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Racconti Erotici Etero

Non toccarti, tesoro

By 13 Gennaio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Non toccarti, tesoro (Poly)

 

Mi sveglio ma non so che ore sono. Dai rumori che posso percepire è gia mattina. Il tuo corpo caldo l’ho indossato tutta la notte come un vestito. Ti sposto i capelli per vederti ancora una volta. Non sono mai sazio di te. Sembri una ragazzina. Sollevo il lenzuolo come un ragazzino curioso per sbirciare i tuoi seni, i tuoi fianchi, come se non conoscessi il tuo corpo che palpitava e vibrava solo poche ore fa ai nostri amplessi. Percorro con la mano la tua figura, ma non voglio svegliarti.

Il tuo sesso sembra una boccuccia che mi fa uno sberleffo: lo sai quanto mi piaccia farti godere con le mie carezze, con la bocca, con le mani, con ogni parte del mio corpo. Anche adesso non resisto: sfioro la tua fessura come una brezza; vorrei baciarla, prendere in bocca quel tuo piccolo bocciolo che adesso riposa tra le pieghe della carne, ma m’arresto.

La mia verga è dura, ma m’allontano. Posso aspettare, perché voglio te; voglio il tuo desiderio, voglio godere con te dei tuoi respiri, dei tuoi gemiti.

Quando mi raggiungi in salotto non mi parli, ma mi baci come se anche tu non fossi sazia di me. La maglietta che indossi ti copre appena il pube.

– Come va? – mi chiedi a un certo punto. Vorrei dirti che sto bene perché ti amo, che ho goduto delle tue carezze, dei tuoi respiri sul mio corpo, delle tue lusinghe appena bisbigliate. Le tue mani mi cercano ancora.

– Vuoi un caffè? – ti chiedo.

Non mi rispondi, fai di no con la testa e t’incolli di nuovo alla mia bocca, al mio viso, al mio petto.

– Sei bellissima – ti dico. Non ho altri aggettivi. Sono stupido, ma non riesco a vederti altrimenti. I seni tengono sollevata la maglietta. Cerco di scoprirli, ma con un gesto me l’impedisci. Sei seduta sulle mie ginocchia e il tuo sesso umido, invitante, poggia sulle mie gambe. Mi sollevo per scoprirmi la verga.

– Non toccarti, tesoro – me lo chiedi, ma percepisco che è un ordine. La tua voce seducente è un sussurro che ormai conosco molto bene e che mi conforta.

Ti sistemi ai miei piedi e cominci a baciarmi. Vorrei dire qualcosa, ma so già che mi dirai: “Non dire niente”.

Le tue mani, come un soffio, mi sfiorano la pelle, e le tue labbra audaci s’avvicinano agli inguini. “Finalmente”, penso. Ti voglio subito, ora; ma la tua calma m’atterrisce perché capisco che dovrò aspettare. Sono alla tua mercè, prigioniero, folle del mio desiderio, dei tuoi baci, delle tue carezze insistenti e provocanti.

Ora sei tu a liberare la verga palpitante, congestionata, eretta, ma non la degni d’attenzione. Mi ricopri ancora di baci. I respiri caldi e languidi mi rendono ebbro di te. Ti cerco timidamente.

– Stai fermo, tesoro.

È un sussurro quello che ho sentito, non sono parole… e l’ho già sentito. La parte più nascosta di me l’ha avvertito. Il cuore mi batte forte perché qualcosa, assopito nel mio intimo, affiora: una sensazione, un brivido, una paura ancestrale.

Ma io ti amo.

 

Il sole si stava già nascondendo dietro agli edifici più alti concedendo un po’ di respiro ai corpi sudati.

Tutt’intorno regnava un silenzio quasi soffocante.

Letizia s’alzò, infilò un vestitino corto giusto per coprirsi a qualche occhio indiscreto e raggiunse Federico in terrazza. L’abbracciò. Era disteso su un lettino con gli occhi socchiusi.

– Avremmo potuto fare il bagno insieme – disse Letizia inalando il profumo del bagnoschiuma.

– Non volevo svegliarti – rispose Federico.

– Sono tutti in vacanza:

– Già sono tutti in vacanza. È sabato o domenica?

– Perché ti sei vestito?

– Non mi sono vestito, ho solo l’asciugamano.

– Toglilo.

– Perché dovrei? Tu indossi un vestito.

– Giusto per coprirmi.

– Anch’io.

– Ti voglio nudo.

– Mi vuoi nudo?

– Esatto. Sto bruciando. Vuoi sentire?

– No, mi fido. Cosa vorresti che facessi?

– Tu? Niente. Quella che deve fare sono io.

– E cosa vorresti fare?

– Farti. Che cosa vorrei farti.

– Che cosa vorresti farmi?

 

Sto per chiederti che cosa fai, ma ti limiti a farmi un cenno di non parlare. Vorrei prendere i tuoi seni, assaporarli: sotto la maglietta sono turgidi e i capezzoli rigidi, che adoro torturare, li rendono impertinenti. Le tue gambe sono spalancate su di me. Metto la mano tra le tue cosce credendo che tu voglia goderne, e invece mi baci a lungo, profondamente. La tua lingua mi penetra rimescolando le mie viscere. Il tuo respiro m’inebria. Mi mordi le labbra, i tuoi seni sfiorano la mia carne eccitata e fremente.

Ti allunghi sul divano lasciando il tuo sesso offerto, alla mia mercè. O almeno è quello che penso io, ma ancora una volta, con dolcezza, mi fai cenno di non toccarti. Allungo allora la mano per accarezzarmi, ma, ancora, con un sussurro me l’impedisci.

Tra le tue mani è comparso qualcosa che al primo momento non riconosco. Quando lo metti vicino al tuo sesso e lo spingi dentro capisco che è un piccolo fallo.

Ti guardo stupito e non so cosa pensare. Non me ne hai mai parlato, avresti dovuto?

Deglutisco, ho la gola secca. Ma non riesco a staccare lo sguardo da quel piccolo strumento che mi sostituisce, che s’insinua come un clandestino nel tuo profondo.

Hai gli occhi socchiusi e stati gemendo.

Non so cosa fare, amore. Mi sento imbarazzato e non riesco a capire qual è il mio ruolo; non voglio deluderti, ma m’hai colto impreparato. Un groppo mi stringe la gola. Rabbia? Invidia? Gelosia? Improvvisamente le mie mani diventano pesanti, le dita inutili di fronte a quel piccolo intruso.

– Non dire niente – mi dici.

Spingi ancora di più il fallo dentro il tuo sesso. Le gambe si contraggono e ogni volta che scompare inghiottito dalle labbra, uno spasmo ti percorre il corpo.

Perché amore, perché?

Mi sento annientato e mi chiedo “Perché amore, perché?”

I tuoi gemiti si fanno sempre più insistenti. Il tuo sesso madido e congestionato accoglie quelle spinte schiudendosi come una conchiglia e quando sfiori il clitoride, eccitato e pulsante, una smorfia di piacere ti segna il viso. Stringi le cosce e quel piccolo strumento che ti procura infinita gioia ricompare tra le tue mani.

Adesso me lo appoggi sulla bocca.

No, non voglio, tesoro. Cerco di resistere.

Quante cose vorrei dirti, spiegarti…

Io ti amo e ho paura di deluderti. Ti guardo negli occhi e vedo gioia, godimento, piacere.

– Prendilo, tesoro.

Socchiudo le labbra come un bambino che deve prendere una cattiva medicina. Il fallo intriso del tuo umore però m’inebria come se avessi il tuo sesso spalancato sulle mie labbra. Non voglio, ti prego, ti scongiuro.

– Non dire niente – mi preghi con un filo di voce.

Mi baci, la tua lingua mi succhia, mi divora come se dovessi trasfondermi la tua essenza. Ti distendi di nuovo e ancora ti accarezzi con il fallo. Lo spingi dentro ora, con gesti in rapida successione, quasi con violenza, lisci il perimetro della tua vulva, gemi e ti dimeni procurandoti quel piacere che di solito io, maschio orgoglioso e stupido, ti do.

Vorrei dirti tante cose, ancora, ma mi esce solo un Ti amo, ti amo. Le tue cosce si contraggono, i tuoi sospiri convulsi diventano rauchi gemiti.

Non ti tocco perché non vuoi e lascio che l’orgasmo prepotente e selvaggio ti sfinisca. Quando m’abbracci il tuo corpo madido di sudore e palpitante è ancora pieno d’energia e di calore come un vulcano prima di un’eruzione.

– Distenditi – ancora un sussurro.

Ho paura (di cosa?) e vergogna, ma ancora una volta le tue labbra sono pronte a sigillare ogni mia angoscia.

Ti bacio anch’io, cerco la tua lingua, quasi a rubarti il respiro. Il mio desiderio vuole essere placato. Stavolta mi permetti di toglierti la maglietta e finalmente posso accarezzare la tua pelle bianchissima, i tuoi seni, bellissimi, turgidi ed eccitati, il tuo ventre glabro e invitante.

Docile, ti lasci esplorare e la mia inquietudine scompare.

Vorrei urlarti il mio amore. Le tue labbra mi sfiorano i capezzoli, m’inumidiscono gl’inguini, cercano di strapparmi ogni residuo di dignità che si nasconde sotto la pelle che vibra e gode di questi tentativi… e ancora una volta appare quel piccolo arnese nelle tue mani.

Ti sposti sulla poltrona di fronte. Ora il tuo sesso e le terga mi sono offerte, oscenamente aperte, accessibili. Ho paura, ma tu vuoi che guardi. E io guardo perché ti amo: introduci il piccolo fallo una volte, due, cento tra le pieghe del tuo sesso finché dalle tue labbra esce un lamento continuo. Soffochi i gemiti e invochi il mio nome.

E quando ti alzi dalla poltrona e vieni vicino a me vorrei urlare che “No, non voglio”, ma io ti amo.

– Non dire niente tesoro – mi sussurri.

Ho un vuoto allo stomaco come se dovessi sprofondare in un abisso. La mia verga è carne floscia nonostante avessi goduto nel vederti penetrata da quell’oggetto sconosciuto.

Ho freddo. Vorrei dirti che non voglio, ma ti amo. La tua lingua, le tue labbra, il tuo corpo, a poco a poco, m’infondono calore. Le tue mani abili e sapienti mi percorrono il corpo, indugiano sui fianchi; le dita scorrono sulla fessura allargandomi le natiche. La tua carne umida e ardente s’unisce alle mie membra. M’allarghi le cosce e le tue dita insistenti si fanno strada tra le mie terga. Chiudo le cosce: un istinto antico, l’istinto primordiale. Non voglio: è una carezza che non amo, alla quale non sono abituato. Cerco di mettermi sulla schiena, ma dolcemente mi fai sdraiare di nuovo. Inalo il tuo odore; il profumo della tua pelle e del tuo sesso eccitato, mi disarma.

Ormai non posso ribellarmi. Sono come una vergine innamorata e prigioniera del suo amante.

– Ti amo, tesoro.

Le mie cosce cedono. Ho un nodo alla gola. Il piccolo fallo si fa strada tra le mie terga. L’erezione è istantanea, brutale, violenta. Sento che ogni forza m’abbandona.

Ho un sussulto. Le mie membra ormai si piegano, domate, ai tuoi movimenti.

È un piacere nuovo, assoluto. Il fallo si muove dentro di me, guidato dalle tue mani che conoscono il mio corpo centimetro per centimetro. Mio malgrado gemo; preferisco chiudere gli occhi, scordare questo piacere sconcio e sentirti vicina. Gemo di nuovo. Non riconosco la mia voce. Di più: non riesco a soffocare i gemiti. Di più: il desiderio d’esplodere è impellente: come se l’attimo prima di godere si prolungasse all’infinito. È un dolore piacevole, insopportabile e così allungo la mano per impugnare la verga e mettere fine a quel martirio.

– Non toccarti, tesoro – mi sussurri.

Le pareti delle terga sono adesso talmente sensibili che a ogni tuo sapiente movimento godo. A ogni spinta che tu imprimi a quel strumento di piacere, credo di essere alla fine del dolce supplizio, ma quello che faccio, ormai senza controllo, è allargare le cosce, stringerle, dimenarmi, cercando d’accompagnare il ritmo che tu imprimi al fallo.

L’orgasmo è vicino.

Vorrei dirti tante cose: ma quello che mi esce sono solo gemiti, mugolii e parole senza senso che mi vergogno solo a ricordare.

Ecco.

Ormai, senza più la cognizione del tempo, convulsioni e fremiti mi percuotono come se non dovessero mai abbandonarmi. Le tue mani mi toccano spasmodicamente dappertutto, le tue labbra succhiano la mia pelle, il mio seme, come api il nettare.

– Ancora un bacio, amore – riesci a dire.

 

 

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