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Racconti Erotici Etero

Pericle

By 26 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

La scorsa estate io ed Amedeo abbiamo trascorso le vacanze in un bed&breakfast vicino Atene, in una località strategica per quanto riguarda l’andare per musei senza viaggiare troppo per le strade non eccessivamente comode di questa bellissima nazione. L’appartamento era situato in una graziosa casetta di periferia, monofamiliare, pulita ed allegra. La coppia di anziani che la gestiva si era dimostrata molto accogliente e scherzosa. Le camere fornite di bagno, erano abbastanza spaziose, ma con un’unica pecca: il bagno non aveva una doccia molto comoda, in quanto era ricavato, come accade molto spesso, in un angolo della stanza, quindi angusto e poco aerato. C’era però una grande camera con un ottimo bagno ed una bellissima doccia, supermoderna, ampia e dotata dei comfort che vanno di moda al giorno d’oggi.
La casa ospitava anche un’altra giovane e bella coppia, greca, simpatica, dai nomi incomprensibili per me. Lui somigliava al busto di Pericle che ricordo dai libri di scuola media, bello alto e barbuto, dal naso importante. Lei dai tratti netti gli occhi marroni profondissimi ed i capelli lunghi neri ed ondulati. Mi ricordava semplicemente Penelope e così la chiamerò.
Una mattina Amedeo, che fa presto a farsi amici, e chiacchiera chiacchiera con un incrocio di lingue dialetti e gesticolazioni, decide di andare a vedere un museo di vasellame antico del quale non me ne poteva importare meno. D’accordo per le grandi opere d’arte, statue, monili d’oro, metalli preziosi; ma il vasellame non mi interessa proprio. ‘vacci tu’ gli dico la mattina stirandomi nel letto come una gatta e facendo la voce sensuale. ‘voglio passare la giornata a farmi bella e poltrire in pace’. Allungo il braccio e lo tocco giocherellando con i suoi boxer; ‘e poi stanotte festeggiamo qualcosa di bello’. ‘Ok’, risponde lui, ‘allora se non ti dispiace ci vado con Penelope e Pericle, che mi avevano detto che ci sarebbero voluti andare’. ‘non mi dispiace certo, vai e divertiti, e non ti stancare troppo che stanotte ti voglio in forze”
Dopo la ricca colazione partono tutti e tre, ed io lesta lesta me ne vado nella stanza della bella doccia, dove poter rimanere in pace per tutti i miei comodi. Chiudo le imposte, spengo la luce ed entro nella cabina ancora vestita di mutandine e maglietta. Regolo la temperatura, la luce colorata ed il sottofondo musicale. Spingo a casaccio i tasti che fanno scegliere l’aroma ed apro l’acqua. Il getto sottile come una pioggerellina primaverile inizia a cadermi addosso. Adoro iniziare la doccia vestita e poi togliermi gli indumenti zuppi e lasciarli cadere nel fondo della vasca. Alzo il viso verso il getto e chiudo gli occhi languidamente mentre mi sfilo la maglietta e la getto via. Poi, sempre ad occhi chiusi sfilo le mutandine lasciandole all’altezza delle ginocchia e poi ancheggiando lascio che cadano anch’esse. Prendo la saponetta profumata e me la strofino a partire dal viso, il collo, i seni, le braccia, la pancia ed il cespuglietto. Indugio ed insisto come al solito giocando con i peli e lasciando che si ricoprano di uno strato di soffice schiuma, e poi spingo in profondità fino ad entrare un pochino tra le labbra che subito si fanno da parte e lasciano che la un angolo della saponetta e le dita entrino per bene. Passo il sapone nella mano sinistra e con le dita della destra mi gingillo su quel piccolo fiorellino che pian piano si fa sentire e più lo tocco e più sento quel piacere montare dentro di me. E giro giro intorno ad esso, e chiudo gli occhi e mi mordicchio il labbro inferiore e con la lingua li umetto e mi riempio la bocca dell’acqua che continua a cadermi addosso.
Improvvisamente va via la luce e rimango praticamente al buio. Solo un paio di righe di luce solare penetrano dalle imposte abbassate. E proprio mentre sento il piacere avvicinarsi all’apice, una sensazione strana mi prende, ed anche paura. La porta del bagno si apre e nella luce che entra vedo una sagoma alta che fa il suo ingresso e richiude la porta. Non è quel porco di Amedeo, come per un attimo ho pensato fosse. La silhouette è più bella alta e muscolosa. Apre piano la porta e mi fa ‘Kalimera Amanda” e qualche altra parola che non capisco, ma la sua voce è gentile, pacata, bella profonda. Entra. Lo sento abbracciarmi e posare la sua bocca sul mio collo. E’ nudo ed eccitato. Sento sulla mia pancia quella ingombrante presenza che fa come da respingente caldo e forte.
Sarà stato per il fatto che quel che stavo facendo mi aveva messo in uno stato di eccitazione, calma, rilassamento e desiderio, ma rispondo al bacio chinando la testa verso il suo petto che percepisco forte ed ampio. Poi lui mi mette una mano sotto il mento dopo averla trascinata su di un mio fianco e mi fa alzare la faccia sulla quale lui poggia la sua bocca che subito scivola verso la mia. Insieme le apriamo e lasciamo vivere le lingue, prima poco, poi tanto, quel che basta per esplorarci le labbra ed i denti, che sento lisci. Così in questa semi oscurità, sotto l’acqua calda e gli aromi, sento il suo fiato di caffè e lascio scendere la mano destra sotto di me, e prendo gentilmente in mano il suo caldo ingombro. E così rimango, muovendo piano il braccio e le dita e sentendo le sue braccia stringermi mentre continuiamo a baciarci. La mia mano stringe delicatamente e mentre muove scende più giù a raccogliere al di sotto con il palmo a conca quella morbida pelle e quel che contiene. Mi accuccio scivolando via dalla stretta forte ma non salda sulla mia schiena bagnata, e strofino il mio viso e le guance tutto sopra ed intorno il suo basso ventre. Sento il naso incrociarsi con corti peli e calde vene ed apro la bocca e con la lingua cerco di leccare tutto quello che tocco e che so che c’è. L’acqua mi da sensazioni che aumentano i brividi di piacere mentre con la bocca piena succhio senza respirare e poi respiro e soffio e gioco con le guance ed i denti e le mani. Con la sinistra mi tocco con forza al ritmo del mio succhiare, sempre rimanendo con le ginocchia piegate ma con il baricentro stabile e ben poggiata al corpo forte che sto quasi mangiando. E spingo le mie dita più a fondo possibile dentro di me.
Sento che Pericle ogni tanto fa piccole flessioni sulle ginocchia, forse è scomodo o forse sta perdendo l’equilibrio, o forse sta raggiungendo l’orgasmo. Modifico il mio ritmo, rallento fino a fermarmi. La mia bocca è piena e solo la lingua gira intorno piano quella verga calda che sento pulsare. L’acqua mi cade in testa, trattenuta dalle sue mani, ma non si muovono, come se sapesse che non mi piace essere forzata a seguire ritmi che non mi sono naturali. Mi sfiora i capelli, e gli occhi, che tengo chiusi, dolcemente. Con la mano sinistra gli accarezzo una natica e la stringo come se la stessi massaggiando. La destra scende verso la caviglia e risale, scivolosa ed intraprendente, sale lungo la sua coscia muscolosa in tensione, e sale per prendere e sostenere il caldo fardello per giocarci piano col palmo pieno, soppesante, scherzoso con le due rotonde e lisce parti che faccio muovere con movimenti del polso. Poi da conquistatrice perversa e curiosa, con la mano piena, allungo il medio fino a raggiungere in alto quella stretta parte di lui che forse non si aspettava insistessi nel penetrare. Si rilassa pochi secondi dopo, lasciandomi insinuare facilmente il polpastrello, che carezza sfiora e gira le sue pareti interne allo stessa frequenza della mia lingua che gusta le gocce salate che riesce a spremere.
Ma non credo questi giochini gli piacciano. Si divincola dolcemente dalle mie prese, mi mette le mani sotto le ascelle e mi tira su trascinandomi verso l’alto, baciandomi di nuovo. La sua lingua ora viola di nuovo il mio palato, e lascia che le nostre dentature si scontrino provocando un rumore ed una vibrazione nella testa che non è piacevole, ma solo emblema di una passione che potrebbe diventare violenza. Sento che, sotto, mentre le sue braccia mi stringono, vuole entrare e cerca una strada che non trova, come una bestia impazzita spinge, scende, oscilla. ‘Aspetta’ gli dico. All’angolo della doccia, formato nella plastica che lo compone c’è un comodo sedile sul quale mi sistemo allargando le gambe prendendogli il sesso e stringendo lo trascino come un cagnolino al guinzaglio e lo costringo a scendere ed inginocchiarsi di fronte a me, poi lo tiro avvicinandolo alla mia entrata mentre con due dita della sinistra divarico le grandi labbra. Lo tiro fino a poggiare la sua punta sull’ingresso che sto preparando, strofinandolo sul mio apice, e lo muovo in alto ed in basso premendo impercettibilmente sempre di più ed ogni volta un decimo di millimetro sempre più dentro.
Ma lui si stanca di questo gioco e spinge con forza, spinge finché non trattengo più il suo ariete e lascio di colpo libero che entri. Fa il suo ingresso di pochi centimetri poi sempre più, esce e rientra, esce ed ancora penetra in profondità. E’ grande, lo sento eccome ed anche se sono eccitata da morire, umida e scivolosa dentro e fuori, fatico a scacciare dal mio cervello la sensazione di bruciore. Ma come volle la natura, questa sgradevole impressione termina, e prende il suo posto il piacere, puro, importante, grande, e mi fa stringere per riflesso le cosce e le gambe attorno al suo corpo al quale sono stretta forte, più forte che posso, ed affondo i denti su di una sua clavicola e succhio e bacio e passo la lingua ingoiando l’acqua calda che continua a scendere su di noi, ed artiglio la schiena ed i suoi glutei, e pianto le unghie nella carne mentre guardo il suo viso nella penombra a cui mi sto abituando e lo vedo godere, estasiato in viso, corrugato in uno sforzo naturale, e mi rilasso, distaccandomi e gettandomi completamente indietro, poggiata allo schienale, quasi allontanandomi il più possibile, con sempre lui al mio interno e vedere i suoi muscoli contrarsi e scattare, le sue braccia stringermi i fianchi e vedo in lui l’animale, e io la sua femmina.
Tiro su le ginocchia, e così facendo lui sprofonda di più, ma continuo puntando i piedi sul suo petto e spingo via, staccandolo da me. Lui mi guarda interrogativo, ma io mi alzo e rispondendogli in silenzio mi giro, poggio le mani sul sedile e mi inchino inginocchiandomi, piegando le braccia e posandovi sopra la fronte Così mi offro, inarcando il sedere ed allargando le cosce, per fargli capire che sono anch’io un animale, e che mi deve montare.
Allora si china su di me, poggia la bocca e bacia la schiena, e scende, e con la lingua assaggia tutta me stessa con forza, dentro intorno fuori e poi ancora dentro e fa strani rumori con la bocca e l’acqua che scende ed io che dilato il più possibile offrendomi ed incitando al suo sguardo ed al suo gusto, ondeggiando lenta come per allontanare dal mio corpo il mio odore e richiamare il branco ed essere posseduta dal capo.
Ed il capo intende, e sale su di me, e con semplicità entra, di nuovo, come se fosse la sola cosa che sapesse fare, mi pone le mani sui fianchi e stringe, poi risale la schiena, mi prende il collo e senza violenza mi solleva la testa e la gira per fissarmi in quella penombra piovosa, mentre spinge sempre più arrivando in fondo. ‘Fermati!’ Penso dentro di me, ‘non puoi più entrare, non c’è più spazio in me!’, ma come se lui ascoltasse i miei pensieri, facendo esattamente il contrario, entra straordinariamente ancora un po’ di più. Assurdo sesso, assurdi noi in questo assurdo posto immerso nell’acqua. Ora mi circonda con le braccia e mi stringe forte, e con le braccia incrociate sul mio petto mi prende i seni con le mani e sfiora tra le dita i capezzoli e spreme senza farmi male mentre sopra di me ansima e sento il suo respiro nelle orecchie e sul collo e mi è sopra come una coperta ricoprendomi tutta sormontandomi come una pelle d’orso sul corpo di una squaw. Ma anche adesso non c’è violenza, e come un onda sale scende inarco mi abbasso, scivolo risalgo apro la bocca e lascio entrare acqua, e gli mordo una mano, e ne succhio un dito, e lecco un avambraccio e sento che mi scava dentro e mi sprofonda e precipito alzando ancora fino al’inverosimile il mio sedere, spalancata, dilaniata, ferita, ricolma, rigonfia, viva.
Sento il suo peso tutto sopra di me, dentro di me il suo ingombro veloce, che urta e spreme e gonfia come un mantice, e penso di esplodere come una camera d’aria, se solo fossi una bambola.
Le sue mani corrono esplorano nuotano sotto l’acqua calda scrosciante che sembra il diluvio universale, e questa cabina è l’arca che sembra ripararci dal mondo trasportandoci in posti nuovi per creare nuova vita. Si ferma di colpo, ho paura che stia raggiungendo l’orgasmo, ma io non voglio, non ora. Forse ha sentito qualche rumore da fuori, il gestore, o Amedeo o Penelope. La situazione che si sta creando potrebbe creare uno scompiglio nella calma estiva e torrida di quest’estate greca. Quasi non respirando tendo l’orecchio. Nulla sembra minacciare il nostro incontro. Allora rimanendo con la testa poggiata su di un lato, porto dietro di me la mano destra ed impugno l’asta stringendola alla base e tirandola fuori piano, poi con la sinistra arrivo al flacone della crema per il corpo che avevo portato e lo spremo per un paio di secondi sulla mia schiena, e lascio che il rivolo scivoli verso il basso come una slavina su di un campo innevato così che vada ad incunearsi e riempire quell’insenatura sotto la vita, dove ora scorre veloce.
Questo fiume in piena ormai copre tutto il solco e sgocciola in fondo, non senza essersi soffermato nella piccola valle, profonda valle che ora brama di essere violata. E trascino il mio trofeo sopra e lungo il solco, ed immagino, con gli occhi della mente, che si imbianchi di crema e scivoli meglio nonostante l’acqua che vorrebbe lavare il pensiero stesso della violazione che ora pretendo di sopportare con il minor dolore possibile.
Appoggio la punta e mi rilasso, pensando che lui possa spingere piano mentre mi mantiene i fianchi con la sua forza di animale; esita come se la nuova violazione potesse essere troppo audace, troppo volgare, forse. E muove il bacino come per dire di non voler entrare, e mi prende il polso per reinserire quel che tenevo, dove in precedenza si sentiva protetto ed a suo agio. Ma io non volevo altro che una completezza nel rapporto che andava oltre la logica di un primo incontro. E poiché devo essere io a comandare, stringo ancora di più e nel percepire il sangue muoversi e pulsare nelle sue vene, con un paio di dita inizio a penetrare le unghie nella sua carne come gli artigli di un aquila nel corpo di una lepre. Capisce che deve compiere il sacrificio se non vuole soffrire, e si arrende, lascia che rimetta al posto giusto la sua avanguardia e stavolta sono io a spingere, o meglio a tirare, e piano lui entra. Scivola dentro con esperienza, pochi millimetri per volta, con audacia. Ormai non può sfuggire, lo trattengo come trattengo con facilità la sensazione attenuata di dolore e fastidio, come al solito. Tolgo la mano e lo lascio libero al suo destino che però è segnato, ed entra ancora lento, con una calma che mi sorprende ed incuriosisce.
E ricomincia a muoversi con lo stesso ritmo di pochi minuti prima, ma non è più quella passione bella ed animalesca che mi aveva fatto sentire unica femmina del branco. Ora sono sottomessa come un nemico da punire, da far soffrire, da distruggere e da tormentare con mille pungoli. La sua forza nelle mani che mi stringono i fianchi è diversa dalle carezze gentili ed amorevoli di ormai troppi secondi orsono. Non mi bacia il collo soffiando nelle orecchie il suo fiato bagnato di aromi montani. Sembra solo violenza, cupa, forza bruta e primordiale, spasmodico ed irrefrenabile come un singhiozzo che ti toglie il fiato e ti regala dolore. Ma so che mi piacerà subito dopo, ed il dolore si trasforma in piacere, ed il piacere in qualcosa d’altro che non so definire. E confondo la sensazione aiutando il mio corpo ad andare oltre, tornando su binari più conosciuti della mia mano che cerca tra le mie gambe il mio fiore, il mio vero rigonfio punto che mi da il piacere che preferisco. E su quest’isola così piccola ma vasta per le sensazioni che mi dona, infierisco come mille volte ho fatto in passato, come sempre faccio quando le posizioni me lo permettono, quando ne ho voglia.
E sono aiutata comunque da lui, che ce la mette tutta, e che crede di riuscire a montare in me non solo la femmina, ma anche il maschio, innaturalmente, forse. E sbagliando pensa di darmi piacere, ma solamente aiuta il mio che mi regalo, e che ora ad ondate, confuso a volte con le sensazioni del mio interno, trasmutate ormai in semplice godimento, si accumulano ed esplodono dapprima veloci, poi lente risalendo alla mia testa e facendomi dapprima ansimare sempre più forte ed infine gridare e liberarmi dal silenzio ormai opprimente di questa buia situazione. E mentre grido lui aumenta il ritmo più eccitato che mai, e la mia voce lo aiuta a capire se il movimento è giusto, ma non sa che non è lui, ma la mia mano a dettare le regole entrando in me dalla porta principale ed uscendo e girando intorno nel momento giusto. E capisco che è lui ora ad avvicinarsi allo stesso momento dal quale si era allontanato in precedenza, riluttante. Ed io, ancora una volta fuggo via e mi divincolo.
E lo scaccio con una spinta e lui cade all’indietro e rimane seduto nella vasca. Come per un caso, la luce ritorna, e le piccole lampade colorate rimandano intorno la loro presenza, e lo guardo in faccia. Sembra arrabbiato, gli occhi mezzo chiusi come due imposte e mi fissa interrogativo. Lo vedo seguire i miei occhi mentre mi giro e mi inginocchio di fronte a lui. Gli do un bacio sfiorandogli le labbra, poi prendo in mano il sapone e glielo passo sul petto, e scendo ed impugnandolo di nuovo, ora muovo velocemente la mano piena di schiuma per prendermi cura di lui e del suo sesso, lavandolo e rendendolo di nuovo pronto per me. E muovo le mie ginocchia allargate per montargli sopra, e lui rimane seduto, ed io mi siedo sopra di lui quando sono nel punto giusto, mi accomodo con di nuovo lui dentro di me, per la strada maestra. Mi stringe ora la vita ed io gli passo le braccia attorno al collo e lo bacio e mi muovo e salgo e scendo e mi fermo, e poi risalgo ancora e così via, ed ancheggio come per accomodarmi meglio e sentire di più quella cosa che occupa tutto il mio volume disponibile. Lo stringo mentre mi muovo. So che devo dargli qualcosa e prendere in cambio la stessa sensazione che gli regalo. Lentamente mi muovo e lui cerca di controbattere i miei movimenti con movimenti contrari. Ora siamo un motore che gira insieme, e consumiamo energia e diamo calore con lo sfregare della nostra pelle. Ed è infine quello spasmo, quella vibrazione dei muscoli che si tendono, quel brivido che gli fa spalancare la bocca e tendere le gambe e dire qualcosa che non capisco oltre ad ansimare in un ultimo rauco rumore della gola. E si svuota in me, completamente, e sento riempirmi di liquido caldo. Chiudo la doccia. Voglio ora sentire respirare, voglio il fiato e l’ansimare, voglio i profumi corporei voglio sentire dentro di me scivolare via liquidi e rimpicciolire l’intruso; voglio rimanere abbracciata e sentire il suo corpo schiacciato dal mio. Quanti minuti ancora sono passati? Ma ora basta. Mi basta. Piano, con le membra anchilosate ci alziamo, e lui si poggia al muro e respira ancora velocemente e gli regalo ancora una volta qualcosa. Mi piego e gli prendo in bocca il piccolo amichetto, piano, succhiando quanto basta per assaggiare il suo sapore, quelle poche gocce di sapore che ancora gli rimanevano.
Poi esco di corsa, dopo aver preso le mie cose, i miei vestiti bagnati, l’asciugamano, e come se mi vergognassi di qualcosa mi chiudo nella mia stanza e mi metto a letto, bagnata, piena, col sapore di lui in bocca, stanca.
Un trambusto mi scuote dal rilassarmi: grida in corridoio, pugni su di una porta ‘Ma porca miseria!!! Ancora chiuso!!! Lo volete liberare il bagno? Sono due ore che aspetto!’ BAM BAM pugni ancora e ancora. Era Amedeo’ Mi affaccio alla porta e lo vedo: ‘Tesoro sei tornato?’. Lui entra e mi saluta ‘Ciao Amanda, cosa ti sei persa’ Siamo stati benissimo al museo! Pensa che Pericle ha incontrato un suo amico ed è rimasto con lui. Io son dovuto stare con Penelope da solo. Poi ti racconto’ scusa un attimo mi sembra che si sia liberato il bagno devo farmi una doccia’.’
Svicola via mentre gli sto rispondendo. Sento di nuovo la porta chiudersi di colpo’ ed ancora urla ‘E allora! Vuoi uscire maledizione!’. Capisco cosa succede allora mi affaccio in corridoio e gli dico ‘Amedeuccio! Vieni a fartela qui la doccia che staremo più stretti’ ti aiuto io ad insaponarti’ e così dicendo mi sfilo l’accappatoio.
Lui, come Garibaldi, obbedisce.

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