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Racconti Erotici Etero

Rebus sic stantibus

By 23 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

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Rebus sic stantibus (Poly)

– Chi è?

– Sono io.

– Lei chi?

– Renzo.

– Renzo chi?

– Il fratello di Paola.

– E chi è Paola?

– Mia sorella!

– Ah, entri, entri.

Quando entrò l’uccello gli venne duro e quando a Renzo gli veniva duro pensava sempre «Uhm, cominciamo bene, cazzo!». Disse infatti tra sé e sé:

– Uhm, cominciamo bene, cazzo!

S’accomodò su una poltrona e aspettò. Aveva un po’di sonno, ma cercò di resistere… poco dopo scivolò nel più profondo oblio.

 

D’altronde aveva passato una notte intera con Gabriella. Con Gabriella! Era soddisfatto di sé. Altroché: una donna che al primo incontro ti dice «nessun’altro uomo m’ha fatto godere come te» e ti prega di prenderla da dietro… da dietro: non è da sottovalutare! L’aveva conosciuta al Dusty Bar di Piazza del Popolo (sola entrata 10,00 euro). Aveva trascorso la sera intera a guatarla. Come non avrebbe potuto: gonna, stivali con tacchi alti, viso da verginella, due gambe che imploravano d’essere accarezzate, lisce, a vederle, come il velluto. Aveva bevuto, lui, un bicchiere dopo l’altro (bourbon e idrolitina – anticolesterolo), ma il coraggio d’avvicinarla non gli era venuto come gli succedeva quando una donna l’interessava, cioè sempre. Era stata lei, alla fine, a farsi avanti. Era stata lei, alla fine, a baciarlo. Dio mio che lingua: era come se ti succhiasse l’uccello. S’erano seduti appartati e così Gabriella gli aveva aperto i pantaloni e aveva incominciato un su e giù che l’aveva lasciato, come dire, sbigottito tanto che il suo membro non si decideva a drizzarsi. Gabriella aveva allora cominciato a sussurrargli frasi come «Godi amor mio, godi» oppure «Tesoro ti amo» e gli aveva dato da succhiare un dito appiccicoso e bagnato di fica. Altro che la Nutella! A quel punto Renzo, che adorava simili maneggi, stava per venirle nella mano. Strinse i denti, un po’anche le cosce, pensò al cancro, all’apartheid e ebbe il buonsenso di dirle «Andiamo in bagno». Gabriella prima d’arrotolarsi la gonna sui fianchi e scostarsi le mutandine offrendogli il sesso congestionato e già fradicio si fece una tiratina di coca. Renzo se ne stette con la verga eretta – tanto che il frenulo a momenti si staccava – pantaloni alle caviglie (posizione della quale non andava troppo fiero e che l’inquietava) aspettando pazientemente che Gabriella si finisse lo sniffo. Da quella posizione Renzo osservò le terga di Gabry cosa che non lo entusiasmò perché generalmente preferiva l’eleganza della fica vista di fronte, ma la verga aveva cominciato a vibrare come la bacchetta forcuta d’un rabdomante in presenza d’acqua, segno che il piacere era evidente. Gabriella invece di farsi anche gli ultimi granelli di coca li cosparse sulla verga di Renzo per prolungarne l’erezione. Dopodiché l’accolse in lei nonostante l’angusto spazio, disdegnando la piccola folla che s’era ammassata fuori della toilette, folla che senza rispetto per l’altrui godimento, applaudiva, sghignazzava, ruttava e inveiva.

 

Ora era accomodato su una poltrona solo soletto, con un’erezione in via di sviluppo: non aveva cioè l’uccello duro come un bastone, marmoreo, bello sodo – no: l’aggettivo «sodo» non gli piaceva: gli ricordava l’uovo e l’uovo lo rimandava inevitabilmente al culo di gallina – ma quasi duro: ecco aveva una quasi erezione, con conseguente ansia, leggi inquietudine. Brutto presentimento. Le quasi erezioni sono sempre una rogna. Stavolta si toccò la patta, solo come gesto apotropaico.

– Che male c’era dormire nella poltrona del ministro, di un ministro? – pensava, tanto per distrarsi – mica era il Presidente della Repubblica! No, decisamente era un semplice ministro. Ce ne sono tanti come lui. Troppi. Ma non importa.

Renzo era comunque seduto nella migliore poltrona del salotto, quella di canapa, che sembrava un trono.

– Tutti i ministri ne hanno probabilmente una, pagata dallo stato, cioè nostra! – meditò Renzo che si sentiva filosofo e si riposò più serenamente ripassando il comodo principio che un po’ per ciascuno non fa mai male a nessuno. Lo sfiorò anche l’idea di diventare ministro, lui, che era ignorante, magari dell’istruzione. Quello attuale, evidentemente, non lo soddisfava dal lato quoziente d’intelligenza. E tutto questo solo per essersi seduto su una meravigliosa poltrona. Ma lui no, non sarebbe stato come loro: brutto, piccolino, storto, gobbo, un po’ calvo con gli occhiali a televisore, ma bello, latino, abbronzato, agile, con una folta criniera, con occhiali alla moda, ciuffo alla Sgarbi, e naturalmente corteggiato da un’infinità di ninfe, portaborse – rigorosamente donne, magari di origine cremonese.

Uno scricchiolio l’avvertì che qualcuno stava arrivando. Si sistemò di nuovo la patta; l’erezione, come la chiamano gl’intellettuali, non lo lasciava. Doveva essere il ministro. Si risvegliò subito da quel semicoma di delirio. Provò qualche inchino, ma lasciò perdere subito. La porta s’aprì – insieme ad altre cinque che non c’entravano perché c’era una forte corrente d’aria – ed entrò un uomo, impeccabilmente vestito: non poteva che essere il ministro. Un po’ sbilenco, pochi capelli, con gli occhiali. Non deludeva. Era lui. Nessuno fece le presentazioni, e Renzo non ci fece caso. Silenzioso l’uomo si mise a spolverare. Ovunque. E non cantava! Renzo pensò che fosse un ex-ministro del lavoro, colpito da una misteriosa legge del contrappasso per cui continuava a lavorare indefessamente.

Renzò, allora, s’alzò, gli tolse gentilmente dalla mano destra lo straccio e gli strinse la mano. Le dita della mano scricchiolarono. Quelle della mano di Renzo. Era una stretta più che calorosa.

– Ma che fa?

– In che senso? – rispose Renzo pronto. Gli avevano detto che per mettere un ministro in difficoltà bastava usare la frase «in che senso?» oppure «scandali come». I ministri, si sa, sono prigionieri dei loro doppisensi e delle loro lunghe manine.

L’uomo impeccabile, tuttavia, si riprese lo straccio e continuò a spolverare con grande abilità. Renzo pensò che fosse malato per davvero. Ma non parlava. Strano per un ministro. Optò, quindi, per frasi inventate al momento, estremamente originali:

– Bel tempo vero? – l’uomo evidentemente non lo trovò neanche spiritoso: era novembre, c’era la nebbia e la moglie, chissà, magari s’era appena scopata l’amico di famiglia.

– Piove – si limitò a rispondere l’uomo.

– Anche! – pensò Renzo.

– E quest’anno… le ferie? – Renzo avrebbe potuto tenere un corso di public relations.

– Ho sempre lavorato, signore, e sempre lavorerò. Queste, sono le mie vacanze!

– Cazzo! – avrebbe voluto dire. Invece disse:

– Ah, mi scusi sa, al momento…

– Ma che sta dicendo?

– In che senso, scusi?

La storia del senso con quest’uomo non funzionava; sembrava, costui, la fatidica eccezione che conferma la fatidica regola del fatidico cazzo.

– In che senso lo dico io, mi permetta – se ne uscì molto compassatamente il signore.

– Senta, che vogliamo fare? M’hanno mandato, io non sarei venuto…

– Si spieghi – fece Dio.

– Certo, certo… cioè… cominciamo dal pri…

– Lei evidentemente non sa chi sono io – scattò l’Impeccabile.

– E chi è lei? – gridò Renzo, non controllando il volume della voce.

– Sono il maggiordomo – disse l’Omuncolo.

Renzo si sentì preso in giro. Si toccò la patta.

– Cazzo, stamattina ce l’ho sempre duro, sarà la coca di ieri – rifletté ancora.

– Senta signor maggiordomo – inveì Renzo – quando arriva il signor ministro, le dice, anzi, le dica che si sbrighi, che sono stufo di aspettare, che ne ho le scatole piene, che anch’io ho i miei impegni. Intesi?

Aveva perso la pazienza. La diplomazia, invece, che non aveva mai posseduto, non lo preoccupava.

In quella s’aprì una porta. Il maggiordomo s’eclissò come un ectoplasma. Renzo tacque di colpo. Il suo cuore cominciò a battere forte.

– Chiaro – pensò razionalizzando – dopo quella sfuriata.

Ma il cuore, che della sfuriata non gl’importava granché, continuava a battere: sulla porta era apparsa una di quelle donne che Renzo aveva visto solo sulle copertine di settimanali per adulti o al massimo con qualche piccolo cambiamento nei film a tarda notte alla televisione. Nera di capelli, minigonna svolazzante, calze chiare, scarpe col tacco alto. Renzo pensò a Gandhi che aveva raggiunto la pace dei sensi così presto.

L’uccello nella patta cambiò posizione e fuoriuscì dall’elastico degli slip.

– S’accomodi – disse Minigonna Svolazzante.

Renzo era già seduto e, per mascherare il non poco imbarazzo – l’erezione s’era trasformata in un fenomeno da circo – si accese una Multifilter che è più lunga del normale; se avesse avuto un avana da un metro si sarebbe fumato anche quello.

Calze Chiare s’accomodò di fronte a lui, accavallando elegantemente le gambe. Renzo buttò lì un’occhiata disinteressata da professionista del boudoir. Cioè l’intenzione era questa, ma gli occhi, invece, rimasero voluttuosamente appiccicati allo spacco della gonna che – già mini – saliva fin quasi agli inguini lasciando intravedere lampi di carne con annessi reggicalze. Cercò allora educatamente di guardare in faccia la sua bella interlocutrice, ma lo sguardo fu calamitato dalla scollatura che lasciava intravedere dei piccoli seni e dei piccoli capezzoli puntuti come chiodi che lui, Renzo, avrebbe succhiato come un lecca lecca. S’accorse, compiaciuto, d’esser diventato con l’età un poeta e di pensare come un regista di commedia all’italiana.

Lei intanto, molto pazientemente, aspettava che Renzo le finisse la visita ginecologica. Si sistemò il rossetto e Renzo, come un uomo qualunque, pensò al suo uccello prigioniero di quelle calde labbra carnose, impeccabilmente tinte di rosso. Lo sfiorò l’idea d’essere allergico a quel tipo di rossetto. Non c’era mica da scherzarci tanto: un suo amico dopo una notte d’amore pluriorgasmica aveva dovuto ricorrere alle cure mediche perché la pelle del membro si stava desquamando.

Quando la donna di calze chiare vestita cambiò posizione e lasciò intravedere che la biancheria intima non l’interessava Renzo finalmente ebbe una rivelazione: quella era il ministro, non poteva esser certo la donna delle pulizie o la donna di quello di prima. Renzo si spostò un poco – cercando di non rovesciarsi con la poltrona – sperando di vedere un po’ di peluria, ma vide solo la carne rosso rubino, bella come un fiore all’alba. I suoi pensieri, di Renzo, s’accavallavano proprio come le gambe di lei. Dio mio, a dir la verità, lui, prossimo all’età della colonscopia, non aveva mai visto, una donna completamente rasata. Rasata!

Anche Gabriella – sempre Gabriella – che non era una ragazzina aveva la sua strisciolina di pelo, certo quasi sempre fradicia che l’eccitava incredibilmente; ma una donna senza un pelo sulla fica, dio mio no. Dato che c’era guardò meglio se vedeva il pistillo di carne, che amava più d’ogni altra cosa, ma forse chiedeva troppo. Deglutì: l’elastico degli slip aveva cominciato a segargli la verga. Gli venne da piangere.

Non poteva subito parlare alla ministra della ragione per cui era venuto, cioè per cui l’avevano mandato, perché poi se ne sarebbe dovuto anche andare. Decise così di parlare di ginecologia. Chi più di lui ne sapeva qualcosa? Tutti! Ma forse la ministra doveva ancora incontrarne uno.

– È tanto che non va dal ginecologo?

– Oh no, ci sono stata un mese fa. Sa, ci vado spesso.

– La troia! – si sorprese a pensare Renzo, poi continuò:

– La vedo così giù. Guardi, io me ne intendo. Non ha mica dolori mestruali?

– N-no, no… forse. Be’ no, no. Ieri ho lavorato fino a tardi e così sono molto stanca. Però un po’ a dir la…

– Ah, la capisco, eccome!

– Vorrebbe dire che anche lei soffre di dolori mestruali?

– No, forse lei non m’ha capito. Ho lavorato fino a tardi.

Anche lui aveva lavorato: Gabriella con le cosce aperte sul letto, completamente offerta, dio mio, la natura, che forza! Gabriella che mugolava, invocando il suo nome. Gabriella che lo spogliava, lentamente, bagnandolo di saliva. Un idillio. Gabriella che si toccava e gli faceva annusare i suoi profumi. Che forza, la natura, altro che la mousse al cioccolato!

La ministra s’alzò e andò verso il mobile bar. Anche da dietro non era male. Con la mano Renzo le avrebbe sollevato delicatamente la gonna svolazzante, avrebbe accarezzato quella superficie glabra – dio mio – allargato le natiche, percorso la fessura, si sarebbe fatto spazio tra le labbra, ma l’avebbe fatta aspettare, essì cazzo, non l’avrebbe fatta godere subito. Più tardi quando lei sospirando e gemendo avesse implorato l’orgasmo allora lui, ecco sì, l’avrebbe accontentata, l’avrebbe baciata come sapeva fare lui – gliel’aveva insegnato la maestra di tennis – e finalmente l’avrebbe soddisfatta.

– Senta, vuole un drink? – chiese la minìs, facendo fare un volo alle scarpe e riportando Renzo a contatto con la quasi nuda realtà.

– Sì, grazie.

– Cosa vuole che le prepari?

– Quello che beve lei, per non disturbarla.

– Io bevo una vodka.

– Io un alexander.

– Non so farlo.

– Allora un gin tonic.

– Non ho il gin.

– Un po’ di lampone.

– Non ho il lampone.

– Una vodka.

– Quella ce l’ho. Io tengo solo vodka.

– Capisco.

Renzo capiva.

Versò la vodka nei due bicchieri e andò a sedersi a fianco di Renzo, che avrebbe desiderato essere già al quinto bicchiere. Al sesto riusciva a parlare portoghese come un nativo; al settimo parlava correntemente di fellatio, cunilingus e dildi anche con Rocco Buttiglione.

– Senta – disse la ministra – non le andrebbe di far qualcosa di strano del tipo io e lei nella camera da letto?

– Così su due piedi? – rispose, leggermente turbato, Renzo.

– Certo, ho una voglia matta.

– Ehm, no grazie, ho male ai denti.

– Non so cos’abbia capito: fare l’amore… Ho un’età in cui mi posso permettere di prendermi queste libertà. Le pare?

A Renzo pareva eccome, ma disse:

– Ehm, ho i calzini sporchi.

– Adoro la puzza dei piedi.

– Ah, ehm, le dirò che puzzo anche di sudore sotto le ascelle…

– Vorrà dire che passeremo ore da leoni.

– Non facciamo paragoni, non sono il mio forte.

– Ma scusi, sa, non mi pare mica tanto soddisfatto della mia proposta. Non le piaccio forse? Su, lo dica, mica mi offendo. Mi vuol toccare, così tanto per cominciare. Guardi le faccio vedere i capezzoli: sono piuttosto eretti. Tocchi qua!

– Oh non è per questo…vede… – Renzo ebbe un momento di difficoltà nel respirare: era in apnea.

– Ah, l’immaginavo. Scommetto che è gay?

– Sì, cioè no…

– Vuol dire che non è omosessuale?

– Sì.

– Ah, bene: lei è omosessuale. Ma perché? Forse le è andata male un’esperienza con una donna op…

– Più che altro non ho mai avuto un’esperienza così diretta con una donna del suo status! Con una ministra, poi! Non so neanche se sia legale. Eppoi, mi perdoni, i-io sono sensibile, i-io ho bisogno di coccole.

– Oh se è per questo neanch’io non ho mai avuto un’esperienza con uno, come dire, così sensibile che ha bisogno di coccole. Il conto torna, non le pare?

– Sì.

In effetti il conto, purtroppo, tornava.

– Sì, cosa? – insistette la minìs.

– Il conto torna. È come battere a macchina la prima volta, paralisi su tutte le dita.

– Ma cosa c’entra?

– Niente. Era per prendere tempo.

– Allora, andiamo?

– Okay, andiamo.

Renzo si alzò, vacillò e svenne. Si rialzò e svenne di nuovo.

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