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Racconti Erotici Etero

Luis

By 24 Aprile 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

L’attesa era stata penosa perché lo immaginavo a far l’amore con qualcun’altra. ‘Sarò lì a minuti’, diceva e poi era arrivato due ore dopo. Era arrabbiato, perché lo avevo chiuso fuori. Rimasi accanto alla porta ad ascoltarlo. Speravo che non se ne sarebbe andato, che non sarebbe tornato, come un tempo, a litigare, a lottare o a bere, in compagnia di amici ordinari, a passare la serata con gente ignorante. Mi spiaceva enormemente che il nostro appuntamento si rovinasse così. Attesi. E attendendo pensavo nel fumo azzurrognolo di sigaretta. A volte, per strada o in un caffé, rimanevo affascinata da un uomo con gli stivaloni di operaio e le mani grandi, sporche; da una testa brutale, di criminale. Sentivo un sensuale gemito, un’attrazione oscura e primitiva. La femmina ch’era in me n’era turbata. Per un attimo mi sentivo come una puttana, un oggetto in balia della brutalità di un uomo, di una forza che poteva spalancarmi e saccheggiarmi. Dovetti scuotermi dal dominio di queste immagini. Tornai a lui, appoggiando l’orecchio alla porta: sentivo le sue dita ticchettare sul pavimento. Cos’era successo a questo indomabile, ostinato selvaggio che avevo conosciuto in un mattino accecante? Ora era addomesticato. Viveva per fare l’amore e aveva perduto la luce pericolosa che brillava nei suoi occhi, gli occhi di un uomo senza colpa e senza scrupoli. Che non si curava dei rischi e delle conseguenze, ormai incapace di risvegliare in me l’oscuro strato fangoso che tanto mi eccitava. Sorrisi a questo pensiero e tornai ai nostri primi giorni. Dormiva nudo, odiava il pigiama, vestaglie e pantofole. Gettava i mozziconi sul pavimento, si lavava con acqua gelata, come i marinai. Rideva delle comodità, sceglieva sempre le sedie più dure. Sapeva toccare tutte le regioni della comprensione con l’intuizione; come un animale affamato mi osservava, mi inseguiva, mi afferrava e ne godeva. Per lui la seduzione era sempre stata una forma collaterale della caccia. Suonò di nuovo il campanello, con grande delicatezza. Se avesse suonato con rabbia, non mi sarei smossa, ma suonò così gentilmente, con un tono così colpevole, che gli aprii. Mi desiderava, ma gli opposi resistenza e questo lo eccitò ancor di più. Fui intristita dallo spettacolo del suo desiderio: avevo la sensazione che provocasse di proposito questa scena, nel tentativo di dimostrarmi di essere colui che non era più. E più lui si eccitava, più mi ritraevo. Mi chiudevo sessualmente, ma sapevo che il miele mi usciva dalle labbra chiuse e lui era in estasi. D’improvviso divenne più appassionato, mi aprì le ginocchia a forza, con le sue gambe, riversandosi dentro di me con impeto e venne con una intensità tremenda. E mentre altre volte se non avevo provato piacere l’avevo simulato, per non ferirlo, questa volta non finsi per niente. E quando mi chiese se fossi venuta, dissi di no e lui ne soffrì. Sentiva tutta la crudeltà della mia mancanza di abbandono e mi disse di amarmi più di quanto non l’amassi io. Rimasi sdraiata a occhi aperti, osservandolo mentre si rivestiva. E mentre lo immaginavo scendere le scale, silenziosamente, una tale ondata di tenerezza mi travolse che corsi alla porta, lo chiamai. Sentii il fermarsi dei suoi passi. Avrei voluto gettarmi su di lui, lasciare che pugnalasse la mia piccola ferita, che si immergesse in me per strapparmi gli spasmi che prima avevo trattenuto. Speravo che risalisse, ho atteso, ma invano. Sapevo che non l’avrei mai più rivisto.

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