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Racconti Erotici Etero

Per mano nel mondo dei grandi.

By 26 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Per mano nel mondo dei grandi.

Anche se la mia generazione ha respirato il vento fresco dell’anticonformismo l’ingresso nel mondo dei grandi per un ragazzo di una famiglia contadina nei primi anni settanta aveva ancora delle piccole usanze come ad esempio il primo vestito su misura cucito dal sarto ( o sarta ) di paese che normalmente coincideva con la prima cerimonia importante che poteva capitare dopo la ‘maturità’: non quella scolastica e neanche anagrafica ma bensì quella soggettiva ( dei genitori ). Per me l’occasione si presentò appena compiuti i 18 anni quando un giorno arrivarono le partecipazioni al matrimonio della nipote di mia madre per fine Agosto di quell’anno, l’evento era di quelli solenni che richiedeva un’eleganza adeguata e così, dopo una veloce ricognizione nello scarno guardaroba di famiglia, fu deciso che per me era arrivato il momento di un vestito tutto nuovo; per il resto della famiglia poteva andar bene il disponibile.
Il mercato settimanale fu la prima tappa per scegliere la stoffa e mia madre volle che l’accompagnassi (come se il mio giudizio fosse vincolante), ci presentammo al banco dell’ambulante di fiducia dove si poteva scegliere tessuti di prim’ordine trattando un buon prezzo: dopo aver stropicciato diverse stoffe, provato il colore alla luce del sole e poi addosso a me decidemmo per un tessuto ‘fresco di lana’ beige. Non volli metter bocca nella trattativa perché un po’ mi vergognavo della caciara che ne venne fuori e poi, sinceramente, quel ‘fresco” pur sempre di lana non mi convinceva per un abito da mettere nel mese d’Agosto sicuramente torrido: abbozzai pensando che in seguito sarebbero venuti mesi più freschi.
Fatta la scelta della stoffa passammo alla seconda fase: la cucitura. La mia famiglia si serviva (per quel poco che poteva permettersi) da una signora che abitava nel nostro paese da qualche tempo e che aveva organizzato una piccola sartoria nell’appartamento dove viveva. Da quello che mia madre ci aveva raccontato la signora Antonietta veniva da una famiglia di sarti napoletani e fin da piccola era vissuta tra ago e filo, da ragazza conobbe un questurino e si sposò lasciando il laboratorio di famiglia per seguire i trasferimenti del marito, in seguito una brutta malattia gli impedì di avere figli e così la passione per il cucire divenne la sua ragione di vita. Quando si trasferirono nel nostro paese in breve tempo lei ebbe modo di palesare le virtù sartoriali dell’antica tradizione partenopea unitamente ad una gentilezza propria che in breve gli fece guadagnare la stima delle donne del posto. La signora abitava al primo piano di un piccolo condominio appena fuori dal centro storico, era un palazzo di edilizia popolare di un colore chiaro quasi accecante al sole di quella mattina di inizio estate. Quando mia madre suonò al portone d’ingresso era quasi mezzogiorno e salendo le scale ci accompagnò un mix di profumi del pranzo ormai prossimo. Sul pianerottolo la signora ci aspettava con un bel sorriso e una vestaglia da lavoro rosa a fiorellini sbiaditi, era una donna di circa 40anni, un bel viso solare con gli occhi scuri illuminati da una dolcezza materna che rispecchiava tutta la sua figura. Entrammo in casa e ci accompagnò nella sua stanza da lavoro che odorava di stoffe e caffè in un’apparente disordine dove probabilmente tutto era al suo posto; mia madre venne subito al dunque: aprì la borsa della spesa mostrando la pezza appena comprata, mi indicò spiegando, quasi a volersi giustificare, che pur essendo io ancora un ragazzino voleva regalarmi quell’abito perché facessi bella figura al matrimonio della nipote. Antonietta mi guardò con un’espressione complice come si può guardare un giovanotto che la mamma vede ancora bambino, fece i complimenti per la stoffa confermando la buona riuscita dell’abito, per le misure sarei dovuto tornare nel pomeriggio perché era l’ora di pranzo e il marito sarebbe rientrato a momenti.
Puntuale all’ora stabilita quel pomeriggio tornai a casa di Antonietta, mi aprì il portone di ingresso e salii le scale di corsa, era ad aspettarmi davanti alla porta dell’appartamento con la sua vestaglia rosa e il sorriso luminoso, mi fece strada fino al suo piccolo regno passando davanti alla porta della cucina dove il marito in divisa stava prendendo il caffè, lo salutai ma non rispose, lei mi chiese un attimo di pazienza lasciandomi solo nella stanza, dopo un po’ lui uscì chiudendo forte la porta, Antonietta ricomparve con un’espressione accigliata ma che svanì in un attimo appena vide che la guardavo. Mi fece mettere alla luce della finestra prima di cominciare a censire la mia figura; avevo sempre pensato che stare lì impalato fosse cosa noiosa invece mi accorsi che mi piaceva guardarla mentre era assorta nel prendere le misure che poi annotava su di un libretto nero accanto alla macchina da cucire, mi piaceva la sua presenza in genere, l’odore del suo corpo mischiato ad un leggero profumo di rosa, mi piacevano i suoi occhi scuri così vicini da immaginarci il passato, il solco del seno generoso e morbido: tutto questo mi avvolgeva l’anima e la fantasia, mi faceva star bene. ‘Sei proprio un bel ragazzo, con l’abito nuovo sai quante ti correranno appresso’, disse per entrare in confidenza nel suo dialetto ormai diluito. ‘ Spero succeda anche con i jeans’, risposi sorridendo. Infranto quell’argine di riserbo il dialogo divenne spontaneo, cominciammo a parlare del più e del meno, delle nostre giornate, del paese troppo piccolo e riservato, del suo rammarico di sentirsi sola in casa e fuori, la nostalgia dei colori di Napoli ed infine di un amore finito nell’indifferenza di un momento difficile: pensieri malinconici raccontati in modo leggero abilmente nascosti da una facciata luminosa. Io ascoltavo in silenzio non avendo parole adeguate per addolcire i pensieri di una donna che sentivo delusa. Pur avendo un aspetto già formato il mio principale attributo era comunque l’innocenza presa per mano dalla voglia di sapere, ripensandoci probabilmente fu proprio la mia semplicità a trasmetterle fiducia per raccontarsi, per sollevare il velo su di una femminilità mai vissuta avversata negli affetti e dal destino.
Il giorno aveva i suoi tempi e il campanello di casa suonò per avvertire l’arrivo di un altro impegno interrompendo così la nostra confidenza. Prima di salutarci mi chiese di farmi rivedere la settimana successiva alla stessa ora per un riscontro delle misure, mi lasciò con uno sguardo affettuoso e poi una carezza che non scorderò campassi cent’anni.
Il tempo scorre a seconda dei desideri e per me quella settimana fu lentissima. Quando arrivò il giorno stabilito mi resi conto di aver pensato a lei tutto il tempo senza un’immagine precisa seguendo l’impulso naturale dell’adolescenza. Arrivai al portone di Antonietta in anticipo, il cuore cominciò a battere appena la vidi sul pianerottolo che mi aspettava, aveva una veste chiara abbottonata sul davanti che dava merito ad una figura ben fatta, i capelli sciolti insieme ad un filo di trucco che volli sperare avesse messo per l’occasione. Quando entrammo in casa guardai verso la cucina e vidi che il marito non c’era: questo mi piacque. La finestra della sua stanza era socchiusa sull’ombra di un cortile da dove scorreva un alito d’aria fresca, mi lasciò un attimo da solo per ritornare tutta felice con una caraffa di caffè freddo e due bicchierini. Mi disse che era un caffè alla napoletana bello denso fatto la mattina e messo a raffreddare; dopo averlo assaggiato chiesi cosa fosse quell’aroma indefinito che addolciva il caffè, con orgoglio mi svelò il segreto di una goccia di liquore all’amaretto che ogni tanto metteva. Forse tra noi stava nascendo una specie di simbiosi dove lei necessitava di attenzione per sentirsi viva io della sua considerazione per sentirmi uomo.
Dopo il caffè iniziammo il riscontro delle misure, prima per la giacca: le spalle, braccia, ecc.; dopo passammo ai pantaloni: i fianchi, le gambe e ‘il ‘cavallo’. Per far questo dovette mettersi in ginocchio proprio davanti a me e in quella posizione, dal bottone aperto della vestaglia, potevo insinuare lo sguardo fin dentro il solco del seno che mi sembrava enorme rispetto alle poche esperienze vissute, un bel seno grande e rotondo fonte di femminilità tanto ambita vissuta come un miraggio nei miei sogni proibiti che adesso avevo a pochi centimetri da me. Guardare quel petto di donna matura era un attrattiva fatale che mi eccitava, mi eccitò così tanto che dopo un po’ i jeans attillati cominciarono a gonfiarsi proprio davanti ai suoi occhi, più cercavo di distrarmi più lui cresceva e più lui cresceva e più aumentava il mio imbarazzato: sarei voluto scappare, sotterrarmi dalla vergogna. Lei inizialmente fece finta di nulla poi, quando la situazione si fece troppo evidente, sollevò la testa e con un sorriso benevolo disse: ‘Questo è uno dei regali più belli che un uomo può fare ad una donna, non ti devi vergognare’. Non dissi niente mentre il sangue mi arrivava alla testa dall’imbarazzo, rimasi fermo nella mia condizione fino a quando sentii il dito di lei appoggiarsi alla base del mio gonfiore e, piano, piano seguire tutta la lunghezza della mia erezione da sopra i pantaloni, quando arrivò in cima si soffermò a massaggiarmi la cappella dapprima solo con il polpastrello dell’indice e poi con tutto il palmo della mano aperta muovendola su e giù piano, piano. L’uccello era ormai arrivato al limite della cintura imprigionato tra la pelle del bacino e la pressione della sua mano, lei in ginocchio davanti a me continuava ad eccitarmi seguendo il ritmo del mio respiro che si faceva sempre più veloce fino a quando un brivido mi prese tutto il corpo insieme ad un gemito: i primi fiotti di sperma arrivarono fin sopra i pantaloni imbrattandomi la maglietta, Antonietta appoggiò il viso sull’inguine stringendomi con le braccia attorno alla vita aspettando gli ultimi sussulti di piacere. Non so per quanto tempo siamo rimasti così: lei in ginocchio allacciata ai miei fianchi, io in piedi con gli occhi chiusi e le mani tra i suoi capelli umidi di sudore, poi si fece coraggio e lentamente si alzò in piedi, mi abbracciò appoggiando la testa sulla mia spalla senza il coraggio di guardarmi negli occhi si lasciò andare ad un pianto sommesso, liberato con pudore come se io non dovessi sentire. Gli scansai i capelli per guardarla ma lei non volle, si staccò da me in modo brusco:’ Sono una pazza’ disse, ‘ non so cosa mi succede’ mio marito ci ammazza tutti e due, anzi: ammazza me che tu potresti essere mio figlio’. Ero senza parole e senza pensieri, in quel momento il protettore degli amanti mi venne in soccorso mettendomi sulla bocca una frase che avevo letto e che sul momento stupì anche me: ‘ Mi hai fatto provare un motivo per vivere, questo mi basta. Vorrei che per te fosse uguale’, gli dissi quasi in un respiro. Girò la testa e mi guardò seria, stette un attimo poi scoppiò a ridere con gli occhi ancora bagnati dal pianto tornò ad abbracciarmi con impeto, all’orecchio mi disse: ‘ Tu non sei un ragazzo, sei un uomo’, gli risposi stringendola. In quel momento capii che non era finita.
Quando mi accompagnò alla porta era un’altra persona, era tenera, confusa, la sentivo molto vicina a me e alla mia età come se ci conoscessimo da sempre; quella volta a salutarmi non fu una carezza ma un piccolo bacio sulla guancia molto vicino alla bocca. ‘ Ci vediamo la prossima settimana alla stessa ora’, gli dissi scappando giù per le scale per non sentire la risposta.
Per strada camminavo ad un metro da terra con la testa vuota e il cuore pieno di energia, avevo un solo cruccio: ma perché avevo detto: ”tra una settimana’, potevo dire: ‘domani!?
Poi tutto un botto ritornai per terra al pensiero del marito questurino ( = pistola = ‘ mio marito ci ammazza tutti e due”: un’equazione da brividi! ).
Per tutta la settimana pensieri erotici si alternarono a scenari drammatici arrivando perfino a maledire la troppa grazia ricevuta ma in quei frangenti potei testare la fermezza del mio impulso passionale: sarei andato alla guerra pur di rivedere Antonietta.
La stessa delusione che si prova quando un grande evento preparato con cura viene rimandato all’improvviso la ebbi il giorno stabilito quando andai a suonare al campanello e non rispose nessuno: lei non c’era. Ricordo di aver gironzolato nelle vicinanze per tutto il pomeriggio come un infelice con la speranza che fosse di ritardo ma quando arrivò sera dovetti ritornare al mio cantone con l’animo inquieto di chi vede il tramonto prima di arrivare. Fu mia madre a darmi una flebo di vita quando il giorno successivo tornando a casa mi disse che Antonietta mi voleva vedere quel pomeriggio stesso per controllare le misure per il vestito: se il cielo avesse avuto un tetto ci sarei andato a sbattere per i salti gioia.
Ricordavo all’incirca l’ora che il marito usciva e così ritardai quel tanto che ritenni opportuno per presentarmi alla porta di lei. L’imbarazzo era reciproco e questo lo capii appena la vidi in cima alle scale, l’abituale sorriso era una versione artefatta dalla sua timidezza. Prima che la raggiungessi si ritirò dentro la porta di casa come a nascondersi da occhi indiscreti, entrai impacciato, fu lei a prendermi per mano e portarmi nella sua stanza da lavoro dove gia potevo distinguere il suo profumo mischiato a quello delle stoffe e del caffè. Ricordo di aver paragonato da sempre il suo il viso all”Irene’ di Bouguereau, un dipinto visto e rivisto in quei giorni sull’enciclopedia di casa: i capelli neri e ricci avevano risalto sulla pelle chiara e il corpo aveva quella morbidezza accogliente di una femminilità d’altri tempi.
Appena entrati lei chiuse la porta della stanza seguendo un impulso di intimità per poi tornare di fronte a me, sul viso aveva una dolcezza infinita e forse una certezza: accompagnarmi per mano nel mondo dei grandi. La stessa vestaglia dell’ultima volta e lo stesso bottone slacciato che dava su quel bel seno maturo lontano da ogni mia più rosea aspettativa; guardandomi fisso negli occhi senza dire una parola mi prese le mani e lentamente le sollevò facendole scorrere da sopra la vestaglia lungo i suoi fianchi fino ad appoggiarle sul petto che mi fece stringere piano: non potevo credere di essere lì a toccare quel frutto proibito, affondare le dita su quei grossi cuscini morbidi magari non troppo forte perché poteva essere un sogno e tutto poteva svanire. In silenzio cominciò a guidare le mie carezze ancora un po’ acerbe su tutta la rotondità del seno, mi aiutò a prenderlo nelle mie mani quasi a soppesarlo, a sollevarlo come fossero due coppe da innalzare ai mie occhi: un’offerta di un bene prezioso non solo carnale. Accompagnò le mie dita sui capezzoli che da sopra la vestaglia sentivo turgidi, sospirando ad ogni carezza più intensa, con gli occhi socchiusi cominciò a muovere il ventre contro al mio, a strusciarsi lentamente sopra l’uccello gonfio muovendosi come se mimasse un amplesso sempre più eccitato. Si fermò un attimo, forse era un’ultima esitazione, per non bruciare un evento bello da ricordare, un momento che aveva immaginato per se e come io avrei dovuto rivivere. Mi aiutò a togliere la maglietta accarezzandomi il petto, le spalle, fino al viso poi dietro la nuca intrufolandosi tra i capelli. Il suo sguardo aveva una dolcezza rassicurante mentre le labbra si avvicinarono per appoggiare un piccolo bacio sulla punta del naso, sui bordi della bocca ed infine sulle labbra, tanti piccoli baci insieme al tepore del suo respiro mi accolsero in quell’indole femminile vogliosa d’affetto; seguì un bacio dolcissimo che esperienze diverse resero ingenuo. La punta della lingua entrò a cercare la mia per giocarci un po’ man mano che l’impeto diventava passione mischiando i respiri, poi mise mano ai bottoni della vestaglia cominciando ad aprirli uno ad uno liberandosi da una costrizione durata troppo a lungo, fece emergere dapprima la pelle chiara delle spalle e poi i seni grandi ancora chiusi dentro il reggiseno bianco che venne tolto subito dopo liberando due mammelle rotonde e morbide con due capezzoli scuri in contrasto con la pelle quasi lattea: la sporgenza di quelle forme mi impedivano la vista sul resto del corpo libero ormai dalle vesti. Quando mi strinse a se fu come un brivido di piacere sentire il calore della pelle, la tenera essenza femminile, la morbidezza del petto conto il mio. Mi venne voglia di fare tante cose in un solo momento ma fu Antonietta ad anticipare ogni proposito raccogliendo il seno nelle sue mani per porgerlo alla mia bocca tenendo i capezzoli tra le dita, chinai la testa e scesi in mezzo a quella insenatura di pelle morbida di un tepore che sapeva di panna, di casa, di suggestioni infantili impossibile da dimenticare. In modo impacciato e goffo cominciai a leccare e succhiare i capezzoli come può fare un bambino che segue un istinto atavico, sotto la pelle sentivo i battiti del cuore insieme a respiri profondi mentre le sue dita tormentavano i miei capelli. Prima che il piacere prendesse il sopravvento mi sollevò il viso per darmi ancora un bacio poi mi prese per mano e mi accompagnò verso un vecchio sofà carico di stoffe e confusione, seguendola da dietro potevo vedere finalmente il suo corpo per intero con addosso soltanto le mutande bianche a coprire un bel culo sodo proporzionato alle tette di cui sopra. Antonietta era una bella donna dalle forme mediterranee non ancora sgualcite dal tempo, una bellezza nascosta dalla semplicità che la femminilità rivalutava. La nostra alcova improvvisata fu sgomberata in un attimo senza che il disordine esistente ne risentisse, si sedette lasciandomi in piedi davanti a lei, cominciò ad allentare la cintura dei pantaloni e poi a sbottonare i jeans che a malapena contenevano la mia erezione, infine li aprì e in quell’attimo si accavallarono mille pensieri realizzando che ero giunto al momento ‘del non ritorno’: non mi avrebbero aiutato le fantasie aggiustate di volta in volta alle masturbazioni, i vanti sessisti con amici imbranati e neanche le poche esperienze quasi rubate, la mia virilità adesso era allo scoperto davanti ad una donna che si aspettava un uomo, non una fantasia. Per mia fortuna dietro la serenità di Antonietta c’erano tutte le risposte ai miei dubbi. Cominciò ad abbassare i pantaloni lentamente facendomi restare di fronte a lei con l’uccello ritto fuoriuscito per metà da quegli stupidi slip alla francese che usavano all’epoca, prima di abbassarli lo accarezzò per tutta la lunghezza poi, quando fu completamente libero, lo prese in mano e cominciò a masturbarmi piano e a leccarmi la punta girandola tutta attorno con la lingua in un modo quasi infantile. Seguivo a tratti quello spettacolo al quale non ero certamente abituato cercando di distrarmi per sopprimere l’orgasmo impellente ma quando sentii il caldo della bocca avvolgermi tutto l’uccello e con la testa cominciò a muoversi avanti e indietro si ruppe quella diga così fragile e dopo un sussulto prolungato la inondai di sperma. Antonietta fece appena un gemito quando sentì il primo fiotto violento arrivarle in gola poi serrò le labbra attorno alla cappella per ricevere tutto quello che ne usciva. Le presi la testa tra le mani quasi a volerla penetrare ancora più a fondo mentre lei continuava ad ingoiare, con la mano scese tra le mie gambe per massaggiarmi le palle in modo da accompagnare gli ultimi spasmi dell’orgasmo. Eravamo bagnati di sudore in quel pomeriggio di calura, la guardavo mentre succhiava l’uccello come se volesse assaporare le ultime stille di piacere. Man mano che si placava l’eccitamento aumentava la consapevolezza di non essere stato all’altezza, il rammarico per un orgasmo troppo veloce che non l’aveva fatta godere come avevo immaginato o visto fare in troppi film osé. Rimasi immobile davanti a lei svuotato e senza una parola, fu Antonietta ad accorgersi di quanto fossi mortificato e si alzo in piedi, mi strinse con affetto quasi materno sussurrandomi all’orecchio quello di cui avevo bisogno: ‘ mi desideravi così tanto, vero? E’ una pazzia ma sono fortunata, sei dolcissimo’. Con una carezza si staccò da me per stendersi sopra al sofà e mostrarmi interamente tutta la sua femminilità: in quella posizione assomigliava tanto alla ‘Maya desnuda’ di Goya, magari con i seni più grandi, le mutande e tanta dolcezza in più. Mi fece posto in quel piccolo spazio e ci affidammo alle carezze e ai nostri sogni per salire talmente in alto da non sentire il peso del reale per poi riscendere con un tuffo al cuore ad ogni sussulto di pudore, montagne russe messe lì dal Padreterno per conoscere l’essenza della vita cercata in ogni centimetro di pelle e scoperta piano, piano come una parte nuova del creato. Restammo sospesi in quella dimensione fino a quando le tenerezze risvegliarono la passione e il desiderio. Mi aiutò a sfilarle le mutande un po’ alla volta districandoci tra i nostri corpi poi, come aveva fatto con i seni, mi prese la mano e l’accompagnò su quel triangolo di peluria riccia e scura che copriva il sesso, mi fece scendere fino in mezzo alle cosce a sentire il caldo della fica bagnata, appena le dita entrarono dentro a quella fessura lei ebbe un sussulto seguito da un piccolo gemito, spalancò meglio le cosce candide e lisce per farmi scoprire ogni segreto di quell’intimità, ci soffermammo a lungo su un piccolo rigonfio turgido del quale non conoscevo l’esistenza ma che a lei provocava delle sensazioni forti, poi mi fermò un attimo: sul viso aveva un’espressione serafica e maliziosa; si tirò un po’ più su con il corpo mettendosi davanti al mio viso con le gambe aperte, mi appoggiò una mano tra i capelli e accompagnò la mia testa dove prima avevo le dita. Mi era capitato soltanto una volta di mettere il viso in quell’anfratto e il profumo che ricordavo era quasi di vaniglia mentre ora il profumo sapeva di mare, forse di muschio come quello del presepe fatto a Natale. Strofinavo le labbra e la mordicchiavo tra le cosce salendo verso il centro dell’inguine, con la mano accarezzavo i fianchi, il ventre ed infine dietro ad accarezzare i glutei sodi e morbidi; mentre la leccavo in mezzo alle gambe vedevo la vagina schiudersi e pulsare, emettere miele che imbrattava tutta la peluria riccia e scura. Mi spinsi con la lingua all’interno della fessura, poi nella parte più in alto dove ritrovai quel bottone turgido che prima avevo accarezzato, appena cominciai a succhiarlo delicatamente lo sentii irrigidirsi e le sue mani stringermi i capelli per non farmi smettere. Non so per quanto tempo sono rimasto in apnea tra le sue gambe ma la mia lingua stava provocando un qualcosa di importante: la sentii fremere e inarcarsi in modo convulso, il respiro affannato si trasformò in un gemito, poi un urlo anticipò una contrazione forte che imprigionò completamente la mia testa tra le cosce, il bacino ebbe un sussulto e all’improvviso dalla vagina uscì uno spruzzo che mi bagnò il viso di un liquido leggermente salato ma buono, una sorpresa inaspettata per un ragazzo alle prime esperienze ( in seguito mi sono fatto più guardingo ). Il regalo più bello lo ebbi quando si allentò la morsa e risollevai la testa guardando oltre il monte di Venere: la vidi sfinita in un abbandono languido con il viso nascosto tra i capelli scompigliati, bagnati dal sudore come tutto il suo corpo, le braccia inermi e i grandi seni a riposo sul petto, tra le gambe divaricate i peli ricci arruffati a piccole ciocche umide di umori scesi poi in una grossa macchia fin sopra il sofà. Nonostante i miei sensi fossero isolati dal resto del mondo, la mandibola anchilosata e il viso imbrattato mi sentivo un eroe vittorioso reduce da una campagna che avevo temuto persa: ero salito dalle stalle alle stelle in poco tempo’ come si fa da ragazzi. Antonietta mi dava l’opportunità di conoscermi, di conoscere il suo corpo e nel contempo mi insegnava il rispetto dell’universo femminile che adesso donava linfa e fiducia alla mia innocenza chiedendomi in cambio di cancellare in futuro ogni possibile rigurgito di rozzi pregiudizi. Raggiunsi il suo viso strusciando lungo il suo corpo, mi adagiai su di lei stando in mezzo alla sue gambe aperte, sentii un brivido di benessere; l’uccello che era rimasto grosso e duro in quella posizione strusciava sull’ingresso delle piccole labbra così dopo un po’ lei cominciò a muovere il bacino facendo scorrere la cappella su tutta la vagina ancora umida poi inarcò la schiena e con le mani si aggrappò ai miei glutei, mi tirò a se allargando completamente le cosce: sentii la punta dell’uccello farsi largo in quella fessura bagnata e scivolare dentro fino ai testicoli. Mi sentii avvolgere dalle sue contrazioni e dalle gambe incrociate sopra la mia schiena, cominciai a muovermi avanti e indietro con forza, il viso immerso fra i grossi seni sudati che ondeggiavano sotto i miei colpi, le presi un capezzolo in bocca e cominciai a succhiarlo dolcemente, lei aveva la testa rovesciata da un lato con il viso coperto dai riccioli arruffati, gli occhi socchiusi assorti nel piacere segnato da un piccolo gemito ogni qualvolta immergevo l’uccello dentro di lei. Mi tirai su con il busto appoggiandomi sulle braccia tese per guardarla un po’ più dall’alto ( veder godere una donna credo sia una delle cose più belle della vita ). All’improvviso si aggrappò alla mia schiena con le unghie, sentii il bacino avere dei sussulti cadenzati poi un urlo anticipò l’orgasmo: sentii i suoi umori bagnarmi i testicoli e scendere poi lungo le cosce. Rimase con braccia e gambe spalancate in un pozzo di sudore, mi chiese di fermarmi per riprendere fiato e lentamente si sfilò da me con un’espressione stralunata, esausta, senza dire una parola si rigirò su se stessa e si stese a bocconi come se volesse dormire, rimasi a guardarla con tenerezza, sembrava proprio una bimba con i suoi capelli neri tutti scompigliati sulle spalle chiare, il solco della schiena che scendeva con una leggera fossetta fino a perdersi in mezzo a due belle mele rotonde sorrette da due cosce piene e morbide’ da impazzire! Ero eccitatissimo, non sapevo star fermo, avevo ancora voglia del suo corpo, di accarezzarla, di prenderla, di venire dentro di lei. Al pensiero che soltanto qualche ora prima potevo solo immaginare quello che adesso stavo vivendo mi dava un’adrenalina pazzesca. Non ebbi riguardo della sua spossatezza così mi distesi piano sopra di lei e cominciai ad accarezzarle la schiena, i capelli, poi chinai le labbra sul collo baciandola con dolcezza fin dietro la nuca poi feci scorrere la punta della lingua lungo la schiena umida di sudore fino all’inizio dei glutei dove appoggiai le mani e li aprii come una pesca matura, continuai a scorrere con la lingua soffermandomi a leccare il buchino del culo; lei cominciava a dare nuovi segni vitali inarcandosi e sollevando languidamente il sedere ogni volta che affondavo la lingua. Cominciai a massaggiare il buchino con la punta di un dito bagnato dalla saliva, sentivo che premendo si allargava un po’ alla volta, sembrava che Antonietta apprezzasse particolarmente questo nuovo giochino tanto che, quando il dito fu completamente dentro e cominciai a muoverlo avanti e indietro si sollevò in ginocchio per riceverlo meglio. Se tutto ciò lo vivevo come una suggestione dalla quale potevo anche svegliarmi, quello che adesso accadeva era come entrare direttamente in una fantasia ricorrente che di solito figuravo per masturbarmi, avere una bella quarantenne (sogno di ogni adolescente) disponibile a pecorina mi fece venire l’uccello di pietra, talmente grosso che non lo riconoscevo. Antonietta era in una trance di piacere che ormai andava al di là di ogni recondito pudore e così provai ad osare l’inimmaginabile prima che il sogno svanisse: mi misi dietro di lei divaricandole bene le cosce, presi l’uccello in mano e lo strofinai sulla vagina bagnata intingendolo bene poi presi la cappella tra due dita e la puntai sul buchino del culo, cominciai a premere delicatamente fino a quando iniziò ad entrare, lei ebbe appena un sussulto ma rimase ferma aspettando l’epilogo. Vedevo la cappella farsi largo in quel bocciolo rugoso e scuro fino scomparire del tutto, quando lei sentì che era entrata cominciò a spingere contro di me cercando di far entrare tutto l’uccello un po’ alla volta soffermandosi ogni tanto e chiedendomi di far piano. Entrò completamente facendosi spazio nella morsa dell’orifizio anale fino a quando rimasero fuori soltanto i riccioli dei peli. Lei cominciò a muoversi e roteare il bacino, a inarcarsi e spingere forte contro di me: la sentivo gemere con le mani aggrappate ai bordi del sofà. L’afferrai per i fianchi e cominciai a pomparla con forza sempre più veloce, senza riguardo, lei urlava di piacere e di dolore con l’uccello nel culo che la faceva impazzire, come se fosse stato un desiderio nascosto da realizzare in un momento proibito. Questa volta le sensazioni erano veramente troppo forti così per me la galoppata fu breve: con una mano la presi per i capelli come fossero briglie tirandola a me’ poi gli ultimi affondi in quel culo stupendo di donna matura ‘una fitta e un brivido su tutto il corpo ‘ la chiamai per nome e’ venni! La riempii di sperma a più riprese con dei sussulti prolungati che non finivano più, contemporaneamente iniziai a sentire le contrazioni ritmiche dei muscoli anali sempre più veloci, lei ebbe un tremito convulso quasi inarrestabile che la scuoteva per tutto il corpo, dopo una serie di lamenti si irrigidì all’improvviso’ un urlo rauco e’ uscì uno spruzzo violento che mi bagnò per l’ennesima volta. Un orgasmo sfrenato e lunghissimo che mi fece impressione.
Sdraiato sopra di lei esausto continuavo a sentire le pulsazioni dell’anello anale sull’uccello mentre lei aveva ancora dei fremiti sommessi come quelli del pianto. Ricordo ancora il caldo di quella stanza dove a quel punto sudavano anche i pensieri e quell’odore nuovo che adesso sapeva di noi. Dovetti sollevarmi per prendere aria e quando lo feci lei girò la testa dalla mia parte e con un sorriso di bimba felice mi chiese dove andassi: ‘ da nessuna parte ‘ risposi, mi sedetti accanto a lei e cominciai ad accarezzarla dolcemente, la guardavo mentre si prendeva le coccole con gli occhi chiusi come una micia sul canto del fuoco. Stavo imparando che fare all’amore ( bene ) ci fa diventare noi stessi, senza più domande o inibizioni.
Ritornato lentamente alla ragione ebbi un flash improvviso: ero in casa di un poliziotto nudo insieme a sua moglie bagnato come un pulcino, devo essermi rabbuiato abbastanza se Antonietta mi chiese preoccupata cosa fosse successo, l’espressione del mio viso deve essere stata eloquente perché cominciò a ridere tranquillizzandomi: il marito era a Napoli e sarebbe rientrato il giorno dopo.
Ci rivestiamo ruzzando felici, lei indossò nuovamente la sua vestaglia senza mettere l’intimo visto che le mutande erano introvabili. Scoprii che soffriva terribilmente il solletico, quando la presi per i fianchi a sorpresa con la punta delle dita fece un sobbalzo e un grido divincolandosi; dopo esserci rinfrescati mi accompagnò alla porta continuando a giocare ridendo dimentichi dell’ora e dell’abito nuovo, motivo del nostro incontro.
Da quella volta non ho più avuto intimità con Antonietta, ci siamo rivisti nei giorni a venire per ultimare la confezione del vestito sempre in presenza di mia madre oppure con il marito in casa, ogni volta era una tortura terribile ma credo che mai nessuno abbia avuto sospetti. Con me si comportava in modo naturale, quasi con distacco e questo mi dava una sofferenza terribile come se avessi vissuto una realtà bellissima e il presente fosse un incubo.
L’abito fu pronto molto prima del previsto e quando mia madre andò a ritirarlo per saldare il conto portò a casa una notizia che mi fece provare lacrime amare: Antonietta sarebbe tornata a Napoli di lì a pochi giorni, sapeva di doversi trasferire già da tempo per un ordine di servizio del marito, in pratica il mio fu l’ultimo vestito confezionato prima di partire.
Per un certo periodo ho vissuto quasi distaccato dal mondo che mi sembrava fin troppo banale distruggendomi dalle seghe, poi arrivò il giorno del matrimonio ‘e del vestito nuovo rimasto incartato nell’armadio per tutto il tempo senza aver mai pensato di provarlo. Quando lo indossai mi sembrava ancora più pesante del normale come se la tristezza fosse tessuta nella trama della stoffa, non potevo fare a meno di pensare che le mani che lo avevano cucito erano le stesse che avevano percorso ogni centimetro del mio corpo. Avevo deciso di non mettere la cravatta ma soltanto una pochette rosa a fiorellini pensando a lei e alla veste che aveva la prima volta che la vidi, quando andai a metterla nel taschino sentii sul fondo un qualcosa che dapprima mi sembrò un bottone poi con sorpresa tirai fuori un confetto celeste: era il suo piccolo regalo per me ‘che ho mangiato un attimo fa alla fine di questo racconto dopo averlo conservato tutti questi anni.

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