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Racconti Erotici Etero

Luisella 1

By 13 Marzo 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Luisella 1 ‘ I tre comandamenti Domenica. Da sola nella mia stanza lascio che scorrano davanti ai miei occhi le scene struggenti di ieri pomeriggio. Piove, quasi ad accentuare la tristezza che ho nel cuore e il freddo che l’avvolge. Novembre, da poco passato il giorno dei morti. Che sia ormai morta anche la mia vita? Roberto mi ha lasciato. Per sempre. Quel sempre che non lascia scampo e concede spazio solo per i ricordi. Un maledetto tumore affiorato senza preavviso me lo ha tolto in sessanta giorni lasciandomi sola vuota distrutta triste abbandonata a me stessa come un cavallo senza briglie. Tutto all’improvviso, quasi senza la possibilità di rendermene conto. Ora, nella mia stanza, stesa sul letto, a quel cavallo voglio permettere di far esplodere tutta l’energia che si sente compressa dentro consentendogli di lanciarsi in una corsa sfrenata tra quei campi che aveva battuto con vigore e passione con Roberto in groppa in cerca di avventure ed emozioni sempre nuove, alla scoperta di sensazioni sconosciute anche a me stessa, o forse più semplicemente mai ammesse. I ricordi affiorano tra le lacrime che scendono ormai senza controllo. La lontananza di mio marito, rappresentante di giocattoli da dieci giorni in Tailandia per concludere dei contratti, mi aiuta e mi permette di spaziare nei ricordi in assoluta libertà. Lui, come quasi tutti gli altri, &egrave sempre stato all’oscuro di questa mia relazione e identità nascosta. Per quanto dolce, tenero, garbato, ‘ troppo garbato, delicato, ‘ troppo delicato, rispettoso, ‘ troppo rispettoso, non sa oltrepassare la scorza un pochino dura delle apparenze e abbattere quel tenue confine che rende la moglie amante, la donna puttana, la femmina troia. Non ha ancora capito che la donna ha bisogno di essere ‘aperta’ dal suo uomo, quasi ‘costretta’ a fare ciò che non vorrebbe ma che intimamente desidera. Non ne ha avuto il coraggio e io per lui sono sempre rimasta la moglie, la donna, la femmina composta, pudica, riservata, fedele, rispettabile. Incline al sesso ma con contegno, disponibile ma con delle limitazioni, calda ma a schiuma frenata, allegra e di compagnia ma tutta per lui, indiscutibilmente per lui. Mio povero caro maritino! Nella mia terra, la Sicilia, in un noto paese vicino a Palermo, ho trascorso la mia giovinezza in modo spensierato e libero, per quanto almeno fosse consentito a una ragazza spigliata, calda, disinvolta e senza un legame fisso. Capelli sciolti e lunghi, fisico slanciato e appariscente, linea perfetta, amante della buona cucina subito smaltita con abbondanti nuotate nel nostro splendido mare, un bel sorriso, uno sguardo innocente. Gli ingredienti giusti per far impazzire i ragazzi e sognare gli adulti. Non mi mancavano né gli uni né gli altri. Quando mi trovavo con loro mi piacevano i loro sguardi di desiderio e i loro commenti, a volte neppure tanto velati e delicati, mi inorgoglivano. Il mio seno, quarta abbondante ben distribuita e solida, era il centro dei desideri visivi e il punto di arrivo ‘accidentale’ degli altrettanti desideri manuali maschili. Lo sapevo, non lo ammettevo, lo desideravo. Mi sentivo ‘donna’. Inutile dire che il fondoschiena di ragazza ventenne era il consapevole e ricercato strumento di contatti, sfregamenti, pacche. In disco, erano abituali, anonimi e neanche tanto rifiutati. Insomma, ero desiderabile, desiderata, ricercata, libera, eccitata. Godevo di questa situazione. Maestra di vita, si fa per dire, era stata mia mamma. ‘Luisa, mi diceva, agli uomini non si può dire di no. Concedi quello che vuoi, ma mi raccomando, tieni strette le gambe. Quella solo quando avrai marito’. Alle mie domande curiose e insistenti sulla sua vita sessuale con papà a poco a poco mi aveva trasmesso la sua esperienza: ‘E’ un uomo, maschio, molto virile, siciliano autentico, sa cosa fare con una donna. Non ha tempi né modi. Lui non chiede, prende, e io lascio fare:’ Le aveva chiesto di tutto e senza tante parole e lei si concedeva come al suo maschione piaceva. ‘Ma mamma, anche dietro?’ La risposta &egrave stata chiara ‘eh, cara, non sempre &egrave possibile in modo normale. Lì almeno non ci sono pericoli, all’uomo piace soprattutto se ti fai un po desiderare, e poi finisce per piacere anche a te.’ Sul rapporto orale invece era stata categorica: ‘Ti confido un segreto. La forza di una donna &egrave nel come sa prenderlo in bocca al suo uomo. Soddisfalo in quel modo e l’avrai ai tuoi piedi. A noi eccita ma a loro li fa impazzire. Devi succhiarlo da tirargli su il lenzuolo dal buco del culo. Ne farai quello che vuoi’. Quanto aveva ragione la mia mammetta! Io intanto, nelle fantasie notturne, immaginavo mio padre che con proporzioni esagerate prendeva la mamma in tutti i modi, la faceva sua la usava, lei che lo succhiava a lungo e gli offriva l’entrata di riserva. Il film scorreva nella mia mente inesorabile e lento, come la mia mano nella mia intimità. La dolcezza della situazione faceva sì che in quel film dopo il secondo tempo si dovesse ricominciare il primo. Il cuore batteva più veloce e il respiro aumentava. Mi bagnavo a quei pensieri ed ero costretta ad accarezzarmi profondamnte per lenire il desiderio e l’eccitazione. Talvolta, mentre lo facevo, pensavo di esserci io al posto della mamma e immaginavo la figura energica di mio padre lì, in fianco al mio letto, con i suoi attributi ben in mostra, in perfetta erezione; lo vedevo accarezzarmi i capelli, disegnarmi il volto con sue dita, sfiorare il mio seno, forzare in qualche modo la mia bocca, e infime spingere la mia testa verso’. non capivo più niente, mi sentivo sconvolta, un forte calore che partiva dal ventre mi invadeva tutta, la mia masturbazione diventava furiosa, e godevo, godevo. Poi mi sentivo in colpa, indecente, ma un senso di appagamento fisico, il rilassamento e il sonno finivano per avere il sopravvento. I tre comandamenti di mamma comunque mi sono rimasti nella mente per tutti quegli anni spensierati. 1) agli uomini non si può dire di no 2) tieni strette le gambe 3) usa bene la bocca. Preservativi e pillola mi hanno insegnato che il secondo comandamento lo si può anche mettere da parte, ma le modalità e i tempi sono stata sempre io a deciderle. Così ho imparato a godere appieno della bellezza e della freschezza del mio corpo. Non mi sono lasciata mancare ragazzi, esperienze, situazioni eccitanti, giovani e meno giovani. Gli uomini maturi erano stranamente il meglio: mi sapevano far vibrate come una corda di violino. Non volevo stabilire legami fissi, amica di tutti ma proprietà di nessuno, libera sotto ogni aspetto, un po puttanella in certi ambienti, troietta in qualche caso. Ogni tanto trovavo qualcuno particolarmente abile dotato e resistente e ne apprifittavo mettendo in pratica i miei comandamenti in modo puntuale e coscienzioso. Non mi risparmiavo, tanto più che mi piaceva da matti. Non mi ero lasciata mancare nulla e per essere sincera avevo solo da scegliere. In quattro anni avevo accumulato molta esperienza ed ero molto apprezzata sessualmente da ragazzi e uomini. Tenevo molto però alla mia immagine. Alla disinvoltura in privato faceva da contraltare una pubblica virtù. Così non permettevo in nessun caso che che si parlasse delle mie qualità erotiche o che usassero con me quelle modalità di espressione che definivo ‘parlare in troiese’: chi si &egrave permesso di farlo si &egrave trovato ‘sputtanato’ davanti a tutti in modo umiliante e, soprattutto, con me aveva chiuso definitivamente. Dopo il primo nessun altro ci ha più provato. ‘ il maschio siciliano &egrave molto pieno di sé, almeno per quanto attiene alla sua virilità. Ero io a dominare il gioco e ci prendevo gusto. Così ho frequentato le compagnie più disparate, ma sempre molto allegre. Ho partecipato a feste, ritrovi in disco, incontri. Sposati o no non importava, purch&egrave fossero discreti e intraprendenti. Il sesso per me era gioia non problema, più ce n’era, più mi piaceva. Ma come per tutte le cose belle e piacevoli, anche in questo caso la situazione si stava deteriorando e complicando in modo non previsto. La mia ‘forza orale’ aveva fatto perdere la testa a qualcuno a cui non si poteva dire di no, uno per di più un po’ sposato. Mi ero subdolamente divertita a esaltare le sue misure, del resto nella norma, e le sue capacità amatorie anche se dopo 10 minuti aveva già concluso. Alle mie performaces orali non riusciva a resistere più di tanto. Le mie adulazioni poi lo esaltatavano. Abituato a dare ordini mi voleva solo per sé, diventava ossessionante, invadente, quasi geloso. Essere una sua proprietà non mi andava per niente a genio. Era arrivato anche a propormi di assumere qualche ”eccitante’ che moltiplicava il godimento. Quella roba io non ho mai nemmeno voluto annusarla! Una sera mi aveva sorpreso in macchina, fuori dalla discoteca, mentre mi lasciavo baciare il seno da un coetaneo ‘ per un mese non ho più visto quel ragazzo e quando mi &egrave capitato di incontrarlo mi ha palesemente evitato senza neppure rivolgermi la parola pervaso da un vago terrore. E’ probabile che qualcuno gli abbia fatto capire che non ero roba per lui. Il sesso come gioia diventava un problema. Dovevo uscirne, per non restarne bruciata. Dovetti rifugiarmi da mamma. I suoi consigli erano preziosi e col tempo io non avevo avuto più segreti con lei. I miei sogni, le mie fantasticherie (anche quelle notturne!), i miei desideri, il mio corpo che chiedeva attenzione e completamento, le mie avventure, le frequentazioni, la mia obbedienza ai suoi comandamenti, la mia fame di piacere, il desiderio di essere posseduta e di possedere, la mia natura esibizionista, e infine la mia paura per una situazione che mi stava sfuggendo di mano. Lei ascoltava sempre tutto con pazienza. Mai una parola di disprezzo. Con lei non mi sentivo giudicata, solo capita, e mi consigliava. ‘Figlia mia’.. vattenne!’ fu la risposta perentoria e ricca di esperienza. ‘il nord &egrave diverso. Vai al nord. Qui hai un po esagerato. Là non ti conoscono e puoi cominciare da capo. A 22 anni il mondo &egrave tuo. A Palerno per te non c’&egrave futuro, hai messo le mani dove non si devono mettere e ti conviene sparire. Io ti aiuterò per quello che posso. Anche tuo padre’. so come convincerlo’ Fu così che iniziò la mia avventura verso il grande nord. Un’avventura che mai avrei immaginato, una scoperta di me stessa del tutto insospettata fino ad allora. Continuo? mercur@hotmail.it Luisella 2 ‘ Si cambia pelle Vattenne, ‘e me ne andai. Un taglio netto con il passato. Il grande nord, Milano, la ricerca di una casetta, piccola come un uovo ma mia, niente mare, un po di freddo, la nebbia, lo smog. ‘ uno schifo! I vicini sempre fuori casa, li incontravo e quasi non ti salutavano. Qualche sorriso, soprattutto dagli uomini, qualche sguardo sospettoso e guardingo, manco fossi un’appestata, anonimato assoluto. Una tristezza. In compenso però nessuno chiedeva chi ero, da dove venivo, che passato avevo. Un sano anonimato adatto a chi ha bisogno di ricominciare. Grande Milano. Per il lavoro non con c’erano stati problemi. Avevo risposto ad una inserzione di una ditta grafica. Il mio diploma di ragioniera, un po di esperienza nella ditta del padre, un fisico non indifferente, la mia giovialità e il mio sorriso avevano fatto il resto. Giovanni, il titolare, era stato esplicito: ‘non si faccia illusioni, qui si lavora, se uno &egrave bravo resta, guadagna e anche bene, se &egrave un lavativo va fuori dai coglioni, sindacati o no permettendo. Deve imparare a lavorare in modo autonomo ed efficiente, non ho tempo per farle da balia. Se qualcosa non lo sa chieda o se lo studi per conto suo, non voglio gente non aggiornata. Se ha bisogno di uomini se li cerchi fuori di qui. Niente chat col computer. Una storia con un dipendente e lei se ne va. Se ha difficoltà o problemi di qualunque genere, qualunque genere, qui non siamo degli orsi, una mano gliela diamo sempre, lei venga da me e una soluzione la si trova per a tutto. Ma ripeto: serietà, riservatezza, efficienza. Buon lavoro!’ Burbero, quasi scorbutico, un po autoritario, ma chiaro e con argomentazioni inequivocabili, privi di ambiguità e di giri di parole, Giovanni mi presentava il vero volto del nord. Lui e tutto l’insieme cominciava a piacermi. Dovevo comunque voltare pagina. Stop al sesso, stop alla spensieratezza, stop a un’allegria continua, ora c’era la vita concreta. e mi impegnai al massimo delle mie capacità. Dopo tre anni la mia vita era cambiata. Tanto lavoro, tanto metodo nel lavoro, tanta coscienza del metodo. In ditta serietà e lavoro mi facevano apprezzare. Per le amicizie c’era il sabato, la domenica riposo. Ho conosciuto persone, mi sono fatto qualche amica nelle mie stesse condizioni, nessuna relazione sentimentale, qualche divertimento, un taglio netto al passato. Uomini cercavo di evitarli, fino a che ho conosciuto Massimo che poi ho sposato a 28 anni. Ero una nuova, irriconoscibile. Due fatti mi avevano temprato: il lavoro e Massimo. Il lavoro mi aveva spremuto, quasi stordito, (il Nord!), ma era anche stato abbondante di gratificazioni. Ero diventata autoritaria, avevo imparato a comandare, la mia efficienza non lasciava zone d’ombra. Temuta da qualcuno per la considerazione che Giovanni mi riservata, per gli altri ero la sua alter-ego. Ma davanti a lui ero in soggezione, quasi insicura. Il suo aspetto deciso mi soggiogava e mi generava quasi uno stato di eccitazione che non riuscivo a comprendere. Avevo imparato a sostiuirlo in sua assenza e per tutti ero diventata un naturale punto di riferimento. Spesso dovevo andare dai clienti e trattare pratiche per suo conto. Lui esaminava, commentava, apprezzava i risultati. Mai però un accenno fuori dalle righe, un apprezzamento sulla mia persona, sulla mia vita privata. Nonostante fossi una bella ragazza, per certi versi provocante, sembrava che per lui non fossi neppure una donna. Tutti mi guardavano come i maschi sanno guardare una donna, ma nessuno osava fare avances. Troppo autoritaria, troppo fiera di sé’ ma i commenti sulle porte dei bagni, che puntualmente facevo cancellare, parlavano chiaro. Per avermi avrebbero pagato un palandone, ma ero considerata’ una che non la dava. Massimo invece rappresentò la parte dolce di Milano. Educato, tenero, elegante, di buona famiglia, mi aveva commosso con le sue tenerezze e attenzioni. Dio sa quanto ne avevo bisogno. Mi accarezzava dolcemente, mi stringeva tra le sue braccia coccolandomi a lungo, aveva due mani fantastiche. Con lui riuscivo ad abbandonarmi gustando la sua tenera compagnia. Mi aprivo progressivamente a lui come una verginella alla scoperta del piacere. Lentamente gli avevo concesso di scoprirmi, di guardarmi, di vedermi nuda, di gustarmi. Niente al confronto delle ebrezze palermitane, ma di quello avevo pur anche bisogno, e la mia natura di donna mi spingeva al matrimonio. E così fu. Ora che sono passati cinque anni, &egrave rimasta la tenerezza ma si sono diradate le sue manifestazioni tangibili. Il sesso &egrave scarso, circa due volte al mese. Le forme ancora di più, la durata’ non parliamone. Dulcis in fundo &egrave spesso lontano da casa per lavoro. Ma il matrimonio con Massimo aveva provocato in Giovanni, il titolare, un cambiamento. Succedeva spesso che dovessi stare a lungo nel suo ufficio. Una volta sposata, Giovanni era diventato stranamente ironico. Non mi chiamava più signorina o Luisella ma ‘sposina’, ‘burrosa creatura’, dolce signora’. Gli apprezzamenti sul vestito o sulla mia acconciatura che ogni tanto mi buttava lì mi richiamavano alla memoria le giornate palermitane, e diventavano sempre più esplicite, anche troppo. ‘Tuo marito si delizierà con l’abbondanza delle tue tette”, ‘hai una bocca sensuale e provocante anche per un uomo di ghiaccio”, ecc.. mai però un gesto scomposto, mai un tentativo di sfiorarmi. Una sera però mi chiese di fermarmi oltre l’orario. Mi andava anche bene, Massimo era in Francia e una probabile cena col capo al ristorante mi inorgogliva. Discutemmo il bilancio trimestrale e affrontammo la verifica di gestione. Lavorammo sodo e in modo costruttivo. Verso le 22 chiudemmo. Giovanni, indicandomi l’orologio a muro dietro la scrivania mi chiese se potevo regolare l’ora prima di uscire. In ginocchio sul mobiletto con le gambe un po allargate per stare meglio in equilibrio e le braccia verso l’alto cominciai a spostare le sfere, ma ‘. successe quello che non mi sarei mai aspettato e che in un attimo avrebbe cambiato la mia esistenza. Improvvisamente sentii una mano forte e decisa che mi entrava sotto la gonna e raggiungeva la mia intimità. Il terrore mi assalì. Avrei voluto ribellarmi ma, cosa mai mi succedeva?, non riuscivo più a muovermi. Rimanevo lì con le braccia alzare, come pietrificata, il cuore doveva essersi fermato, nel cervello non c’erano più pensieri. Dovevo voltarmi e ribellarmi, ma continuavo a rimanere lì ferma, immobile, Lui invece, sicuro, continuava ad esplorare le mie grazie e prima ancora che il coraggio ridesse fiato alle mie corde vocali e forza ai miei muscoli, Giovanni si rivolse a me con quella sua voce decisa e chiara ‘tu sei una troia, l’ho capito fin dal primo giorno, &egrave inutile che ti nascondi, sei puttana fin nel midollo delle ossa. Adesso tu non ti muovi e fai quello che ti dico. Le troie non devono pensare. Le troie obbediscono’. Non riuscivo a capire cosa mi stava accedendo. Rimanevo sempre ferma, in quella posizione innaturale. Dentro di me però un mondo stava crollando. Non riuscivo più a far girare il cervello perché qualcosa ne bloccava gli ingranaggi. Con le palme delle mani appiattite sul muro sentivo quella mano che violava la mia parte più segreta, quella voce imperiosa che stava svelando a me stessa una cosa che nemmeno io volevo ammettere ma che era terribilmente vera. L’autoritaria segretaria del capo, la donna tutta d’un pezzo, la ‘figa irraggiungibile’, desiderava quel tipo di rapporto: voleva essere dominata. Ero sconvolta. Nel sesso ero sempre stata io a condurre il gioco. Perché adesso ero incapace di gestirmi? quella mano insistente mi procurava uno strano piacere che non era provocato solo dalla stimolazione del sesso ma proveniva ben più dal profondo. Istintivamente incurvai la schiena quasi a permettere una migliore penetrazione. Giovanni continuava a parlare in modo fermo e deciso, ma io non capivo più nulla. Mi sentivo in suo possesso, soggiogata dalla sua presenza, quasi dominata da lui. E la cosa mi stava prendendo, togliendomi ogni velleità di risposta. Inspiegabilmente rimanevo ferma. ‘tu sei una troia, e le troie vanno solo usate’. Dentro di me qualcosa diceva che sì era vero, io volevo essere usata, volevo che un uomo mi facesse sua, mi dominasse, mi imponesse la sua volontà, e non con la delicatezza di Massimo ma con la rudezza e la forza dei siciliani. Giovanni avvertendo la mia eccitazione ebbe l’immediata conferma di aver visto giusto: Luisella era una troia che aveva bisogno di essere usata. Facendo un passo indietro si sedette lentamente sulla poltrona dirigenziale guardandomi ancora ferma in quella posizione. ‘Adesso tu scendi da lì ti metti di fronte a me e ti spogli totalmente. devi restare nuda’. Non ero più capace di ribattere e non proferii una sola parola. Con il cervello ancora sconvolto e il cuore in subbuglio scesi dal mobiletto e cominciai lentamente a spogliarmi lentamente, senza impaccio, come lui mi comandava, togliendomi ogni indumento, con gli occhi bassi senza osare a guardarlo. Mi sentivo indifesa in quella posizione, ma non umiliata, esposta ma non violata. Mi sentivo costretta ad obbedire ma non volevo tirarmi indietro. Nella nebbia cerebrale che mi offuscava mi venne in mente come una folgorazione il primo comandamento di mamma: ‘agli uomini non si può dire di no’. Quello che era davanti a me non era più il mio capo, era un uomo, un uomo vero come mio padre, e io non potevo non fare quello che mi chiedeva. ” e poii finisce per piacerti” la voce di mamma mi risuonava sempre dentro e mi ci trovavo perfettamente in quello che diceva. Giovanni intanto si era aperto i pantaloni, se li era tolti e, sempre seduto sulla poltrona, mentre si accarezza il suo attrezzo con l’indice mi faceva segno di avvicimarmi e di inginocchiarmi. L’ordine era indiscutibile: ‘ingoialo!’ Continuo? mercur@hotmail.it Luisella 3 ‘ Nel mio perizoma e nel mio cervello ‘. ‘ingoialo!’. La sua voce era suadente ma il tono pacato e imperativo. Non mi diceva ‘bacialo’ e neppure ‘succhialo’ come mi avevano già chiesto in molti a Palermo, molti che io avevo piacevolmente accontentato. No, il suo era un ordine che non ammetteva obiezioni. Mi avvicinai alle sue gambe, mi accoccolai in mezzo ad esse, appoggia le palme delle mani sulle sue cosce appoggiandomi anche coi gomiti, guardai Giovanni fulmineamente negli occhi come a dire di aver ben capito cosa voleva, abbassai la testa su quel membro eretto e lo feci sparire nella mia bocca. Con un movimento lento e continuo lo feci entrare sempre più a fondo fino a sentirmelo in gola. Trattenni il respiro e rimasi ferma quasi ad aspettare un suo ordine, Il mio stomaco cominciava a reagire per l’irritante intrusione, ma resistetti e quasi cercai di accoglierlo ancora più in dentro. Le dimensioni erano di tutto rispetto. Quando tentai di risollevarmi Giovanni mi prese la testa con le mani e me la guidò con decisione imprimendomi il ritmo e la profondità che lui desiderava. Mi sentivo quasi violata, costretta, dominata, usata, presa da un estraneo per puro piacere. Tuttavia non provavo la minima volontà di reagire a quel trattamento. Subivo passivamente, anzi eseguivo secondo l’ordine. Ingoiavo’ E mentre Giovanni mi premeva la testa impossessandomi della mia bocca in modo sempre più veloce e deciso, mi accorsi che quella situazione non mi disgustava e non mi creava problema. Anzi, mi piaceva. Peggio, la volevo. E il mio impegno in quel servizio aumentò a dismisura, da esperta professionista, senza risparmiarmi. Giovanni doveva essere meravigliato della mia arrendevolezza e obbedienza e sicuro di aver colpito nel segno, invece di spogliarsi di qualla sua aria dominante e di abbandonarsi al piacere che gli stavo procurando senza risparmio, mi apostrofava con espressioni molto esplicite che mai gli avevo sentito usare nei rapporti lavorativi neppure parlando di altri. In quel momento il suo ‘parlare in troiese’, quel parlare che io avevo sempre stigmatizzato nei giovani leoni della mia terra, quasi mi eccitava e mi piaceva. Più mi insultava e più la mia bocca affondava con impegno e passione sulla sua virilità. Anche questo era una novità per me, e anche questo lui sembrava averlo capito. Quel mostro d’uomo mi aveva messo a nudo l’anima e aveva saputo leggere in quegli angoli nei quali io non avevo mai messo occhio, ma dove forse si rintanava una parte di me che avevo sempre tenuto nascosta anche a me stessa ignorandone o negandone quasi l’esistenza. Forse non concludere troppo in fretta all’improvviso cambiò posizione. Sollevandomi quasi di peso mi fece rialzare e, appoggiandomi la schiena contro la scrivania, dopo una breve pausa, stando in piedi davanti a me, comincio a scoparmi la bocca senza che io potessi muovere la testa per sottarrmi ai suoi affondi che via via si facevano sempre più decisi ed energici. Mi ripeteva come un ritornello ‘sei una troia, sei una troia,”. Mi stava accadendo qualcosa di nuovo: forse per la prima volta, mi sentivo dominata da un maschio potente che voleva usarmi a suo piacimento senza neppure ascoltare il mio parere o avere il mio consenso e mi scoprivo in completa sintonia con lui. Volevo essere usata! Volevo che lui mi dicesse cosa dovevo fare e come farlo. Volevo eseguire quello che lui mi comandava. Non avevo nessuna richiesta da fare, non volevo nulla, solo sapere quello che lui desiderava e lo avrei fatto, subito e comunque. Mi sentivo finalmente una donna e mi riecheggiavano nella mente le parole della mamma ”. lui non chiede, prende’. e poi finisce che piace anche te’. Cominciavo a capire i segreti di quella donna che velatamente ma in modo del tutto veritiero mi aveva rivelato la sua intima natura. Anche quando, con un gesto deciso smise di tormentare la sua bocca e mi riversò sulla scrivania per possedermi senza permesso in quella posizione come fossi una delle sue pratiche da sfogliare, non mi ribellai e non pensai neppure che era senza di preservativo. Allargai maggiormente le gambe e mi lasciai penetrare con energia e a lungo senza nemmeno osare lamentarmi finch&egrave, dopo interminabili e più vigorosi assalti, sentii tutta la sua potenza esplodere dentro di me e un piacere diffuso impossessarsi del mio corpo. Lo sentii adagiarsi sfinito e ansimante sulla mia schiena finch&egrave, rialzatosi, mi disse con tono autoritario ma privo di disprezzo, ‘sei proprio una troia e così ti tratterò nei prossimi giorni. Adesso non pulirti, rivestiti e vai a casa. Domani ti dirò cosa voglio.’ Obbedii. Con le gambe che colavano del mio e suo piacere mi rivestii velocemente e mi avviai verso l’uscita. Lui, tenendosi il suo membro in mano e senza ricomporsi mi guardava mentre mi allontanavo senza osare guardarlo. L’ora era tarda. Anche il pensiero di una cenetta con il titolare era svanito. Mi sentivo un po indolenzita, ma uno strano senso di gratitudine verso Giovanni si faceva strada dentro il mio cervello in un modo che non avevo mai lontanamente immaginato e che mi destava sopresa. Giovanni era entrato nel mio perizoma, ma ora stava entrando nel mio cervello. E lo faceva con forza, da maschio, facendomi sentire donna, totalmente femmina. Non mi stavo innamorando, stavo solo per diventare sua. A casa, una doccia, un the, e subito a letto, Doveva far acquietare nel sonno una valanga di pensieri che a mente più lucida stavano inesorabilmente affiorando dentro di me. Non il pensiero di Massimo che avevo tradito. Ma come era potuto succedere? non avevo minimamente pensato a lui, mio marito! non di aver troppo imprudentemente consentito ad un estraneo di venire dentro di me senza precauzioni. Ero forse impazzita? ingravidata da un estraneo! non di essermi fatta scopare dal titolare. Mi ero dimenticata anche di quel ” se hai bisogno di un uomo lo cerchi fuori di qui’! Mi sconvolgeva il fatto di aver goduto nel sentirmi comandata e usata, di aver obbedito a un uomo che mi voleva e basta, di essere stata tratta da troia, anche nel linguaggio. Godevo insomma di essere stata comandata. Lì nel mio letto, mossa dai mei pensieri, la mia mano cercava da sola di prolungare quel piacere che ora, invece di attenuarsi e spegnersi, quasi si ingigantiva di più estendendosi dal mio utero fino al mio cervello e mi stava travolgendo in un vortice di sensazioni piacevoli. Una masturbazione furiosa e accanita mise finalmente fine ai miei pensieri lasciando che il mio corpo si abbandonasse in un sonno ristoratore spegnendo i riflettori su una giornata straordinariamente intensa. La scoperta era stata troppo grande per non stancare anche il corpo: mi ero scoperta una donna cui piaceva essere comandata e usata. E tutto in me diceva che questa era la mia vera natura. La fanciulla allegra e spensierata di Palermo era ora una matura donna del nord. devo continuare? mercur@hotmail.it ‘.. oro era una matura donna del nord. Il mattino seguente svegliandomi mi resi immediatamente conto che le sensazioni del giorno prima, le loro risonanze nel più profondo del mio amino e del mio corpo, dovevano farmi ammettere di essere una donna diversa. Non potevo più essere come prima. Giovanni aveva ragione: tu sei una troia e una troia deve essere usata. Aveva scoperto la mia intima realtà, me lo aveva detto senza mezzi termini, mi aveva trattato di conseguenze. In qualche modo mi sentivo ‘sua’. Questa nuova verità mi sconvolgeva, me la sentivo addosso come un vestito perfettamente calzante e ne quale mi sentivo bene. Il pensiero che ero pur sempre una donna sposata, che avevo un marito, non mi aveva neppure sfiorato, tanto più che lui in quei giorni era lontano. Avrei dovuto sentirmi in colpa per averlo tradito, per essermi lasciata usare a piacimento da un estraneo. Ma non era così. Nel mio cervello dominava lui, Giovanni, come una luce accecante che mi costringeva a leggere dentro a me stessa parole di cui non avevo mai ammesso l’esistenza. Come sarebbe stato il futuro, cosa sarebbe potuto succedere ancora? cosa mi avrebbe chiesto Giovanni? cosa avrebbe preteso da me? fino a dove ero disposta a spingermi?…. mi sentivo impaurita, esitante, sperduta, come appena incamminata su un sentiero sconosciuto. I pensieri si accavallavano ma non riuscivano a focalizzarsi su una immagine concreta. In quella luce le immagini non riuscivano ancora ad assumere forma e colore. Non riuscivo a delineare gli sviluppi futuri di questo rapporto e la cosa mi provocava sentimenti contradditori, di timore e incertezza, certamente, ma anche di profonda eccitazione e di attesa. Desideravo sentirmi ‘a sua diposizione’ ma temevo l’incognito il cui mistero però mi affascinava. Il mattino in ufficio Giovanni si comportò come se nulla fosse accaduto. Anche se dentro di me era tutto cambiato decisi di rispettare la parte. Ero tornata ad essere la Luisella di sempre: attenta, efficiente, funzionale, precisa, seria, irraggiungibile, integerrima, fedele. Prima di mezzogiorno, aprendo la porta, lui aveva messo la testa nel mio ufficio. Senza nemmeno entrare aveva gridato ‘Luisella ho rivisto il bilancino di ieri sera. Ha fatto un buon lavoro, grazie. Si ricordi di compilare il rapporto dello straordinario per l’ufficio del personale.’ Neanche un buongiorno, neanche un saluto, chiusa la porta e via. Stronzo! ma per chi mi aveva preso, una puttana da pagare dopo la prestazione? ‘ tuttavia non potei fare a meno di dire con un sorriso ‘grazie dottore, sono contenta che lo abbia apprezzato. Per lo straordinario provvederò.’, ma quell’inconfondibile calore che mi stava prendendo improvvisamente sotto il perizoma e le pulsazioni che avevano subito cominciato a salire vorticosamente mi dicevano che la cosa in fondo non mi dispiaceva, anzi. Da lui nessun commento, solo il bilancio, solo il lavoro. Per l’ ‘extra neanche una parola, solo qualche euro’. e per di più tassato. Mi aspettavo qualcosa di diverso, ma tutto quadrava: lui mi aveva scoperta, ero stata un suo diritto, una cosa da usare, e lui mi aveva presa e gestita. E continuava a farlo. Perché ringraziarmi allora? io casomai dovevo essergli riconoscente. Era vero: stavo diventando sua! La potenza dell’uomo! Le colleghe in ufficio che avevano ascoltato cominciarono ad ammiccare maliziosamente. ‘Anche lo straordinario le paga! io con lui ci starei gratis, mi fa impazzire, da lui mi lascerei fare qualunque cosa’.’. La mia immagine di segretaria devota e incorruttibile ebbe un improvviso guizzo d’orgoglio: ‘Non fate le ochine e cercate di essere più serie. Giovanni &egrave il titolare. Un po più di rispetto per lui. E’ un uomo serio e sposato e non ha grilli per la testa. Pensate quello che volete, ma piantatela di fare le sceme’. Già, loro sceme, e io? pazza? no, forse’ troia, come diceva lui. Per evitare altri commenti mi ero avviata decisa verso il bagno per cambiarmi e uscire per il pranzo. Aprendo l’armadietto però notai una scatola di medie dimensioni sul ripiano interno. Cavolo, l’avevo solo io la chiave, chi aveva potuto?… senza darmi una risposta e incuriosita presi l’involucro e lo sfogliai. Una grafia senza firma ma a me ben nota aveva scritto sul coperchio ‘indossalo questa sera!’. Lui! già, lui aveva la copia di tutte le chiavi dell’azienda e non aveva nemmeno bisogno di firmarsi ‘ un altro segno di possesso? Era entrato da padrone nel mio cervello e nel mio perizoma, che volesse prendersi anche il mio cuore? no, no, calma per favore, il sentimento &egrave un’altra cosa. Ma il mio cuore batteva e la testa era come se fluttuasse nel vuoto un po stordita. Dentro due minuscoli indumenti di pizzo rosso certo insufficienti per contenere le mie forme generose ma abbastanza per evidenziarle ed esaltate in modo più che adeguato. Scemo, adesso cosa vuole da me, la danza del ventre?… Ma il suo ordine mi arrivava secco e indiscutibile, senza parole inutili o ambigue, e io ‘dovevo’ obbedire. (”ehh figlia mia, agli uomini non si può dire di no”) Mi sentivo inorgoglita, quasi afferrata dalle sue mani, ricoperta dal suo sguardo, sentivo già la sua voce suadente e autoritaria. Mi sentivo spinta, guidata, verso non so quali nuove esperienze. L’eccitazione cresceva e uno sconvolgente bisogno di piacere si stava impossessando del mio corpo e della mia mente. Dovetti chiudermi in bagno per evitare che qualcuno entrando potesse notare il mio turbamento. Con una mano sul petto cercai di calmare i sentimenti in subbuglio. Giovanni voleva vedermi nuda, bella, conturbante, e mi indicava anche il come. Chiusi in fretta tutto e mi avviai all’uscita, ma non andai a pranzo. Corsi subito a casa per farmi una doccia, profumarmi e indossare quell’intimo. Che mi succedeva, mi sembrava di essere tornata una ragazzina. Pazza! L’intimo si addiceva perfettamente alla mia figura e per quanto non amassi particolarmente il rosso devo ammettere che esaltava splendidamente la mia bellezza rendendola più armoniosa e provocante. Mi ammiravo nello specchio sognando come mi avrebbe guardato lui quella sera. Volevo eccitarlo. ‘. caspita, stavo diventando una puttana. Nello specchio vedevo riflesso il mio letto matrimoniale. Mi stavo preparando a fare per un uomo ciò mai avevo fatto neppure per mio marito. L’eccitazione però era tale che quel pensiero mi scivolò via sulla pelle come l’acqua della doccia e sparì subito senza lasciare traccia mentre mi passavo voluttuosamente una mano sui seni immaginando che fosse la sua. Cos’era, la novità, la situazione trasgressiva, l’eccitazione di sentirsi desiderata, l’aver fatto colpo agli occhi di un uomo?… non so. Però mi sentivo diversa, donna soprattutto, come mai mi era capitato prima. Il pomeriggio passò velocemente presa com’ero dal lavoro, anche se il reggiseno nuovo e leggermente stretto mi rammentava continuamente di essere in attesa di un segnale di Giovanni. Quando tutti se ne furono andati, alle 19, l’interfono gracchiò un ‘ Luisella! ho bisogno , venga’ ‘ non attendevo altro. In piedi in mezzo all’ufficio, un po intimidita, sentivo i suoi occhi su di me che mi squadravano, mi analizzavano, mi giudicavano. Fece due giri attorno a me con una calma esasperante, osservandomi. Mi sentivo in imbarazzo e bloccata, un oggetto in mostra. ‘Cosa aspetti a toglierti questi stracci da segretaria? Non sei più la Luisella e io non sono più ‘il titolare’. Sei una troia e le troie non stanno vestite davanti al loro maschio. ok?, avanti spogliati’. E bravo, ha parlato il capo! eccolo lì quello che ho aspettato tutto il pomeriggio, eccolo lì che comanda. Ci trovi gusto a fare il capo, vero? bello avere qui una stupida come me? ma non pensare questa sera di potermi avere tanto facilmente perché mi hai fatto un regalino. Io non sono in vendita. Io no. Io’ beh, io stavo cominciando a togliermi e vestiti. Senza alzare gli occhi, molto lentamente, indugiando e quasi con un po di vergogna. Un po di arte femminile non mi mancava certo e stavo facendo di necessità mestiere. Volevo eccitarlo, esasperarlo con lo splendore del mio corpo maturo, ma il mio cervello era vuoto, agivo solo d’istinto, la mia razionalità faticosamente conquistata era fuori controllo. Mi stavo esibendo davanti a lui, mi stavo spogliando su suo comando. Già, come una troia. Lui, seduto sulla sua poltrona a due metri da me, con il mento appoggiato sulle mani incrociate, i gomiti sui braccioli, mi guardava fisso e mi incitava a continuare. La sua voce calda mi colpiva piacevolmente e io mi abbandonavo a quello spogliarello che, se eccitava lui, stava inebriando anche me. Quando stavo per sganciare il reggiseno rosso l’ordine arrivò imperativo ‘No, quello no. Adesso umiliati!’ cosa? ma cosa voleva quel mostro d’uomo? che andassi verso di lui a quattro zampe? che lo implorassi, che’. ‘Rimani ferma, mettiti una mano nelle mutandine e accarezzati’. Ma’ ah no, eh. questo non me lo puoi chiedere. Vuoi che mi masturbi qui in piedi davanti a te che mi guardi. No, non posso proprio farlo, ma chi credi di essere, stronzo! se vuoi te lo succhio come ieri sera, &egrave piaciuto anche a me; mi lascio scopare nel modo che preferisci, sei un uomo affascinante e lo faccio volentieri; ma masturbarmi così, oscenamente, no, non me lo puoi chiedere. Sono una donna non una puttana. Così mi offendi. Un conto &egrave quando sono da sola nel mio letto e non ho altro modo di soddisfarmi, ma qui, in piedi, davanti a un uomo. No! Adesso, stronzetto, raccolgo i miei ‘stracci da segretaria’ e ti pianto qui a contemplarti il tuo pisellone da solo, masturbati tu se vuoi e guardati per benino mentre te lo meni, mi tolgo anche il tuo bel reggiseno di pizzo rosso già impregnato del mio odore e te lo sbatto sul muso così ti ecciti, come un porco ma da solo. Imbecille! ‘.. ‘Allora ti decidi o devo andarmene?’ mi sentivo rabbiosa, umiliata ma al tempo stesso come ipnotizzata dalla sua voce autoritaria ma dolce. La mia mano, le cui terminazioni nervose ormai non rispondevano più al cervello, cominciò a posarsi sulle mutandine rosse e ad accarezzarle lentamente ma in modo inequivocabilmente lascivo. I miei tessuti interni si stavano inumidendo e un calore ben conosciuto mi stava invadendo. Stavo godendo! noo, o ch&egrave, cavolo. La stronza ero io, che mi immedesimavo nella situazione, che mi lasciavo coinvolgere, che non mi tiravo indietro, che stavo consapevolmente al gioco. Lui lo aveva capito e quel gioco lo guidava inesorabilmente e senza esitazioni. Sapeva che io ne avevo bisogno, che mi piaceva. Ero nelle sue mani e sembrava che ci stessi bene. Il mostro stava facendomi superare un altro limite che non avrei mai ammesso di saper oltrepassare. Mi lasciavo guidare senza riuscire ad oppormi. Questa era la sua forza. Ne ero soggiogata. E’ vero: stavo facendo la puttana. Dentro ero come il mare: agitato riottoso mosso turbolento verso la riva, ma maestoso calmo e capace di accogliere le forme più strane e mostruose nelle sue profondità. Intanto, nel disordinato turbinio di questi pensieri, mentre la sinistra indugiava su un seno accarezzando la sua forma corposa, la mano destra forzava l’elastico delle mutandine insinuandosi sotto il tessuto a contatto diretto con la tenera peluria e mie morbide labbra che si schiudevano accoglienti a un dito indiscreto e irriverente. Il mare nel suo insieme si stava muovendo maestosamente con movenze e manifestazioni che dovevano senza dubbio apparire grandiose all’osservatore. L’esibizione continuò, a lungo e in modo eccitante per entrambi. Mi meravigliavo di essere così brava. Ero guidata dall’istinto. Con qualche occhiata furtiva vedevo la sua virilità reagire vistosamente. Si era tolto i calzoni e, sempre seduto, senza allontanare lo sguardo dal mio corpo, stava stimolandosi per aumentare il suo piacere. Il suo volto si era fatto teso per lo tress visivo che alimentava non so quali, ma certo intense, sensazioni erotiche. Era evidente che la scena lo stava prendendo intimamente. Era concentrato all’inverosimile. All’irritazione per l’umiliazione richiestami mi stava subentrando un senso di potenza nel constatare che io, il mio corpo, i miei movimenti, tutto il mio essere, stava provocando in lui reazioni forti e coinvolgenti. Lo sentivo in qualche modo in mio potere, ma in realtà ero io ad essere posseduta da lui, soggiogata, alla sua merc&egrave, a sua totale disposizione. Non desideravo altro che lui mi ordinasse qualcosa, qualunque cosa, e io lo avrei eseguita, anche se quello che stavo facendo in qualche modo mi umiliava. Sì, ero sua. Persi in queste sensazioni, quasi inebriati dalla tensione erotica, ci distrasse un improvviso rumore di porte sbattute e di voci sguaiate che provenivano dall’ufficio in fondo. ‘Cazzo, le pulizie! sono arrivati prima del previsto.’ Con me ancora in piedi e praticamente nuda, lui senza calzoni e col suo arnese in mano, la scena che si prospettava a un estraneo che avesse aperto la porta della direzione in quel momento non era delle più comuni. Mi stava prendendo il panico, Con un dito fermo dentro la mia intimità e gli occhi sbarrati nello smarrimento, vidi Giovanni scattare in piedi e prendermi per mano. La capacità di decisione e la repentinità delle scelte nei momenti di difficoltà era una caratteristica che lo distingueva da tutti e ne faceva un capo. Anche in quel frangente non si smentì e io lo seguii senza fiatare contenta che mi facesse da guida e decidesse per me. grillo mercur@hotmail.it (Continuo? ‘. nessuna che ha vissuto un’esperienza analoga?) Posseduta. ‘. scattò in piedi prendendomi per mano. Nell’ufficio direzionale, oltre a un bagno privato, esisteva anche un piccolo ripostiglio che veniva utilizzato da Giovanni come guardaroba e come archivio di pratiche riservate da sottrarre alla comune consultazione. La serratura a combinazione lo rendeva un deposito sicuro, anche se non sempre era tenuto chiuso. Raccolti con attenzione i nostri indumenti, Giovanni mi trascinò velocemente nel ripostiglio. Tolta la chiave dalla toppa esterna chiuse la porticina e la bloccò dall’interno. Nella fretta avevamo dimenticato di accendere la luce con l’interruttore esterno e così rimanemmo completamente al buio, in silenzio, immobili, col cuore in gola e le orecchie tese. Non passò nemmeno minuto che un uomo fischiettante entrò in direzione. ‘Eh sì. I capi si possono permettere anche di andarsene a casa e lasciare tutto in disordine, Michela, guarda che casino ha lasciato il boss. Ma lui &egrave il ‘boss”dai vieni qui a ordinare un po bellona mia’. Il dialogo continuò fluido, allegro, ironico e anche con quel tanto di irriverenza benevola con la quale spesso i dipendenti esprimono la loro invidia nei confronti dei loro datori di lavoro. ” certo che &egrave bello stare seduti su questa poltrona, &egrave comoda. Vieni qui anche tu sulle mie ginocchia a goderti il panorama. ‘ signorina, su si muova’Chissà quante volte il boss lo avrà fatto con le sue impiegate, e quelle’ si, dottore… te le immagini le troiette?’. Michela doveva aver accolto l’invito perché le osservazioni successive non lasciavano dubbi. ‘oh, ma tu non perdi mai l’occasione vero?’ ‘ ‘e come potrei con questo bendiddio che ti nascondi sotto’ ‘. ‘vedo però che anche tu eh” ‘. ‘ dai che ti faccio provare a fare la segretaria del capo’ ‘ ‘ma io sono solo la donna delle pulizie’ ‘ ‘e chi se ne frega, immaginalo, io adesso ho una voglia che pur di andare in buca andrei a letto con biliardo, dai che ti faccio sognare’ ‘. e avanti di questo tono. Dal nostro nascondiglio potevamo ascoltare distintamente tutto. Mugolii, sospiri e mezze frasi facevano da cornice a un dipinto che se anche non potevamo ammirare non lasciava comunque zone d’ombra all’immaginazione. Sul tavolo direzionale si stava svolgendo il rito del desiderio e dell’immaginazione. Si, perché il sesso non &egrave quello che fai, ma quello che pensi di fare mentre lo fai. Noi per contro lì bloccati e muti. La situazione di pericolo, la fuga risolutiva, il timore di essere scoperti, il pensiero di aver lasciato nella fretta qualche ‘traccia’ in vista, aveva interrotto la tensione erotica nella quale eravamo sprofondati prima. Tuttavia l’inaspettata performance di una coppia in vena di imitazioni boccaccesche e la comicità della situazione stavano in qualche modo riconsegnandoci la nostra eccitazione. Stretti in uno spazio angusto, nel buio più completo, i nostri corpi erano quasi appiccicati l’uno all’altro come a proteggersi a vicenda. Sentivo il calore di Giovanni sulla mia schiena e la superba esuberanza della sua virilità, non ancora del tutto rientrata, appoggiata sui miei glutei. Le sue braccia mi stringevano da dietro come per sottrarmi da pericolo incombente, la mano premuta sulla mia bocca mi segnalava che non dovevo quasi fiatare, la sua persona, più alta della mia, quasi mi raccoglieva in una nicchia nella quale non disdegnavo nascondermi. Tutto era stato molto naturale e spontaneo e io mi ritrovavo così a contatto con il suo corpo, abbracciata, avvolta, protetta. La situazione si era fatta meno drammatica. Cominciai a dominare la paura, a ridimensionare il pericolo di essere sorpresi, a realizzare che quella situazione, del tutto inaspettata, non era per nulla spiacevole. Volevo quasi benedire quell’arrivo anticipato degli intrusi, e decisi di volgerlo a mio favore. Anche Giovanni lo aveva capito e le sue mani, non più tese, mi stavano accarezzando piacevolmente i seni, approfittando della mia impossibilità di reagire. La coppia aveva ben altre preoccupazioni e questo mi consentiva di abbandonarmi e quelle sensazioni e di godere appieno di Giovanni. Finalmente! Il buio totale e complice rendeva ancor più facile ogni decisione. Per la prima volta sentii Giovanni godere del mio corpo in modo dolce, delicato, appagante, assaporare la morbidità della mia pelle e delle mie sinuosità. Era fantastico. Ritmate dai sospiri che provenivano dall’esterno le sue mani si muovevano ora su tutta la superficie del mio corpo, vigorose ma delicate, provocandomi sensazioni profondamente eccitanti. Quanto le avevo desiderate. Non erano come le carezze di Massimo, mio marito. Giovanni, anche senza parlare, sapeva trasmettere anche solo con un gesto delicato e tenero una sensazione di forza, di decisione e di autorevolezza straordinaria. Era un uomo. Il suo era un magnetismo che prendeva, soggiogava tanto che, per usare l’espressione della mia collega, in quel momento ‘mi sarei lasciata fare di tutto’. Lo volevo mio. Mi girai verso di lui per rispondere alle sue carezze. Come una cieca le posai le mani sul volto per scoprirne le fattezze, mi soffermai sugli occhi, sulla bocca, sul collo. Volevo percepire col tatto i segreti di quell’uomo, dato che con l’olfatto già ne sentivo l’eccitante odore. Le sue spalle erano ampie e forti, il suo petto solido e muscoloso esprimeva forza. I nostri sessi si toccavano e manifestavano visibilmente il reciproco desiderio di fondersi. Fu in quel momento che Giovanni mi afferrò la testa con entrambe le mani e, piegandola leggermente indietro, cercò la mia bocca per chiuderla con un bacio tenero e pieno di passione. D’istinto allargai le mie labbra desiderosa di accogliere la sua lingua dentro di me, di farmi esplorare e possedere. Il momento era magico. I miei pensieri non esistevano più. Non sapevo più dove mi trovavo. Non sentivo più nemmeno i gemiti dei nostri focosi vicini impegnati forse ancora in una sveltina fuori programma. Non so nemmeno quanto quel bacio durò. Buttai le braccia al collo del mio uomo, mi aggrappai a lui spingendo il mio seno contro il suo, il mio sesso conto il suo, e mi abbandonai al suo abbraccio avvolgente. In quella posizione obbligata, nella totale oscurità, Giovanni avvicinò le labbra al mio orecchio e mi sussurrò con un filo di voce un ‘Grazie, cucciola!” lì, in quel momento, tra le sue braccia avrei voluto morire. Avevo fatto contento il mio uomo e lui me lo stava dicendo. Si, adesso mi sentivo veramente e completamente sua. Avrei voluto rimanere lì in eterno, ma lui mi afferrò per le spalle e mi rimise nella posizione di prima, di spalle appunto. Mi sarei aspettata che continuasse fino alla penetrazione. Sarebbe stato meraviglioso. Ma non fu così. Io lo desideravo intensamente, volevo sentire il suo sesso impossessarsi di me. Non era il suo programma. Un’altra volta ancora mi stava sorprendendo con la sua iniziativa. ‘Quando voglio io e quando dico io, chiaro?’ Il mostro mi stava leggendo nel pensiero, aveva percepito il mio desiderio e aveva ripristinato la legge: primo, imparare chi comanda. Cosa voleva adesso? Quale altra diavoleria stava architettando? Che sorpresa mi riservava? Era così bello sentire la sua tenerezza che mi inebriava’. Mentre una sua mano mi stringeva un seno tenendomi col braccio stretta a lui, l’altra, solleticandomi la schiena, stava scendendo verso il basso soffermandosi a palpeggiare i miei glutei e indugiando a lungo in quell’azione. Il suo silenzio mi impediva di capire cosa volesse. Ma quando cominciò ad ispezionare l’interno delle cosce dopo essersi bagnato un dito tutto mi apparve chiaro. Anche ‘quello’? noo. Certo non ero più vergine lì, a Palermo molti ne avevano approfittato, ma ormai era qualche anno che non lo facevo e non lo avevo mai concesso nemmeno a mio marito, che del resto non me lo aveva mai chiesto. Mi sentivo ribellare, non pensavo potesse arrivare a tanto cos’ in fretta, ma non potevo neppure oppormi: avrei dovuto dirgli qualcosa, liberarmi dalla sua stretta, fargli capire che non volevo, che non ero ancora pronta, ma ci avrebbero sentito e’. cavoli, stava approfittando della mia impotenza e mi dominava usandomi a piacimento e senza permesso. Ero nelle mani del mostro. ‘Sei la mia troia e ti prendo come voglio!’ Ecco, questo non era un comando, era una verità. La sua certo, ma anche la mia. Stava affermando il suo potere su di me e lo faceva non più chiedendomi di dar sfogo davanti a lui al mio esibizionismo innato, come prima nell’ufficio, ma sottomettendomi in modo autoritario e umiliante, privandomi di un normale rapporto per privilegiare quello anale. Nello sconcerto che mi stava prendendo mi confortava però una cosa. Aveva detto ‘sei la MIA troia’. Quel ‘mia’ mi scendeva in fondo al cuore in un modo che Giovanni forse nemmeno sospettava e mi riempiva di orgoglio e di soddisfazione moltiplicando in me il desiderio di assecondarlo e di aprirmi a lui. Intanto ‘suo’ cominciava ad essere il mio buchino segreto, che veniva a poco a poco violato da un primo dito e penetrato a fondo. Una lunga inspirazione, un sospiro e l’irrigidimento della mia schiena tradussero in alfabeto muto l’accettazione della mia sottomissione incondizionata a quella forma di penetrazione, non voluta ma straordinariamente espressiva. Se lui veramente desiderava questo, allora lo avrei soddisfatto anche in questo modo. Mi incurvai un poco per facilitare il suo gesto e mentre le sue dita mi stringevano un capezzolo fino a farmi quasi male, io gli afferrai il braccio che mi stringeva a lui e spingendolo ulteriormente contro il mio seno lo baciai a lungo come a dirgli ‘. Mi sono arresa, caro, prendimi come meglio ti piace, non ti pongo condizioni, voglio solo che tu goda, voglio solo essere tua. Con la mia bocca, col mio corpo, col mio cervello, col mio cuore, col mio’ culo, con tutto ciò che vuoi di me. A un dito se ne aggiunse un altro, con metodo, con insistenza fino a quando non fui pronta per la penetrazione finale che avvenne lentamente, per la strettezza del mio condotto, ma in modo deciso e totale. Non fu un modo indolore e nemmeno molto piacevole, ma se il buio non consentiva di vedere in modo palese il mio imbarazzo e la mia umiliazione per la posizione innaturale che avevo assunto, la presenza di estranei a poca distanza da noi mi costrinse a trattenere un grido. La bocca spalancata e la gola chiusa nello sforzo di soffocare un urlo che non doveva assolutamente uscire esprimevano a sufficienza la mia tensione. Altre volte avevo provato un piacere fisico più intenso in quella forma di soddisfacimento sessuale, ma questa volta era diverso: ora Giovanni mi stava scopando il cuore. Il piacere che provavo era veramente profondo e apriva il mio cervello come una rosa che dischiude i suoi petali alla luce del sole. Presa, domata, sottomessa, la ‘irraggiungibile troia’ si era si era concessa nel modo più osceno a un uomo che aveva saputo metterle un dito nel più intimo del suo essere, nell’anima, e ne aveva fatto una donna, una donna nuova. grillo mercur@hotmail.it 6 – A sua disposizione ‘ ne aveva fatto una donna nuova. I nostri incontri ebbero un seguito vorticoso. Giovanni non perdeva mai l’occasione di usarmi e lo faceva con modi sempre nuovi, in situazioni inaspettate, talvolta mettendomi in imbarazzo, ma sempre con uno stile inconfondibile che mi privava di ogni difesa e mi impediva di dirgli di no. A volte la mia prestazione era completa, in altri casi si limitava a gesti di breve durata, ma l’intensità era identica, la tensione erotica forte, e soprattutto il senso di dominio su di me era totale. Davanti a lui la mia volontà veniva meno, anche se avrei voluto scappare e se mi sentivo umiliata il mio corpo e le mie mani si muovevano ancora prima che il cervello le comandasse. Lui riusciva a farmi anteporre la sua volontà alla mia, e il concederglielo, anche se con iniziale riluttanza, era un riconoscere la sua superiorità su di me e mi dava un certo senso di sicurezza e di potere. Lo desideravo sempre di più, volevo che mi gestisse senza limitazioni, ero pronta a fare qualunque cosa per lui, anche la più oscena e ributtante, purch&egrave me lo comandasse. Prima di prendere da lui quello di cui avevo bisogno ero io a dover dare al lui ciò che mi chiedeva e comunque anche il solo offrirmi a lui, il sapere che a lui piaceva era per me motivo di eccitazione e di godimento. E lui voleva la mia resa per potermi usare a piacimento. Aveva capito che questo era nel mio intimo ciò che desideravo desideravo. Quando smettevo di essere la segretaria irreprensibile e controllata, aspettavo solo che mi arrivasse un suo ordine e subito mi trasformavo in quella che lui ogni volta mi definiva: una troia. Ogni incontro era un approfondimento della conoscenza di me stessa. Desideravo assecondarlo, bramavo di ascoltare un suo gemito di piacere sotto i sapienti movimenti della mia bocca e di tutto il mio corpo, cercavo soprattutto di dargli il godimento che voleva in modo totale. Ormai non era rimasto un solo centimetro della mia pelle che lui non avesse esplorato e gestito, un solo pertugio che non avesse violato. Qualche notte mi svegliavo all’improvviso con la sensazione fisica di averlo lì vicino a me mentre mi afferrava per i capelli e mi imponeva di soddisfarlo con la mia bocca, ma poi mi accorgevo delusa che era solo un sogno. Allora mi toccavo e mi scoprivo bagnata con il cuore che sembrava impazzito. Giovanni era riuscito a spostare anche il mio confine di bisogno e contro la sua forza scoprivo di non avere più difese facilitando il suo potere su di me e impedendomi quasi di dominare le emozioni. Come un cagnolino legato al palo che attende tutto teso che il suo padrone esca dal negozio. quasi guaivo nel desiderio di un suo comando. Pronta a spingere sempre più in là il limite della mia sottomissione. Senza mai compromettere la mia immagine in azienda, dove ero e rimanevo per tutti la efficiente devota ma assolutamente, anche per il titolare, irraggiungibile segretaria, aveva cominciato a chiedermi esibizioni sempre più ardite. Le colleghe non sospettavano nulla, anche perché talvolta il suo modo di trattarmi davanti a loro era burbero, autoritario e non risparmiava umiliazioni e rimproveri. Nessuna indulgenza e nessun privilegio per me, nessuna delicatezza o attenzione che non avesse già concesso alle altre dipendenti, anzi, forse qualcuna in meno. Ma mi piaceva anche questo e lo accettavo senza difendermi. ‘Lo fa per me’ mi dicevo ‘mi vuol far sapere che sono sua e che lui mi possiede’. Era sufficiente che mi facesse inginocchiare di fianco alla sua sedia, mi chiedesse di scoprire il seno e mi stringesse un capezzolo fino a farmi male sussurrandomi in un orecchio ‘sei una troia’ per poi rimandarmi subito nel mio ufficio, che un calore inconfondibile mi prendesse tutta sconvolgendo i miei pensieri. L’infliggermi un dolore non era una violenza ma un segno di possesso e per me in qualche modo era un piacere concederglielo. Così con i seni esposti e offerti a piene mani, amava guardare la mia espressione di dolore, le mie labbra che si serravano per non lasciar uscire un gemito, i miei occhi che si stringevano nello sforzo di resistere alla sua pressione e di assecondarlo in un atteggiamento di totale disponibilità e abbandono. Anche quando così atteggiata con la cucitrice mi strinse un capezzolo già gonfio e mi bisbigliò ‘io ti posso usare quando e come desidero, tutto di te &egrave mio. Ti posso anche cucire se lo voglio. Tu sei a mia disposizione’ sapevo che non mi avrebbe mai ferito e azzardai un ‘certo Giovanni, ordinami quello che vuoi’ quasi per confermargli la mia totale resa, ma la risposta fu secca ‘le troie non parlano, obbediscono’. Ma questo mi faceva sentire sempre più legata a lui, sempre più sua e la sua volontà sempre preminente. Mi sentivo usata e mi piaceva tanto da inebriarmi e da crearmi una sorta di dipendenza da lui. Altre volte mi chiamava nel suo ufficio per discutere di qualche pratica. Seduta di fronte a lui perfettamente composta e con la pratica aperta sul tavolo pretendeva che gli descrivessi nei minimi particolari i miei rapporti sessuali con mio marito. Dovevo essere precisa, e non ammetteva giri di parole. I termini dovevano essere espliciti, il linguaggio crudo, cosa che una donna non sempre gradisce. Ma soprattutto le descrizioni si dovevano soffermare sulle mie reazioni, sui miei piaceri, sulle mie sensazioni, sulla risonanza che il contatto fisico aveva sui miei pensieri. Tutto ciò mi imponeva uno sforzo notevole e lo percepivo quasi come una violenza. Ero costretta a mettermi a nudo in un modo ben più esplicito che se mi avesse fatto spogliare. Mentre mi sforzavo di descrivere sentivo i suoi occhi fissi su di me che mi penetravano, mi vedevano nuda, mi scrutavano mentre un altro (mio marito!) mi possedeva, mi ascoltavano mentre mi abbandonavo al piacere. Anche se un tavolo ci separava fisicamente e il nostro atteggiamento era assolutamente normale, sembrava che i nostri corpi si toccassero, si cercassero, ma soprattutto che i nostri pensieri si fondessero in un godimento nascosto, profondo, intenso. Le poche domande che mi faceva mi imponevano di essere più precisa e determinata e mi costringevano ritornare con maggior dovizia di particolari su sensazioni espresse in modo troppo velato, scavavano sempre più profondamente dentro di me e si impossessavano della mia intimità, mi frugavano, rubavano i miei segreti, mi violavano, mi facevano sentire uno strumento di piacere nelle sue mani. A Giovanni piaceva moltissimo gestire la mia intimità in questo modo e per me quelle sensazioni erano enormemente più forti che se non mi avesse steso sulla scrivanie e posseduta violentemente. Mentre descrivevo i miei occhi non osavano guardarlo per la vergogna o per il rispetto, le mie guance palesavano la mia eccitazione con un lieve rossore, ma ciò che non si vedeva era assai più rilevante: il seno premeva dentro il suo sostegno, il calore dal ventre si estendeva verso l’alto, il ritmo cardiaco accelerava, la bocca diventava secca, la vulva si inumidiva, il cervello si confondeva. Giovanni ascoltava, osservava e intimamente, lo so, si eccitata. Ciò che dicevo entrava nella sua fantasia, vi si stampava dentro e continuava a produrre i suoi effetti anche a distanza, anche in mia assenza. Ma anch’io non ero da meno. La cosa non finiva lì. Im quel momento si attuava solo la violenza, molto eccitante e coinvolgente. Ma quando uscivo dal suo ufficio dovevo necessariamente andare in bagno. Appoggiata al muro mi abbassavo le mutandine, mi scoprivo il seno ed ero costretta a masturbarmi ferocemente come una ragazzina turbata dal ‘pacco’ dei suoi compagni, mentre mi stringevo i seni e tormentavo i capezzoli immaginando che fosse Giovanni a mordicchiarmeli, lui a compiere quei gesti descritti poco prima. L’eccitazione e la violenza subita erano come una bomba a frammentazione: dopo lo scoppio iniziale seguivano altre cento esplosioni che colpivano tutto il territorio, In qualche modo doveva essere appagata e calmata. Aveva ragione lui: ero una troia, una troia a schiuma frenata. Un sabato però successe quello che mai avrei immaginato e costituì l’inizio per nuove forme di sottomissione. Sottomissione sì, perché se anche né io lui avessimo mai usato quei termini ridicoli di schiava e padrone, io ero sottomessa al suo volere e lui si imponeva su di me rompendo di volta in volta le mie resistenze. Nessuna violenza certo, ma una sottile forma di possesso che soggiogava la mia mente, un continuo andare sempre più oltre che mi prendeva intimamente. Un sabato mattina appunto mio marito rispose al telefono ‘signor Massimo mi scusi, sono Giovanni il titolare della ditta dove lavora sua moglie. So di essere inopportuno ma avrei bisogno di rivedere con Luisella la relazione che lei ha predisposto per un cliente che devo incontrare questo pomeriggio. Posso venire io casa vostra, se non disturbo, non voglio che si scomodi Luisella’. Saprò come esservi riconoscente e come sdebitarmi’. Non aveva neppure chiesto di parlare prima con me, gli era bastato il consenso di Massimo. Mi comandava anche indirettamente. Dopo un’ora sarebbe venuto a casa mia. ‘che stronzo, non me lo poteva dire ieri sera? Ma che crede di comandare anche in casa mia?’ mi trovai a imprecare con mio marito. Il dubbio però cominciava ad affiorrarmi: stai attenta che adesso non gli basta la donna vuole anche la segretaria. Eh no, non può coinvolgere anche i rapporti di lavoro. L’umido però delle mia mutandine testimoniava a sufficienza lo stato di eccitazione e il subbuglio emotivo in cui ero improvvisamente e inaspettatamente caduta. Come osava, che cosa voleva fare, e davanti a mio marito poi? Ma lui comandava e io non riuscivo a oppormi. Cercai di nascondere l’agitazione e il terrore che mi stava prendendo dandomi da fare a riordinare convulsamente la casa quasi a voler contemporaneamente porre ordine nei miei pensieri, quelli sì veramente in un caotico vortice. Massimo non si avvide di nulla ‘gentile il tuo capo, poteva chiederti di tornare in ufficio, invece viene lui. Non &egrave da tutti. E’ uno che non vuole imporsi e far pesare la sua posizione. Davvero notevole’ si limitò a dire quasi onorato. Avesse saputo! Ma era tanto coglione da non accorgersi neppure che da tempo io ero ormai cambiata, tanto ingenuo da non riflettere sul fatto che una donna insoddisfatta poteva divenire facile preda di un uomo abile affascinante e di potere. Ma tant’&egrave. Il campanello squillò puntuale dopo un’ora facendo scattare anche le mie emozioni e mandandole fuori controllo. Il dubbio su cosa volesse esattamente il mostro era atroce, anche perché sapevo che quella relazione l’avevamo ampiamente discussa e che quindi non richiedeva altre correzioni o integrazioni. Puntava a qualcos’altro, ma a cosa? Mi ero cambiata d’abito, gonna e camicetta che nulla concedevano all’immaginazione. Avevo assunto il contegno della segretaria efficiente e pronta a gestire la situazione. La presentazione a mio marito, i saluti reciproci, pochi convenevoli, e subito al lavoro per non impegnarmi troppo tempo. Massima professionalità da parte sua e mia. Si parlava davvero di lavoro e gli argomenti erano stranamente pertinenti. Ma mentre Massimo era in cucina a preparare un caff&egrave mi arrivò tassativo un ‘abbassati una coppa!’ Ma come poteva, c’era mio marito, dove voleva arrivare? Osai un ‘Non possiamo, c’&egrave Massimo, se viene di qua e vede” ‘Abbassati una coppa, troia!’ il timbro di voce, il tono e il comando deciso ebbero potere su di me. Meccanicamente ma non senza timore e riluttanza le mie dita liberarono due bottoni della camicetta introducendosi per far uscire un seno dalla coppa che lo conteneva. La consistenza della camicetta impediva per fortuna di vedere la nudità sottostante ma la diversa conformità dei seni sarebbe stata sufficiente ad un osservatore estraneo per notare che essa mascherava qualcosa di volutamente anomalo. ‘Continua a parlare normalmente’. Si fosse limitato a quello avrei potuto rimediare, pensavo. Ma la mano si intruffolò nell’allacciatura. Il capezzolo libero che sfregava contro la stoffa si stava indurendo anche per l’eccitazione che mi stava prendendo. Io ero frastornata, terrorizzata. Seguivo con la bocca i numeri della relazione, col pensiero il marito che forse aveva già pronto il caff&egrave, coi sentimenti il mostro al quale non riuscivo a dire di no, col cuore un’agitazione indescrivibile ma che non mancava di lasciarmi i suoi segni nelle mutandine. Le sue dita raggiunsero il capezzolo, lo serrarono come già era solito fare e lo strinsero in una morsa sempre più dolorosa. Il dolore mi impediva di connettere i pensieri, Non potevo certo né gridare né genere. Lui lo sapeva, e stringeva. ‘Continua a parlare come se niente fosse, troia’ mi bisbigliava. Il mostro era anche capace, lui, di articolare l’analisi della relazione conservando un perfetto filo logico. Io barcollavo, nelle espressioni e nei sentimenti. ‘Mah, qui si potrebbe’. Non so, forse &egrave meglio’. No, non lo accetterebbe’. Non possiamo dire così’.’ Le dita stringevano, il dolore aumentava. Mi sforzavo di ascoltare se Massimo fosse in arrivo col caff&egrave. Non riuscivo a sottrarmi alla sua stretta, non potevo, non volevo. Stringevo gli occhi e le labbra per non urlare ma non osavo neppure afferrare la sua mano per farlo desistere o allontanare il suo braccio. Nel dolore e nello sconcerto lo lasciavo fare. Non osavo neppure alzare gli occhi e guardarlo, tale sentivo il suo dominio sulla mia volontà. Mi stava usando e io lo assecondavo anche in quella situazione di estremo pericolo che avrebbe potuto sconvolgere la mia vita coniugale. Il tintinnio delle tazzine in arrivo ci fece tornare alla realtà. Tolse la mano dalla camicetta e io mi aggiustai velocemente senza abbottonarmi. Con una mano appoggiata alla tempia, gli occhi sui fogli e il gomito sul tavolo, ringraziai Massimo del caff&egrave e continuai indifferente e controllata (!) a leggere e commentare. Giovanni fu più sciolto ” sieda anche lei Massimo, rimanga, beviamocelo assieme’ fra poco abbiamo terminato, sua moglie &egrave davvero efficiente e disponibile. E’ fortunato ad avere una donna come lei’. Stronzo! Ma cosa cercava? Cosa voleva? Mi sentivo bruciare per il dolore e l’imbarazzo, dovevo inventare una scusa per allontanarmi, ma mi sarei inevitabilmente scoperta. Fortunatamente Massimo fu più intelligente, o stupido (almeno questa volta). ‘No dottore, grazie, fate pure con calma, io ho altro da fare’ e ci lasciò soli. Non fu necessario, Giovanni non pretese altro. Ma avevo compreso come con la scusa della relazione aveva voluto farmi capire il suo dominio su di me in ogni momento e in ogni situazione. Ora mi era chiaro. Avrebbe potuto osare di più, ma non lo fece. Un altro muro però era caduto, il mio confine si era ulteriormente spostato. Il suo possesso aveva oltrepassato le mura protette dell’ufficio per invadere la mia vita privata. Lo avrei compreso meglio i giorni successivi. Non riuscivo ad oppormi a ciò che mi avrebbe nuovamente comandato. Terminato il lavoro si rivolse a mio marito: ‘Massimo, mi voglio sdebitare per il disturbo che vi ho arrecato e per ringraziare la sua signora per la disponibilità dimostrata’. Bastardo, non mi chiama nemmeno Luisella davanti a lui, quasi ignora chi sono, riflettevo, ma era un altro segno della sua superiorità e del suo dominio. ‘Questa sera vi voglio entrambi al ristorante. Una buona cena in un buon locale con persone amiche &egrave quello che ci vuole dopo aver concluso un contratto vantaggioso, e lo voglio godere con voi, che mi avere aiutato’. Mio dio, cosa inventerà questa sera? Sorpresa e lusingata dall’offerta, mi sentivo già in subbuglio per la novità e l’incertezza su cosa sarebbe successo, perché qualcosa sarebbe senza dubbio successo e io non sarei stata capace di rifiutarmi. Giovanni sembrava un treno in corsa che io mi sforzavo di inseguire, ma come stavo per raggiungerlo quello aumentava la velocità costringendomi a nuovi sforzi. Questo suo modo mi sconvolgeva ma lo adoravo. La sua iniziativa mi prendeva profondamente, mi costringeva, e non mi dispiaceva lasciarmi gestire dalla sua autoritaria intraprendenza, la amavo. Un breve saluto, un appuntamento per le 20,00. Sarebbe passato lui a prelevarci con la sua auto. Mentre lo accompagnavo alla porta un nuovo ordine ‘questa sera non devi indossare mutandine. Sotto devi essere nuda.’ A un mio azzardato ‘ma,” uno sguardo fin troppo eloquente mi costrinse ad abbassare gli occhi e a proferire un flebile ” come desideri tu’. La sua volontà si anteponeva alla mia e prevaleva sulla mia emotività. Contro il suo dominio non avevo forza. Riconoscendogli di essere importante per me gli concedevo il diritto anche di umiliarmi. La sera tutto sommato trascorse tranquilla. Ottimo il ristorante appena fuori città, molta eleganza, una piccola orchestrina vivacizzava l’ambiente, il nostro tavolo abbastanza riservato ma ben visibile da ogni punto del locale tanto che mi sembrava che tutti mi guardassero tra le gambe. Giovanni non si era risparmiato spese. Il suo desiderio di mostrarsi riconoscente, almeno nel confronti di Massimo, era evidente. Con me molta eleganza e signorilità. Si dimostrava un vero signore. L’avermi voluta nuda ‘sotto’ non preludeva a nessun gioco particolare, ma mirava unicamente a farmi sentire in imbarazzo, a manifestare il suo possesso su di me. Così lui mi voleva e così io dovevo essere. Le sue occhiate, le sue allusioni nei discorsi, il suo approfittare di ogni occasione opportuna o inopportuna per farmi piegare o abbassare, mi facevano sentire completamente nuda e a disposizione per essere guardata da tutti. Se qualcuno volgeva il suo sguardo su di me mi sembrava che avesse notato la mia nudità nascosta e mi tenesse d’occhio per scoprire se mostravo qualcosa in più, o se lasciavo intuire una qualche disponibilità. Mi sentivo una puttana che voleva attirare l’attenzione dei maschi. Mentre Massimo si era allontanato un istante per scegliere un antipasto, Giovanni aveva preteso che tenessi le gambe divaricate, e con la classica scusa del tovagliolo caduto aveva verificato la mia obbedienza anche quando mio marito era tornato. Per tutta la sera ero rimasta in attesa di un suo cenno, di un ordine a fare’. Che cosa poi? Non mi seguì neppure quando mi allontanai per andare in bagno. La tensione era alle stelle e lui lo aveva notato, anche se mi sforzavo di apparire il più naturale possibile. Ma questo era il suo gioco. Sì ero eccitata da questa attesa e mi sembrava che si diffondesse nell’aria il mio tipico odore di femmina in calore. Mi vidi costretta per ben due volte ad andare in bagno a rinfrescarmi per vanificare quella che forse era solo una mia impressione, ma che la mia intimità sembrava invece confermare. Il mostro l’aveva capito e con domande di finta gentilezza mi mandava messaggi espliciti, in codice per i presenti ma dal significato indiscutibile per me. Quando ci riaccompagnò a casa e ci salutammo mi dette spiegazione di quell’incontro ‘questa sera ho voluto solo ringraziarti, &egrave stato un regalo per te’. Dentro di me qualcosa si sciolse. Quelle parole mi facevano sentire sua, mi davano la conferma dell’interesse che lui aveva per me, di non essere solo uno strumento con cui giocare, che anche per lui ero diventata qualcosa di importante meritevole di un premio’ ogni tanto. Se non fosse stato per la presenta di Massimo gli avrei gettato le braccia al collo, lo avrei baciato, mi sarei inginocchiata davanti a lui per offrirgli la mia bocca e deliziarlo, avrei assecondato qualunque sua richiesta. Dovetti invece mascherare i miei sentimenti dietro un sorriso di circostanza e sussurrare un ‘grazie, grazie Giovanni’ uscito più dal cuore che dalle labbra. Una lieve sua carezza sulla guancia datami di nascosto suggellò meravigliosamente la serata. Quella sera mi fu difficile prendere sonno. La mia felicità era al massimo. Mio marito, esaltato dalla piacevolezza della cena, forse un po alticcio per il buon vino bevuto abbondantemente, volle fare l’amore. Ancora estasiata dal regalo di Giovanni e dalla sua carezza che mi aveva liquefatto mi concessi senza esitazione immaginando che fosse lui a prendermi. Per la prima volta nel nostro matrimonio acconsentii anche a lasciarlo entrare dalla porta di riserva, cosa che lo eccitò visibilmente oltre il normale e lo fece sentire maschio dominante come non mai. Per tutta quella notte i miei pensieri furono occupati Giovanni tanto che mentre Massimo dormiva profondamente dovetti più volte ricorrere all’autosoddisfacimento sognando il prossimo incontro con lui. NB ‘ Questo racconto in tutti i suoi sei capitoli &egrave assolutamente vero. Molti mi hanno chiesto informazioni. Luisella, nome di comodo, esiste realmente. E’ una mia cliente della quale, dopo la morte di Giovanni, ho potuto raccogliere le confidenze e le angosce, e che mi ha permesso di cristallizzarle in una specie di ricordo fotografico. Molte aggiunte, molte sfumature sono opera sua. Sono pronti altri capitoli, ma attendo il suo permesso per pubblicarli. Devo continuare?… pop45@tiscali.it

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