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Racconti Erotici Etero

Quel vuoto

By 3 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il taxi s’era accostato al marciapiede, il tassista aveva steso il braccio per aprire lo sportello. Prima di scendere, Meg porse una banconota all’uomo dicendo di tenere il resto.
‘Grazie, signora.’
Appena la donna fu scesa, l’auto s’allontanò silenziosamente.
Il teatro era stato divertente. Il vecchio Shaw non deludeva mai.
Meg aprì il pesante portone, che si richiuse lentamente dietro di lei, s’avviò al vecchio e sempre funzionante grosso ascensore, aprì il cancello e le porte a vetri, entrò, spinse il bottone per l’ultimo piano.
Era abbastanza anziana ‘non diceva mai la propria età- ma sempre ben curata, vestita con una certa ricercatezza. Da quando era rimasta sola ‘da troppi anni, pensava lei- il suo principale divertimento era quella serata al teatro. Ogni quindici giorni. Si vestiva di tutto punto, controllava ogni particolare, dalla biancheria intima agli accessori, si truccava leggermente, metteva qualche goccia del suo profumo preferito, chiamava il taxi, indossava un antico ma sempre nuovo mantello, o la pelliccia quando era necessario, scendeva ad attendere l’auto dietro il portone a vetri.
Occupava sempre lo stesso posto, al teatro, una poltrona della seconda fila, proprio accanto al corridoio centrale. La vecchia ‘maschera’ l’accoglieva con un sorriso, le porgeva il programma, l’accompagnava con gentilezza e, nel lasciarla, aveva sempre una parola cortese.
‘Lei porta splendidamente i suoi cinquanta, signora. Buon divertimento.’
Meg sapeva che era solo un galante complimento, ma lo gradiva ugualmente, e ringraziava con una buona mancia. Le aveva tolto dieci anni.

L’ascensore s’era fermato. Il pianerottolo era fiocamente illuminato da una tremolante luce.
Andò verso la porta del suo appartamento, a destra, prima dell’ultima rampa, semibuia, che conduceva al tetto.
Infilò la chiave nella serratura, girò le solite tre mandate, aprì e stava per richiudere.
Sentì qualcuno che spingeva con forza. L’uomo entrò decisamente, facendole segno di tacere, richiuse la porta.
‘Non gridi, ho solo fame. Non gridi!’
Meg lo fissava, impietrita. Era sorpresa, meravigliata più che impaurita. Era certa che voleva rapinarla, rovistare la casa e se avesse resistito non avrebbe esitato a farla tacere. Forse per sempre. Era un uomo di colore, alto, robusto ma non grasso, con un volto che appariva più impacciato che minaccioso. Indossava una specie di tuta blu. Abbastanza pulita. Ai piedi, scarpe dello stesso colore, di quelle che calzano i giocatori di basket. Le mani non sembravano abituate a lavori pesanti.
‘Fame?’
Lui annuì col capo. Più volte. Guardandola fissamente.
‘Venite, come vi chiamate?’
‘Kim, signora, mi chiamo Kim. Kim Dakar.’
Lo fece entrare in cucina.
‘Sedete. Ho dello spezzatino d’agnello, lamb stew, con patate.’
Kim sorrise.
Meg aprì il frigo, tolse il piatto con il cibo, lo mise nel forno a microonde. Prese un altro piatto con una mezza torta di frutta. Una bottiglia di Guiness.
‘Bevete birra?’
‘Si, signora, grazie, ma mi basta un po’ di pane e qualcosa.’
‘Aspettate qui. Non mi sono ancora tolto il soprabito. Torno subito.’
Kim si mostrò impaurito.
‘Non temete, ragazzo, non chiamo aiuto. Se volete, potete venire con me per essere più sicuro.’
Kim scosse il capo, restò seduto.
Meg tornò dopo pochissimi minuti. Indossava una vestaglia azzurra. Aprì il forno, mise il piatto dinanzi all’uomo, gli dette le posate e un tovagliolo di carta, avvicinò il cestino col pane, stappò la bottiglia di birra.
‘Ecco!’
Andò a sedere dall’altra parte del tavolo.
Malgrado fosse evidentemente affamato, Kim mangiava senza affrettarsi, gustando il cibo, bevendo un po’ della birra.
Meg lo guardava attentamente, e sperava che lui presto se ne sarebbe andato, dopo essersi rifocillato. Gli avrebbe dato qualche sterlina e anche un po’ di cibo da portar via. Non voleva pensare ad altro. Avrebbe potuto anche rapinarla. La cosa migliore era di restare calmi.
Kim aveva tagliato una fetta della torta e la stava assaporando. Bevve un ultimo sorso di birra. Guardò soddisfatto Meg.
‘Grazie, signora. Grazie.’
‘Ancora birra?’
‘No, grazie. Avevo fame.’
Meg s’alzò, cominciò a togliere i piatti e le posate, li mise nella lavastoviglie, gettò la bottiglia vuota nell’apposito bidone. Voleva mostrarsi il più gentile possibile.
L’uomo ne seguiva con lo sguardo ogni movimento. Non era giovane, quella donna, anzi, ma aveva delle forme ancora piacenti, un volto che certamente era stato più bello ma non mostrava troppi segni d’invecchiamento. Un corpo ancora flessuoso, che, nel chinarsi e alzarsi, evidenziava forme non disprezzabili, anche se, forse, abilmente sostenute da un modellatore. Una donna! Aveva perduto il conto di quando ne aveva avuto una tra le sue braccia. La mancanza di regolare permesso l’obbligava a vivere ramingo, con qualche raro lavoro saltuario, e contando sulla generosità del prossimo. I luoghi di pubblica assistenza potevano rivelarsi rischiosi. Ogni tanto vi faceva visita la polizia. Era riuscito a scacciare la tentazione di qualche piccolo furto. Lo avrebbero potuto pescare, e sarebbe stata la fine. Rimpatriato! L’attuale regime del suo paese lo avrebbe tacitamente eliminato. Un oppositore di meno.
Mentre tutte queste idee gli frullavano per la testa, Meg aveva finito di rassettare. Kim aveva girato la sedia e seguitava a fissarla, con una mano poggiata sul tavolo. Lei gli era di fronte. Lui le sorrideva. Era abbastanza giovane, forse sui trent’anni.
‘Vorrei chiederle ancora un favore, abusando della sua cortesia.’
‘Si?’
‘Potrei fare una doccia?’
Una richiesta inattesa, incredibile. Restò perplessa per qualche istante. Poi decise di accontentarlo.
‘Certo, venga le indico il bagno.’
Lo condusse lungo il corridoio. Il bagno era adiacente alla sua camera da letto. Aprì la porta, accese la luce, andò nell’armadio a prendere un telo spugnato, gli indicò il box con la doccia, il sapone liquido, la spazzola. Tutto il necessario. Si avviò all’uscita.
Kim aveva già tolto la giubba di quella specie di tuta, e la t-shirt che aveva sotto, stava sfilando i pantaloni. Era a torso nudo, prestante, atletico, una statua d’ebano. Entrò nel box, levò le mutandine, aprì l’acqua, e la fece scendere lungo il corpo, con un lungo sospiro di sollievo, di ristoro. La schiuma disegnava fantastiche figure bianche sul corpo nero e l’acqua le cancellava lentamente. Aveva lasciata aperta la porta del box, e anche quella del bagno.
Nel passarvi davanti, uscendo dalla sua camera da letto, dove aveva tolto la guepiere, restando con la sola sottana sotto la vestaglia, Meg lo scorse di sfuggita, colpita, incuriosita da quella massa nera solcata dalla schiuma, si soffermò, curiosa. Un insieme di cause, lo stomaco pieno, il piacere della doccia, l’acqua calda lungo il corpo, avevano causato l’inconfondibile evidenza dell’imponente virilità di Kim che, con gli occhi chiusi, lasciava che l’acqua carezzasse piacevolmente il suo esuberante fallo. Meg rimase a guardarlo, indiscreta. Forse di più. Si spostò, in modo da poterlo osservare, senza essere vista.
L’uomo chiuse l’acqua, prese il telo, lo avvolse ai fianchi, andò a sedere sullo sgabello, uscendo dalla visuale di Meg.
Lei entrò nel soggiorno, sedette sul divano.
Dopo un po’ apparve Kim, rivestito, col volto disteso, evidentemente compiaciuto per il pasto e per il benefico ristoro della doccia.
‘Sedete, Kim.’
Gli indicò la poltrona, dirimpetto.
‘Gradite un drink?’
‘No, grazie, signora.’
Lui s’accorse che c’era qualcosa di più morbido nella persona di Meg, di meno rigido. Restavano in silenzio, guardandosi, alquanto a disagio. Meg attendeva che dicesse di voler andar via. Lui era perplesso. La donna era certamente più anziana di sua madre, ma’ non era sua madre, e pur sempre una femmina. Ne sentiva urgente bisogno. Decise.
Si alzò, le andò di fronte, allungò la mano, l’introdusse nella vestaglia, le palpò il seno. Lei lo guardò sbigottita, incapace di muoversi.
Kim la prese per la mano, con decisione ma senza violenza, la fece alzare, s’avviò per il corridoio, fino alla camera da letto. Ormai le erano evidenti le intenzioni dell’uomo, anche se era incredibile che volesse abusare di lei, di una donna della sua età. Lui accese la luce, la prese in braccio, la depose sul letto, le tolse delicatamente la vestaglia, la sottoveste, tutto, lasciandola nuda, con lo sguardo sgomento, la gola serrata e secca. Ogni resistenza, ogni segno di ribellione, poteva esserle fatale. Si augurava solo che tutto finisse presto. Sentì che le divaricava delicatamente le gambe, e la lambiva con la grossa lingua. Poi lo vide alzarsi, spogliarsi, mettersi in ginocchio sul letto, imponente, con una incredibile erezione.
Un poderoso battaglio. What a clapper!
L’avrebbe squarciata, ferita, martoriata. Già pensava cosa avrebbe dovuto dire al pronto soccorso. Intanto, però, percepì che la sua vagina andava inumidendosi. Da quanto tempo non le capitava’ Ecco, le era sopra, le aveva ancor più aperto le gambe, poggiato il glande tra le piccole labbra. Non pesava, però, si manteneva sulle ginocchia mentre con la mano cercava di agevolare la penetrazione, lentamente, con dolcezza, con cura ma con risolutezza. Lo sentì entrare in lei e si meravigliò di accoglierlo senza alcun dolore, anzi. Era una invasione piacevole, appagante. Quando lui iniziò a muoversi sentì in lei qualcosa d’antico, e di nuovo nel contempo, perché quantità e qualità erano decisamente superiori a ciò che aveva finora conosciuto. Percepiva la fame di lui, dovuta alla lunga astinenza, ma sentiva che sapeva dominarla, guidarla sapientemente, come un rito ancestrale: ‘Possedere la femmina, trarne piacere ma darle godimento’. Ecco, lei cominciava a godere. Senza accorgersene, gli aveva incrociato le gambe sulla schiena e lo assecondava in quella cavalcata che le piaceva sempre più, fino, incredibilmente, a uno dei più voluttuosi orgasmi della sua vita. A sessanta anni! Sentì inondarsi dal violento getto del seme, ma lui non sembrava voler smettere, seguitava con lena, anche maggiore. La strinse, si voltò sul dorso tenendola sempre avvinta a sé, e fu lei a continuare quel ritmo frenetico che la riportò al settimo cielo, fino a quando giacque, sfinita, sul poderoso petto di lui che la carezzava dolcemente, giù, fino sui glutei ancora frementi. Si abbandonò, deliziosamente, in un torpore estatico che presto divenne sonno.
Quando tornò alla realtà, si trovò sdraiata, nuda, supina, accanto a quel vigoroso corpo d’ebano che dormiva tranquillo, con una beata e soddisfatta espressione sul volto. La camera cominciava a rischiararsi alle prime luci del giorno. Solo allora s’accorse di non indossare nulla. S’alzò senza fare il minimo rumore, entrò nel bagno, accese la luce, si guardò nel grande specchio. Scrutava le sue non giovani forme che avevano palpitato di voluttà come forse non mai nella sua vita. Chi lo avrebbe mai detto, Meg Morton accoppiata a un uomo di colore, e per di più pienamente dissetata d’una arsura che l’angosciava senza ben comprenderne la causa. Ora era tutto chiaro. Sessant’anni non vogliono dire quiete dei sensi.
Pensò di lavarsi, ma sentiva ancora l’odore di lui sulla pelle, qualcosa di vischioso tra le gambe. Tornò in camera, così, richiamata dall’usta di quel maschio, eccitata come una femmina in fregola.
Si sdraiò accanto a lui, su un fianco, sorreggendo il capo con la mano, ammirandolo.
Kim respirava profondamente.
Gli carezzò delicatamente il volto, le labbra, il petto, il ventre. L’uomo non si mosse. Scese giù, tra le gambe. Il fallo era imponente, anche nello stato di riposo. Riandò con la mente al suo timore di sentirsi straziata da quell’uomo, allo stupore di poterlo accogliere in sé, piacevolmente. Del resto, era di la che passavano i bambini, al momento della nascita. Un parte del corpo incantevolmente elastica e accogliente. Ricordava, anche se non perfettamente la frase di Miller in un suo ‘Tropico’, aveva dimenticato quale: ‘spianerò le pieghe della tua fica!’ Era stata una stiratura inebriante.
Accarezzava il fallo e lo sentì prendere vita, ingrossarsi, inturgidirsi, ergersi come un totem in attesa dell’offerta sacrificale. Kim s’era svegliato. Si voltò verso lei, la carezzò piano. Con movimenti discreti ma precisi, la fece girare, sempre seguitando a percorrere con le sue abili dita la pelle di Meg che rabbrividiva dal piacere. Quando lo sentì insinuarsi tra i glutei, ebbe un sobbalzo. Non aveva mai permesso quell’esperienza, malgrado le avances del consorte. Girò il capo.
‘Non così, Kim, non mi piace.’
‘Non temere, mia leonessa, voglio solo averti come il leone fa con la sua femmina. Mettiti carponi.’
L’agevolò con dolcezza. Le fu alle spalle, in ginocchio, discostò delicatamente le tonde ed ancor sode chiappe, mise a nudo l’orificio della vagina, vi introdusse appena il suo grosso glande, cominciò a penetrarla, sempre con raffinata lentezza, assaporandone le piacevoli contrazioni.
Le parole di Miller tornavano alla mente di Meg. Mai stiratura fu più desiderata e bene accolta. Stirare, distendere, rilassarsi. Una sensazione forse mai provata, ogni piega del suo palpitante grembo si rilassava al passaggio del pestello ardente dell’instancabile Kim.
Lui la teneva per i fianchi, le carezzava il seno, titillava i capezzoli, il clitoride. E fu ancora più inebriante che mai. Era sua, soprattutto lo sentiva suo, in sé, profondamente. Che incanto!
Quando furono stanchi, ma non paghi, Meg disse che voleva fare un bagno, prima di colazione, crogiolarsi pigramente nell’acqua tiepida della vasca.
‘Ti insaponerò la schiena.’
‘Vieni.
Lo specchio rifletté la coppia che, mano nella mano, nuda, si dirigeva verso la sala da bagno. Lui, nero, scultoreo, precedeva lei, appena rosea, di regolari proporzioni, coi capelli sciolti sulle spalle.
Come un padre che conduceva a forza una bimba ritrosa a fare la doccia.
Black and white!
Meg si lasciava quasi trascinare, quasi fosse assonnata.
Era ancora rapita dall’estasi di quei momenti.
Sedette sullo sgabello mentre Kim faceva scorrere l’acqua nella vasca, ne controllava la temperatura, preparava il flacone e la spugna. Quando tutto fu pronto le si accostò, la sollevò con leggerezza, una mano dietro la schiena l’altra sotto le gambe, la depose delicatamente nell’acqua. Lei si distese, socchiuse gli occhi, poi, lentamente, si mise a sedere.
Kim versò il sapone sulla spugna, cominciò a passargliela sulle spalle, sul seno, scese più giù, nell’acqua, curioso, insistente, e andava sempre più eccitandosi. Ad un tratto, le disse di alzarsi, seguitò ad insaponarla, poi la sollevò, prendendola alla vita, la tirò fuori dall’acque e così, con lei grondante e insaponata, la fece scendere sulle sue gambe, a cavalcioni col fallo che le scivolava tra le cosce insaponate, entrava dolcemente in lei che riprendeva il dondolio, dapprima lento, poi sempre più incalzante, fino a divenire convulso, tra gemiti e sospiri.
Quando tutto fu consumato, si alzò, senza distaccarsi da lei, andò sul letto, si sdraiò tenendola sempre su di lui.
Meg alzò la testa, lo guardò negli occhi.
‘Come puoi, tu, ragazzo, contentarti di una vecchia donna come me?’
‘E’ il tuo grembo che mi fa impazzire, nessuna ha saputo avvolgermi in cosi caldi e inebrianti palpiti, mi ha fatto sentire desiderato, golosamente e deliziosamente munto”

Gli aveva dato un accappatoio del marito che, però, gli andava molto piccolo. Lei aveva indossato quello rosa che era nel bagno. Così, sommariamente vestiti, andarono nel tinello.
Meg preparò la colazione. Pretese che lui restasse seduto, al tavolo. Portò tutto e iniziarono a mangiare.
‘Hai documenti di riconoscimento, Kim?’
‘Certo.’
‘Credo di riuscire a farti ottenere un permesso di soggiorno, sia pure temporaneo. Per giustificare la tua presenza qui, dirò che aiuti Polly nei lavori di casa e, quando serve, mi fai da autista.’
‘Che auto hai?’
‘Andremo a comprarla, insieme. Ma dimmi, da dove vieni, cosa fai. Puoi dirmelo?’
‘Quasi tutto. Vengo dal Kenia, da Nairobi, dove ho frequentato fino all’ultimo anno la facoltà di economia, ma poi mi sono dedicato al movimento indipendentista e ho lasciato tutto il resto. Non voglio che tu ti preoccupi per me.’
‘Ti dispiace passare per mio autista?’
Rise apertamente.
‘No, ho fatto ben di peggio.’
‘Allora? Capisco, vedendomi al chiarore del sole e dopo che, diciamo così, il tuo appetito sessuale &egrave stato soddisfatto, mi consideri sotto una ben diversa luce. Forse quella effettiva. Posso comprenderlo bene.’
‘Al contrario. Temo di essere invadente, e so che, restando, correrei il rischio di pretendere ciò che non mi &egrave dovuto, perché non mi interessa la tua età, credo che tu sola sia la metà del mio cielo, l’unica a sapermi donare sensazioni così intime e profonde, appaganti, sensualmente e affettivamente.’
‘Se vuoi, puoi trovare una sistemazione fuori di qui e venire quando più ti aggrada.’
‘Mi aggrada di non muovermi, di tornare di là, con te.’
Meg allungò la mano, gli carezzò il volto.
‘Bambino capriccioso. Va bene, prepariamoci e vedrò cosa posso fare. Hai roba da qualche parte?’
‘Poche cose e qualche libro.’
‘Passa a prenderle, ti darò quanto ti serve per il taxi, torna per le tredici. Se non sono ancora tornata aspettami giù. Andiamo.’

Sir Percy Valley, suo vecchio amico e suo legal counsel da sempre, la ricevette subito.
La ascoltò attentamente.
Certo, un uomo fidato in casa era cosa preziosa, e non solo per i servigi domestici che poteva disbrigare. Faceva bene, Meg, a riordinare le carte del povero Robert. Era certo che avrebbe potuto pubblicare un libro postumo con gli appunti che il giovane quasi economista avrebbe potuto mettere insieme.
‘Per ora, cara Meg, sarà a temporary permit, un permesso temporaneo.
Solo per ora, poi sarete voi a dirmi cosa intendete fare. L’esenziale &egrave che una donna come voi, ancora giovane, piacente e piena di vita ‘oggi avete un aspetto incantevole- esca dalla solitudine e trovi qualcuno che le riempia il vuoto tormentoso restato in lei dopo la perdita di suo marito.’
Era serio, Percy, ma Meg sembrò di cogliere una particolare intonazione della voce, forse maliziosa, o allusiva, o semplicemente constatativa.
Mah!

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