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Racconti Erotici Etero

Predatore. O preda

By 16 Aprile 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Liberi di non credermi. Avevo 28 anni e quasi nessun interesse nelle donne. Non fraintendete: non sto dicendo non mi piacessero, anzi. A ripensarci, mi rendo conto d’essere stato fin troppo esigente. Anzi, diciamola pure: durante l’università mi comportavo come uno s…o matricolato. Appartenente ad una specie in via d’estinzione (lo studente maschio di medicina, ormai più raro dei delfini del Mekong, specie a Padova), passavo giorni interi in compagnia del gentil sesso. Con molte di loro studiavo allo sfinimento delle meningi dalle 8 del mattino (e spesso anche prima) fino alle 8 di sera (e di solito anche oltre). Due, tre di loro persero la testa per me, e non feci nulla per impedirlo. Come un predatore, presi ciò che mi interessava, senza dar loro nulla. Andammo a letto, due, tre, quattro volte’ e fu tutto. Ci lasciavamo regolarmente dopo un mese, al massimo due, quando la ‘lei’ di turno si rendeva conto di non avermi mai sentito dire una sola volta ‘ti amo’. Non ci riuscivo. Facevamo, ma dovrei dire ‘facevo’ sesso in modo freddo, a dir poco meccanico. Quasi sempre senza nemmeno guardare la ‘lei’ di turno negli occhi. Dico di più: se, al culmine del suo orgasmo, quella arrivava a gridare o comunque a godere, quasi mi dava fastidio. Forse esagero, ma credo di essere stato a due passi dal diventare un individuo pericoloso. Anzi: credo di averlo sfiorato, quel confine. Mi capitò una sera, facendo sesso con Laura (ovviamente, non &egrave il suo nome), una ragazza dai capelli lunghi e neri come l’ala di un corvo, e gambe altrettanto lunghe tornite da anni di atletica leggera. L’avevo presa da dietro, forse con più violenza del solito. La sentivo gemere, ed ogni gemito era come lo scorrere delle dita su una lavagna al punto che ad ogni gemito reagivo spingendo ancora più forte, senza alcun affetto o dolcezza. Vidi le sue braccia abbandonarsi sulle coperte, il suo corpo distendersi in avanti, quasi senza forza, mentre dalle sue labbra usciva un gemito di perduto piacere. La piccola morte, come piace chiamarla ai francesi’ non so perché, ma invece di godere con lei lo vissi come un insulto. Spostai le mani dai suoi fianchi: la presi per le natiche, stringendone la carne morbida e vellutata con sgradevole violenza. Tanta forza che lei sembrò risvegliarsi, e gridò ‘ questa volta di dolore. In un altro caso, due anni prima, tutto era finito così (senza dimenticarsi un bello schiaffone, davvero meritato). Questa volta no. Quel dolore non la fece allontanare ‘ anzi, la svegliò. Inarcò la schiena e fu come se percepisse in sé il mio membro per la prima volta. Ansimante, mi chiese di continuare, di non fermarmi. Di afferrarla ancora così, di stringerla. E io lo feci, conficcai con tanta forza le mie mani sulle sue natiche che le lasciai ben più di qualche graffio.
‘Continua, continua…’ mi gridava, forse senza nemmeno rendersi conto di ciò che stava facendo. Lasciai la presa con la destra: facendola scorrere lungo il suo ventre, imperlato di sudore, ne afferrai la mammella. Afferrai…
‘Afferrare’ &egrave forse poco. Iniziai a giocare con il suo capezzolo più per farle male che per darle piacere ‘ eppure tutto ciò non faceva altro che esaltare l’orgasmo in cui era ancora immersa.
Smisi, mi fermai. E, sbrigativamente, me ne andai.
Perché, mentre lei gridava di dolore e di piacere, io mi rendevo conto di provare a mia volta piacere per la prima volta da molto tempo ‘ forse da sempre. Non era il piacere del sesso, non era nemmeno il piacere di una diversa forma di amore. Era il piacere del dolore, del dare dolore fine a sé stesso. Niente di più.
Forse quel guizzo di razionalità mi tenne lontano da conseguenze peggiori. Forse.

Comunque sia: dopo quella sera non solo non vidi più Laura, ma non ebbi più rapporti veri e propri per molto tempo. Quando sentivo il bisogno fisico del sesso, e ogni tanto capitava, mi organizzavo con una ‘professionista’: fatto ciò che il testosterone comandava, via e grazie tante. Portafogli più vuoto, ma anche cervello più libero. Non me ne vanto, né lo concepisco come un’onta od una vergogna: quegli anni strani li passai così, fra Padova e Graz, dove sarei dovuto andare solo in Erasmus e dove, alla fine, andai a specializzarmi in Medicina Interna.
2009: proprio mentre iniziava il flusso di specialisti italiani all’estero, io tornavo in Italia. Controcorrente? Più che altro controvoglia. Ero specialista, ed avevo vinto un dottorato con due sedi, una a Salisburgo ed una a Bolzano. Avrei fatto carte false per vivere a Salisburgo: il destino mi spedì a Bolzano. Quando il mio fascicolo finì sulla scrivania del Direttore, questi notò che provenissi dal veneto, ed il caso voleva che il mio compagno di ciclo fosse austriaco di Innsbruck. Senza renderci partecipi della scelta, mandò l’Italiano in Italia e l’Austriaco in Austria. Scontentando entrambi. Ma di Gert vi parlerà lui, se mai ne avrà voglia.
Torniamo a noi.
Avevo preso casa a Bolzano : un piccolo appartamento nella periferia meridionale, non troppo lontano dall’uscita del Brennero. Piccolo ‘ in realtà, fin troppo grande per le mie esigenze. Passai le prime settimane ad arredarlo secondo i miei gusti, senza badare troppo alla spesa: ero ben pagato e non avevo altre spese, se non quelle occasionali di cui vi ho già detto. Spendere due soldi in più per la casa non mi pesava affatto: dico di più, mi faceva sentire in qualche modo realizzato. Fui così tanto preso dall’appartamento che solo due mesi dopo il mio trasferimento iniziai ad esplorarne i dintorni. In breve tempo, la caffetteria H’ diventò il mio rifugio. Sono abitudinario, in queste cose: quando trovo un posto che mi piace, lo faccio mio. Lo scruto, fino a conoscere ogni difetto di ogni parete. Lo frequento alla nausea, cercando di sedermi sempre allo stesso tavolo, di ordinare gli stessi piatti ‘ giorno dopo giorno.
Ecco perché di Greta mi accorsi subito. D’altra parte, non notarla sarebbe stato più che miope ‘ colpevole. Arrivò all’inizio di ottobre, nuova cameriera nel turno serale: faceva sempre e solo quello, dalla domenica al venerdì, con l’eccezione del solo sabato sera. Bionda, bella e alta: non la descriverò nel dettaglio né per pigrizia né perché l’abbia dimenticata. Semplicemente non sarei capace di mettere sulla carta (virtuale o meno) i suoi azzurri, il suo sguardo, il suo muoversi elastico ed elegante da un tavolo all’altro, quasi senza fatica ‘ né la dolcezza e la misura che metteva in ogni gesto, anche quello più insignificante.
L’avete capito: a 28 anni mi resi conto di essermi nuovamente interessato ad una donna. Decisi di conoscerla ‘ volli conoscerla al di là del ‘buongiorno / buonasera’. Dopo un mesetto dal suo arrivo ed appena resomi conto del mio reale interesse per quella donna, presi l’iniziativa.
Decisi di andare alla caffetteria molto più tardi del solito: sapevo che a quell’ora, a ridosso delle 21, cio&egrave dell’ora di chiusura non ci sarebbe stato nessuno. Avrei avuto occasione di farle qualche domanda e scoprire se valesse la pena approfondire la conoscenza.
Come previsto, la caffetteria era vuota e Greta stava pulendo la macchina del caff&egrave. Mi sorrise:
‘Non pensavo saresti venuto’, mi disse subito, in tedesco ‘ lingua che parlava con un lievissimo accento straniero, che non riuscivo ad identificare.
‘Ti vedo qui tutte le sere, alle 19 in punto’ ci ho fatto caso, sai?’ scherzò.
‘Non fraintendere’, proseguì: ‘qui gira parecchia gente, sempre ‘ ma …’
‘Ma solo questo furbacchione si siede al terzo tavolo da sinistra alle 19 in punto, ordina sempre lo stesso caff&egrave americano e gli stessi biscotti danesi e legge gli stessi giornali …’
‘Sì, anche se mi hai fatto perdere una scommessa’ l’altro giorno non hai letto la Gazzetta dello Sport…’
Sorrisi: ‘Esatto ‘ dopo aver visto l’Inter in TV non avevo voglia di farmi del male con i titoli dei giornali”
Al mio sorriso, lei rispose con una risata. Ora che, soli, potevamo parlarci e guardarci meglio, ne studiai meglio il fisico asciutto, ma comunque morbido, tornito e muscoloso, praticamente perfetto.
Parlammo, fino alle 22: ritardò la chiusura di qualche minuto e, complice il vuoto pneumatico di nuovi avventori, la aiutai ad abbassare la serranda senza badare troppo ad apparenze od all’accelerazione improvvisa di quel nostro incontro.
Capii la ragione dell’accento: era ungherese, ed aveva vent’anni esatti. Studentessa in Erasmus, aveva preso quel lavoro serale per conciliarlo con gli studi. Se prima mi aveva interessato, in quel momento mi piacque.
‘Posso darti uno strappo a casa?’ le chiesi, senza nemmeno rendermi conto di ciò che stavo dicendo.
Istintivamente nascose il sorriso dietro la mano.
‘Direi che a questo punto potresti offrirmi da bere!’ scherzò, divertita dalla mia reazione. E, soprattutto, dall’improvviso imbarazzo che il mio corpo e la mia voce trasmettevano: me lo disse apertamente.
‘Ma certo!’ esclamai, deciso a rilanciare ‘ma visto che da queste parti ci sono solo fumose birrerie, se vuoi qualcosa di più raffinato sarai costretta a venire a casa mia!’
Greta si fermò. Mi guardò negli occhi accompagnandosi con una smorfia sempre più divertita.
‘Sta bene: fammi strada.’
Con la testa annebbiata dall’improvviso ed inatteso successo di quelle avances tutt’altro che raffinate o ben calcolate (ma del resto, &egrave l’improvvisazione che regge il mondo), la condussi verso il mio appartamento.
Prendemmo l’ascensore: non mi andava di farmi notare in compagnia per le scale. Non che volessi nascondere Greta ‘ volevo nascondere me stesso ed i miei interessi dai vicini, tutto qui. Una scelta sulla quale il destino aveva già deciso da parecchio tempo.
O meglio, più che il destino una bionda ragazza ungherese di vent’anni.

Non appena le porte si chiusero, lei appoggiò la schiena contro il mio corpo. Con un movimento rapidissimo, e quasi impercettibile, fece strusciare le sue natiche contro il mio membro. La sua reazione spiegò le mie intenzioni più precisamente di qualsiasi dichiarazione giurata.
Greta si girò: il sorriso giocoso aveva lasciato spazio a ben altro. Il suo volto era stravolto, e conoscevo la ricetta segreta di quel cambiamento. La lussuria, il desiderio, bruciavano dentro di lei come una fiamma ardente, che illuminava i suoi occhi ed il suo bel viso.
Spinse il suo seno contro il mio petto e, con la destra, carezzò il mio membro.
Ci baciammo. Continuammo a baciarci mentre aprii la porta, mentre la chiusi, con un certo impaccio. E poi ancora mentre iniziammo a spogliarci.
Ci staccammo per un attimo: lei mi intimò di fermarmi.
Mi fece sedere su una poltrona e, senza dare ulteriori spiegazioni, iniziò a spogliarsi lentamente. Non propriamente uno spogliarello ‘ ma i suoi abiti sparirono uno dopo l’altro con una misuratissima lentezza che esaltava il mio desiderio.
Quando rimase in reggiseno e mutandine, non mi trattenni più. Mi alzai in piedi e, abbassati di colpo i pantaloni, la afferrai e la feci delicatamente scendere sul pavimento. Il riscaldamento a pavimento, probabilmente, &egrave stato inventato anche per queste cose.
Le tolsi il reggiseno, ed iniziai a baciare i suoi capezzoli che sentii diventare sempre più duri e sporgenti. Ebbe un sussulto, con la schiena che si inarcava di colpo spingendo il pube contro il mio.
‘Prendimi, subito…’ sussurrò, come se non potesse più resistere a qualcosa che si era acceso in lei. Obbedii.
Le tolsi le mutandine, feci lo stesso con i miei boxer: non appena ebbi finito, una mano tremante afferrò il mio membro ed iniziò a guidarlo verso di sé. La lasciai fare e lei, d’un tratto, iniziò a scuoterlo, prima lentamente, poi con vigore, come se stesse cercando di fermi venire fuori dal suo corpo. Prima che potessi reagire, mentre un brivido già mi attraversava la schiena dalla testa ai piedi, lei l’accostò alla sua vulva e mi afferrò le natiche ora nude.
Non dissi nulla, non disse nulla.
La penetrai di colpo, senza fatica: mi aspettava, mi voleva quanto io desideravo averla.
Ci avvinghiammo l’uno all’altra come se i nostri due corpi volessero diventare uno solo, come se non soltanto quel piccolo ponte di carne volesse congiungerci, come se le nostre carni volessero fondersi in una sola creatura’
Non avevo mai provato nulla di simile’ come non avevo mai provato quello che accadde allora.
Gli occhi aperti, spalancati su di me, Greta cercava costantemente il mio sguardo, ed io non riuscivo a sfuggirle. Ogni sua occhiata, sempre più voluttuosa, sempre più desiderosa di piacere, mi chiamava più in profondità in lei ‘ ed io reagivo, penetrandola ancor più a fondo. Il mutare della sua presa mi annunciò che stesse per venire: le mani, prima ferme e contratte, iniziarono a tremare, a contrarsi’ io stesso sentivo come se qualcosa stesse per esplodere in me.
Ebbi un istante di lucidità ‘ stavamo facendo già sesso senza protezione, non potevo ‘ feci per ritrarmi: lei mi afferrò, mi baciò, mi morse le labbra, mi baciò di nuovo.
‘Non andare’ vieni ‘ prendimi’ ora!’
Con una spinta ancor più forte penetrai in lei più profondamente di quanto lei avesse mai fatto, e lei urlò più forte di quanto non avesse già fatto. Urlai a mia volta’ e mentre le nostre urla si spegnevano, le nostre labbra tornarono a cercarsi, unendosi in un bacio che ancora oggi mi pare infinito … Al mattino mi svegliai solo. Completamente solo. Greta era sparita: non aveva lasciato nessun biglietto, nessun messaggio ‘ niente. Stavo ancora cercando di capire ‘ quando mi accorsi di avere un nuovo messaggio sul cellulare. Veniva da un numero sconosciuto:
‘Per favore: non cercarmi e non chiamarmi per qualche giorno – non sarò in città. Greta. P.s. questo &egrave il mio numero’
Mi sentii molto stupido. Avevo fatto sesso, in modo selvaggio, quasi brutale (per di più senza alcuna protezione), con una ragazza di cui alla fine conoscevo solo il nome e poco altro. E durante quella notte l’avevamo rifatto più, e più volte.
Gettai il cellulare sul letto e mi sedetti sul bordo. Guardai le mie mani, ora vuote. Le stesse mani che poche ore prima si erano riempite dei suoi seni, dei suoi fianchi, della sua pelle soda e vellutata. Chiusi gli occhi.
Tornai a poche ore prima’
Eravamo distesi sul letto, abbracciati nell’eccitato dormiveglia degli amanti’ Le stavo carezzando i capelli. Lei, d’un tratto, aveva portato la sua mano nel mio grembo ed afferrato il membro: era bastato il suo tocco ad eccitarlo come prima, ancor più deciso di prima. Giratasi sul fianco, guardandomi negli occhi con rapace desiderio, mi aveva detto in un solo sospiro:
‘Prendimi, da dietro’ ora’
Non me l’ero fato ripetere. Afferrate le sue natiche asciutte e sode, l’avevo in un colpo solo. Avevo sentito un brivido traversarle il corpo, mentre questo si inarcava per l’improvviso piacere, e lo stesso brivido s’impossessava di me. Nella mia mente, all’improvviso, c’era posto solo per Greta, per il piacere che io davo a lei e lei a me. Quanto più il membro penetrava in lei, quanto più desideravo che ancor di più entrasse, fino a toccare’ anzi, fondersi con il suo utero. Desideravo che la mia carne diventasse la sua carne, e la sua carne la mia. Ero esploso in lei. E mentre il mio seme toccava le pareti del suo utero, avevo sentito i nostri due corpi diventare uno soltanto, avevo quasi potuto sfiorare la sua mente’
Ed, ora di tutto ciò, non mi restava nulla.
Ancora oggi non saprei definire meglio i miei pensieri, e quella profonda delusione che mi inacidiva e smontava ogni pensiero. Mi ero forse innamorato di Greta? L’amore ha strade imprevedibili, ma quanto c’era stato fra di noi con l’amore non aveva alcun rapporto. Forse mi sentivo ferito, perché Greta mi aveva riservato lo stesso trattamento che, per tanti anni, avevo elargito a tante mie amanti.
‘Dottor C’,’ mi apostrofò quella mattina la mia caposala, ‘mi sembra di capire che lei oggi sia di pessimo umore: mi dispiace rovinarglielo ulteriormente, ma dalla Direzione vogliono che lei vada a ritirare i suoi dispositivi di protezione individuali in segreteria’ oggi stesso.’
‘Dispositivi di ‘ il camice?’
La mia caposala, che normalmente aveva la pazienza di un sergente dei marines colpito da attacco di gotta, sospirò: aveva capito anche meglio di me quanto fossi fuori uso. E che, in fin dei conti, tenermi lontano dal reparto per qualche minuto sarebbe stato più che utile, direi persino saggio.
‘Sì: il camice, gli occhiali di protezione, gli zoccoli’ non li ha ancora ritirati, e dalla Medicina Preventiva stanno rompendo l’anima alla Segreteria di Direzione; la Segreteria di Direzione rompe l’anima al Primario, il Primario rompe l’anima a me’ quindi, per favore’ vada subito dalla Catia e’ si faccia un caff&egrave. Doppio, magari.’
Andai in segreteria con l’aria malandata di chi &egrave stato investito da un carro armato in retromarcia. Bussai alla porta della segretaria amministrativa, Catia appunto. Con lei avevo sempre parlato molto poco. Non perché fosse una persona sgradevole o antipatica. Tutt’altro. In quelle pochissime occasioni in cui aveva scambiato due parole con lei, mi aveva dato l’impressione di una donna con la quale parlare potesse essere persino piacevole. Data la media delle segretarie con le quali avevo avuto a che fare in precedenza, quasi un miracolo.
‘Sì? ah, dottor C’ la stavo aspettando!’
Catia si alzò ed aprì un armadio contenente una serie di borse sportive nere. Nel farlo, scostò un poco la gonna mostrando due gambe lunghe e particolarmente atletiche, che non avrebbero sfigurato in una ventenne ‘ e Catia, a quanto ne sapevo, era a stretto ridosso della cinquantina.
‘Ecco qui dottor C… Camice, occhiali, frustino, zoccoli”
‘Frustino?’
Catia sollevò gli occhi dalla borsa e mi guardò dritto, svelando un sorriso tanto largo quanto candido.
‘Oh, ma allora mi stava ascoltando!’
Non riuscii a trattenere una risata, forse un po’ troppo grossolana. Ma di certo sincera.
‘Mi sembrava un po’ rintronato’ tutto bene doc?’
Scossi la testa: ‘Lasci stare, Catia’ nulla che non passi con un paio di caff&egrave’ anzi, stavo per andarne a prendere uno alla macchinetta, vorrebbe venire con me?’
Non se lo fece ripetere (del resto, la corsa alla macchinetta del caff&egrave &egrave uno degli sport preferiti degli amministrativi, a qualsiasi latitudine).
Non furono grandi discorsi ‘ e del resto ne avevo pochissima voglia. Mentre sollevava la protezione della macchinetta e recuperava il bicchiere di carta, mi accorsi di un tatuaggio inciso a ridosso dell’attaccatura del deltoide, piccoli segni che normalmente giacevano ben nascosti dalla manica della camicia o delle camicette che indossava ‘ solitamente molto scure, tra l’altro.
‘Ah, questo!’ sorrise, quasi orgogliosa.
‘Me lo sono fatta venticinque anni fa, mentre studiavo in Cina.’
‘In Cina?’
E così mi raccontò una di quelle storie apparentemente incredibili: di una giovane laureata in lingue e letterature orientali che, d’un tratto, decide di partire all’avventura. Prende e parte per la Cina ‘ la Cina di allora, quella che ancora faticava ad uscire dalla Rivoluzione Culturale, quella che avevo studiato sui libri di scuola elementare e media ‘ non certo quella di allora e men che meno quello di oggi, ipertecnologica ed ipertrofica’ Mi racconta di un permesso di viaggio e di studio ottenuto ancora oggi non saprebbe come ‘ se non invocando grandissima fortuna. E di come, viaggiando all’interno del Paese ‘ in una regione che non saprei nemmeno pronunciare, si fosse innamorata del Tai Chi ed avesse iniziato a studiarlo insieme al cinese.
‘Lo insegno in una palestra qui vicino’ se ti va, stasera puoi venire a vedere una lezione.’
Istintivamente accettai. Intendiamoci: in quel momento non avevo alcun interesse sessuale per Catia. Mi sembrava un’ottima scusa per stare lontano da Greta e ‘ sì, anche per rimettermi un po’ in moto. Dal mio arrivo a Bolzano avevo smesso di andare in palestra e i muscoli, specie quelli della schiena, avevano iniziato a presentarmi il conto.
Arrivò la sera e, come promesso, mi feci trovare in palestra. Come scoprii, si trattava di una vera e propria lezione introduttiva: con me c’era una decina di altri principianti, in gran parte studenti universitari e qualche pensionato alla ricerca di una ginnastica ‘morbida’, più incuriositi che realmente interessati. Catia entrò, e restai sorpreso.
Indossava una tuta piuttosto aderente, che svelava un fisico molto più solido e molto meglio costruito di tante ventenni (e mi metto nel novero di chi avrebbe potuto e dovuto soltanto invidiarla). I capelli, lunghi e grigi, raccolti in una lunga treccia non l’invecchiavano di un giorno. Di certo non era vestita in modo da attirare il desiderio ‘ ma non posso negare che iniziai a trovarla in qualche modo affascinante.
La lezione iniziò. Ci spiegò le basi quasi filosofiche (anzi, togliamo il quasi) degli esercizi che avremmo fatto e ci mimò molto rapidamente i primi movimenti. Confesso che quelle azioni, così lente, così posate, ma anche così aliene al mondo in cui ero cresciuto, mi sembrarono quasi comiche’ poiché non dovevo essere né il solo né il primo, Catia ad un certo punto interruppe la presentazione ed invitò un suo assistente ad avvicinarsi. Gli fece un cenno. Ed in un attimo quegli stessi gesti, prima compiuti con una lentezza quasi ammorbante, d’improvviso presero velocità e forza. Rimasi a bocca aperta nel vedere quel corpo di donna, certo atletico, certo d’aspetto flessibile, snodarsi in una velocità sorprendente, e soprattutto colpire e parare con braccia e gambe applicando una forza inaspettata.
Applaudimmo, di gusto, e se anche quella prima lezione mi scoprii così goffo da ridere di me stesso, beh, non mi importò per niente. Ovviamente, il sottoscritto non era il solo ad esibirsi in maldestre imitazioni delle mosse mostrateci da Catia, e così lei ed il suo assistente ci passavano continuamente in rassegna, correggendo le nostre posture, con una pazienza infinita, facendoci ripetere i gesti ed i movimenti fino ad assumere una minima decenza.
Verso fine lezione, Catia ripassò da me.
‘Eh caro il mio L’ sei un ottimo dottore, ma in queste cose sei un po’ imbranato’ tieni ancora il braccio troppo alzato”
Mi prese il braccio sinistra, con dolcezza, e mi guidò mentre lo estendevo e lo ruotavo verso l’esterno, secondo la corretta esecuzione di quel movimento’
In quel momento accadde qualcosa di imprevisto, e di imbarazzante.
Per farla breve e chiara, ebbi un’erezione. Così intensa che, nonostante i miei pantaloni fossero piuttosto larghi, fu evidentissima. Ed ovviamente non poteva sfuggire a Catia, che era lì al mio fianco.
Dovetti diventare tanto rosso da sembrare viola’ ma evidentemente a Catia fece un altro effetto. Si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò: ‘Se ti interessa tanto il Tai Chi, resta nello spogliatoio anche quando gli altri saranno andati via”
Dopodiché si scostò e ricominciò a guidarci, fino alla conclusione degli esercizi. Lezione finita.
Pian piano, andammo negli spogliatoi.
Mi cambiai lentamente, pensando all’offerta di Catia’ Non erano passate ventiquattro ore dalla follia con Greta, ed ora il destino mi serviva sul piatto d’argento un’altra avventura altrettanto pazza. Pazza perché si trattava di una mia collega, o quasi. Pazza perché alla fine Catia aveva quasi cinquant’anni: il che non la faceva anziana, ed anziano non era certo il suo aspetto, ma ‘ cavoli, mia madre aveva solo tre anni più di lei! E questo quasi mi inibiva.
Ero ancora lì a pensare se valesse la pena tentare l’avventura o ignorarla, che mi ritrovai a torso nudo, tutto solo nello spogliatoio.
Vidi le luci della palestra spegnersi. E, un attimo dopo, la porta aprirsi. E entrare Catia.
Ed al suo ingresso la decisione era presa.
Non feci nemmeno in tempo a salutarla. Si assicurò che la porta fosse ben chiusa e venne verso di me. Mi toccò il petto con le sue mani lunghe e asciutte. Subito dopo, corsero sul ventre e mi abbassarono in un colpo solo pantaloni e boxer, svelando un’erezione intensa, resa ancor più decisa dalle sue azioni.
Catia liberò i capelli dal nastro, scosse la testa e li fece ondeggiare nell’aria con un gesto colmo di voluttà e poi si inginocchiò di fronte a me. Iniziò a titillare il mio membro prima con le dita, poi con la lingua. Una vampata di caldo piacere risalì le mie membra, e mi travolse. Mi sembrò che il corpo perdesse peso e consistenza. Si staccò un attimo prima che esplodessi: si sollevò strusciandosi contro il mio corpo. Nel farlo, si liberò il tronco con un gesto solo, accostando le sue mammelle, nude, al mio petto. Il calore dei nostri corpi si unì.
La abbracciai.
‘Sdraiati” mi chiede, indicando una delle panche. Era imbottita e, come scoprii sdraiandomi, piuttosto comoda.
Si pose su di me, dominandomi come se fossi stato una sua proprietà.
‘Adesso vediamo se sei bravo a scopare quanto a fare il dottore, L”
Prese il mio membro e lo guidò in sé. Appena fui dentro di lei, in qualche modo mi intrappolò in lei. Fu come se la sua mano guidasse una stretta ritmica sul mio membro. Le afferrai i fianchi, e quindi corsi verso le mammelle’ ma davvero Catia aveva cinquant’anni? Le titillai le mammelle, ora dure e compatte come acciaio.
Si chinò su di me.
‘Non vuoi baciarle?’ disse.
Non me lo feci ripetere. Le mordicchiai, e le sentii farsi ancor più rigide sotto le mie labbra e sfiorate dai denti, e così sentii il mio membro farsi ancor più rigido e vibrante dentro di lei, che con il movimento dei fianchi lo scuoteva, lo carezzava, lo esaltava’
Ebbe un primo orgasmo. E un altro ancora: lo percepii nel suo inarcare il capo all’indietro, e poi ancora di più’
Appoggiò le sue mani sulle mie spalle, conficcandomi le unghie nella carne quasi a prendere migliore presa. Cambiò un poco posizione sul mio membro: un’ondata di piacere, la più intensa che avessi mai provato prima di allora, mi possedette’ mi sembrò di impazzire, e fu niente rispetto a quel che seguì un istante dopo, quando riprese a dimenare i fianchi su di me, sempre più veloce, sempre più veloce. Finché venimmo, insieme, gridando alla notte con versi più animali e selvaggi che umani’

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