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Racconti Erotici Etero

Nella locanda

By 23 Agosto 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Fanno sempre così, quei due.
Il vecchio Théodore, factotum della mia locanda, e suo nipote Kaspar, nullafacente perditempo il cui unico scopo è circuire le mie ospiti. Si scambiano un’occhiata, appena Théodore individua una nuova preda, e Kaspar si accuccia, docile come un cagnetto in attesa del suo divertimento.
E’ sgradevole Théodore. Lo chiamiamo vecchio ma non avrà neanche sessant’anni, e lui non fa nulla per dimostrare la sua vera età. Porta in giro il suo ghigno grinzoso mentre, curvo e trasandato, sbriga in maniera impeccabile le sue faccende. Manda avanti questo posto con dedizione ed impegno, da trent’anni ormai, ed io non potrei farne a meno.
– Buonasera Théodore, – lo saluta l’anziana ospite della stanza 207 – e grazie ancora per avermi procurato le mie pillole, non so come avrei fatto senza di lei!
Il vecchio la guarda girando la testa in modo quasi innaturale, e sorride. Gli scappa un sorriso dolce, impercettibile, mentre risponde burbero: – Ringrazi mio nipote, è andato lui in farmacia.
Kaspar è seduto sulle poltroncine nell’angolo bar della reception e sfoglia uno dei suoi soliti libri. Fa un cenno con la mano alla nostra ospite e torna a concentrarsi sul suo libro.
E’ una tranquilla sera di fine estate e gli ospiti della locanda defluiscono pigramente dalla saletta ristorante, facendo ritorno nelle proprie stanze. La struttura è quasi piena stanotte, tra gli ultimi turisti ed i professionisti che hanno ripreso il quotidiano via-vai.
Passa una mezz’ora senza che nella hall passi anima viva. Solo Kaspar, immerso nelle sue letture, e Théodore che va avanti e indietro, a farmi compagnia mentre registro le presenze e sbrigo le solite pratiche dietro il mio bancone.

Poi la bella ospite di questa sera scende dal taxi. Kaspar se ne accorge, si volta per gustarsi l’ingresso della donna nella locanda, quindi torna apparentemente a leggere disinteressandosi del resto.
Le consegno le chiavi della stanza, augurandole la buona notte, mentre Théodore afferra entrambe le sue valigie. La donna accenna una tiepida protesta mentre il vecchio si avvia su per le scale ed io spiego che non c’è l’ascensore. La sua stanza è all’ultimo piano, e la donna è sorpresa dell’energia del vecchio, e di quanto poco sembrano pesargli quei bagagli, mentre salgono rapidamente le scale. Scompaiono ai nostri occhi.

Dopo neanche un paio di minuti Théodore riappare, e con quel suo collo storto fa solo un cenno a suo nipote, che annuisce in risposta.
Passano pochi minuti e, puntuale, squilla il telefono della reception. E’ lei.
– Mi scusi, ma nella stanza 411 non c’è acqua…
La interrompo scusandomi e promettendole che provvederemo subito a risolvere il problema, mentre lancio un’occhiataccia al vecchio che senza fiatare si avventa sulle scale e fa un movimento con la testa verso Kaspar come a dirgli: – Vieni.
Scuoto la testa rassegnato, pensando che questo è l’unico modo che ho per trattenere quel vecchio e suo nipote in questa locanda, con i pochi soldi che mi chiedono. Questo è il loro “premio di produzione”. Mi metto comodo ed accendo il piccolo monitor del circuito chiuso, pronto a godermi lo spettacolo della 411. Le stanze al quarto piano sono quelle per le nostre ospiti migliori, e sono tutte attrezzate con un sofisticato sistema di videosorveglianza in cui Kaspar ha investito tutti i suoi risparmi.

La donna è ancora vestita di un tubino nero che le fascia il corpo lasciando scoperta buona parte della lunga schiena. Ha tolto le scarpe, basta con i tacchi per oggi. Théodore entra nella stanza e chiude la porta alle sue spalle.
– Com’è possibile che non ci sia l’acqua? – Chiede lei con una punta di irritazione. Gesticola.
Il vecchio sta per entrare in bagno e si ferma. Le rivolge il suo peggiore sguardo storpio ed inevitabilmente la donna si spaventa, indietreggiando leggermente.
– Non è possibile che non ci sia l’acqua. – risponde gelido il vecchio. Curvo, la squadra dalla testa ai piedi, come se la spogliasse. E deve sentirsi nuda, la donna, se in quel momento si copre il seno ed i fianchi come se non avesse più uno straccio adosso. Sorride il vecchio, con una luce diabolica negli occhi, mentre indugia per un lunghissimo istante rimirando il corpo della donna, allungando il collo come se volesse vedere di più, e poi entra in bagno.
Lei resta immobile ai piedi del letto e non fiata, mentre Théodore armeggia con una manopola dietro il lavabo e poi apre il rubinetto. L’acqua scorre copiosa. Apre anche l’acqua calda, nella doccia, nel bidet. Un confortante rumore d’acqua corrente, vapore che inizia a salire piano. Il vecchio esce dal bagno e si piazza dinanzi alla donna. Lei è più alta di lui, che per di più è curvo e con la testa inclinata in quel suo modo inquietante la guarda dal basso verso l’alto.
– Cos’è, ti sentivi sola? Volevi una scusa per farmi salire? – sussurra l’uomo, con gli occhi che si muovono nervosi scrutandole il naso, il collo, le gote, e gli occhi, a tratti.
– Ma cosa sta dicendo… – balbetta lei, incapace di ribellarsi. Fa sempre questo effetto, Théodore. Ripugnante eppure attraente, in maniera inspiegabile. Terrorizza le sue prede catturandole prima che possano reagire?
– L’acqua c’è, lo senti? C’è sempre stata. Hai chiuso tu la chiave generale.
– Io non… non… – la donna cerca una via di fuga, finalmente, si riprende dalla sorpresa e sta certamente per urlare quando si ode bussare alla porta.
– Zio? Che succede? – La voce di Kaspar, rassicurante, ferma.
Bussa ancora, e la donna si scuote, si precipita alla porta, aprendola.
Kaspar la guarda in faccia e poi si avventa sul vecchio, prendendolo per il bavero ed accompagnandolo verso la porta. Théodore non fiata ed esce, mentre Kaspar si volta verso la donna. Lei è sconvolta, spaventata.
– Deve scusarlo. E’ il nostro inserviente migliore a dispetto dei suoi modi bruschi, che possono disturbare. Mi dispiace. – parla lentamente Kaspar, è calda la sua voce, profonda.
– Non è niente… – balbetta la donna, confusa.
– Dobbiamo tenerlo a bada, – continua il ragazzo poggiandole piano una mano su una spalla e spingendola leggermente, impercettibilmente, verso il bordo del letto – perchè non è la prima volta che capita una cosa del genere, eppure noi vogliamo evitare che il suo comportamento possa essere frainteso. Una volta è capitato con un’altra cliente – la donna ascolta Kaspar come se fosse ipnotizzata da quel tono di voce setoso – che come lei si è spaventata, ed io posso capirla, è mio zio, vivo con lui da sempre e so quanto possa sembrare inquietante alle volte…
Continua così per un po’, con Kaspar che cancella tutte le paure della donna e lei che si lascia cullare dal suono della sua voce.
Improvvisamente, lei si porta le mani al viso ed inizia a piangere. Piano, senza singhiozzi, un pianto caldo e silenzioso. Lui resta in silenzio per un istante e poi dice: – Forse dovrei andare adesso.
– No! – La donna lo guarda con gli occhi lucidi e la sua voce è una preghiera. – Mi dispiace, ho avuto una giornata terribile… – Si siede sul letto mentre cerca e trova la mano di lui.
Kaspar stringe quella mano, ed accarezza con il pollice la pelle morbida, sul dorso, sul polso. Resta in piedi mentre avvicina l’altra mano alla nuca della donna, le accarezza i capelli, la testa, e fa scivolare la mano dietro un orecchio, chiudendola a pugno per accarezzarle il viso, prima, e poi il mento. Le sfiora il collo, apre la mano per un attimo facendo scivolare le dita su quella seta, e poi con l’indice le tira su il mento, le solleva il viso, la guarda mentre le lacrime sciolgono leggere tracce di trucco ai bordi degli occhi. Lei è bellissima, in effetti. Kaspar si inginocchia e poggia la sua mano aperta sulla guancia della donna. Con il pollice la accarezza, piano, arrivando fino alle labbra. Passa le dita sul profilo della bocca di lei, e lentamente si avvicina. Lei chiude gli occhi, mentre Kaspar la bacia e con la mano destra le accarezza di nuovo la guancia, prima, poi il collo, la nuca, tirandola a se mentre la lingua di lei si apre all’intensità di quel bacio, le sue mani si stringono a lui, irruente. Lui tuttavia non la stringe a sè, resta padrone e distante, continua a baciarla mentre la sua mano scivola dalla nuca della donna alla schiena, lentamente, con un solo dito in effetti che sfiora la pelle bianca scendendo giù fin dove è coperta dal vestito, all’altezza dei fianchi. La mano di Kaspar inizia a vagare allora sul corpo di lei, mentre le loro bocche si esplorano, alla ricerca – eccola! – della cerniera su quel vestito. Si apre, quasi non desiderasse altro anche lei. L’uomo infila la mano per cercare nuovi spazi sul corpo di lei, ed i fianchi della donna si lasciano così accarezzare tremando. Lui la sdraia, restando in ginocchio appoggiato al bordo del letto e, sollevando piano il vestito nero, ne scopre lentamente tutto il corpo, staccando le labbra dalla bocca di lei e spostandosi sul petto, sui seni, sui capezzoli che, nudi, si offrono alla lingua ed ai denti di Kaspar che sapientemente abbatte le cautele della donna, una alla volta, come tessere di un domino.
Ora sta baciando la sua pancia mentre le sfila gli slip, e lei solleva le natiche per agevolarlo nel compito. Kaspar ne approfitta e la fa girare, così lei è nuda, prona sul letto, con la sua schiena bianca ed il sedere offerto alle carezze seducenti di questo sconosciuto. Le dita scorrono leggere sulla schiena della donna mentre si baciano ancora, ed il bacio si fa più intenso e più languido man mano che la mano dell’uomo scende verso il solco delle natiche, infilandosi là dove è più caldo e più umido, mentre il respiro di lei si fa ansimante. Kaspar le accarezza l’ano e poi scende più giù, a sfiorare la vagina che pulsa sotto le sue carezze, e gli bagna la mano. La trascina giù dal letto e la fa inginocchiare, lei è ancora appoggiata con la pancia al bordo del materasso e lui è in ginocchio alle sue spalle. Le bacia il collo mentre le mani scivolano piano sui seni, le sue dita stringono i capezzoli facendola gemere di piacere, le sue labbra e la sua lingua giocano con gli orecchini che la donna ancora indossa. Lei mette una mano dietro la schiena alla ricerca del sesso dell’uomo, che però la ferma portandole entrambe le mani dietro la nuca, e le dice sussurrando, piano: – Resta così.
Lei è come pietrificata, obbedisce mentre sente le mani scorrere sul suo corpo, che sembrano moltiplicarsi mentre ogni centimetro della sua pelle viene toccato, assaporato, violato.
– Resta così. – ripete Kaspar, mentre estrae un lungo nastro di raso blu da una tasca. Lei sorride mentre viene bendata, e con lo stesso nastro sente legare i suoi polsi dietro la schiena. Un movimento brusco alle sue spalle, la mano sulla schiena che la spinge di faccia sul letto, e poi improvvisa – calda – la lingua, tra le sue gambe, che si infila invadente e la fa urlare per il piacere. La temporanea cecità acuisce tutte le sensazioni e moltiplica il piacere, mentre quella bocca, quella lingua, persino i denti che mordono la sua carne, tutto è diventato improvvisamente più brutale e deciso rispetto ad un istante fa. Finalmente, liberatorio, arriva: il cazzo, infilato a colpi ripetuti, anche lui invadente, soffocante per quanto lo sente grosso dentro di sé, mentre si muove, mentre esce e rientra, con un movimento spasmodico accompagnato dal rantolo dell’uomo alle sue spalle, che la stringe per i fianchi. La sta usando, è chiaro. E’ cambiato tutto, prima voleva darle piacere e adesso tutto quel piacere se lo riprende, con gli interessi, mentre la donna sente di essere scopata con una brutalità che non ha mai provato prima – e ne gode.
Dura un’infinità, quell’amplesso, e più ne ha, più ne vorrebbe avere.
Arriva. Il Piacere, arriva impetuoso nello stesso momento in cui lui spinge con decisione il suo sesso dentro di lei, liberando tutto il calore del suo seme come esplodendo. Lei soffoca il suo urlo spingendo la bocca sulla stoffa del letto ormai sfatto, e vorrebbe non essere legata per poter abbracciare il suo amante, esserne abbracciata… stringe le mani nello spasmo del suo orgasmo e con le unghie forse lo graffia. Lui si allontana, esce da lei abbandonandola lì, inginocchiata al bordo del letto, i polsi legati, bendata, nuda, e felice – si può dire? Felice per un istante, prima che il senso di colpa per questo momento di debolezza si faccia strada accompagnandosi alla vergogna.
Sente la porta chiudersi. Strofina la testa contro il bordo del letto per togliersi la benda, e si guarda intorno incredula, nella sua stanza vuota. In bagno, l’acqua scorre ancora dai rubinetti aperti.
Nuda, i polsi legati, al bordo del letto. Finisce così.

– Potevi almeno chiudere l’acqua, prima di andartene – rimprovero Théodore.
Lui mi rivolge il suo solito sguardo storto e poi mi ignora mentre, curvo, scende le scale e si sfiora il ventre, in un punto preciso, con una smorfia.
Deve averlo davvero graffiato.

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