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Racconti Erotici Etero

Mei Li

By 6 Dicembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ vero che quaranta anni sono tantissimi, ma io ritenevo che un cambiamento del genere richiedesse secoli. Una vera e propria variazione, del tipo trasformismo di Fregoli, che mutava apparenza in pochissimi secondi.
E’ vero che quaranta anni non sono ‘pochi secondi’, ma &egrave altrettanto vero che una città così grande non &egrave un uomo.
Rimane da considerare se la modifica sia apparente o sostanziale.
E’ come se un uomo vestito di pelli e armato di clava, appaia, sia pure dopo otto lustri, sotto le sembianze di un astronauta. Ho detto ‘sembianze’, ma &egrave rimasto nella essenza il ‘primitivo’ o &egrave effettivamente diventato diverso?
Beh, a guardarmi in giro &egrave chiaro che una riforma sostanziale c’&egrave stata. Ed &egrave tuttora in corso. Del resto, tutto &egrave cambiato.
Anno 2002. Da Roma a Pechino, meno di 13 ore di aereo, via Parigi.
Ospitato nel lussuoso Shangri-La Hotel, nella Zizhuyuan Road. Autista della limousine che parla un buon inglese.
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Allora, primi anni ’60, un giro che non finiva più, via Svizzera, Russia.
Triste aeroporto, quello di Beijing, dove tutti parlavano il Putonghua, o al massimo il Mandarino. Tutti vestiti nella stessa maniera. Anche la giovane che si presentò, Mei Li, in un italiano sorprendente. Era l’addetta alla mia persona. Non mi avrebbe lasciato durante tutta la mia permanenza in quella città. Dette il mio biglietto aereo all’uomo che era con lei, per il ritiro del bagaglio. Mi sorrise, e mi disse che il ‘car’ ci attendeva. Una vecchia Jeep, con un militare, armato, seduto davanti. Vuoto il posto di guida. Salutai, in italiano, inglese, francese’ Il volto dell’uomo restò impassibile, quando Mei Li gli disse qualche parola, certamente tradusse quello che avevo detto, l’uomo bofonchiò un ché di indecifrabile.
Mei Li mi fece segno di mettermi sulla stretta panca-sedile posteriore, sedette accanto a me. Poco dopo arrivò l’altro uomo, con la mia valigia, la depose ai miei piedi, andò al posto guida, mise in moto, si avviò. Senza fretta.
Perché ero a Pechino?
Stavamo facendo dei lavori, montando una raffineria di petrolio, ma in una zona lontanissima dalla Capitale. Era sorta una diversità di interpretazione su un articolo del capitolato d’appalto, in merito alla valuta relativa al pagamento dei nostri specialisti. Si parlava di ‘dollari’ genericamente, noi, logicamente intendevamo che il calcolo si riferisse a US$, loro in ‘Chinese Dollar’, che, tutto sommato, equivalevano a niente.
La cosa si poteva appianare facilmente, per lettera, telex’ no! Volevano un rappresentante della nostra Società a Pechino, a Beijing, per chiarire e siglare una postilla al contratto.
Ed io ero il’ fortunato prescelto, con credenziali in italiano-inglese-cinese, e tanto di visto dell’ambasciata cinese in Italia.
Chiesi a Mei Li dove stessimo andando.
‘Al suo alloggio, Mr. Marini.’
‘Quale albergo?’
‘No albergo, alloggio di stato. Foresteria di stato.’
Le chiesi come mai parlasse così bene l’italiano.
‘Mio nonno era interprete presso vostra rappresentanza diplomatica di Shanghai, negli anni ’30. In casa sua si parlava Italiano, poi in casa di mio padre, e adesso si parla italiano a casa mia. Io ho superato l’esame di interprete di italiano, presso la nostra università, la Beijing Normal University, Dipartimento di Lingua e Letteratura straniera.’
‘Mai stata in Italia.’
‘Ancora no. Ma spero. Appena possibile.’
Pochissimo traffico.
Finalmente arrivammo in una specie di quartiere residenziale, con casette basse, ad un piano, tutte uguali, vialetti asfaltati, aiole verdi, e nessuno in giro. Era recintato con alti cancelli di ferro, dove crescevano dei rampicanti. Qualche jeep dinanzi ad alcune casette. In ogni jeep un soldato armato. Mi guardavo intorno e non capivo nulla, tanto meno in quale parte della città eravamo. Andammo a fermarci dinanzi a una di quelle abitazioni. Scendemmo. Mei Li mi fece cenno di prendere la valigia, mi precedette, girò la chiave che era nella toppa, entrò. Piccolo ingresso, un breve corridoio: a destra una porta si apriva su una modesta cucina con lavello e una mensola di pietra sulla quale era un fornello a gas; una credenza, un tavolo, tre sedie. A sinistra un’altra porta: una cameretta, molto spartana, con un letto, un armadio, tavolo e sedia. Una lampadina al centro della stanza. In questo vano si apriva un altro corridoio, una porta era quella del bagno: tazza alla turca, lavello, doccia con un buco nel pavimento; un’altra dava in una cameretta, arredata come la precedente. Notai che impianto elettrico e idraulico non erano nelle pareti, ma sulle pareti, in evidenza, Come quelli che usavano da noi decenni orsono, molto prima della seconda guerra mondiale. Il tutto un po’ triste. Ebbi la sensazione di ‘lugubre’. Mei Li mi indicò quest’ultima cameretta.
‘Qui dormirà lei, signor Marini.’
La guardai sorpreso.
E per il servizio? I pasti? La colazione?
‘Tutto organizzato. Del resto io dormo nell’altro vano. Il bagno &egrave in comune. Nella jeep c’&egrave il militare e se piove può entrare nel nostro ingresso.’
‘Se volessi visitare la città?’
‘Per tutto quello che desidera, ci sono io.’
Entrai nella ‘mia’ cameretta. Abbastanza spoglia. Aprii la valigia, presi solo gli abiti da appendere nell’armadio. Meno male che avevo portato le stampelle! Unica luce, anche qui, quella nel centro del vano, con unico interruttore vicino alla porta. Sul tavolo alcuni libri. Due in cinese, altri due in francese: ‘Marx’ e ‘Le livre des gardes rouges’. Mi tolsi la giacca, andai verso la camera di Mei Li. La porta era aperta, lei sedeva su una sedia, accanto al tavolo, leggeva un giornale. Appena mi vide mi guardò, mi chiese cosa desiderassi. Le dissi che avrei gradito qualche libro in Italiano, qualche, giornale, rivista’ Mi sorrise deliziosamente e mi assicurò che avrebbe cercato di accontentarmi.
Tornai nella mia cella. Non poteva essere che tale perché io ero letteralmente ‘prigioniero’, mi sdraiai sul letto, mi misi a pensare, e per la prima volta considerai Mei Li come una donna, una femmina. Com’era? Difficile, se non impossibile, dirlo. Pantaloni e casacca abbastanza larghi e abbastanza sgualciti. Si vedeva solo il visetto, tondo, carino, ben disegnato, e i capelli nerissimi, tagliati abbastanza corti, un la frangetta sulla fronte. Carnagione del volto color alabastro, con piccole labbra, occhi logicamente a mandorla, abbastanza grandi. Espressione dolce. Io non supero i 175 centimetri di altezza, ma a giudicare dalla differenza di statura, Mei Li non doveva oltrepassare i 150. Una bambolina di porcellana, dunque, ma com’era il personale? Mah!
Non mi accorsi di addormentarmi.
Ad un tratto mi sentii chiamare.
‘Signor Marini”
Aprii gli occhi. Ai piedi del letto Mei Li sorrideva.
‘Capisco che &egrave stanco per il viaggio’ ma hanno portato la cena. Vuol venire?’
‘Appena il tempo di lavarmi la faccia.’
‘Bene, l’aspetto in cucina.’
Un po’ d’acqua sul volto, infilai la giacca e mi recai nella piccola cucina.
Il tavolo era coperto con una tela cerata a quadri. Semplici tovaglioli di carta, piatti di porcellana molto andante, quasi bianchi. Bacchette e, per me, in segno di amicizia, delle posate di un tipo che da noi non usano più.
Riso, pollo, una specie di focaccia, bassa e non molto saporosa. Acqua.
Per lo meno ero certo che non sarei ingrassato.
Mei Li mi servì con molta compitezza, mi parlò dello sviluppo continuo del suo paese, evitò accuratamente ogni accenno alla politica. Insisté molto sulla difficile fase presente, sul passaggio da una economia totalmente agricola a quella mista, si mostrò abbastanza aggiornata sull’Europa e sull’Italia.
Ad un certo punto, sorridendomi, mi chiese come fossero le donne italiane. Le risposi che le donne non hanno patria, razza, religione, od altro: sono donne, l’altra meravigliosa metà del cielo come, mi sembra, usano dire loro.
Mei Li, sorrise.
‘Noi siamo le compagne che collaborano al progresso della loro terra. Ma io sono curiosa. Conosco le occidentali da qualche fotografia, qualche film. Sono veramente così belle e’ formose?’
‘Ogni razza, Me Li, ha le proprie caratteristiche. Una statua non si giudica bella perché &egrave di grosse proporzioni. Ci sono delle deliziose statuine, in meravigliosa porcellana, in giada, che sono più attraenti e preziose di ogni altra.’
Notai un certo gradimento nel suo sguardo.
‘Sono eleganti”
‘Ad essere sincero, il modo di vestire delle donne di qui, per il poco che ho potuto vedere, &egrave molto uniforme, e non consente apprezzamenti’.’
‘Vuol dire apprezzamenti sull’esteriorità, giudizi materiali, come quando si acquista un animale’ Ma si sa come siamo fatti, tutti, uomini e donne, dal punto di vista anatomico. E’ il pensiero che deve prevalere. Cosa dice?’
Non capivo se fosse convinta o meno di quello che diceva.
Espressione impenetrabile. E mi guardava.
‘Vede, Mei Li, io sono imbevuto di criteri che privilegiano anche la esteriorità, pur facendo prevalere, ovviamente, la sostanza. E non credo di sbagliarmi perché in Cina c’&egrave una antica tradizione, pittorica, nei tappeti, nella poesia, nei racconti, che esalta la bellezza, quella femminile in particolare. Io ho letto qualcosa di Jim Ping Mei, ho visto riproduzioni di quanto custodito a Pechino in merito agli acquarelli della dinastia Qing, e so di una raccolta di migliaia di dipinti, in merito, che &egrave conservata a Shanghai’ Non voglio assolutamente criticare le direttive dell’attuale PCC, ma nessuno, né religione, né politica, né legge dell’uomo, potrà mai affermare che la bellezza non &egrave uno dei più bei doni della natura. Mi scusi, ma lei non si chiama Mei Li, che vuol dire bellezza?’
Mei Li aveva ascoltato questa mia sparata, dapprima impassibilmente, poi le sue gote erano avvampate, i suoi occhi sfavillavano, ed il suo volto era bellissimo, affascinante. Mi ero infervorato, non lo nascondo, e stavo pensando a come sarebbe stato far l’amore con una cinese naif, imbevuta di certe strane dottrine vietanti e reprimenti, che certamente potevano indurre complessi!
Mei Li cambiò argomento. Disse che sperava di sapere, l’indomani, qualcosa in merito all’appuntamento che mi doveva dare il compagno incaricato di incontrarmi.
Era abbastanza presto quando ci salutammo per andare a letto.
Come inizio di esperienza, non c’era male.
Mi avevano raccomandato, anche all’ambasciata cinese, di avere pazienza, di non sorprendermi di nulla!
Andai nella mia cameretta. Pigramente, mi misi in pigiama, mi sdraiai sul letto, sfogliai il libretto, in francese, ma senza particolare interesse. Mi ricordai che nella valigia avevo una rivista italiana, e il quotidiano acquistato prima di partire, due giorni prima. All’arrivo li avevano sfogliati accuratamente, logicamente guardavano le foto, perché non credo comprendessero una parola di italiano. Essendo una rivista professionale non c’erano i ‘nudi’ che ufficialmente detestavano!
Mentre ero intento a cercare tali giornali, sentii uno lieve scrosciare d’acqua provenire da quello che Mei Li aveva definito il ‘bagno in comune’. Mi affacciai sul corridoio, avanzai di qualche passo. Porta aperta. Mei Li faceva la doccia. Pochissima acqua scendeva su un corpicino snello, aggraziato, armonioso, ed anche molto attraente. Due tettine non eccessivamente delineate, fianchi snelli, gambe diritte e bellissime nella loro squisita morbida linea, partenti da tonde stupende natiche che, nel muoversi del corpo, mostravano impercettibili infossature formate dai muscoli che s’intravedevano sotto la pelle alabastrina e traslucida. Uno spettacolo unico, dal quale non riuscivo a distogliere gli occhi, ero incantato. Il piccolo triangolo scuro del pube non nascondeva del tutto quanto di prezioso era alla congiunzione di quelle meravigliose cosce. Una visione che mi eccitava’
Tornai sul mio letto, non troppo comodo. E non fu facile scacciare dalla mente ciò che la bella Mei Li ispirava.
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Il mattino dopo, anche per fugare le fantasie dalla testa, era appena giorno quando andai al vano definito ‘bagno’. Ripeto, in un angolo uno di quei WC detti alla turca, con un mezzo sportello di legno; un lavandino; e dalla parte opposta, proprio di fronte alla porta, un buco sul pavimento e una doccia a cipolla, in alto, dove giungevano due tubi: acqua calda e fredda, con due separati rubinetti. Mise il telo sullo sgabello, ed andai sotto alla doccia. Provai un rubinetto: fredda. L’altro, un po’ meno fredda. Ero intento a sciacquarmi alla meglio, quando la porta si aprì, entrò Mei Li, con i soli pantaloni, e senza badare a nulla si mise a lavarsi, al lavandino. Poi, si voltò, mi scorse, mi sorrise. Certamente si accorse dell’effetto che le sue tettine avevano avute su di me, ma rimase impassibile. Ancora un sorriso e uscì.
Pazienza, si, ma quello cominciava ad essere un vero e proprio supplizio di Tantalo.
Ero da poco rientrato nella mia cameretta, quando, vestita come il giorno precedente, apparve, sorridente e pimpante, Mei Li. Mi disse che la colazione era pronta: un ottimo t&egrave e una specie di biscotti che non capii di cosa fossero fatti.
Mei Li propose una visita in città, saremmo passati per alcuni luoghi noti, mi avrebbe fatto visitare una scuola per la formazione di giovani quadri del partito, e, al rientro, avremmo saputo quando, Hsin Yen Shang Wei, che a quanto mi ha spiegato si potrebbe tradurre in ‘Capitano fedele’ mi avrebbe ricevuto.
Pochissimo traffico, moltissime biciclette.
Interessante il tour, ma dovevo vedere solo quello che era nel loro programma, senza neppure scendere dalla jeep, sempre col soldato armato seduto accanto all’autista. Lunga spiegazione, in inglese, sulle nuove generazioni, destinate alla guida della Cina, che andavano formandosi nella scuola del PCC. Ritorno all’alloggio.
Discreto cibo, a base di riso e pollo.
Mei Li andò nella sua cameretta. La raggiunsi.
Era seduta sul letto, mi fece cenno di sederle accanto.
Le dissi che tutto era stato molto interessante, al mattino. Mi ringraziò e mi informò che il mio appuntamento era per il pomeriggio successivo. Mi chiese se avessi qualche desiderio.
Le sorrisi.
‘Si’ veramente mi piacerebbe conoscere una donna cinese!’
‘Io sono una donna cinese!’
‘Si, ma vorrei conoscerla come un uomo ‘conosce’ una donna. Non so se riesco”
‘Ho capito benissimo. Ripeto, io sono una donna cinese. Sono prima di tutto una donna, e quindi curiosa. Ti ho visto sotto la doccia’ sei molto peloso’ Ho visto tutto di te. Per la prima volta un uomo non della mia razza. Vuoi che chiuda la porta?’
Ero letteralmente attonito, dubbioso sul senso di quelle parole, pronunciate con la massima naturalezza, con calma.
‘Possiamo’ conoscerci?’
‘Si, hai capito benissimo. Io ho letto nella vostra Bibbia: Adamo ‘conobbe’ Eva. Se tu vuoi?’
Provai ad abbracciarla.
Mi sorrise, mi respinse con la massima dolcezza, si alzò, andò alla porta, la chiuse. Si voltò verso me e sbottonò quella informe casacca, rimasi a seno nudo. Un piccolo tondo seno, con una ciliegina bruna. Mi guardò, interrogativamente. Tolsi giacca e camicia. Lei si avvicinò. Lasciò cadere i larghi pantaloni di tela, le piccole mutandine di cotone bianco. Era una vera bambola di porcellana. La imitai. Togliemmo le scarpe.
La sola vista di quella splendida donnina, di un colore mai conosciuto, come miniata da un artista eccelso, mi eccitò. Mei Li lo guardò, sgranò un po’ gli occhi. Andò a sedere sul letto, mi tese la mano.
‘Tu, Piero, hai detto di conoscere la letteratura erotica del mio paese, sai quindi che spesso i nostri uomini ornavano il loro sesso per dare maggiore piacere alle loro donne, ma tu non ne avresti certamente bisogno. Avevo sentito dire che gli occidentali erano meglio’ come dire, meglio’ dotati. E’ vero.’
La strinsi tra le braccia, la baciai appassionatamente. Ricambiò con anche maggiore ardore. Mi abbassai a lambirle il seno a succhiare i capezzolini irrigiditi, e nel contempo le carezzavo il ventre, le natiche, il pube. Tuffai il capo in quel prato di neri fili di seta, lisci e corti. La lingua cercò’ trovo il minuto clitoride vibrante, il tepore umido dell’ingresso della piccola vagina, vi si intrufolò, insistette nell’esplorarla, a lungo, fin quando il sussultare del grembo e il fluido che stillava per la prima volta mi fecero conoscere l’impetuoso e travolgente orgasmo di una figlia del celeste impero.
Mi prese la testa, mi guardò, estatica, meravigliata.
‘Non lo avevo mai provato’ stupendo, fantastico, delizioso, inebriante”
Si sdraiò sul letto, alzò le ginocchia.
Ero eccitatissimo, tra le sue gambe, prese delicatamente il glande e lo portò all’ancora palpitante ingresso del suo paradiso.
‘Per favore’ piano”
Spinsi delicatamente, era stretta, ma andava lentamente cedendo e mi accoglieva fasciandomi soavemente, contraendosi in modo sconosciuto e inebriante. Percepivo il crescere del nostro piacere.
Non potevo penetrare di più. Lo sentivo. Mei Li incrociò le gambe sul mio dorso, inarcò il bacino. Accompagnò con maestria voluttuosa i movimenti che incalzavano. Mi guardava, con espressione affascinata e affascinante, con un un gemito, interrotto da parole incomprensibili, che andava aumentando, fin quando mi strinse convulsamente, e detto in un grido che aveva del selvaggio. Sobbalzò, impetuosamente’ ricadde’ giacque ansimando, con un sibilo roco e gli occhi aperti che, però, mostravano solo il bianco. Sembrava in trance. In quello stessi istante le dighe del mio piacere si ruppero, e fu un torrente impetuoso che la invase, accolto da lunghe e golose contrazioni che mi munsero totalmente. Mi prosciugarono.
Gli occhi di Mei Li tornarono ad essere naturali, normali.
Mi guardò, ancora un po’ affannata. Mi sorrise.
‘Non ti dimenticherò mai, Piero.’
E fino a sera, le detti ancora motivo di potenziare quel ricordo, e così ancora nella notte.
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L’incontro con Hsin Yen Shang Wei, fu una mera formalità. Carte già preparate, in cinese e italiano, con la clausola che avevano pari validità. Tutto in regola, quindi. E per fare questo avevo fatto un viaggio avventuroso. Per fortuna che la strana prigione nella quale mi avevano confinato, era stata deliziosamente addolcita da Mei Li.
L’aereo partiva alle otto di sera.
Ci alzammo appena in tempo per non perderlo.
Le ultime parole che mi sussurrò, all’aeroporto furono ancora quelle:
‘Non ti dimenticherò mai, Piero.’
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2002
Beijing, Shangri-La Hotel.
Stavo preparandomi per scendere a cena.
Trillò il telefono.
Una voce in un perfetto inglese, addolcito dalla tipica cadenza mandarina.
‘Una signora chiede di lei, Mr. Marini.’
Chi poteva sapere che ero arrivato a Pechino? E poi, una donna.
‘Una signora?’
‘Si, Mr. Marini, Mistress Mei Li.’
In un attimo tornai indietro di quattro decenni.
Scesi di corsa, senza neppure attendere l’ascensore.
Fasciata in un elegante abito di taglio occidentale, ma con molta influenza cinese, mi apparve la sempre deliziosa silhouette di Mei Li. Capelli bianchi con riflessi azzurro. Incredibilmente, lo stesso volto, gli stessi occhi.
Le andai vicino.
‘Mei Li?’
‘Visto che non ti ho dimenticato, Piero? Sapevo che dovevi venire. Participi al convegno della Beijing Normal University, ed io insegno Lingua e letteratura Italiana in quell’ateneo.’
‘Sei sempre splendida Mei Li.’
‘Non essere bugiardo. Ho quasi sessantacinque anni!’
‘No, sei bellissima, tu hai triplicato la tua età.’
‘Sono nonna!’
‘Anche io sono nonno.’
‘Un magnifico nonno. Ma parlami di te. Mi inviti a cena?’
‘Anche per dopo?’
Mi batté sulla mano, dolcemente.
‘Sei un tesoro, Piero. Ma credo sia meglio restare con il ricordo di allora. Almeno per me. A proposito so che posdomani vai a Ulaan Baator, all’Hotel Bayangol, &egrave centralissimo, nella Chings Haani. Mia figlia Pi Mi Te &egrave la moglie del direttore. Ti prego, portale i miei saluti.’
Dopo cena, l’accompagnai alla sua piccola auto, le baciai la mano.
‘Ti rivedrò?’
‘Purtroppo domattina parto per una conferenza a Shanghai. Ma spero sempre.’
Mi baciò sulla guancia, e mi bagnò delle sue lacrime.
Prima di mettere in moto, mi guardò.
‘Non ti ho dimenticato, Piero!’
Dopo due giorni, con il solito ritardo, mi imbarcai su un aereo della compagnia di bandiera mongola, la MIAT, Mongolian Airlines, che scherzosamente significherebbero May I Arrive Tomorrow’ forse arriverò domani!
Eccomi, finalmente, a destinazione.
Devo confessare che questa terra di Gengis Khaan, non mi ha colpito particolarmente, forse per il mio stato d’animo, una certa confusione mentale. Chissà perché.
Hotel, ottimo, accogliente.
Alla reception l’impiegato borbottò qualcosa al telefono, e poco dopo apparve una visione fantastica. Una donna alta, elegante, con un viso splendido. Volto certamente con caratteristiche cinesi, ma un personale che si staccava un po’ dalle particolarità proprie di quella razza. Un bel seno, meravigliosi fianchi. Un’espressione incantevole. E parlava italiano!
‘Benvenuto, Signor Martini. Sono Pi Mi Te, mamma mi ha preavvertito del suo arrivo. Le abbiamo assegnato la migliore suite. Peccato che si fermerà solo due giorni. Se non ho capito male, lei riparte per Berlino dopodomani.
Ero rimasto senza parole, un’accoglienza affettuosa, non normale per queste genti. Pi Mi Te, quasi mi abbracciò, e mi sfiorò la guancia con un bacio.
La sera il marito e lei mi vollero al loro tavolo. Il marito era un compitissimo inglese, di Chelmsford, nell’Essex, e sperava di essere presto trasferito ad altra sede. Ormai erano circa venti anni che gironzolava in Asia.
Non era facile concepire l’unione di quei due caratteri, la riservatezza inglese e una esuberanza che, però, non aveva nulla dell’asiatico. Erano sposati da oltre quindici anni. Senza figli.
Mi sentivo a mio agio, con loro, e il mattino che ripartii mi dispiaceva lasciarli.
Lei volle accompagnarmi all’aeroporto.
E anche lì, mi abbracciò, mi baciò.
‘Lei &egrave molto cara, Pi Mi Te. Come si tradurrebbe in italiano, il suo nome?’
‘Pi Mi Te? Segreto. Mia madre Mei Li, mi ha chiamata così perché io sono il suo segreto. Non mi ha voluto mai dire chi fosse mio padre.’
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