino, si stringeva deciso formando due mezze lune, per poi riaprirsi.
Respirava lentamente, trattenendo il respiro quando i polmoni erano pieni, per poi rilassarsi espirando lentamente.
Rimanevano scoperti due triangoli di spalle, che facevano risaltare la carnagione chiara, che poi culminavano in un collare alto che fasciava il collo, un collare ancestrale che in altri luoghi, in altri tempi, avrebbe significato sottomissione, consapevole e benvenuta.
Era appoggiata con le mani aperte sul piano di lavoro della cucina, quello che &egrave di fronte alla finestra che si apre sul giardino.
Le sue labbra carnose erano lucide.
Se le mordicchiava lentamente, mentre era assorta nei suoi pensieri, assente da quel luogo.
Pensai che avesse appena mangiato qualcosa, e che quindi stesse succhiandosi le labbra pensando al passato, pensando al futuro.
Tuttavia non vededevo nessuna prelibatezza lasciata a metà, nessuna mollica, nessuna buccia di arancia.
Continuava a mordicchiarsi le labbra.
Labbra che vedevo luccicare, nonostante la penombra.

Appoggiai le mie di labbra sulle sue spalle scoperte, solo per assaporare il gusto della sua pelle, che sapevo fosse al tempo stesso dolce e salata.
Si allontanò, come se fosse infastidita, spingendo il busto in avanti, appoggiandosi ai gomiti e facendo uscire allo scoperto le parigine che indossava. Sapevo che avevano un fiocco nella parte anteriore, perch&egrave le conoscevo bene quelle parigine nere, ma io non lo vedevo quel fiocco rosa, nascosto dal mobile.
Vedevo sì i suoi tacchi alti, quelli che finiscono dritti, con la base grande.
Non aveva bisogno dei tacchi per slanciare il suo corpo, ma quelli in particolare modo le conferivano un portamento da diva.
Non distolse lo sguardo, che era perso nell’infinito che stava fuori , eppure mostrò tutta la sua sessualità quando allargo le gambe facendo salire il suo corto vestito fino ai glutei, esponendo il suo sesso voglioso.
‘Non indugiare, usami’, sussurrò riprendendo a mordicchiarsi la lingua, ma mai distogliendo lo sguardo dall’esterno.

Il mio cazzo pompò sangue, le mie vene si ingrossarono, la mia voglia aumentò, il mio istinto animale si destò.
Appoggiai le mie mani aperte al suo culo sodo, facendo scivolare quello che restava del vestito verso la schiena, e rivelando quel corpo che urlava sesso. Si capiva che nonostante l’immobilità, anelava al piacere, ricercava cazzo.
Non indossava biancheria intima.
La sua fessura luccicava timidamente.
Appoggiai il mio membro all’esterno di quella invitante meraviglia, e mi accorsi che era inspiegabilmente scivolosa: non era il suo succo, o meglio non c’era solo quello. Era come se un unguento speciale fosse stato spalmato ad arte, da chissà quanto tempo, pregustando il momento.
Continuava a mordicchiarsi le labbra, era l’unica parte del suo corpo a muoversi: era come se le sue mani e le sue caviglie fossero ancorate al mobile, incatenate.
Afferrai il suo bacino ed entrai dritto dritto fino all’utero, senza fermarmi, senza tornare indietro.
Contrassi i glutei per spingere forte e mi fermai in quella posizione.
Provai uno stranno formicolio proprio lì, ora che ero dentro di lei, risucchiato dal suo vortice di trasgressione.
Il prurito aumentò, sentì l’urgenza di grattarmi ed incominciai a muovermi al suo interno per soddisfare quell’esigenza che sapevo fosse condivisa e fare in modo che si provasse sollievo entrambi.
La scopai per dieci interminabili minuti, senza fermarmi, finch&egrave la lussuria si trasformò in soddisfazione reciproca.
Solo allora la sentì mugugnare e vidi che chinò il capo in avanti, nascosto dai capelli lunghi, godendosi le contrazioni incontrollabili, e vedendo dal riflesso del vetro che aggrottava la fronte, con gli occhi chiusi.
La sua bocca era ancora chiusa, il contrasto tra l’urlo soffocato ed il dolce mordere delle sue labbra era distratto solo dai fremiti che le percorrevano il corpo in lungo e in largo.

Solo allora mi accorsi che l’oliera dove normalmente teniamo l’olio col peperoncino rosso fuoco era accanto a lei.
Solo allora capì che lo aveva usato per lucidarsi le labbra.
Solo allora intesi che non aveva resistito alla necessità di massaggiarsi entrambe le labbra.
Quelle superiori aveva continuato a mordicchiarle.
Quelle inferiori sono sicuro che le aveva toccate, lo sentivo dall’odore che emanava, ma non sapevo quante volte si fosse masturbata prima che io potessi finalmente aiutarla.
Non so per quanto tempo avesse pazzescamente voluto un palo nella sua pancia, che la penetrasse senza pietà, comunque ora aveva trovato pane per i suoi denti, e si vedeva che le piaceva.
Così come si vedeva che non voleva sfuggire da quelle catene che non c’erano, ma che continuavano ad inchiodarla in quella posizione.
Era davvero un collare che trasudava sottomissione, consapevole e benvenuta.

E ce la stavamo godendo entrambi. 

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