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Racconti Erotici Etero

Mio Cognato – Cap II

By 17 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Non lo rividi nelle due settimane successive, fui io questa volta ed evitare gli incontri.
Avevo scopato con il fratello del mio ragazzo, avevo scopato con un uomo sposato.
Le scopate con Luca non furono eccelse, non riuscivo a dimenticare quel membro, quel viso, quel corpo, quell’uomo così triste e silenzioso, che mi aveva chiavato con una forza ed una violenza, ma allo stesso tempo con una dolcezza e passione che mi lasciarono senza fiato. Più lo pensavo, più lo immaginavo “sopra” di me, più i sensi di colpa mi assalivano. Mi scoprivo a pensare a lui nei momenti più disparati, all’università, sul tram, mentre studiavo.
La mia forza di volontà riusciva a contrastare queste immagini, riusciva a distrarmi, a farmi pensare ad altro. Ma il momento peggiore era quando andavo a letto, in quel momento non avevo scuse, non avevo distrazioni, ed il ricordo di quel giorno si imponeva prepotentemente. Pensavo, pensavo, mi crucciavo, spofondavo nei sensi di colpa, ma la mia mano scendeva, carezzava le labbra, inumidiva le dita, e scendeva sui seni. Li stringeva, li graffiava, strofinava dolorosamente le dita sul capezzolo.. e continuava a scendere, verso il pube. Premeva sul ventre, sorpassava la peluria, arrivava alla figa; afferrava il clitoride, lo stimolava con violenza, si tuffava tra le piccole labbra, fino al fradicio buchetto, si insinuava con due dita. Dita che si ripiegavano immediatamente ad uncino, premendo contro la parete anteriore della vagina, provocandomi dolore. E continuavo, continuavo, fin quando venivo, in silenzio, ma ansimando per il male che io stessa mi procuravo. Volevo punirmi? Probabile. Tutte le volte che pensavo a Marco, a letto, con le mie mani dentro gli slip, finiva così. Un tentativo di autopunizione, che alla fine sfociava in un potente orgasmo.
Nei giorni che seguirono riusciì ad andare a trovare i suoi, sempre con la paura che Marco potesse piombare li da un momento all’altro. Mi stupiì della mia capacità di dissimulare, davanti a Luca, a sua madre ed a suo padre.
Ero sempre quella bella fanciulla con l’innocente viso da angelo. Non potevano immaginare che quella graziosa bambolina si era fatta riempire la bocca del seme di entrambi i loro figli, si era fatta sfondare figa e culo sia dal cazzo di Luca (beh, li tutto normale) che da quello di Marco, del loro figlio maggiore, sposato, e con un bambino. Tutto rimase stazionario fino a qualche giorno dopo. Non sentì “mio cognato”, ne ebbi sue notizie.
Un lunedì, normalissimo lunedì universitario, se non per il tempo orrendo: pioggia, fitta e fastidiosa. Finita l’ultima lezione, alle 14 usciì dalla facoltà di ingegneria, provai a coprirmi con il cappuccio del giubotto e mi avventurai tra la fitta pioggia. Pensavo a tutto, tranne che a Marco, pensavo a non bagnarmi, ad evitarele pozzanghere, pensavo che ero in ritardo con lo studio, che mai e poi mai avrei superato l’imminente esame, facevo perfino in mente un calendario delle ripetizioni con i colleghi. Ero appena uscita dal cancello e stavo dirigendomi infreddolita alla fermata del tram, quando alzai lo sguardo e lo vidi. Li, appena oltre il cancello, mi aspettava, sotto una piccola tettoia, con le braccia conserte e con uno sguardo assolutamente indecifrabile.
Ebbi la stessa reazione di chi vede un fantasma, mi bloccai, le ginocchia divennero molli, il cuore cominciò a pulsare tremendamente, lo sentivo perfino in testa, mi scivolò lo zaino dalla spalla, ed ingoiai, rischiando di strozzarmi, il chewingum che masticavo.
“Perchè è qui?” mi chiedevo. Sapevo che avevamo sbagliato, che non avremmo dovuto mai più incorrere in un simile errore, ma speravo vigliaccamente che l’argomento non si prendesse, che non si parlasse di quello che era successo, delle porcate che avevamo fatto rese ancora più sporche da quel vincolo di “parentela”.
Non sapevo cosa fare. Ignorarlo? Non sarebbe servito.Affrontarlo? Controproducente.
Restai li, a pochi metri da lui. Restammo così per qualche secondo, forse minuto, forse di più, fin quando non lo vidi portare le sue braccia lungo i fianchi ed abbassare lo sguardo. Decisi allora di affrontarlo, di parlare con lui, di “razionalizzare” quello che era successo. Non pensavo di farcela, ma lo speravo. Mi avvicinai, a passi lenti, come colui che si dirige verso il patibolo, mi resi conto di stare sudando freddo. Tutto quello che fui in grado di dirgli fu “ma non senti freddo?”. Rispose con un timido ed imbarazzato sorriso “Stò congelando, Giulia”. Ero imbarazzatissima “Scusa, sono in ritardo, mi passa il tram, devo andare presto a casa perchè ho un bel pò di roba da studiare, davvero mi spiace”. Tranquillo mi disse “Ti accompagno io”. Ero io adesso la timida e maldestra ragazzina.
Entrai in macchina, ero fradicia e congelata, lo guardai con gli occhi di un cagnolino affamato e triste “puoi accendere i rislandamenti, per favore?”, sorrisi. Ricambio il sorriso ed accese il motore. Rimase col motore acceso, ma fermo li, posteggiato, tempo che le mie membra tornavano alla fisiologica temperatura corporea di 37 gradi. Rimanemmo in silenzio in tutto questo lasso di tempo, e non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi.
Fu lui a rompere il ghiaccio “Giulia, Giulia…”. Alzai gli occhi, gli sorrisi. Aveva un’espressione dolcissima, un sorriso appena accennato, gli occhi, quegli occhi neri e profondi, che mi carezzavano solo con lo sguardo.
Si avvicinò, portò il suo viso vicinissimo al mio, lo abbassò, oltre il mento, baciando il collo e l’orecchio. Lo stesso identico bacio che mi diede quel giorno a casa dei suoi.
Mi mancòil respiro,vennero meno le forze, sentiì prepotentemene la mia fighetta gocciolare e diventare rovente, tanto che dovetti portare una mano sul cavallo dei pantaloni. Fu una goduria fisica, mugolai per il piacere, reclinai indietro la testa per offrirmi a quella caldissima bocca. Mi baciava, mi leccava, mi succiava il collo, avvicinò la bocca al mio orecchio, e sussurrando mi disse “Amore mio, ti voglio!”. Abbassai la testa, presi la sua tra le mie mani, e lo baciai, non dolcemente, ma come si baciano due persone rapite dalla passione e dalla voglia. Le nostre lingue si cercavano, si toccavano, si carezzavano a vicenda. i nostri denti mordicchiavano le labbra dell’altro, le mani scorrevano su tutto il corpo, sui capelli, sul viso, sulla schiena. Ansimavo per la voglia, e per la reazione che quel bacio mi procurava. Mai ebbi una voglia così forte, da sentire gli slip fradici da sotto i pantaloni.
“Chiavami Marco, ho bisogno del tuo cazzo! Portami in qualche posto e prendimi!”.
Ci staccammo da quel voglioso abbraccio, e la macchina partì. Stavo sul sedile passeggero, fremevo, mi infastidivo ad ogni semaforo rosso, non vedevo l’ora di fermarci per poterlo scopare. Uscimmo dal centro abitato, e riconobbi la strada. “ma.. stiamo andando nella villetta dei tuoi?”. “Proprio li” rispose. Da una parte non ne fui felicissima, mancavano ancora almeno 15 minuti di strada, dall’altro, mi eccitai ulteriormente, poichè avevo già un pensierino su come ingannare il tempo. Slacciai la mia cintura di sicurezza, e quella di Marco, mi avvicinai a lui, gli mordicchiai l’orecchio, carezzando i capelli con la mano, e mi diressi in basso.
Con sguardo malizioso, con occhi fissi su di lui per scoprire la sua reazione, gli slacciai la cintura, sbottonai i pantaloni, e non ci fu nemmeno bisogno che tirassi fuori io il cazzo dalle mutande. Guizzò fuori da solo, talmente potente era la sua eccitazione. Sgranò gli occhi, era decisamente sorpreso, “Giuli, non fare quello che penso tu ti stia accingendo a fare, ti prego!”. “Perchè mai, di grazia?” chiesi io cominciando a dare piccoli colpetti di lingua sul glande.
“No, amore no, così mi fai venire appena lo metti in bocca! Ti prego smettila!”. “Va bene, la smetto, ma non adesso!” dissi infilandolo tutto in bocca. “Ahhhh, Dio mio!”, sussurrò Marco, continuando a guidare. Continuai, leccai il glande, indugiavo sul frenulo, lo riempivo di saliva, e poi scendevo giù, lo infilavo tutto in bocca, fino alle palle e succhiavo, succhiavo. Risalivo, e riprendevo il movimento. “Amore no, Dio no…. basta, amore non riesco a trattenermi, basta!”. Capiì che stava per venire, nonostante gli appena 30secondi di bocchino, ma non mi fermai, volevo che mi riempisse la bocca di sborra, li, in macchina. Aumentai il ritmo, per farlo non scesi in fondo con la bocca, mi fermai a metà, potendo però succhiare, leccare e segare con le labbra contemporaneamente. Sentì la macchina frenare, Marco stava per venire “Amore si, daii, stò godendo da morire, nassuna mi aveva fatto un pompino così, dai, dai, Giulia, continua, ti prego, non fermarti… non…. Ahhhhhhhhhhhh”. Venne, tanto copiosamente da non riuscire ad ingoiare tutto, tossì, e un pò di sperma cadde sui pantaloni. Lo pulì per bene, mentre Marco tremava, aveva il cazzo talmente sensibile, che la mia lingua dovette sembrargli carta vetrata. “Vieni qui amore, baciami!”. Lo accontentai, lo baciai, facendogli assaggiare il suo spema dalla mia bocca. Ci baciammo appassionatamente per un pò, poi mi guardò e mi disse “Non sperare che la mia voglia di te sia svanita, ho ancora una voglia pazzesca!”. La macchina ripartì, e in 10 minuti, arrivammo a destinazione.
Accendemmo i riscaldamenti, le case in campagna, d’inverno, sanno essere davvero gelide. Ci sedemmo sul divano, mettendoci sopra una coperta, tremanti dal freddo, attendevamo che il caldo di diffondesse. MArco si avvicinò, non per baciarmi ma per sfilarmi i pantaloni da sotto le coperte, li buttò per terra, e sentìì la sua mano carezzarmi il pancino da sotto la maglietta, e scendere giù, verso gli slip. “Amore, devi essere davvero eccitata!”, disse, facendomi intuire che avevo le mutandine tutte umide per i miei umori. Continuò a massaggiarmi da sopra le mutande. Non vedevo ne il suo braccio, ne la sua mano, ne il mio corpo, dal seno in giù, in quanto coperti dal pail. Non vedevo ciò che Marco mi stava facendo, portandomi a concentrare lo sguardo sul suo viso. Sfilò gli slip.. lo sentì carezzare i peli pubici, scendere giù, verso il clitoride, giocarci un pò con il pollice.. e finalmente lo sentì in porssimità del mio piccolo e bagnato buchetto.
Marco mi guardava, mentre sospiravo, e lo fissavo, raccontandogli con gli occhi ciò che provavo. Finalmente entrò, mi penetrò con due dita, e mugolai per il piacere. Gli occhi mi divennero lucidi, ed aggrottai le sopraciglia. “Marco.. adoro le tue dita!”. Continuò a penetrarmi, muovendole dentro, entrandole ed uscendole, fin quando, sopraffatta dal piacere, non riuscì più a sostenereil suo sguardo, chiusi gli occhi e reclinai il capo, sul bracciolo del divano. Lo sentivo ancora giocare dentro di me, quando lo sentì spostarsi, alzare la coperta, e fiondarsi con la bocca sulla figa. Gemetti, portai le mie mani sul suo capo, gli carezzai freneticamente i capelli, con la spinta delle mani gli imponevo un particolare ritmo e movimento, e mugolavo, ansimavo, sussurravo “Amore così, così, ti prego continua, fammi impazzire dal piacere”. In tutta risposta, i movimenti della sua lingua divennero più decisi, la penetrazione delle sue dita, più ritmica e profonda. Non ci volle molto, sentivo l’orgasmo arrivare, ma provai più volte a trattenerlo. Quando non ce la feci più “Marco, stò per venire, dai, bevimiiiiii daiiiii vengooooooooooo Dioooooo siiiii!!!!!!”. Stavo godendo come mai nessuno mi aveva fatto godere con la lingua, continuò a succhiare il clitoride, anche pochi secondi dopo l’orgasmo, fin quando il fastidio divenne insopportabile, lo presi per il viso, e lo portai vicino al mio. Ci baciammo, volevo sentire il sapore della mia figa, lo facevo spesso, ed ogni volta mi eccitava da morire. Sentivo i miei umori anche sulla sua guancia, sulla punta del naso; li odorai, li leccai con la lingua, pulendogli il viso come avrebbe fatto un gatto. “Amore mio, mi hai inondato di umori, caldi, profumati, eccitanti!”.
Quelle parole mi eccitarono da morire, nonostante fossi già venuta, il mio ventre reclamava il suo cazzo. Quell’uomo era mio cognato, era sessualmente inesperto, era shchivo e silenzioso, ma riuscita a farmi bagnare anche soltanto con le parole. Mi alzai, in piedi davanti a Marco, mi tolsi la maglietta, la camicia ed il reggiseno, lasciandoglielo scherzosamente. Ero nuda, davanti a lui. Mi avvicinai.. gli sfibbiai la cintura, i pantaloni, le scarpe e lo denudai, dal bacino in giù. Lo baciai, e gli dissi “Guarda com’è puttana la fidanzata di tuo fratello!”.
Mi diressi verso il tavolo, distante solo un paio di metri dal divano, mi di sedetti, alzando le gambe, divaricandole, appoggiando i piedi alle spalliere delle due sedie vicine. Poteva vedere benissimo la mia passerina, la poteva vedere luccicare, bagnata dagli umori. Cominciai a masturbarmi, davanti e lui, infilando dentro due dita della mano sinistra, e stimolando il clitoride con la mano destra. Lo invitai a segarsi, e mi ascoltò. Aveva il cazzo enorme, eretto al massimo, con il glande rosso e possente. Mi eccitava da morire, volevo quel cazzo. Alzai il bacino, rendendo disponibile alla sua vista ache il mio buchetto del culo, inumidìì l’indice con i miei umori, e cominciai a massaggiarlo. Infilavo l’ultima falange del dito nel culetto, lo uscivo, lo inumidivo di nuovo.. e continuavo. Il culo si abituò a questa presenza e si rilassò. Cominciai a spingere l’indice dentro, laprima falange, la seconda, la terza, fin quando tutto il dito riuscì ad insinuarsi nel mio intestino. “Amore, lo voglio…” disse Marco, e si avvicinò. Sputai sul palmo della mano, e spalmaila saliva sul suo cazzo. Alzai le gambe, sopra le sue spalle e gli dissi “Inculami, cognatino mio, sfondami il culetto!”. Appoggiò il glande sull’entrata e lo spinse dentro. Mugolai, non lo ricordavo così grosso. Restòcosì un pò.. poi il cazzo proseguì il suo cammino oltre losfintere. Mi allargava le carni, quell’enorme membro, mi faceva sentire letteralmente aperta in due, lo sentivo insinuarsi con difficoltà all’interno dello stretto canale. Mi faceva male, molto, ma non riuscivo a dirgli di fermarsi, ero troppo vogliosa ed eccitata per permettere a quel cazzo di uscire. “Tesoro, stò godendo coma un porco, anche senza muovere il cazzo!! Hai un culo favoloso! Un culetto da vergine e da puttana!”. Marco non si muoveva, probabilmente aveva paura di farmi male, così presi io l’iniziativa. Con un rapido movimento mi scostai da lui, feci uscire il cazzo per metà, e riportando indietro il bacino, me lo infilzai nuovamente nell’intestino. “ahhhhh”, facemmo all’unisono. “Continua, amore, pompami il culo!”. Asscondòil mio capriccio, prese a chiavarmi il culo, lo faceva uscire ed entrare fino in fondo, prima lentamente, aspettando che i muscoli si rilassassero per consentire una piùagevole penetrazione, poi più velocemente, ritmicamente. Sentivo quell’enorme membro infilarsi tutto dentro di me, stupendomi di come un buchetto così piccolo potesse ospitare una verga di simili dimensioni. Ad un certo punto smise, uscì. Lo guardai con aria tra l’interrogativo ed il supplicante “Cosa fai? Lasci così il mio voglioso culetto?”. Non mi rispose, ma mi sorrise e piantò tutto, di nuovo, fino in fondo, il suo cazzo dentro il culo. “Mmmmmh, si amore, sfondalo!!”. Rimase così un paio di secondi, ed uscì di nuovo. Tempo di chiedergli nuovamente il perchèdi quella repentina uscita, mi penetrò nuovamente, nello stesso modo di prima. Solo allora capì il suo gioco. Usciva tutto, velocemente, e lo rimetteva dentro, fino in fondo. E di nuovo, di nuovo, di nuovo. Quel movimento di faceva impazzire “Sii, dai, Marco, spanami quel piccolo buchetto, allargalo, così.. cosììì continua!”. Continuò, stavo godendo come una puttana, spostai la mia mano sulla figa, sentendo gli umori gocciolare giù verso il culo, scesi ulteriormente, in un momento in cui il suo cazzo era fuori, e mi scoprì oscenamente aperta. Quel minuscolo buchetto del culo, la cui profanazione, anche con un solo ditino, mi procurava dolore, adesso si era completamente allargato. Lo sentivo, spanato, infilai tre dita detro, ed entrarono senza incontrare attrito. Dio mio, al solo pensiero fui sul punto di venire. “Continua così amore, fammi venire di culo!!” gli dissi. Entrò nuovamente dentro, io spostai le mie dita dal culo al clitoride, e cominciai a tormentarlo. Sentivo il cazzo di Marco uscire e rientrare velocemente, ritmicamente, sentivo il mio clitoride gonfio e pulsante godere sotto la stimolazione delle mie dita, e sentì arrivare l’orgasmo. Uno potente orgasmo, mi squassò tutto il ventre, arrivò al cervello, reclinai la testa, strinsi i pugni, serrai le gambe, digrignai i denti, aprì la bocca in un urlo soffocato di piacere. Era una goduria tremenda sentire lo sfintere contrarsi e rilassarsi, attorno a quel meraviglioso membro. Marco mi guardò “alla mia bimba piace il culo sfondato, noto con piacere”. “Alla tua bimba piace il culo sfondato solo dal TUO cazzo, cognatino!” risposi, sottolineando il “TUO”con fare malizioso.
Ebbi buttavia una brutta sopresa, mi aspettavo che quelle parole lo eccitassero di più, ed invece abbassò lo sguardo, non era più soddisfatto, ma era tornato la persona triste di qualche giorno fa. Uscì dal mio culetto, ormai in pace, e si diresse in bagno. Non capivo cosa stesse succedendo, perchè quella reazione? Mi diressi in bagno, e lo trovai con le mani appoggiate al lavabo, con la testa bassa. “MArco, cosa c’è?”. Alzò la testa, mi guardò dallo specchio, aveva gli occhi lucidi
“Non mi sembra che ti piaccia scopare solo col mio cazzo!”
“Prego?” Dissi con gli occhi spalancati per lo stupore.
“Non mi sembra che con Luca le scopate ti piacciano di meno, non mi sembra che da quando abbiamo cominciato questa “cosa”, ti sia astenuta dal farti chiavare da mio fratello!”
Non sapevo cosa rispondere, ero basita ed arrabbiata per quello che aveva detto.
“Caro mio” dissi con asprezza “primo: Luca è il mio fidanzato, amo Luca. E tu sei mio cognato, mi hai scopata due volte, e pensi di avere il monopolio dei miei buchi? L’unico che può arrogarsi questo diritto, caro MArco, è il tuo fratellino!. Secondo: chi ti dice che le scopate con Luca continuino a piacermi dopo quella volta?”
“Me lo ha detto proprio il mio caro fratellino!”
Dio mio, non credevo alle mie orecchie “Cosa???”
“Qualche giorno fa, sentì Luca per telefono, era entusiasta ed allegro. Gli chiesi quindi ilperchè di questa “eccitazione”. Sai cosa mi rispose? O te lo aspetti?”
Mi aspettavo come continuasse la frase, ma non desistì “Sentiamo, cosa?”
“Disse, eh, fratellone, quando hai una ragazza come la mia hai ben poco di cui esser triste. Ieri sera abbiamo fatto una delle nostre migliori scopate, era una cagna in calore, se lo faceva sbattere in tutti i buchi e godeva come una zoccola!”
Rimasi senza parole, non tanto per quanto avesse detto Luca, sapevo che amava il turpiloquio quando si parlava di sesso, e potevo anche immaginare che parlasse con orgoglio delle nostre scopate, ma non mi aspettavo che lo facesse con suo fratello, nonostante la confidenza! Sentire ripetere quelle parole da Marco, furono una pugnalata.
“Quindi, amore mio, sentirmi dire che ami solo il mio cazzo, mi fa stare solo male inutilmente” disse, trattenendo le lacrime.
Ero infuriata, arrabbiata, con Marco, con Luca e con me stessa, “Accompagnami a casa e scordati di me!” gli dissi, ed uscìì dal bagno sbattendo la porta.
Anche MArco uscì, evidentemente aveva capito di aver esagerato, aveva compreso la mia rabbia, e probabilmente aveva anche intuito che quello “scordati di me” non era detto per scherzo.
“Giulia, scusami, davvero, non so cosa mi sia preso, non volevo dire quello che mi è uscito dalla bocca”. Non lo ascoltavo, pensavo a rivestirmi, infilavo il reggiseno. “Non andare via, aspetta, accetta le mie scuse, un attimo, guardami, parliamone”. Lo guardai, con sguardo disgustato ed arrabbiato “Marco, non ne voglio parlare, voglio solo andare a casa, e non vederti mai più!”. A quelle parole ebbe un sussulto, non stavo scherzando, e lo sapeva. Mi afferròper un braccio “Stronzo,mi fai male!”, urlai. Non mi ascoltò, mi trascinò in camera da letto e mi buttò sul letto. “No, cazzo, non voglio scopare, accompagnami!”. Si posizionò velocemente su di me, mi tenne ferme le braccia con le mani, allargò con le ginocchia le mie cosce e si stese. “Non lo fare, Marco, non farlo! No, no!”. Mi piantò in un sol colpo il suo enorme membro dentro la figa, arrivò a sbattere contro il collo dell’utero, ebbi un gemito, volevo piegarmi, per lenire il dolore, ma avevo le braccia bloccate dalle sue mani ed il bacino immobile per il peso del cuo corpo. “Marco no, non così, ti prego”. Le mie parole non lo toccavano, continuava a chiavarmi con una violenza mai provata, ad ogni colpo sentivo il suo cazzo sfondarmi ia figa. Avevo gli occhi lucidi, stavo per piangere. Gemevo, per il dolore. “Basta..” gli dissi. Mi guardò, mi prese il viso con la mano sinistra, e mi disse “Tu sei mia, sei solo mia, e solo il mio cazzo può scoparti!”. Rallentò il ritmo, dando degli affondi meno profondi, il dolore passò nel giro di qualche secondo. Ero più tranquilla, non sentivo piùla figa sul punto di sanguinare, ma sentivo solo il suo cazzo che si muoveva, lentamente, dentro di me. Pensai a ciò che era appena successo, pensavo, anzi, ero sicura, che dopo quella scopata Marco non lo avrei più rivisto, aveva toccato il fondo, mi aveva…mi aveva violentata! Inaspettatamente quel pensiero non mi infuse rabbia, dolore, tristezza, ma una potente eccitazione. Sentivo la mia fighetta che cominciava di nuovo a bagnarsi, sentivo Marco fare meno fatica per penetrarmi, e godevo, Dio, come godevo! Ero una puttana, pensai, mi stavo eccitando perchè “mio cognato” mi aveva quasi stuprata. Marcò allentò la presa dalle mie braccia, rilassò i muscoli delle gambe, che mi tenevano divaricate le cosce, e con le sue mani scorse lungo il mio corpo, si soffermò sul viso, sul collo, sul seno, avvicinando la bocca e leccando i capezzoli. Sentivo il piacere aumentare ad ogni affondo. “Dai amore mio, fammi venire, fai venire la tua puttanella!”. A quelle parole, riprese l’iniziale ritmo, veloce, deciso. Ed anche io, cominciai a muovere il bacino su e giù, consentendo un movimento più profondo. Mi penetrava sempre più velocemente. “Giulia, stò per venire, amore”. “anch’io, sento l’orgasmo arrivare, dai, porco, chiavami così, così, dai, così.. si sii.. eccolo… aaaahhhhh”. Venne contemporaneamente anche lui, afferrandomi per la testa, e affondando la sua lingua nella mia gola, emettendo un gemito soffocato. Si accasciò su di me, esausto, con il suo capo nell’incavo del mio collo. Restammo così qualche secondo fin quando mi disse “Scusami, davvero, scusami”. Dal canto mio risposi: “guardami”, alzòla testa “io sono tua, appartengo a te, non devi scusarti”. Sorrise, mi baciò e si sdraiò accanto a me. Mi misi di lato, quasi in posizione fetale, e mi abbracciò, da dietro. Sentivo il battito del suo cuore sulla mia schiena,ed il suo respiro tra i miei capelli. “Ti amo”, sussurrò, poco prima di addormentarci.

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