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Racconti Erotici Etero

Memorie intime – II – Il potere del sesso

By 8 Settembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Sorvolerò sul periodo della mia adolescenza. Le mie prime esperienze sessuali, come tutte le prime volte, hanno un qualcosa di innocente e di incompleto, tali da renderle interessanti solo per chi le ricorda in prima persona’ Non sarebbero granchè come argomento di conversazione!
Per completezza, mi limiterò a dire che sono stata una ragazzina precoce; vittima di genitori poco presenti (o presenti in maniera poco educativa, come ben saprà chi ha letto il primo capitolo di queste Memorie intime) e di un corpo che già a 14 anni si rivelava ben formato e procace, divenni presto il bersaglio di tutti i ragazzi del circondario.
Specie nell’ambiente di campagna, dove trascorrevo le vacanze estive, i ragazzi che avevano sette o otto anni più di me erano in grado di farmi fare tutto ciò che desiderassero.
Erano così eccitanti, con i loro muscoli, la loro forza, la loro prestanza! Così diversi dai miei amichetti snob di città, magri e pallidi!
Di tutto questo i miei genitori non s’accorsero mai, troppo impegnati a frequentare i loro cari salotti e le loro noiosissime compagnie..

In compenso, io crescevo in fretta e man mano che andavo avanti nel mio percorso apprendevo sempre con maggior lucidità quanto il sesso fosse un arma potente, una merce di scambio notevole tra gli esseri umani.
All’epoca non avevo ancora letto Freud, tuttavia questo fatto mi sembrava già allora evidente: in un periodo storico in cui il ruolo della donna era ancora subordinato al dominio dell’uomo, il sesso rappresentava un’arma assai potente in mano al cosiddetto gentil sesso!
Pur di ottenere quel risultato i ragazzi erano disposti a qualsiasi cosa e le femminucce, se erano sveglie, ne approfittavano!
Fu, però, solo all’età dei 18 anni che scoprii la forza dirompente di quest’arma.
Arrivata al’ultimo anno di liceo, dovendo decidere per il mio futuro, avevo scelto di intraprendere la carriera giornalistica. Consultandomi con amici di papà avevo iniziato a prendere in considerazione l’idea del trasferimento in un’altra città: le due scuole di giornalismo allora maggiormente in voga erano quella di Milano e quella di Roma. Quest’ultima era quella che mi attraeva maggiormente, tuttavia sorse subito un problema non indifferente: la scuola di giornalismo faceva entrare solo quelli che fossero usciti dalla maturità con una media superiore o uguale agli 8/10.
Io andavo bene nelle materie umanistiche, ma ero un’incapace in matematica e algebra.
Nonostante mi impegnassi incredibilmente non riuscivo a superare il 6 e mezzo, il che metteva a serio pericolo la mia ammissione a Roma.
Mi sarebbe bastato pochissimo per arrivare all’8, ma non riuscivo, nonostante corsi di recupero e insegnanti a pagamento’
Decisi, perciò, di tentare il tutto per tutto uno degli ultimi giorni dell’anno scolastico.
Una mattina, a fine lezione, mentre tutti i miei compagni se ne stavano già andando, chiesi al professore se aveva tempo per stare ad ascoltarmi perché avevo da esporgli un problema..
– Certo, ma aspetti solo un attimo, vado ad avvertire il bidello’ Quello ha sempre fretta di andare a casa, mi farò lasciare le chiavi’
Ed uscì dalla porta, lasciandomi sola in classe.
Quell’uomo, allora, avrà avuto una cinquantina d’anni. Capelli corti a spazzola, brizzolati; occhiali rotondi, naso aquilino. Vestiva sempre in giacca e cravatta, senza molto stile, scarpe immancabilmente nere di vernice.
Non era male come professore: severo, ma giusto’ Quando mi ero presentata a lui non avevo in mente nient’altro che di parlargli francamente, per fargli comprendere la mia difficile situazione’ Pensavo che un uomo come lui avrebbe potuto capire’ Mi sarebbe bastato ‘ di voto per poter arrivare alla media che tanto desideravo!
– Eccomi di ritorno’ Siediti, pure qua ‘ e mi indicò la sedia di fianco alla sua, tra la cattedra e la lavagna.
Io mi sedetti, ero imbarazzata’
– Dimmi, di cosa volevi parlarmi?
– è imbarazzante’ – non trovavo le parole’ se prima avevo tante cose per la testa, ora non trovavo la forza di esternarle.
– Imbarazzante?’ di cosa si tratta?
Era gentile, vedeva che c’era qualcosa che volevo dire, ma che non osavo’
– Si tratta dei tuoi voti?
– Si’
Alla fine, dopo alcune insistenze, presi coraggio e gli esposi il mio caso.
Lui ascoltò tutto con molta attenzione, in silenzio, annuendo’ Io gli spiegai per filo e per segno tutto quanto, che mi sarebbe bastato un misero 7 sulla pagella per essere tranquilla, che dopotutto, avendo io la media del 6 e mezzo non sarebbe stato giusto abbassarmi la media al 6, e così via’
Vedendolo così attento mi rincuorai: – Forse mi verrà incontro ‘ pensavo.
Così, quando ebbi finito, rimasi in silenzioso rispetto, aspettando la sua risposta, ma quando questa arrivò non fu come me l’aspettavo:
– Giulia, rispondi a questa domanda: sono mai stato ingiusto con te, nei voti?
Quella domanda, pronunciata con tranquillità, ma con fermezza, mi spiazzò:
– No’
– E dimmi ancora’ L’impegno che tu hai messo nello studio della mia materia era tale da farti meritare voti più alti?
– Bè.. questo io’
– Mi spiace, Giulia’
A quelle parole mi cadde il cielo in testa.
– No, professore, non può farmi questo! ‘ urlai. ‘ Ho bisogno di quel voto! Mi dia una mano, la prego’ Mi basterebbe solo il 7 sulla pagella! La mia media è del 6 e mezzo e’
– Lo sai come la penso: sei e mezzo non è 7!
– Ma professore!.. ‘ Stava già per alzarsi, ma io lo trattenni e aggrappandomi alla sua spalla. Non mi ero mai presa una confidenza del genere con un professore, ma in quel momento ero tropo agitata. Allora, a differenza di adesso, il divario tra professore e alunno era abissale. La loro autorità era immensa, non ci si permetteva assolutamente di metterne in discussione la parola, né tantomeno di prendersi certe libertà ‘fisiche’.
Lui non se l’era aspettata una reazione del genere, perciò rimase fermo, ancora seduto sulla sua sedia.
Io avevo appoggiato la testa sulla sua spalla e continuavo ad implorarlo, sull’orlo delle lacrime, ma lui rimaneva fermo sulla sua posizione, pur cercando di consolarmi, impacciato e leggermente imbarazzato per la confidenza che mi ero presa.
Ero ormai rassegnata, nella mia mente confusa le sue parole risuonavano come una minacciosa sentenza’
Tutto sembrava crollarmi addosso, quando d’un tratto vidi qualcosa che mi diede un’ultima speranza: con la testa appoggiata alla sua spalla, aperti gli occhi notai un notevole rigonfiamento sotto la patta dei suoi pantaloni.
Evidentemente, quella libertà che mie ro presa, il contatto del mio corpo contro il suo’ Doveva averlo eccitato!
Colsi la palla al balzo e, sempre piagnucolando, incominciai a strofinare il mio seno abbondante contro di lui cercando di spiarne la reazione.
Dato che faceva finta di nulla tentai un secondo esperimento: come se niente fosse lasciai cadere la mia mano sulla sua coscia, proprio di fianco all’inguine.
A questa mossa lo vidi arrossire, deglutire imbarazzato’Ora era lui a trovarsi in difficoltà!
Insistetti:
– Professore, la prego’
– Dai, Giulia, ora basta’ Te l’ho già spiegato’ – ma ora la sua voce non era più credibile.. aveva perso tutta la sua fermezza, la sua sicurezza.
– Ma.. come posso fare per farle cambiare idea’ Ci sarà un modo!… ‘ E piano piano spostai la mano fino a sfiorargli quel gonfiore che premeva da sotto la tela dei pantaloni.
In un ultimo impeto di serietà il professore cercò di ricomporsi, e per liberarsi dalle mie grinfie fece per alzarsi, ma questo non fece che peggiorare la sua situazione perché mi ritrovai con la sua patta proprio di fronte al naso.
– Professore, la prego’ mi ascolti ancora un attimo.. Se ho trovato il coraggio di venirle a parlare è solo perché lei mi è sempre sembrato una persona buona, comprensiva’ Io l’ho percepita da subito questa sua vicinanza’ – il poveretto era molto imbarazzato, tuttavia ora non faceva più alcuna resistenza. Io, dal canto mio, continuavo questa mia sviolinata.. il suo pacco sempre ad una spanna dal mio viso, gli occhi puntati verso l’alto, verso i suoi. Fingendo di impedirgli di scappare allungai una mano per fermargli una gamba. Lo sentii tremare lievemente.
– Cosa hai in mente? ‘ un ultimo tentativo di liberarsi di me, ma senza convinzione
– Io? Ma niente, professore!… Solo, io l’ho sempre saputo che lei è una persona giusta’ che premia le persone meritevoli’ – E lentamente le mie mani salirono verso la cintola. ‘ Lo so’ potrei fare di più’ ma lei lo sa che di impegno ce ne metto molto, non è vero?
Si limitò ad annuire’ Io allora capii che potevo andare avanti. Con una mano scivolai sulla sua patta. Ce l’aveva durissimo! Glielo accarezzai attraverso la tela dei calzoni.
– Professore ‘ lo stuzzicai ‘ non sa quanto ho desiderato questo momento!
– Dici davvero? ‘ era sorpreso, le parole gli uscivano strozzate.
– Certo! ‘ lentamente gli sbottonai i pantaloni. Aveva le mutande bianche, un bel bestione duro storto verso destra. Glielo accarezzai con dolcezza. ‘ Quanto ho fantasticato su questo momento’ ed ora’.
Stava per scoppiare. Lo vedevo fremere, non sapeva cosa fare’ Si lasciava condurre verso il baratro in silenzio, teso come una corda di violino.
Lentamente gli abbassai l’elastico delle mutande. Il suo cazzone era già bello duro, ricurvo verso l’alto, e le sue palle erano enormi, gonfie come una zampogna.
La sua fronte si era imperlata di sudore, i suoi occhi seguivano con attenzione ogni più leggero movimento delle mie dita.
Rimasi un attimo immobile, ad ammirare quel pezzo di carne duro come il marmo, già mezzo scappellato, di fronte ai miei occhi, poi allungai una mano.
Aveva la pelle del prepuzio bollente. Gliela feci scivolare verso il basso così da liberare in tutta la sua grandezza una cappella rotonda, dalla sommità quasi appiattita.
Era lucida, gonfia come un pomodoro:
– E” enorme!… ‘ non era vero, ne avevo visti di più grossi, tuttavia sapevo che così facendo sarei riuscita a portarlo sempre più dalla mia parte
– Ti piace? Eh..?
Non gli risposi neppure, mi limitai a rivolgergli un’occhiata languida, poi abbassai la mia testa su quella prelibatezza, schiusi lievemente le labbra e me lo lasciai scivolare in bocca.
Doveva essere davvero eccitato, perché era durissimo.
La mia lingua si impastò di quel gusto leggermente salato e intenso di cazzo. Di cazzo sudato, dopo una giornata di lavoro. Mi piaceva un mondo.
Ero particolarmente brava a succhiarlo, lo sapevo! Tutti i ragazzi venivano matti per i miei pompini! E se ero brava era solo perché succhiare i cazzi mi piaceva da impazzire! Ci mettevo’ passione!
Anche il prof sembrava soddisfatto. Pian piano prendeva confidenza:
– Si, così’ succhiamelo, così’
Le sue parole erano un sussurro, tuttavia aveva ripreso quella sicurezza di sé che lo caratterizzava durante le lezioni. Nonostante un fisico mingherlino e l’spetto assolutamente ordinario, vestito in giacca e cravatta, con quel bel pisello dritto fuori dai pantaloni, devo dire che non era niente male!
Avendo preso il comando della situazione, poi, mi sentivo già piuttosto eccitata’ Volevo fargli vedere di cosa ero capace, che anche lui lo sapesse!
A questo punto mi staccai per un attimo da quel bocconcino, lasciando che un filo di saliva si allungasse dalla cappella alle mie labbra, fino a spezzarsi cadendo sul pavimento. Velocemente mi sfilai la maglia dal collo, poi sciolsi il reggiseno.
Dall’età di 14 anni avevo messo su una quarta che era la mia grande soddisfazione. Il prof sembrò incredibilmente colpito dal mio seno; forse, in tutti quegli anni non aveva mai immaginato che sotto quei maglioncini si celasse un così straordinario tesoro. Me ne accorsi immediatamente e, perfidamente, iniziai a massaggiarmelo.
– Sei bellissima ‘ sussurrò
Io mi sollevai allora in piedi e mi sedetti sulla cattedra di fronte a lui.
Ormai aveva capito di non avere più scampo. L’avevo incastrato, era mio!
Si buttò con il suo bel faccino sbarbato a capofitto sulle mie tette. Me le agguantò con foga, stropicciandomele, leccandomele. Era davvero su di giri! Chissà da quanto non gli capitavano sotto mano due mammelle come le mie?!
Era eccitante vederlo in quello stato: non ero mai stata con un uomo della sua età’ mi faceva effetto pensare di avere ai miei piedi un cinquantenne! Un professore!
D’un tratto si sollevò’ era come sfigurato in volto, non l’avevo mai visto in quello stato.
Si avvicinò a me, mettendosi con il corpo in mezzo alle mie gambe, il suo pisello paonazzo a contatto con la mia pelle. Capii al volo: mi agguantai i seni e li avvolsi attorno a quel pezzo di carne bollente.
– E’ questo che voleva, eh?
– Si, fammi godere, piccola porcella!
‘Piccola porcella’! Mi sarei immaginata qualcosa di più forte, quel nomignolo mi fece sorridere. Chissà sua moglie come la chiamava in certi momenti?… Sempre che la chiamasse ancora!…
Abbassai il capo e feci colare nel solco tra le tette un po’ di saliva, per renderlo maggiormente scivoloso, poi iniziai a farlo scorrere su e giù. Stretto. La cappella lucida si copriva e scopriva ritmicamente. Su e giù!
– Le piace eh?
– Si!… – gemeva lui ‘ Così, così!…
– Vuole venirmi addosso, è così?
– Si, si!…
Avevo la bocca aperta, ora, e ad ogni scappellata lo facevo scorrere entro le labbra, glielo leccavo, lo facevo scivolare lungo i denti’
Era buono! Mi è sempre piaciuto quel gusto, quel sapore! E poi, in quei momenti’ Quando un uomo sta per venire è la donna a guidare il gioco e soprattutto nel sesso orale è fantastico vederli così fragili, così ai tuoi piedi! Mi faceva impazzire quella sensazione di padronanza, di potere!
In quell’istante iniziò a gemere, ad ansimare’ il respiro affannoso.
Capii che stava per esplodere, così mi preparai per il gran finale. Ora glielo scappellavo velocemente… in mezzo alle mie tette morbide.
Iniziò ad emettere un ruggito soffocato.. mi appoggiò la mano sul capo, in mezzo ai capelli, quasi ad immobilizzarmi, ad impedirmi di scappare sul più bello. Ma io mica ci pensavo a scappare!
Un primo schizzo mi rigò il viso, dalla guancia alle labbra. Aprii la bocca e il secondo schizzo la centrò, impastandomela di quel liquido denso e acidulo che è la sborra.
Il più era fatto. Non rimaneva che svuotarglielo del tutto, così continuai quel lungo massaggio mentre il solco tra le tette si riempiva di sperma lattiginoso, fino a bagnarmi il collo.
Doveva essere molto che non veniva perché ne aveva avuta a palate e di una densità pazzesca! Allora staccai le mani dal seno e abbassando il viso su quel cazzo sfinito me lo infilai per l’ultima volta in bocca. Glielo succhiai tutto, per ripulirglielo, ed ingoiai quel poco di sborra che ancora avevo in bocca. Si stava già afflosciando. Quando mi staccai si abbandonò rivolto verso il basso, come una lunga proboscide ancora piuttosto gonfia.
Doveva essere sfinito, sia fisicamente che mentalmente. Si sedette sulla sua seggiola con le mani penzoloni, lo sguardo assente. Non se lo sarebbe mai aspettata una cosa del genere da me!…
Io intanto mi ero alzata e tutta quella sborra era colata verso la cintola, macchiandomi il bordo superiore della gonna azzurra. Con un fazzoletto mi asciugai tutta, sotto il suo sguardo perso nel nulla, poi mi infilai il reggiseno e la maglia.
– Hai ancora!… ‘ esordì, tornato timido ed impacciato.
Indicava la mia guancia. Io non capivo…
Ci passai sopra le dita: sentii qualcosa di umido, denso’ era quel primo schizzo di sborra! Me ne ero dimenticata!
Poco male, mi infilai quelle dita in bocca e succhiai avidamente quello sperma addensato di fronte allo sguardo sbigottito del professore, poi voltai le spalle.
– Buongiorno, professore!
Non mi rispose. Lo lasciai solo in quell’aula, seduto su quella sedia e con quel cazzo fuori uso adagiato sui suoi pantaloni grigi.
Non lo rividi più nei giorni successivi, si era messo in mutua.
Io non sapevo come prenderla, ma ero fiduciosa.
Non mi sbagliavo, quel lavoretto, infatti, riuscì a compiere un gran miracolo: trasformò un 6 e mezzo in un 7 pieno ed io riuscii ad iscrivermi a quella scuola di giornalismo.

Quell’ episodio rappresentò una grande lezione di vita per me: se fino ad allora non ero stata cosciente del potere che una donna poteva esercitare su di un uomo, ora ne ero consapevole. Inaspettatamente, la vita mi aveva reso un gran servizio: ora sapevo come funzionava il mondo! Ora avevo imparato che, in un mondo maschilista come l’ Italia del dopoguerra, se una donna sapeva giocare bene le sue carte poteva raggiungere qualsiasi obiettivo.
Durante il corso della mia vita feci tesoro di quell’intuizione!
Se avrò la voglia e la forza di continuare queste Memorie, ve ne renderete conto pure voi.

Uomini o donne che siate, se avete voglia di prendere contatti con me scrivetemi a donnadaltritempi@hotmail.it.
Sarà un vero piacere, per me, scambiare quattro chiacchiere con voi, sia che vogliate criticarmi, sia che vogliate semplicemente parlare con me.
A presto

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