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Racconti Erotici Etero

Mutjara

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Alla notorietà dell’Hilton, nella Jalan Gunungjari, preferisco la raccolta intimità dello Majapahip, a Tuniungan. Uno dei più antichi e gloriosi della città. Conserva il suo stile originale, &egrave del 1910, ed é periodicamente adeguato alle moderne esigenze dell’ospite di una certa classe. E’ splendido, e mi sento accolto meno anonimamente.
Invece di affidarmi all’agenzia che solitamente si interessa dei viaggi della società per la quale lavoro, la prima volta che andai a Surabaja, mi affidai alla scelta della mia abituale e sconosciuta interlocutrice telefonica, Mutijara, così mi aveva detto di chiamarsi. Immaginai che fosse una assistente di un certo livello della Pertamina, l’ente statale che s’interessa delle industrie e in particolare del settore petrolifero e metallurgico. Ma un giorno mi feci tradurre, dal ‘bahasa’, la loro lingua, la dicitura della carta intestata, e scoprii che Mutijara Abu Hatta, era una Vice President della Pertamina, responsabile per il Water Branch, cio&egrave di tutto quanto si riferiva all’acqua, con particolare riguardo, ovviamente, alle acque industriali, sia prendenti parte al processo che reflue. Una bella gatta da pelare.
Immaginai Mutijara una segaligna occhialuta zitella, con zigomi sporgenti. La sua voce, però, era cordiale e gradevole, melodiosa, per cui, forse, era una indonesiana abbastanza ‘ ricca di forme’ diciamo grassottella, meglio ancora, cicciona, ma pur sempre anzianotta.
Volli comunicarle personalmente il mio arrivo. Le dissi che sarei andato prima ad Amsterdam, e da li avrei raggiunto Giakarta per poi proseguire per Surabaja. L’Indonesia é comodamente collegata all’Olanda, che, del resto ha occupato a lungo quelle isole, lasciando ancora evidenti tracce, e molte positive, di quel periodo.
Si parte da Amsterdam alle 14,30, si fa scalo per oltre un’ora a Singapore, e alle 10,40, logicamente ore locali, si giunge a Giakarta.
Mutijara mi disse che non dovevo preoccuparmi per la tratta successiva, Giakarta-Surabaja, perché lei mi avrebbe atteso all’aeroporto, per proseguire insieme con il ‘Pertamina Jet’.
Comodissima l’Executive Class del Boeig della compagnia indonesiana, un 747-400, e perfetto e raffinato il trattamento di bordo. Sono convinto che era stata segnalata la mia presenza. La sorridente graziosa assistente di volo era prodiga di premure.
Appena iniziata la fase di atterraggio, il Comandante in persona mi venne ad informare che un’auto mi avrebbe atteso ai piedi della scaletta e che non dovevo preoccuparmi del bagaglio. Sarebbe stato il primo ad essere sbarcato e immediatamente trasferito sull’aereo statale che mi attendeva.
‘Lieto di averla avuto a bordo, Mister Martini.’
Fu il saluto del Comandante che s’inchinò cortesemente e strinse con cordialità la mano che gli tesi.
Tutto si svolse in modo irreprensibile.
L’aereo che mi attendeva era all’altra estremità dell’aeroporto.
Quando l’auto si fermò, e scesi, vidi all’entrata del velivolo, sulla scaletta, una figura femminile che muoveva la mano in segno di saluto. Poiché intorno non c’era altra persona, oltre me, ne dedussi che la bellissima Hostess stesse salutando me. Risposi allo stesso modo e cominciai a salire, fissando, ammirato, quel tocco di figliola che mi sorrideva. Era veramente una ragazza eclatante, esplosiva. Mi venne alla mente, con la rapidità del pensiero, il concetto di esplosione, bang, e subito dopo a quick bang, una sveltina! Niente male!
Come giunsi al portello, mi tese la mano.
‘Benvenuto, Piero, Sono Mutijara.’
‘Lieto di vederla, Mutjara. A giudicare da lei deve significare magic vision.’
Rise incantevolmente, mostrando i piccoli candidi denti tra le rosse labbra, appena carnose.
‘No, significa solamente ‘perla”
‘What a pearl! Che perla!’
‘Perfetto, Piero, un perfetto lovely italian gentleman. Entriamo, prego.’
Mi precedette nell’interno del velivolo.
Era elegante, senza cadere nell’eccessivo, arredato per gruppi di lavoro. Poltrone comode, e un tavolino nel mezzo.
‘Si accomodi, Piero. Sediamo qui, sono i posti più comodi. Potremo fare un po’ di conoscenza e, se vuole, può aiutarmi a ripassare un po’ l’Italiano.’
‘Conosce l’Italiano?’
‘Dopo l’Università in Olanda e un corso in USA, ho studiato alla vostra Scuola Superiore, proprio per specializzarmi nel trattamento delle acque.’
Si esprimeva in Italiano, ottimamente.
‘Perché non me lo ha mai detto, per telefono?’
‘Parlavo attraverso il centralino, e non dobbiamo usare idiomi non ufficialmente ammessi.’
‘Ah!’
Un assistente venne a chiederle qualcosa. Credo che domandasse se si potesse decollare.
‘Fra poco più di un’ora saremo a Surabaja, sono meno di 800 chilometri. La conosce?’
‘E’ la prima volta che ci vado. La conosco solo per i principali impianti industriali di cui ci interessiamo.’
‘Gradisce qualche breve informazione?
‘La prego.
‘Surabaja &egrave il capoluogo della provincia di Giava Orientale, presso la foce del Kali Mas, sullo stretto di Madura, che separa l’isola di Madura da Giava. Raccoglie ed esporta i prodotti dei bacini del Kali Mas e del basso Solo (zucchero, che costituisce la maggior fonte di ricchezza della città e di tutta l’isola, caff&egrave, olio di palma, spezie, tabacco, tek, caucciù); importa macchine utensili e manufatti. Questa fiorente attività commerciale ha favorito lo sviluppo di numerose industrie (metallurgia, macchine utensili, costruzioni navali, materiale ferroviario, apparecchiature elettriche, prodotti chimici, raffinazione del petrolio, prodotti tessili, vetreria, lavorazione del cuoio). A nord della città sorgono il moderno porto di Tanjungperak, con l’aeroporto, e la base navale di Ujung.’
Era precisa, parlava lentamente, perché chi ascoltava potesse memorizzare le notizie. La guardavo attentamente. Un bellissimo volto, molto armonioso, con tratti sicuramente orientali, ma ammorbiditi e abbelliti da qualcosa che non sapevo individuare. Occhi lunghi, labbra perfettamente disegnate, appena più carnose di quelle che vediamo in Europa. Pelle alabastrina, luminosa, sapientemente ravvivata da un leggero trucco, certamente studiato per la sua personalità. Collo abbastanza lungo, con spalle non spioventi ma neppure tarchiate, perfettamente in equilibrio col seno piccolo e sodo che s’intravedeva dall’ampia scollatura. Erano certamente delle belle tettine, quelle di Mutijara, e i capezzoli premevano la leggera stoffa che le contenevano. Eravamo seduti in diagonale e potevo ammirare la curva dei fianchi e le lunghe gambe tornite, ambrate, che la gonna non copriva completamente. Devo confessare che, col mio solito modo di pensare all’altro sesso, mi tornava alla mente il quick bang, la sveltina, per poi lasciare il posto a un incontro meno frettoloso che, ero sicuro, sarebbe stato meraviglioso e appagante. Dunque, il Vice President Abu Hatta era un gran bel tocco di femmina. Chi lo avrebbe mai immaginato.
La ringraziai e mi complimentai per il suo Italiano e per l’ importantissima posizione che aveva raggiunto nella Pertamina.
Ecco, il termine posizione scatenava altre considerazioni, strettamente collegate al Kamasutra. Già vedevo le contorsioni di Mutijara per avanzare in carriera.
Come se mi avesse letto nel pensiero, mi sorrise incantevolmente.
‘Ad essere sincera, credo che, a parte lo studio che ho curato scrupolosamente, il continuo aggiornamento, la quotidiana applicazione al mio lavoro, e la preziosità dei miei validissimi collaboratori, non ritengo che sia estranea, a quella che qualcuno chiama la mia affermazione, l’essere nipote di uno che viene annoverato tra i ‘padri’ dell’Indonesia, insieme a Sukarno.
Venga le mostro sulla mappa la rotta che seguiamo. E’ in fondo, sulla parete.’
Si alzò e s’avviò verso la cabina di pilotaggio. Era abbastanza alta, e quello che avevo ammirato e immaginato mentre era in poltrona, fu confermato e sviluppato dalle affascinanti natiche che ancheggiavano sotto l’indiscreta stoffa.
Sarà stato il fascino dell’oriente, il magnetismo della donna in carriera, la mia ‘fissa’, ma era evidente che quella femmina mi eccitava al di là d’ogni fantasia. La mia regola &egrave sempre stata ‘provarci sempre e in qualunque modo’, ma questa volta tentennavo: potevo pregiudicare irrimediabilmente l’esito della mia missione.
D’accordo, ma quello era veramente un bel fondo schiena. E immaginavo l’altro lato della medaglia! Glabro? Villoso? Setoloso? Serico? Piatto? Pronunciato? Come era il monte di venere di una Indonesiana? Di che colore le sue grandi labbra? Di quale dimensione il suo clitoride? Che fa, era passionale o no? Si dimenava o si tratteneva? Godeva o era un po’ anorgasmica?
Ma guarda un po’ che razza di idee mi passavano per la testa.
Quelle magnifiche spalle e quelle stuzzicanti natiche erano li, ferme di fronte alla grande mappa. Ed io a un millimetro da loro. O meglio, era la mia gonfia patta a un millimetro, e percepiva il tepore di quel corpo, io ero molto più distante.
‘Si avvicini, Piero. Questa &egrave la rotta.’
Oddio, parlava di’ rotta. A cosa si riferiva? Era una specie di lasciapassare?
Ma come avvicinarmi, in quelle condizioni.
Fu lei a spostarsi appena, come a volermi far posto. Il millimetro sparì, andò a valori inferiori allo zero, perché le sue vigorose chiappe intrappolarono la mia patta.
Ecco, pensai, la frittata &egrave fatta.
‘Vede, Piero? Noi siamo qui. Surabaja &egrave quel punto rosso.’
In ogni caso non s’era tirata indietro.
‘Vedo’ vedo.’
Ma sentivo, anche.
‘Sediamo sul divano, ci faremo servire un drink.’
Andò a sedere, mi indicò il posto accanto a lei. Schiacciò il pulsante e allo steward che entrò chiese due bibite.
‘Va bene aranciata, Piero?’
Annuii, sentivo la gola stretta.
Il giovane tornò con quanto era stato chiesto, poggiò i bicchieri sul tavolino, dinanzi a noi.
Mutijara non aveva potuto non notare.
‘Scusi l’indiscrezione, Piero. Ha famiglia?’
Mentii spudoratamente.
‘Con la vita che conduco non posso permettermelo, sarebbe anche imprudente. E penso che, ormai, a quanrant’anni devo decidermi: dentro o fuori.’
‘La comprendo perfettamente. Io sono alla porta dei trentacinque e non ho idee chiare, in proposito. Del resto, non posso permettermi, nel mio Paese, esperimenti in materia: sposarmi o rinunciare. Da noi non sono ammesse, specie nel mio ambiente, quelle che voi chiamate scappatelle, avventure passeggere”
‘Non ne sente il peso?’
‘Non posso negarlo. Anche io sono fatta come tutte le altre femmine, e non posso nascondere che provo un senso di piacere, nel constatare che qualche uomo dimostra che non gli sono insensibile, ma”
Abbassai la testa.
Decisi di rispondere.
‘I got the message’ messaggio ricevuto!’
‘Did you get it rightly? compreso esattamente?’
‘Non lo so’ give me the key’ dammi la chiave di lettura”
‘Non adesso, non qui.’
La voce del Comandante annunciò che stavamo atterrando a Surabaja.
‘Ho deciso, in questo momento, che alloggeremo al Majapahit e non al Pertamina guest house.’
‘Già prenotato?’
‘Disponiamo di una suite di rappresentanza.’
Allacciammo le cinture di sicurezza.

Qualcuno doveva aver avvertito l’albergo dell’arrivo di Mutijara perché fummo accolti dal direttore che fu prodigo di inchini e di saluti verso Madame, assicurandole che era tutto in ordine. Una parte dell’accoglienza fu riservata anche a me. Ero con Madame, e la mia prenotazione era stata fatta dalla Pertamina.
Il direttore, sempre compito e sorridente, ci comunicò (veramente era sempre rivolto a Mutijara) che quella sera, nel grande salone delle feste, ci sarebbe stata una ‘Serata balinesiana’ con cibi e danze caratteristiche di quell’isola. La presenza di Madame, e logicamente di Mister Martini, sarebbe stata un grande onore. Niente per cui preoccuparci. Era una serata informale, come dire ‘casual’, in ogni modo, Madame avrebbe trovato di che scegliere nel guardaroba della suite. Ah, il direttore fece finta che stava per dimenticarlo, avrebbe danzato la famosa Nì Madé Pujawati, e la serata sarebbe stata aperta dai cento danzatori venuti appositamente da Bali per la Kekak, la famosa danza delle scimmie.
Mutijara accennò appena col capo, senza nulla dire.
Il direttore si offrì di accompagnare Madame nella suite al top floor, e chiamò un impiegato per farmi indicare la mia piccola suite, al piano sottosottostante quello di Madame.
Mutijara ringraziò, ma disse che conosceva bene la strada e pregò di farle portare il bagaglio.
L’uomo assicurò che era già tutto in ordine. Si chinò ancora di più e ci accompagnò all’ascensore.
‘Allora, Piero, credo che dobbiamo un po’ prepararci al nostro lavoro. Riordinare le idee, rilassarci e profittare della festa. Scenderò in tempo per parteciparvi. Diciamo alle nove in punto?’
Logicamente si riferiva alle 9 p.m.
‘D’accordo, madame.’
Mi guardò con fare severo.
‘Mai imitare gli adulatori.’
Chinai il capo. Eravamo giunti al piano dove dovevo scendere. Salutai con un cenno della testa. Uscii.

Temevo di cacciarmi in un groviglio inestricabile.
In effetti il ‘messaggio’ non mi era chiaro.
Poteva significare che ‘non era aria’, nel qual caso i miei compiti potevano divenire più irti di ostacoli. Oppure volevano dire ‘tira anche a me’ma’, e allora insistere o’? Infine, ‘ma si, cogliamo l’occasione’, ma me lo avrebbe fatto comprendere?
Era possibile che come io m’ero eccitato nel solo vederla anche lei s’era, come dire, allupata? In fondo’ Tutto sommato, era una giovane nel fiore degli anni, a quanto aveva detto doveva anche patire una certa astinenza, e io, modestia a parte non ero proprio da buttare. C’era, poi, la reciproca attrazione per la novità: una fantastica orientale: un passabile occidentale.
Non restava che attendere.
Parecchio, però, erano le tre del pomeriggio, e dopo il breakfast sul Boeing non avevo mangiato nulla. Chiamai il room-service e ordinai dei sandwiches, e birra. Li potevano lasciare sul tavolo, se ero in bagno. Quello che ci voleva, infatti, era una doccia.

Dopo il fugace snack mi sdraiai sul letto, così, in accappatoio, e caddi in un profondo sonno, per fortuna senza sogni ossessivi. Dormii parecchio, quasi tre ore. Del resto il lungo viaggio, anche se abbastanza comodo, mi aveva stancato.
Mi rasai accuratamente e, in attesa di indossare il leggero completo di fresco lana, mi misi a guardare la televisione.
Mancavano cinque minuti alle nove quando scesi, e mi misi a gironzolare senza lasciare cogli occhi gli ascensori.
Alle nove precise, Mutijara uscì da una di quelle porte.
Non esagero affermando che per un momento si fermarono tutti, incantati. Era una visione, come dire, hollywoodiana, un’apparizione quasi irreale. Una stupenda donna, statuaria, in una elegantissima Kabaja, il tipico sarong balinese, fasciato in vita da una morbida Selandong, la sciarpa. Mi sorrise incantevolmente, e mi venne incontro, tenendomi la mano che baciai delicatamente. Si mise al mio braccio e, esperta del luogo, ci avviammo verso la sala delle feste.
Delle splendide ragazze, nel costume della loro isola, ci accolsero, cortesi e sorridenti, e una di loro ci accompagnò al nostro tavolo, in prima fila, in posizione che si può definire dominante.
‘Hai mangiato qualcosa, Piero? Solo in camera ho pensato che non avevo fatto servire qualcosa a bordo, durante il volo. Scusami.’
‘Non mi ero accorto d’essere digiuno, ero confuso per quello che mi circonda. Come adesso, del resto. Lo sai bene stai riscuotendo l’ammirazione di tutti. Ho chiesto qualcosa al bar. E tu?’
‘Frutta. Credo che il menù balinese sia eccellente.’
Prese il cartoncino che era sul tavolo.
‘Infatti, ci sono i Jaffle al tonno, e il Bubi Guling, maialino lattonzolo. Le specialità d’un piccolo locale sulla panoramica che va da Denpasar a Ubud. Il Warung Penatih. Peccato che tu rimanga poco in Indonesia, mi sarebbe piaciuto fartelo conoscere.’
‘Sono certo che mi piacerebbe’ quasi come quello che c’&egrave qui. Ma, scusa, il direttore ha parlato d’una famosa danzatrice.’
‘Nì Mad&egrave &egrave la danzatrice che meglio interpreta lo spirito che pervade le nostre danze. Sarebbe più esatto dire i nostri riti. Credo che inizi col Panyembrama, la danza di saluto, avvincente e coinvolgente, anche se non troppo breve. Vedi, noi, ed io per prima, siamo certi che i nostri corpi siano posseduto, a volte, da forze esterne, karangsukang, e per questo, anche, cingiamo i fianchi con una fascia, perché certi impulsi, certe passioni, non si trasferiscano dal basso alla testa. Liberarsi del seladong, la fascia, significa dare libero sfogo ai sensi. Credo che esegua anche la danza dell’uccello del paradiso, cendrawasih, e finirà col volo della farfalla che va incontro al maschio, ol&egraveg tamulilinga. Spero ti piaccia anche il numero finale, la danza delle scimmie, kekak, in ricordo di Hanoman, la scimmia bianca. Il ciak’ ciak’ ciak’ dei danzatori seduti in cerchio, senza accompagnamento musicale, &egrave molto suggestivo. Ma ecco, il direttore sta per presentare la serata.’
Anche lui in costume.
Un profondo inchino e, prima in bahasa e poi in inglese, salutò gli astanti rivolgendo un particolare ringraziamento a Madame Abu Hatta, alto esponente della struttura statale, per l’onore della sua presenza. Tutti applaudirono mentre lo spot illuminava Mutijara che faceva piccoli cenni di saluto col capo, cercando di nascondere il suo fastidio.
Le danze erano attraenti, senza dubbio, ma non ero certo di comprendere il significato d’ogni movenza, atteggiamento, pausa. Diciamo la verità, per i miei gusti duravano un po’ troppo. Interessante il kekak, e veramente squisito il cibo, accompagnato con una bibita di cui non riuscivo a riconoscerne gli ingredienti. Comunque gradevole.
Mutijara sembrava seguire tutto con attenzione ogni tanto mi spiegava quanto stava svolgendosi, e spesso mi teneva la mano, curando che la cosa non trasparisse.
Non finì tanto presto. Ma finì.
Lasciammo per primi il salone e Mutijara disse che desiderava sostare un po’ all’aperto, vicino alla piscina.
Non scambiammo neanche una parola. Io pensavo a quel ben di dio che mi stava a fianco. E lei?
‘Mi avevi chiesto un segno per interpretarmi. Vero?’
Annuii.
Lentamente sciolse il nodo della sua sciarpa, la seladong, la tolse, me la porse.
‘Nascondila, non la deve vedere nessuno. Salgo nella mia suite. Ti raggiungerò nella tua. Resta così.’
I suoi occhi sprigionavano bagliori splendenti, le sue narici vibravano impercettibilmente, mi sembrava avvertire il palpitare del suo grembo.

La maggior parte degli Indonesiani &egrave di ceppo malese di cui fanno parte i Neo-indonesiani, tra &egrave quali molti Giavanesi, che hanno subito l’influenza dell’India e dell’Islam, ed hanno ha avuto molti e diretti contatti con gli Olandesi con numerosi incroci che, per il principio della selezione naturale, hanno dato vita a splendidi esemplari, soprattutto femminili, che alla grazia e leggiadria indonesiana hanno unito in incantevole fusione la prosperosità delle rosee e rigogliose donne del Paese dei mulini a vento. Le curve delle floride modelle di Rubens e Van Dick si sono ammorbidite, la bianchissima pelle s’&egrave andata abbronzando, le fragole dei capezzoli sono divenute turgide more, il fiammeggiare del pube si &egrave mutato in seta corvina.
Mutijara era la straordinaria espressione dell’armonia delle più eccelse qualità di tali genti.

Non avevo chiuso la porta a chiave.
‘Resta così!’
Mi aveva detto, e dopo una rapida rinfrescatina, in bagno, ero di fronte all’uscio, in poltrona, con la sciarpa del sarong sulle ginocchia
La porta s’aprì, senza il minimo rumore, Mutijara apparve, avvolta in un nuovo ampio batik che esaltava la sua travolgente bellezza. I capelli, nerissimi, lisci, incorniciavano un volto sensuale, provocante.
Mi alzai.
Chiuse l’uscio, si avvicinò a me, fece cenno col dito, di tacere.
Con tocco lieve le sue dita affusolate si diressero alla mia cravatta, la sciolsero, sbottonò la giacca, la sfilò abilmente, poi fu la volta della camicia. Si chinò ai miei piedi, slacciò i legacci delle scarpe, le tolse, così pure i calzini. Ero di fronte a lei, con i soli pantaloni che presto seguirono, unitamente ai boxer, la sorte di tutti gli altri indumenti.
Ora ero completamente nudo, ed era visibile la mia eccitazione.
In mano avevo ancora il sarong.
Ne prese un’estremità, si avviò verso il grande letto, la seguivo docilmente, come un cagnolino.
Appena fummo vicini alla comoda e invitante alcova, piccoli gesti rapidi dei suoi piedini la liberarono delle eleganti calzature, come un lieve scrollare di spalle fece cadere sul pavimento il batik.
Uno di fronte all’altra, nudi! Era indescrivibilmente bella, eccitante, sexy, seducente. Il piccolo seno invitante, gli splendidi fianchi, le tonde e vellutate natiche.
Sempre stringendo il sarong, si distese, sulla sponda del letto, lasciando che le magnifiche gambe poggiassero appena sul folto tappeto. Tirò a se il sarong, le ero vicinissimo, caddi in ginocchio, il volto si posò naturalmente sul morbido scuro ricetto accogliente del suo pube, accolto da un prato di lucida soffice seta nera. Non i soliti riccioli, ma lunghi lisci, vellutati peli che impreziosivano quel corpo divino.
La baciai teneramente, mentre sentivo l’inturgidire delle grandi labbra, il palpitare del suo grembo. La frugavo golosamente, facendomi strada verso il più bel nido d’amore che avessi mai immaginato. Si dischiudeva, sbocciava, attendeva ansioso, accoglieva il saettare della mia lingua che ne esplorava ogni minimo particolare. Curiosa, intrigante. Sentivo il suo respiro sempre più affannoso, il sapore della sua linfa voluttuosa che distillava come un miele inebriante. Era tutto un palpitare, un pulsare, un sussulto, e le sue mani mi stringevano la testa, le sue gambe la imprigionavano’ finché il lungo gemito, incalzante, si concluse in un grido che diceva la sua voluttà, il suo appagamento, il lungo estatico e balsamico orgasmo.
Ero io, però, adesso, a vibrare come le corde di un’arpa sapientemente stimolate. Sentii le sue gambe attenuare la stretta intorno alla mia testa. Dischiudersi. Strisciai lentamente su di lei, baciando i piccoli turgidi capezzoli. Cercando le sue labbra. La sua mano discese al mio fallo, lo condusse al tiepido ingresso del suo sesso. Inarcò il bacino, incitandomi a penetrarla, mi ricevé fremente, fin quando non sentii che il mio glande aveva raggiunto il tepore del suo utero palpitante.
Certo, la donna, l’ambiente esotico, tutto concorreva, ma nessuna femmina m’aveva tanto attratto e tanto donato per farmi raggiungere l’empireo del piacere. Perché nessuna m’aveva testimoniato di godere in tal modo.
Mutijara era, per me, l’altra metà del cielo. La più bella.
Non chiedetemi come svolsi il mio compito, a Suabaya.
Molto lentamente.
Con la complicità di Mutijara trovammo mille difficoltà, difficili a risolversi rapidamente. Ed ogni volta che facevamo l’amore pensavamo a come sollevarne altro, per prolungare il nostro stare insieme.
Il suo corpo esaltante non aveva alcun segreto per me, la sua curiosità s’andava sempre più appagando. Il mio sesso trovava rifugio appagante tra le sue sode ed accoglienti natiche. Le nostre bocche sapevano tutto di noi, le nostre linfe si fondevano e confondevano inebriandoci.
E quando dovetti partire, pensammo solo al come lei potesse venire a trovarmi nel mio Paese.
La cosa non avvenne mai.
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