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Racconti Erotici Etero

Luisella e Paolo – L’inizio di tutto

By 8 Agosto 2019Dicembre 16th, 2019One Comment

Questa sera ho intenzione di farmi scopare. Da un maschio.

Mentre faccio la doccia rifletto sulla strategia migliore: potrei telefonare a diversi soggetti che, so per certo, si precipiterebbero qui da me senza esitazioni.
Escludendo i maiali e gli sposati – perché stasera non mi va una sveltina con uno che poi deve correre a casa – faccio mente locale e ripenso a chi si è comportato bene.

È necessario, ma pericoloso indugiare in questi ricordi mentre sono nuda e mi tocco per lavarmi, perché non posso impedire all’eccitazione di salire e rendere turgidi i miei capezzoli, tumido e sensibile il clitoride. Già altre volte è andata a finire che con due dita nella fica mi sono masturbata come una furia… facendo poi tardi.

Basta. Decido, voglio dare un’opportunità a Paolo, magari scopa bene, chissà.
Lui è un progettista software in una delle aziende nella quale vado regolarmente. È passabile, fisicamente, anche se ha l’aria di essere un classico nerd. Abbiamo mangiato assieme, qualche volta, mi ha parlato solo del suo lavoro.

Però ha un bel cazzo. Di ritorno da un meeting aziendale, una sera, un po’ esasperata dalle sue avance, ma sotto sotto anche lusingata, gli ho fatto una sega. Una specie di premio di consolazione.
Così gli ho detto di fermarsi da qualche parte e di tirare giù lo schienale del sedile. Gli dev’essere venuto quasi un colpo, perché ha frenato e si è infilato in un viottolo per fermarsi poco più avanti. Dio santo, ho pensato, speriamo che la mia irruenza non l’abbia fatto sborrare nelle mutande!

Ha fatto quel che gli avevo detto, inoltre si è abbassato i pantaloni a tempo di record.
Forse sperava gli facessi un pompino, ma anche se mi piace molto farli, preferisco arrivarci per gradi. Glielo prendo in mano. Sorpresa! Non me lo aspettavo così grosso. Duro come marmo, caldo e morbido. L’ho scappellato con delicatezza, poi ho passato il polpastrello del pollice sulla punta. Appena umida. Molto bene. Mentre lo faccio lo sento contrarsi ed emettere un singulto soffocato.

Procedo. Per un po’ ci gioco, stringo il cazzo poi allento la presa e passo delicatamente le unghie sul tronco. Poi ricomincio.
Attenta Luisa, ti si sta bagnando la figa! Mi impongo di attenermi al piano, non voglio dargliela… vinta subito!
Sento il ritmo del suo ansimare, mi sincronizzo nella sega e ci aggiungo anche una lieve torsione. Su e giù. Su e giù.
“Luisa, tesoro, me lo prendi in bocca?” balbetta. Sono già diversi minuti che lo sto masturbando, quel cazzo, se possibile, è diventato ancor più duro ma non accenna a sborrare.
“Per chi mi hai presa? Per una succhiacazzi qualsiasi?” gli rispondo fingendo di essere scandalizzata, ma sorridendo.
La luce è poca, forse non ha visto la mia espressione, perché si rialza di scatto, profondendosi in scuse. Ahi, il ragazzo è timido, chissà quanto coraggio gli ci è voluto. Che tenero.

Gli sfioro le labbra con le mie e lo riabbasso delicatamente. Il cazzo gli si è lievemente afflosciato, così lo rimetto in marcia sfiorando con la punta dell’unghia il suo capezzolo sinistro, scendendo poi sull’addome con le unghia di tutta la mano fino all’inguine. Ha un bel corpo atletico, non l’avrei mai detto col mestiere che fa.

Gli piace. Bene. Per fortuna non gli piace come a Linda, l’ultima volta che le ho disegnato il corpo così si è infoiata di brutto e mi ha spinto il viso su quella sua passera di fuoco e mi ha tenuto prigioniera la testa con le mani mentre me la strusciava sulla bocca.
Porca puttana, se continuo a lasciarmi andare così ai ricordi finisce che glielo prendo in bocca davvero! Mi dedico di nuovo al palo di carne che ho qui di fianco, finisco il giro delle unghie sulla cappella e sono gratificata nel sentirlo tornare vigoroso e duro come prima.

Ancora un po’ di sega su e giù. Bisogna che lo faccia sborrare, così passo al livello successivo: mi sfilo il maglioncino a girocollo, slaccio il reggiseno, mi metto in ginocchio sul sedile e gli faccio vedere che belle tette sode ho. Strabuzza gli occhi, evidentemente c’è abbastanza luce per vederle.
Io ho ricominciato la sega, lui ansima come un mantice. Ha il collo piegato per guardarmi il seno, in una posizione sicuramente scomoda, ma evidentemente non gli importa.
Va bene Luisa, mi dico, aggiungiamo il jolly così lo facciamo venire, la buona azione è compiuta e tu non corri il rischio di cedere e di dargli la figa qui.
Mi infilo l’indice in bocca e lo insalivo per bene. A lui stanno uscendo gli occhi dalle orbite. Scendo con l’indice e arrivo al suo ano. Attendo una contrazione e al successivo rilassarsi gli infilo il dito nel culo. Emette un lungo muggito a bocca spalancata, inarca la schiena e sborra.

Gli stringo il cazzo, continuo a menarlo mentre spingo il dito a fondo. Lo sego ancora. Sento uno schizzo arrivare sulle tette e anche su un orecchio. Urca, sta sborrando come una fontana! Non so dove stia andando a finire tutta quella roba, spero non sui vestiti. Però non smetto, non sarebbe gentile mollare durante l’orgasmo.
Terminano le contrazioni, lo sento rilassarsi. Sfilo delicatamente il dito, lascio quel bel cazzo e mi rimetto seduta. Mi è piaciuto, tutto sommato. E sono certa che è piaciuto anche a lui.
“È stato fantastico… veramente… non ho mai goduto così tanto con una… una…”. Il ragazzo sembra imbarazzato.
“Con una sega?” dico io. Annuisce. Che tenero, mi allungo per dargli un’altro lieve bacetto. Così facendo sfioro con la mia pancia la sua, mi ritrovo impiastricciata di sperma anche lì. Vabbè.

Il resto è storia: un intero pacchetto di fazzoletti di carta per ripulirsi, ci si riveste, si rialzano i sedili, si riparte salutando i guardoni, che non vediamo ma che sicuramente ci sono, gli dico. Sto proprio giocando con lui, ma non per imbarazzarlo, anzi, per metterlo a suo agio. Vabbè.
Mi porta fin davanti a casa mia. Spegne la macchina. No, tesoro, la serata è finita, non metterti delle strane idee in testa.
Vorrebbe dire qualcosa, ma non gli riesce, allora ne approfitto, gli do un bacio sulla guancia e gli dico “magari un’altra volta, d’accordo?”. Fa sì con la testa. Io scendo, lo saluto con la mano e entro di corsa nel portone. In camera c’è il vibratore che mi aspetta, stasera userò anche il succhia-clitoride.

A proposito, di sperma ne era finito anche sul maglioncino e sui capelli. Vabbè.

“Magari un’altra volta, d’accordo”, gli avevo detto. Sì, chiamerò Paolo. Stasera è la volta in cui gli permetterò di penetrarmi la figa e di farmi godere con quel bel cazzo che mi ricordo.
Ho finito la doccia. Mi avvolgo nell’accappatoio, prendo il cellulare e gli scrivo su Whatsapp.
“Paolo, ti andrebbe di salire da me stasera? Ho una promessa da mantenere”. Spunta grigia. Spunta blu. Doppia spunta blu.
Non faccio in tempo a posare il telefono che arriva la risposta. Ovviamente, è “Arrivo!”
Bene, bene, bene, il ragazzo ha intùito. Vediamo di non deluderlo.

Nuda, davanti alla toeletta, un trucco lieve ma adatto a sottolineare occhi e labbra. Pochissimo fard, non va bene quando sai che suderai. Allungo le ciglia. Perfetto. Un’occhiata alle unghie di mani e piedi, le ho fatte fare due giorni fa e sono ancora perfette, lo smalto rosso non ha perso lucentezza.
Lo Chanel è quasi terminato ma ce n’è ancora abbastanza: due gocce sul collo, alla base delle orecchie, due sui capezzoli, due attorno alle grandi labbra della figa.
Il ragazzo si merita una lingerie di classe. Autoreggenti, perizoma, reggiseno coordinato. Mi infilo il tubino nero di Givenchy, l’acquisto folle di un weekend parigino. Aggiungo un filo di perle.
Décolleté nere, tacco 8. Che sul mio piede del 34 fanno come un 12. Sono proprio un gran bel pezzo di figa, bisogna essere onesti. Se potessi mi scoperei.

Faccio appena in tempo a dare un calcio alle pantofole e chiudere la porta della cabina-armadio che suona il citofono. È lui, dev’essere andato a velocità da ritiro patente.
“Settimo piano, poi l’ultima rampa fino all’attico. Prendi l’ascensore, mi raccomando!” lo ammonisco. Non voglio che arrivi spompato.
Bussa alla porta. Gli apro. Si va in scena.

Noto subito alcuni particolari: non ha gli occhiali, sorride e sembra già a suo agio. Ci scambiamo i convenevoli, il non-detto è facile da immaginare:
“Ciao Paolo, grazie di essere venuto con così poco preavviso.” (“Hai capito benissimo, voglio essere chiavata come se non ci fosse un domani.”)
“Ciao Luisa, è sempre un piacere rivederti!” (“Sei alta un metro e un barattolo ma sei una gran topa, non vedo l’ora di aprirti le gambe e infilartelo nella figa.”)

Il bacetto sfiorato sulle labbra mi permette di sentire che odora di buono. Perfetto, non c’è bisogno che gli faccia fare la doccia prima.
Lo faccio accomodare sul divano, io mi siedo in ginocchio sulle mie gambe vicino a lui. Vicino, ma non troppo.
“Sai, volevo farti vedere una cosa.” Tira fuori il cellulare, apre la galleria delle immagini, cerca un po’. Poi si gira verso di me e me lo porge. “Guarda.” mi dice.
Sfoglio la galleria. Sono tutte foto mie, cioè fatte a me.

Mentre sto parlando durante una presentazione. Chinata (si fa per dire, con un metro e quaranta d’altezza, al massimo posso chinarmi sul tavolino da tè) su una scrivania mentre consulto chissà cosa, mentre rido appoggiata con la spalla alla macchinetta del caffè e le gambe incrociate.
Tutte foto prese a mia insaputa, in tutte sono bellissima, il culo bello e armonico, le tette alte, le gambe dritte senza un pelo visibile. In una, grazie al gioco delle luci che sta dietro di me, sembro nuda. Cioè sono vestita, ma sembro nuda. Cazzo, mi sto eccitando con me stessa!
Arrivo a un primo piano del viso, nel quale ho lo sguardo imbronciato ma gli occhi sembrano brillare. Una monella.
“Chissà quanto hai dovuto penare coi filtri…” gli dico, poi passo alla successiva e ho quasi uno chock: è la stessa foto di prima, stampata in grande formato. C’è il suo cazzo in bella vista che ancora gocciola, ampie chiazze biancastre sul mio viso. Striature sulla bocca mi fanno capire che l’ha strusciato lì in particolare.
Ci vuole un gran coraggio, glielo devo riconoscere. Potrei anche incazzarmi e cacciarlo fuori, per quel che ne sa. Ma in qualche modo deve aver percepito che non lo avrei fatto.

Lo guardo. Mi guarda. Mi guarda e avvicina una mano al mio viso, mi accarezza la guancia con tocco leggero, sento un lieve accenno di pelle d’oca.
Quello che fino a poco fa credevo fosse un nerd timidone avvicina le sue labbra alle mie, che si schiudono. La sua lingua entra nella mia bocca, la mia nella sua. Le nostre bocche sono fameliche, le sue mani sulle mie spalle, scendono sulla schiena e sui fianchi. Le fa scivolare sul culo, fino all’attaccatura delle gambe, mi solleva così.

Mi rendo conto che anche io avevo le mani sul suo culo, perché la manovra che fa me le stacca da lì. Allora mi appendo al suo collo, mentre i nostri corpi sono adesi, poche molecole di stoffa ci separano. Incrocio le gambe dietro la sua schiena.
Sento il bozzo tra le sue gambe, grosso, potrei sedermici sopra. Il tubino nero è salito all’inguine, le balze delle autoreggenti sono in bella vista.

L’ex-timido stacca la sua bocca, l’avvicina al mio orecchio e mi chiede con voce roca dov’è la camera da letto. Poi mi mordicchia il lobo. Con voce altrettanto roca gli dico “su”, accennando con la testa la rampa di scale interne che collegano il soppalco.
Rimango avvinghiata come un koala, mentre lui mi porta sino alle scale, che poi inizia a salire lentamente e senza sforzo apparente… d’altra parte peso solo 40 chili, vorrei vederlo alle prese con Linda…
Trova il letto facilmente, al centro del soppalco. Mi stacca lievemente da sé, io capisco le sue intenzioni e allento la presa. Così riesce a gettarmi sul letto, dove atterro di schiena, lunga distesa.
Con questa manovra ho perso una décolleté. Lui la raccoglie, poi prende il mio piedino nudo, si infila in bocca l’alluce e succhia. Si sta rivelando un sacco fantasioso, non me lo aspettavo, quindi me la godo ancor di più.
“Sei bravo.” gli dico. L’eccitazione ha reso la mia voce bassa e pastosa. Lui annuisce, poi stacca la sua bocca e mi infila la scarpa. “Tienila, mi piacciono le donne nude con i tacchi alti.”
Lo so bene, piacciono anche a me. Ma non sono ancora nuda.

Così mi rialzo, lascio scivolare le gambe giù da letto, mi metto in piedi davanti a lui, che si è lievemente allontanato per lasciarmi lo spazio.

Sono di fronte a lui, che si toglie la giacca e la butta dietro di sé. Cazzo, porta le bretelle. Io vado pazza per gli uomini che usano le bretelle. Gli slaccio il bottone alla cinta, abbasso la zip e sposto le strisce elastiche dalle spalle e gliele faccio cadere sui fianchi. I pantaloni gli cadono a terra.
Si libera di scarpe, calze nere al polpaccio (sia ringraziato Dio, non portava i calzini corti) e pantaloni. Calcia via tutto in un attimo.

Io ho abbassato la zip del tubino, allontano le spalline, mi stringo nelle spalle e lo lascio cadere. È un effetto molto coreografico, so che piace.

Si riattacca al mio corpo, mi infila di nuovo la lingua in bocca. Non so chi dei due sta mugolando, forse sono io, forse siamo entrambi. Le sue mani sulle mie chiappe sono sempre più decise. Il ragazzo comincia a non poterne più.
E nemmeno io. Gli sfilo la cravatta, slaccio il primo bottone del colletto poi non ce la faccio più, afferro i lembi della camicia e gliela apro facendo saltare i bottoni. Sento anche che si strappa, ma chissenefrega. Tirandola giù gli sfilo a forza le maniche, coi polsini ancora abbottonati.
Lui armeggia qualche istante col gancio del reggiseno, poi gli compare un ghigno sulla faccia, afferra le fettucce e fa saltare il gancio. Io ho un singulto, ho trovato pane per i miei denti.

Tiro i suoi boxer, ma sono troppo robusti, così mi rassegno a calaglieli di colpo. Il suo grosso cazzo, finalmente libero, scatta come una molla e svetta spavaldo. Calcia via pure i boxer, ora lui è nudo, di fronte a me, con l’uccello dritto.
Sto per calarmi il perizoma, ma mi precede. Mi getta nuovamente sul letto, mi spinge più al centro, mi guarda beffardo mentre afferra il perizoma e lo strappa.

Sono nuda. Cioè la mia figa è nuda. Le mie poppe sono nude. Ho soltanto le autoreggenti, le scarpe e il filo di perle. Se strappasse via anche questo non mi importerebbe, adesso, ma per fortuna non lo fa.
Linda mi direbbe che sono in calore. La figa tumida, i capezzoli duri come chiodi. Credo di avere anche il buco del culo che palpita.

Mi afferra le caviglie e mi allarga le gambe. Poi sale su di me, ma non mi penetra, struscia il cazzo sulla figa, lentamente, mentre inizia a succhiarmi i capezzoli, uno e poi l’altro. È costretto a rimanere un po’ inarcato, ma non tanto. Per fortuna nemmeno lui è un gigante.
Mi fa impazzire, non posso e non voglio trattenere i sospiri e i gemiti quando mi lecca i capezzoli e si infila in bocca più tetta che può. Succhia e lecca.
La voglia di essere chiavata da quel cazzo d’acciaio mi monta sempre più prepotente. Glielo dico, gli dico “Bastardo, infilamelo dentro!”
Il falso timido fa lo gnorri, preme il suo pitone sulla mia fessura madida, poi avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi fa “Non lo so… che cosa dovrei infilare? E dov’è che dovrei infilarlo?”

Premo il pube sul suo e mi struscio. Ma non basta. Gioca, mi ripete la domanda fino a che non rispondo, quasi urlando “Nella figa! Mettimelo dentro e scopami, maiale!”
“Tesoro, se te lo infilo così ti faccio male, non sei ancora bagnata abbastanza…”
Che stronzo, ho la fica che cola e lui dice che non è bagnata. Non solo è bagnata, ma la sento dilatarsi, come se volesse risucchiare il cazzo dentro di sé.

Paolo si lascia scivolare indietro, sino a trovarsi col viso all’altezza della principessa delle fighe in carenza di cazzo. Con la lingua a spatola me la spennella una, due, tre volte. Poi letteralmente se la mette in bocca, sento che succhia a tutta forza. Poi lascia andare, altre due pennellate di lingua e, senza preavviso, sento che mi infila due o tre dita dentro.
È come una scossa quella che sento e vedo anche dei lampi bianchi, velocissimi. Non so cosa grido, ma è qualcosa che riguarda lui, i maiali e quella puttana di sua madre.

Ho l’interno delle cosce sbrodolato, sento inzupparsi persino le balze delle autoreggenti.
Le sue dita abbandonano la mia caverna, lo sento risalire e coricarsi di fianco a me. Infila le sue gambe sotto la mia divaricata. Allungo la mano e afferro il suo cazzo. È durissimo.
Sento il suo alito caldo nell’orecchio, la sua voce che mi chiede in un sussurro “Vuoi farmi una sega? Sei capace?”
Te la do io. Mi rigiro e in un attimo sono sopra di lui. Ci penso io a infilarmi il cazzo nella figa, mi lascio cadere e in un lampo sono piena di lui.
Lo guardo, sta ridacchiando. Non mi sta prendendo in giro, gioca.
Mentre passo le unghie della mano sinistra sul fianco, con quella dell’indice della mano destra scrivo sul suo ventre la parola “stronzo”. Ma sorridendo, anche io sto giocando.
Mi fermo, impalata sul suo cazzo meraviglioso, glielo mungo con le contrazioni pelviche. Ho fatto sborrare più di uno con questo trucchetto.

“Sei fantastica, tesoro, ma quanti cazzi hai preso per imparare così bene?” Sento una nota di ammirazione nella sua voce. Comincio anche a roteare il bacino. Per fortuna ho una fica profonda, me la riempie tutta senza toccare l’utero, che mi farebbe male.
“Mai abbastanza, amore. Ma nessuno come il tuo” gli rispondo con voce roca.
È quasi vero, ma non è il caso di sottilizzare in un momento come questo, dove è meglio godersi l’erezione piena di qualcuno che puoi gratificare anche con una quasi verità. Ma a pensarci bene, forse è proprio il cazzo più grosso e più utile che mi abbia mai visitato la figa.

“È un vero piacere chiavare una puttanella come te”. L’insulto non fa altro che aumentare, se possibile, la mia eccitazione.
“Grazie, ti sei guadagnato un voucher per un pompino”. Glielo succhierò, sicuro, al cento per cento. Mi inginocchierò davanti a lui e lo prosciugherò di tutta la sborra che ha. Dovranno venire a riprenderselo in barella. Sarà la madre di tutti i pompini, dopo il mio non ce ne saranno altri degni di essere ricordati, perché io sono la Dea, la più grande troia ciucciacazzi dell’Universo. E sono brava perché mi piace, perché io non faccio pompini, la mia è la comunione pagana col cazzo e godo veramente nel far godere, amo la sborra e con questa mi elevo.

Non me ne rendevo conto, ma queste cose gliele dicevo, non le pensavo e basta.

Letteralmente mi solleva dal suo cazzo, mi depone sul letto bocconi. Mi prende per i fianchi e mi alza il culo. Un attimo, sento il siluro entrarmi nella figa. Stavolta mi martella a colpi di cazzo, pronunciando frasi sconnesse.
“Puttana… ti amo… ah… che figa che sei… ti farcisco di sborra… lo senti il mio cazzo?”
Lo sento, eccome. Sto per godere. Sento la marea montante, stavolta sembra partire dalle gambe e risalire. “Sto godendo. Sto godendo! STO GODENDO!!”, urlo con tutta la mia voce.

E nell’attimo stesso del picco, del climax, lo sento uscire con un suono di risucchio. Ma io sto godendo. Nessuno può fermare questo orgasmo.
Nemmeno il fatto che, con balzo felino, ha spostato di pochi centimetri la mira e me lo infila dritto nel buco del culo.
Entra fino in fondo, come un coltello rovente nel burro. E mi stantuffa con la stessa prestanza di quando, pochi secondi prima, mi chiavava la figa. Il suo cazzo grosso e duro mi spiana l’intestino, quando sbatte con il pube sulle mie chiappe sento un groppo in gola, come se mi avesse trapassato e la cappella dovesse fare capolino fuori dalla mia bocca spalancata.

Non lo avrei creduto possibile, l’orgasmo si amplifica. Sento scosse in tutte le articolazioni, cadrei come una bambola di pezza se non mi tenesse su per i fianchi.
La lama mi penetra nel cervello. Vedo rosso, poi nero. Poi globi di luce davanti agli occhi e l’orgasmo raggiunge l’apice più profondo, quello che non conoscevo, quello a cui mi ha portato con quella mossa bastarda, inculandomi senza chiedermi il permesso.

Me lo chiede adesso. Lo sento, come se la sua voce provenisse da lontano, dirmi “mi piacerebbe incularti, vorrei tanto scoparti nel buco del culo…”
Eh no, un’altra scossa, ma è la marea del godimento che mi lambisce per ritirarsi pian piano.
Mi lascia, cado a braccia e gambe aperte sul letto, come previsto. Cadendo, il cazzo si sfila dal mio culo, sento il suono come di un tappo che salta.

È bravo, mi rannicchia e mi abbraccia in modo protettivo. Io sto ancora assaporando le ultime eco dell’orgasmo, lui mi accarezza e mi bacia teneramente. Mi sussurra cose che non capisco, ne sento solo la musica.
A poco a poco il mio respiro si fa regolare, senza rendermene conto mi addormento tra le sue braccia.

Mi sveglio di soprassalto. Sono sola, sotto le lenzuola. Ancora nuda e sudata.
Lui non c’è.
Come uno zombie mi alzo, quasi inciampo nelle mie scarpine, che sono ai piedi del letto. Scendo la scala del soppalco tenendomi forte sul corrimano perché ho le gambe molli.
Guardo in giro, in bagno, nello studio. Non c’è.

Sul tavolino del divano c’è il mio smartphone. Vari messaggi, tra cui il suo:
“Dormivi così bene che era un peccato svegliarti.
Ripasso alle 8 con i cornetti.
E per il pompino”.

(continua)


Commenti, complimenti (magari!), insulti (nooo…) sono graditi
luisellacam1989@gmail.com
PS: a scanso di equivoci, non faccio nulla in cam, quelle sono le prime tre lettere del mio cognome…

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