Skip to main content
Racconti Erotici EteroRacconti erotici sull'Incesto

Ritorno in Trinacria

By 29 Settembre 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Il trillo della suoneria del cellulare mi distoglie dallo scorrere annoiato dei miei pensieri: “Ciao, scendo tra una settimana e rimarrò fino a fine mese!”
Mia sorella verrà a passare una decina di giorni qui in Sicilia; sorrido mentre rileggo il messaggio, e mi sento in qualche modo rincuorato sapendo che finalmente ha trovato una sistemazione soddisfacente, anche se a centinaia di chilometri di distanza. A Milano, per essere precisi.
Sento tantissimo la sua mancanza, ma non avrebbe avuto nessun senso che lei rimanesse in una città poverissima di opportunità, che nel migliore dei casi le avrebbe offerto la possibilità di arrancare, un mese dopo l’altro, per sbarcare il lunario. Non è una novità per nessuno che tanti ragazzi si vedano costretti a cambiare città per poter vivere dignitosamente, e non era una novità per mia sorella, che nel corso degli anni si era già trasferita altre volte, sempre fuori.
Mentre mi addentravo in queste considerazioni, mi venne in mente che mi aveva scritto qualche giorno addietro, comunicandomi che avrebbe preso le ferie a partire da un giorno diverso.
“Naty”, le scrivo, “ma non dovresti essere già in ferie?”
“Sì che lo sono, scemo! Hai dimenticato che ho programmato una settimana di vacanza con le mie vecchie compagne del liceo?”
Me ne ero del tutto dimenticato, ma scorrendo tra i vecchi messaggi trovai quello dove Natalia mi spiegava tutto per filo e per segno.
“Giusto, giusto! Quindi Grecia, è deciso?”
“Sì, sì! Spero ci siano i musei aperti, ma soprattutto che quelle amebe delle mie amiche non si rivelino delle palle al piede, come al solito!”
Sorrisi nel constatare che l’indole abrasiva di mia sorella non si era minimamente scalfita da quando aveva lasciato la Sicilia, anzi tutto il contrario.
“Musei e cultura al mattino, bisboccia e ubriacature moleste la sera: mi sembra un ottimo programma!” le scrissi, rassicurandola poi che sarebbe andato tutto alla grande e si sarebbe divertita un mondo.
“Ci risentiamo per farti sapere quando venirmi a prendere in aeroporto! A presto, fratellino!”
“D’accordo, ci risentiamo. Divertiti, e poi fiondati qua, che non vedo l’ora di vederti!”

La settimana trascorse senza particolari scossoni, e finalmente mi ritrovai in aeroporto ad aspettare Natalia. La vidi uscire, un piccolo trolley al seguito, insieme ad un paio delle sue amiche: indossava un cappello di paglia a tesa larga e gli immancabili occhiali da sole, un top scuro, una gonna pantalone che arrivava a metà coscia, e un paio di sandali.
“Finalmente, eccoti qua! Com’è andata, vi siete divertite?” chiesi, metà a lei e metà alle sua amiche, che si erano fermate a salutarla, prima di lasciarla con me. Natalia mi fulminò con lo sguardo, mentre le sue amiche borbottarono qualcosa di incomprensibile: non doveva essere stata la vacanza del secolo. Usciti dall’aeroporto ci incamminammo verso l’auto, posteggiata poco distante, e in quel breve lasso di tempo ebbi conferma della mia supposizione:
“È stata una delle peggiori vacanze di sempre”, si lamentò Natalia. “Si alzavano tutte alle undici, andavano a fare le lucertole a mare per un’oretta e poi la sera alle undici tutte a letto! Non ho visto un museo, un locale, niente che valesse la pena. Tranne l’ultima sera, in cui ho deciso di piantarle e farmi un giro per conto mio”.
“Ti capisco: andare in vacanza in comitiva comporta sempre rischi di questo tipo, a meno che non uno non si decida a fare l’asociale e programmarsi qualcosa da solo. O al massimo in due, se trovi qualcuno del gruppo con i tuoi stessi interessi.”
Ci sedemmo in macchina, accesi il motore, ingranai la marcia e partimmo. I finestrini erano abbassati e il vento caldo riempiva l’abitacolo, scompigliando i capelli di mia sorella, che guardava fuori con aria vagamente imbronciata.
“Ti stanno proprio bene i capelli di questo colore! Che cos’è, mogano?” chiesi, per farla smettere di rimuginare sulla settimana di vacanza fallimentare.
“Sulla confezione c’era scritto fiamma d’autunno, ma sono le solite stronzate che si inventano per vendere la tintura”, rispose lei acida, continuando a guardare dal finestrino. “Grazie comunque” aggiunse, dopo qualche istante.
Capii che la cosa migliore da fare era lasciare che la scocciatura le sbollisse da sola, per cui durante il viaggio verso casa mi limitai a borbottare qualche frase senza importanza, mantenendo un tono leggero e spensierato.
“Scommetto che sei stanca”, le dissi una volta entrati nel mio appartamentino da scapolo, che avevo provveduto a pulire per l’occasione. “Perché non ti fai un sonnellino mentre io preparo qualcosa di buono da mangiare? Ti chiamo quando è pronto.”
“Hai proprio ragione”, rispose mia sorella, soffocando uno sbadiglio. “Mi sa che approfitterò del tuo letto”.
“Fai pure!” risposi. Senza farselo ripetere due volte, mia sorella andò difilato a coricarsi.
Mi misi a trafficare in cucina, e quando mancavano pochi minuti per scolare la pasta andai in camera a svegliarla.
“Naty…” chiamai, ma il suo nome mi rimase incastrato in gola non appena la vidi: indossava soltanto un paio di slip e una canotta, entrambi semitrasparenti; per di più la canotta si era spostata lasciandole un seno scoperto. Non riuscii a distogliere lo sguardo da quella rotondità perfetta, dal quel globo di alabastro coronato da un’areola di un rosa carico in cui spiccava appena il capezzolo. La posizione in cui si era addormentata, sdraiata su un fianco e leggermente raggomitolata, faceva sembrare ancora più florido il suo seno già abbondante: sembrava una quarta, una quinta quasi. A rendere tutto ancora più conturbante, era possibile intravedere sotto lo slip una certa quantità di peluria. Deglutii, totalmente scombussolato, mentre avvertivo i prepotenti principi di un’erezione da manuale, quando per fortuna mia sorella cominciò a dare segno di starsi svegliando. Mi voltai bruscamente dandole le spalle: “Dai vieni, è pronto” dissi, e uscii precipitosamente dalla mia stanza.
“Questa pasta sembra colla”, osservò Natalia mentre eravamo seduti a mangiare. “Ma dove ti eri andato a cacciare mentre cuoceva?” Io non avevo il coraggio di guardarla negli occhi per l’imbarazzo, e non riuscii nemmeno a inventare una scusa anche solo vagamente plausibile sul perché mi ero allontanato tanto dai fornelli.
“Oh dai, non è mica la fine del mondo”, disse allora lei, attribuendo il mio atteggiamento al pasticcio in cucina.
“No, no,” borbottai, sollevando lo sguardo di appena qualche centimetro, e riabbassandolo subito. Ma ormai il danno era fatto: la scena che avevo visto in camera da letto mi si era impressa a fuoco in testa, e io sapevo che non me ne sarei più dimenticato.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

Dopo pranzo io e Natalia ci scambiammo i ruoli: lei si offrì di lavare i piatti e io, fingendo di non volere che lei si disturbasse, finii con lo schiacciare un pisolino sul divano. Quando mi svegliai la trovai a truccarsi davanti allo specchio del bagno. “Ehi,” la apostrofai, “perché ti stai facendo così bella per andare a salutare i parenti?”
“Avevi detto che mi avresti portata a cena fuori!” replicò Naty, dandomi le spalle e guardandomi imbronciata dallo specchio, con tanto di labbro inferiore sporgente, come una bambina.
“Certo che ti ci porto,” replicai, “ma non vedo il motivo di tanti preparativi,” dissi sogghignando, “In fondo il trucco non fa miracoli.”
Lo specchio mi restituì l’immagine di mia sorella che alzava il dito medio. “Se sarò fortunata incontrerò un bel tipo che non sia stronzo come mio fratello, e la serata sarà salva. Ergo, meglio essere preparate.” Mentre Naty mi rispondeva a tono, il mio sguardo vagava sulle sue labbra socchiuse che formavano un piccolo ovale aggraziato, sulle sue gambe e sui piedi nudi, uno dei quali era leggermente sollevato, come se lei stesse per muovere un passo. I miei occhi percorsero la caviglia, il polpaccio, la coscia e il gluteo leggermente contratto; inconsciamente deglutii, poi mi allontanai: “Muoviti, ché dopo il bagno serve a me”.
I saluti ai parenti prendono una buona parte del pomeriggio, ma la cosa non mi dispiace: l’attenzione di tutti è concentrata su Naty, sul suo nuovo lavoro, sul nuovo appartamento, sui colleghi e compagnia bella; tutto questo mi dà la possibilità di osservarla senza preoccupazioni di sorta: niente di più facile che giustificare l’intensità del mio sguardo con la scusa che non ho potuto vedere la mia sorellina per mesi.
Indossa un vestito a fiori, elegante ma non troppo, con una scollatura a barchetta che si modella perfettamente sulle sue curve, e ai piedi porta dei sandali alla schiava, con l’allacciatura non troppo alta, e con pochi centimetri di tacco. Ha le gambe e le spalle nude, e la pelle più che abbronzata arrossata dai pochi giorni trascorsi sotto il sole greco. Profuma di fiori e le ciocche infiammate che le scendono dalla testa le lasciano scoperta gran parte del collo. Mi immergo sempre più nella contemplazione della sua pelle, penso al suo profumo, alla sensazione che si deve provare nello sfiorare quei centimetri di epidermide scoperta, al calore che emana dal suo corpo.
Vengo risucchiato fuori bruscamente dal filo di questi pensieri da una gomitata tra le costole, e dalla voce di Naty che mi sibila all’orecchio: “A che cavolo stai pensando?! Ti hanno appena fatto una domanda!”
Visibilmente imbarazzato e con una metà abbondante di cervello ancora concentrata su mia sorella, rivolgo la quantità di attenzione appena sufficiente a portare avanti una conversazione ai miei, che vogliono sapere dov’è che andremo a cena.
“Andremo in centro, in una trattoria che ha aperto da poco, e dove mi hanno detto che si mangia bene a prezzi onesti”.
“Bravo,” esclama Naty prendendomi a braccetto, “ho proprio bisogno di rifarmi: a Milano non si trova nulla della roba buona che fanno qui!”
Trascorriamo chiacchierando poche manciate di minuti ancora, poi Naty mi afferra per un polso facendomi capire che si è stufata di stare lì, così iniziamo a salutare e ci congediamo dai parenti.
“Si può sapere a che accidenti stavi pensando prima? Ti sei alienato da tutti, e mi hai lasciata sola a sciropparmi il terzo grado del parentado!”
“Sì, scusa… sono un po’ distratto ultimamente,” butto lì.
“Non è che c’è di mezzo qualcuna?” mi chiede lei, sogghignando.
“Certo, come no. Lo sai che la mia agenda degli appuntamenti galanti è piena a tappo,” rispondo sarcasticamente, gli occhi fissi sulla strada.
“Ah, ah, ah. Scommetto che non metti il naso fuori di casa da settimane.”
“No, davvero. C’è la fila di ragazze che non vedono l’ora di avere intrallazzi col sottoscritto.”
“Non mi dire che pensi ancora alla tua ex!” lo sguardo di Naty si fa un po’ più serio, perdendo qualcosa della luce che aveva avuto fino a qualche secondo prima.
“Ti lascio il beneficio del dubbio,” rispondo, cercando di essere evasivo. Mi dà un po’ fastidio l’idea che mia sorella si possa preoccupare per me, e non mi infastidisce anche essere ‘l’anello debole della catena’, per così dire.
“Ah, ma io non ho alcun dubbio!” mi rimbecca lei, tagliente.
“Sai che diceva Oscar Wilde? Che solo gli stupidi non hanno dubbi.” Stavolta è il mio turno di sogghignare.
“Ma per quanto tempo ancora vuoi starci male?” insiste Naty, che non si arrende mai senza dare battaglia. Lascio che sia il mio silenzio a parlare per me: abbiamo discusso l’argomento decine di volte, e Naty sa perfettamente come la penso, così come io so perfettamente come la pensa lei; abbiamo spesso modi di vedere antitetici, ma altrettanto spesso la franchezza – a tratti brutale – e la determinazione di mia sorella si sono rivelati d’aiuto, superato il primo impatto.
Rimaniamo in silenzio per il resto del tragitto: rimugino sui miei pensieri in ordine sparso, ma inevitabilmente finisco per concentrarmi su Natalia, che ha iniziato a trafficare col cellulare. Ho appena posteggiato, dopo un quarto d’ora di giri alla ricerca di un posteggio, conditi da improperi più o meno coloriti, quando: “un sorriso per la stampa!” urla Naty, scattando un selfie a sorpresa.
“Hai un sorriso così solare e contagioso,” sghignazza poi, osservando la foto sullo schermo. Mi avvicino per dare un’occhiata, e in effetti ho un’espressione a metà tra l’incazzato e lo stupito, e a fatica trattengo una risata. Ma non mi va di darla vinta a mia sorella così facilmente, anche se apprezzo di tutto cuore il suo tentativo di risollevare l’umore della serata.
“Cancella quell’abominio”, le dico in tono burbero, “lo sai che vengo da schifo in foto.”
“Ma no, dai, è carina!” risponde lei. “Cioè no, fa schifo, ma mi fa ridere,” si corregge. La tensione si è spezzata, il sottile strato di ghiaccio formatosi durante il tragitto in macchina si è sciolto, e così ci entriamo in trattoria cicalando senza darci troppo pensiero.
All’ingresso della trattoria troneggia un enorme barbecue, sul quale viene arrostita a vista la carne per i clienti, il che se da un lato è in un certo qual modo una garanzia per gli avventori, dall’altro garantisce di impregnare vestiti, capelli e quant’altro dell’odore di arrostito per giorni.
“Mi toccherà mettere a lavare tutto,” borbotto scocciato.
“Ma ti sembra il momento di pensare a questo? Ma che te ne frega!” esclama Naty, facendo cenno a un cameriere, chiedendo un tavolo per due.
“In effetti…” osservo. Naty è una buona forchetta, come me del resto: non faccio in tempo ad accomodarmi al tavolo che ha già ordinato una generosa porzione di antipasti. La cena procede spedita tra manicaretti assortiti e un vinello rosso che picchia con decisione; parliamo un po’ di tutto, ma il fulcro della conversazione ruota attorno alla nuova vita di Naty: voglio essere il più sicuro possibile che la mia sorellina stia davvero bene, che si senta a suo agio nella sua nuova sistemazione e che non abbia bisogno di nulla.
A fine cena, dopo un’ora e passa di portate intervallate da pause strategiche scandite da svariati calici di vino, Naty tira fuori dalla borsa un astuccio per il tabacco, filtrini e cartine, e comincia ad arrotolarsi una sigaretta. La guardo compiere quei gesti apparentemente semplici, ma che a me non riescono, con un vago cipiglio: non mi fa fare salti di gioia l’idea che mia sorella fumi, ma tant’è.
“Sai cosa ci vorrebbe ora?” esclama lei, con aria fintamente innocente.
“Cosa?”
“Un frappé alla Nutella!”
“Ma sei senza fondo! Abbiamo appena mangiato fino a scoppiare!”
“Ma che vuoi?! Appena tornerò a Milano mi metterò a dieta! Adesso sono in vacanza, quindi non rompere!”
“Fair enough,” osservo, “andiamo, ti porto al chiosco.” Paghiamo il conto e ci rimettiamo in macchina. Al chiosco prendiamo due frappé, dolcissimi e tanto densi che passano a fatica attraverso la cannuccia; a me non piace granché, ma lo prendo per fare compagnia a Naty. Dopo avere ingollato l’ultima sorsata ci tiriamo su dalla panchina su cui ci eravamo seduti, e guardandoci in faccia diciamo all’unisono: “Andiamo a casa!”.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

Giro la chiave nella toppa della porta di casa, e lascio entrare Naty.
“Puzzo come un quarto di bue, senti!” dice lei, avvicinandosi sporgendo il collo verso di me. Sotto l’odore di cucinato, sotto il profumo ormai per gran parte evaporato, sento il profumo di lei, della sua pelle, e mi sento la schiena percorsa da un brivido, una specie di corrente elettrica; nitida come la più nitida delle fotografie, l’immagine di lei addormentata seminuda sul mio letto riaffiora nella mia mente con la potenza di un pugno allo stomaco.
“Vai a farti una doccia,” le dico, mantenendo a stento il controllo, e spingendola di fatto verso il bagno.
“Ehi, che fretta c’è?!” protesta lei.
“Il bagno serve anche a me,” mugugno battendomi una mano sullo stomaco, mentre vado a prendere degli asciugamani puliti nell’armadio.
“Fai proprio schifo,” esclama Naty, entrando in bagno.
“Ti lascio l’accappatoio sulla maniglia esterna della porta.”
Sento l’acqua scorrere dietro la porta, e immagino mia sorella nuda, che si accinge ad entrare nella vasca, magari saggiando la temperatura dell’acqua con un piede. Immagino le volute di vapore che le vorticano attorno, creando un piacevolissimo velo che stuzzica la mia fantasia già sovreccitata…
Ma che diavolo mi prende?! È mia sorella, e io non faccio altro, da quando è arrivata, che immaginarla nuda… sto davvero messo male, penso, mentre il mio sguardo vaga posandosi a caso sui mobili e le suppellettili sparse per casa. Un ping! soffocato mi riscuote da queste considerazioni: viene dalla borsa di Naty. Nel giro di un’infinitesimale frazione di secondo la curiosità prende il sopravvento: infilo una mano nella borsa e tiro fuori il cellulare. Le dita sembrano avere acquistato una coscienza tutta loro mentre scorrono sul touch screen alla ricerca della galleria immagini, mentre il mio cervello è percorso da squassanti ondate di adrenalina, cui la mia immaginazione affibbia l’improbabile travestimento di lampi verde-azzurri. In mezzo a decine di selfies, foto di gatti e compagnia bella, ecco comparire degli scatti che non mi sarei aspettato, ma che in quel momento desideravo con tutto me stesso trovare: Naty è nuda, totalmente nuda, e si atteggia in pose dall’apparenza di casuale sensualità, ma che a un secondo sguardo si rivelano meticolosamente studiate. Una in particolare attira la mia attenzione: Naty è in ginocchio sul letto con le gambe divaricate, il busto eretto e leggermente inclinato all’indietro, le mani dietro la nuca e un asciugamani avvolto a mo’ di turbante sulla testa; i suoi occhi fissano l’obiettivo con uno sguardo acceso di malizia che sembra voler bucare lo schermo. Sento le mie sinapsi sovraccaricarsi nel tentativo di immagazzinare nella mia memoria il maggior numero di dettagli nel minor tempo possibile: i suoi occhi, il suo sorriso così sicuro, i suoi seni perfettamente rotondi, prominenti e voluttuosi, la curva morbida del suo stomaco che finisce in un cespuglio di peluria che sembra disegnato a china, l’arco perfetto delle sue cosce. Scorro da un’immagine all’altra e ne trovo alcune in cui Naty svela gli aggraziati misteri del suo corpo, e altre in cui è inguainata in completi di lingerie che altro non fanno se non stimolare all’ennesima potenza la fantasia dell’osservatore. I miei occhi assorbono dettagli come spugne, finché non mi rendo conto che vorrò osservarle ancora. Il muro della morale è stato spazzato via dall’impeto dei sensi, e non c’è più spazio per remore di qualsivoglia entità. Recuperare il mio telefono, attivare la connessione bluetooth, trasferire i file e rimettere il telefono di Naty a posto dentro la borsa è un tutt’uno. Giusto in tempo: la porta del bagno si socchiude e una mano tasta alla cieca la maniglia della porta, a caccia dell’accappatoio. Cerco di ricompormi, e credo di esserci riuscito, finché non vedo Naty uscire dal bagno: l’accappatoio è allacciato con negligenza, e un asciugamano è annodato sulla sua testa a mo’ di turbante.
“Il bagno è tutto tuo,” dice lei, facendomi un cenno ossequioso con la mano come farebbe l’usciere di un albergo. Senza porre tempo in mezzo entro chiudendomi la porta alle spalle, ma la situazione non migliora, anzi: l’aria è calda e umida, intrisa in ogni atomo del suo profumo, e l’occhio della mente sovrappone all’immagine reale quella fittizia della spugna che accarezza ogni centimetro del corpo di Naty, della schiuma che avvolge la sua nudità come un abito etereo, pronto a sciogliersi sotto il getto d’acqua della doccia. Le foto che ho trovato sul suo cellulare turbinano dinanzi a me, e infine sento che il mio autocontrollo si è spezzato, riducendosi in frantumi. Mi sento ridotto a un fascio di terminazioni nervose, un nucleo di recettori finalizzato al solo e unico scopo di convogliare ondate di piacere al mio cervello. Sotto l’influsso del puro istinto mi spoglio e brandisco me stesso, lanciandomi così armato in un’impari lotta contro la mia libidine. La mia erezione svetta impetuosa, ho il cazzo turgido oltre l’inverosimile, percorso da vene a rilievo in cui pulsa fino all’ultima stilla di bramosia. Inizio un torbido, lascivo andirivieni la cui fiamma viene alimentata dall’inesauribile combustione dell’immoralità suprema dei miei pensieri – così sbagliata e perciostesso così conturbante – rivolti a mia sorella. Rivedo il suo sguardo pervaso di malizia, quegli occhi che sembrano promettere lussuria infinita, quella carne e quelle curve percorse da rivoli di goduria, e mi sento squassare dall’orgasmo che si fa strada in me, partendo dai recessi più profondi dei miei più torbidi pensieri. Il mio glande è diventato di un colore tendente al viola, e pulsa più che mai; un fiotto di seme fuoriesce in una serie di getti, via via meno potenti; incapace di fermarmi continuo a menarmi il cazzo, mugolando al contempo, come un animale, cercando di non farmi sentire da Naty. Impiego qualche minuto per ricompormi, e quando ci riesco, spengo le braci ardenti del fuoco che si è impossessato di me sotto un getto d’acqua gelata. Uscito dalla vasca, mi asciugo sommariamente e mi dirigo in camera mia con l’accappatoio ancora indosso.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

Accendo la luce, e rimango impietrito: sul letto c’è Naty, completamente nuda fatta eccezione per l’asciugamani avvolto a mo’ di turbante sulla testa. È in ginocchio sul materasso con le gambe divaricate, le braccia aperte e le mani intrecciate dietro la nuca, tale e quale alla foto che ho visto sul suo telefono. Il suo sguardo ha perfino la stessa maliziosa intensità di quello scatto. È bella come una dea, forte come una dea, voluttuosa come una dea. Accenno un movimento, ma vengo subito bloccato:
“Resta fermo dove sei.” La sua voce è perfettamente equilibrata, non lascia trasparire nessuna inflessione, nessuna emozione. Deglutisco, nel vano tentativo di articolare parola.
“Zitto!” La sua voce esce in un sibilo, sembra quello che potrebbe fare un serpente, oppure il fruscio di un ciuffo d’erba brutalmente reciso con una spada. Non so che fare, né cosa dire, e di fatto sono ipnotizzato da quello che vedo. Naty non si è mossa di un centimetro, è rimasta perfettamente immobile e si offre al mio sguardo, senza minimamente sottrarvisi. C’è un silenzio quasi assoluto, riesco a sentire il ticchettio della sveglia sul comodino. Saranno passati un paio di minuti, lunghi come secoli, durante i quali l’erezione riprende dolorosamente il sopravvento, quando Naty si ricopre con l’accappatoio, scende dal letto e mi spinge fuori dalla stanza, sussurrando: “Stanotte dormi sul divano”.
“Ma,” balbetto, “lasciami prendere almeno la biancheria!”
“Arrangiati,” è la laconica risposta, suggellata dalla porta che si chiude a un centimetro dal mio naso. Decisamente abbattuto, con la prospettiva di una notte scomoda su un divano sfondato e con un’erezione da manuale che spinge via i lembi dell’accappatoio, mi accingo a trascorrere la notte.
Nonostante la scomodità del divano mi addormento come un sasso, e trascorro la notte dormendo placidamente. Vengo risvegliato al mattino da un suono, come l’otturatore di una macchina fotografica: apro un occhio e vedo mia sorella già lavata e vestita, che in tutta calma mi scatta delle foto col cellulare. Mi tiro su dal divano e mi accorgo che l’accappatoio si è aperto: deve essersi slacciato durante la notte, oppure… Figurati se può essere stata lei a slacciarmelo! No, questa è la mia immaginazione decisamente bacata che ha deciso di rimettersi a fare gli straordinari. Anche se forse, nell’ottica di rendermi pan per focaccia, potrebbe anche averlo fatto.
“Che accidenti fai?!” le chiedo, vagamene alterato per il risveglio non proprio dolce.
“Come avrai notato, queste le sto facendo col mio telefono, così non c’è bisogno di trasferirle via bluetooth”, replica lei, perfettamente calma, acida e sarcastica in modo altrettanto perfetto.
“Ma cosa…”, tento di replicare.
“Razza di cretino, la cronologia dei file trasferiti rimane sul telefono, a meno che non la si cancelli!”
Scacco matto, inutile cercare di imbastire scuse.
“Senti, io…” la voglia di scusarmi si è fatta bruciante, ma vengo subito interrotto.
“Lascia perdere, non ne parliamo più.”
“Ma aspetta!”
“Oggi mi vedo con alcuni amici, penso che sarò fuori per tutta la giornata. Di sicuro non ci sarò a pranzo. Mi faccio viva per telefono. Ciao.” Naty afferra la borsa, indossa gli occhiali da sole ed esce di casa, lasciandomi solo con i miei pensieri, che adesso convergono tutti verso un robustissimo senso di colpa, misto a blande ondate di panico e vergogna derivanti dall’idea che Naty possa raccontare tutto a qualcuno. Mentre mi cruccio però, un paio di pensieri non esattamente virtuosi mi attraversano la mente: ieri sera Naty si è lasciata guardare. Certo, il motivo è assolutamente ignoto, eppure lo ha fatto. In più non ha fatto alcuna scenata, anzi per certi versi sembrava del tutto calma, almeno superficialmente; infine, non ha preteso che cancellassi le foto dal mio cellulare. A quest’ultima considerazione mi fiondo verso il telefono per controllare che non lo abbia fatto lei personalmente: no, le foto sono ancora lì. Senza quasi rendermene conto mi ritrovo a scorrerle senza soluzione di continuità, soffermandomi sui seni burrosi e sul monte di Venere ricoperto da una leggera peluria. Sento il pene inturgidirsi prepotentemente, e questo mi spegne i bollenti spiriti quasi immediatamente. “Hai già fatto casino ieri sera, direi che sei a posto per un paio di decenni,” borbotto tra me e me. La giornata trascorre pigramente, tra l’impietoso caldo agostano e gli strascichi di apprensione per gli eventi della sera prima, finché non mi viene l’idea di cercare di rabbonire Naty con una cenetta casalinga piena di attenzioni nei suoi confronti. Nonostante le mie quotazioni non siano incoraggianti, decido che vale comunque la pena di provarci. Do fondo al congelatore, al portafogli e vado a svaligiare il supermercato, preparandomi a passare la giornata ai fornelli, marinandomi nei sensi di colpa per arrivare all’ora di cena con lo spirito contrito al punto giusto.
Finalmente, nel tardissimo pomeriggio, arriva il messaggio che stavo aspettando: “Se non è un problema, ceno da te.”
“Nessun problema,” le scrivo. “La cena sarà servita alle 20:30.”
L’emoticon col pollice in su è decisamente laconica, ma in qualche modo fa ben sperare.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

Il campanello trilla, e dopo avere aperto la porta prendo la bottiglia di prosecco e riempio due calici. Naty entra, si volta per lasciare la borsa sull’appendiabiti e poi si sofferma a guardare la tavola perfettamente apparecchiata, con una rosa a centrotavola, e il bicchiere colmo di vino che le porgo. Noto con piacere che suo malgrado, le labbra le si incurvano in un sorriso, e che accetta di buon grado il calice di vino.
“A cosa devo questo onore?” mi chiede a voce bassa, sorniona. Le sorrido lievemente, e faccio per passarle alle spalle e scostarle la sedia per farla sedere, come si fa nei ristoranti di classe.
“Dammi almeno il tempo di una doccia, no?”
“Va bene, vai pure, ma non ti seppellire nella vasca.”
“Figurati, ho una fame… dammi dieci minuti.”
Mentre torno in cucina a tenere sotto controllo i fornelli, sento gli sciacquii provenienti dal bagno, e la voce sommessa di Naty che canticchia. In effetti, la sua voce si sente fin troppo bene… la porta del bagno non è chiusa, bensì accostata appena, e un generoso spiraglio lascia intravedere più di metà della stanza, vasca compresa. Questa situazione rimette prepotentemente in moto il mio cervello e i miei pensieri, ma stavolta sono determinato a mantenere il controllo e a ‘fare il bravo’, come si suol dire. Volto quindi le spalle alla porta socchiusa, o per meglio dire semiaperta, del bagno e mi riempio un altro bicchiere di vino, facendo la spola tra il piano cottura e la tavola apparecchiata. Per fortuna quando Naty esce dal bagno io mi trovo in cucina.
“Datti una mossa,” la sollecito, “non vorrai mangiare di nuovo la pasta scotta!”
“Metto addosso qualcosa e arrivo,” risponde lei pigramente.
Accendo una candela giusto per fare atmosfera, e riempio due piatti di ravioli al burro e salvia. Sento i passi di Naty che si avvicinano:
“Complimenti per il tempismo”, dico. Poi giro attorno al tavolo, e mi metto di nuovo dietro la sedia, deciso ad essere galante fino in fondo. Per poco non mi prende un colpo: Naty si è vestita di tutto punto con delle décolleté verde smeraldo e un vestito dello stesso colore, allacciato dietro la nuca e che le lascia la schiena scoperta, nonché con una scollatura vertiginosa sul davanti. Mi accorgo di stare stringendo lo schienale della sedia talmente forte da farmi sbiancare le nocche delle mani, e mi rendo conto anche di essere rimasto qualche istante a bocca aperta. Parecchio infastidito dal mio comportarmi come uno sprovveduto alle prime armi, ma anche perplesso dall’atteggiamento di Natalia, cerco di rimettermi in carreggiata:
“Stai davvero bene con questo vestito, il colore si sposa alla perfezione con quello dei tuoi capelli”, le dico cercando di suonare perfettamente calmo, quasi noncurante, e provando a dare alla mia voce un tono fermo.
“Grazie, l’ho preso a Milano. Era perfino in saldo!” mi sorride Naty, prendendo finalmente posto, e chinandosi sul piatto per sentire il profumo. “Mmm, ravioli freschi! Ti sei dato davvero da fare… devi sentirti proprio in colpa!”
Incasso il colpo, rimanendo nell’equilibrio della mia bolla zen: “È un modo come un altro per scusarmi,” ammetto.
“Già, già,” risponde lei, con fare beffardo, e vagamente civettuolo. “Beh, spero ci sia come minimo una seconda portata: hai parecchio da farti perdonare!”
“Certo che c’è una seconda portata!” esclamo, fintamente piccato. “Se è per questo c’è anche il dolce.”
“Bene, ma intanto versa un altro bicchiere!” Naty mi porge il calice vuoto.
“Vacci piano: il vino è fresco e va giù senza rendertene conto, ma è abbastanza forte da stenderti. E io non ho nessuna intenzione di trascinarti sul divano.”
“Sai benissimo che reggo l’alcool meglio di te,” ribatte lei con una punta di orgoglio. “Zitto e versa.”
Riempio entrambi i bicchieri, e poi sollevo il mio, brindando alle “scuse tardive, ma sentite”. Naty invece brinda “all’inaspettato”, guardandomi dritto negli occhi con uno sguardo quasi calcolatore, che sembra studiare nei minimi dettagli il complesso delle mie reazioni. Cerco di mantenere l’equilibrio faticosamente costruito nel corso della giornata, ma dentro di me sento qualcosa che si incrina: è impossibile fare finta di niente, c’è qualcosa di ambiguo, volutamente ambiguo nel comportamento di Natalia, e io non riesco a capire se è una nuova fase della sua vendetta per la sbandata della sera prima o se… interrompo nuovamente il corso dei miei pensieri per evitare di percorrere binari potenzialmente pericolosi. La cena va avanti, e i piatti con i ravioli – ormai vuoti – vengono sostituiti da due tranci di salmone in umido, con alloro, timo, aneto e rosmarino.
“Ehilà, andiamo di bene in meglio!” esclama Naty, sorridendo apertamente stavolta, e sporgendosi per raggiungere la bottiglia e versarsi da bere. Nel bicchiere però cadono soltanto poche gocce.
“Hai finito il vino,” osserva, facendo il broncio come una bambina.
“Io avrei finito il vino? L’hai bevuto tutto tu!”
“Non è affatto vero, l’ho solo assaggiato!”
“Devo dedurre che sia evaporato?” replicai, sarcastico.
“Fai un po’ tu. Io so solo che il mio bicchiere è vuoto”, rispose Naty altezzosa, col naso per aria.
“Ascolta, ne ho un’altra bottiglia in fresco, ma è l’ultima, e deve durare fino alla fine della cena. Anzi, ne deve restare, quindi cerca di darti una regolata.”
“Evvai” rise lei, “hai fatto le cose per benino!” Sporse il bicchiere verso di me, aspettando che andassi in cucina a prendere l’altra bottiglia.
“Fattelo bastare,” dissi burbero, riempiendole il bicchiere.
“E smettila di fare il bacchettone!” disse lei, vuotandone metà in due sorsi. Anche i piatti col salmone furono presto vuoti, e il sorriso di Naty le illuminava il volto, e mi sollevava dalle preoccupazioni della giornata: in fondo quella della cena era stata una trovata azzeccata. Mi concessi un paio di bicchieri pure io.
“La smetti di bere il mio vino?” cominciò a stuzzicarmi Naty. Aveva gli occhi leggermente lucidi e sorrideva, sembrava che non avrebbe più smesso di sorridere; e il suo sorriso era stupendamente bello.
“Vorrei almeno sapere che sapore ha il vino che ho comprato”, replicai.
“Vorrei almeno sapere che sapore ha il vino che ho comprato”, Naty mi faceva il verso, scimmiottando la mia voce.
“Complimenti per l’atteggiamento estremamente maturo”, la pungolai a mia volta.
“A proposito di complimenti,” disse lei, rivolgendo l’attenzione al centrotavola, “è per me questa rosa?”
“Beh, sì,” dissi.
“Sei proprio imbranato,” replicò Naty ridacchiando, e sporgendosi sul tavolo per annusarla. Non potei fare a meno di notare che i lembi della scollatura lasciavano pochissimo all’immaginazione.
“Perché imbranato, scusa?” Gli sforzi che stavo facendo per controllarmi mi sembravano titanici, e una parte di me era convinta che Naty se ne fosse accorta e stesse approfittando della situazione; l’altra parte di me continuava a darmi dell’idiota per il deragliare senza sosta dei miei pensieri.
“È una rosa rossa,” disse Naty, come se questa osservazione chiudesse la questione.
“E quindi?”
“No aspetta, imbranato non è affatto sufficiente. Sei un caso disperato. Non lo sai che la rosa rossa esprime una passione amorosa?”
“Ah…” Non lo sapevo davvero, e questa gaffe mi mise in imbarazzo, un imbarazzo che dentro di me cresceva esponenzialmente perché una piccola, infinitesimale parte di me, era convinta di non avere affatto sbagliato. “Di che colore avrei dovuto prenderla, allora?”
“Beh, bianca, per rappresentare un amore puro, come quello tra fratelli. Oppure rosa, per rappresentare l’affetto.”
“Ma da quando ti interessi a queste idiozie?” dissi, cercando di rimettermi in pari.
“Se anche tu ti interessassi a queste idiozie, come le chiami tu, adesso io non mi ritroverei davanti un fiore che urla ‘voglio scopare con te’ a pieni polmoni.”, ribatté Naty, nel suo tono più acidamente divertito.
“E con questo direi che sei decisamente ubriaca.” Ero decisamente incazzato, perché Naty sembrava capace di leggere i miei pensieri più nascosti – quelli nascosti quasi del tutto perfino al mio io cosciente – come un libro aperto.
“Ah, sarei ubriaca?” mi rimbeccò lei. “Adesso vediamo!”

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

Si alzò dal suo posto e venne a sedersi esattamente di fronte a me, dallo stesso lato del tavolo, tanto vicina che riuscivo a sentire il profumo del bagnoschiuma sulla sua pelle. Con un ennesimo sforzo mi produssi in un’espressione blandamente interrogativa. Naty afferrò la mia mano e se la posò sul seno: sentire al tatto quella rotondità perfetta, spezzata dal capezzolo che andava inturgidendosi, sentire il calore del suo corpo attraverso il tessuto sottile, sentire il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro avrebbero fatto andare fuori di testa chiunque, e io non facevo minimamente eccezione. Ciononostante tentati un’ultima, disperata resistenza:
“Che cosa stai facendo?”
“Ti sto dimostrando che non sono ubriaca.”
“E come?”
“Hai la mano sulle mie tette.”
“Ce l’hai messa tu.”
“E tu non l’hai tolta.”
“Pensavo ci fosse un senso,” dissi arrampicandomi sugli specchi, senza trovare di meglio da dire.
“Certo che ce l’ha,” replicò Naty, sempre sorridendo, più maliziosa che mai, “e il senso è che hai lasciato alla rosa il compito di urlarmi ‘voglio scopare con te’, perché tu non hai il coraggio di dirmelo in faccia.”
“Sei ubriaca,” ripetei, ma senza la minima convinzione. Ero totalmente in balìa di mia sorella, e lei lo sapeva. Anzi, probabilmente aveva architettato tutto per arrivare esattamente al punto in cui eravamo. Ma allora i ragionamenti che avevo tentato di soffocare per tutta la serata? Non ero capace di ragionare lucidamente, il vino si era portato a spasso buona parte delle mie sinapsi.
“A giudicare dalla tua mano direi che tu non stai messo meglio,” disse Naty ridendo, e facendomi notare che la mia mano era ancora posata sul suo seno. Anzi, a dirla tutta avevo anche cominciato a palparlo, e sentivo il suo capezzolo decisamente turgido sotto la stoffa del vestito.
A quel punto, in un guizzo di moralità piuttosto ipocrita, scostai la mano e borbottai: “Sei mia sorella, non possiamo mica…”
Naty troncò la mia frase a metà, tappandomi la bocca con una mano, una mano che profumava maledettamente di buono. “Vieni con me, andiamo,” disse trascinandomi verso la camera da letto. Mi sdraiai con un sospiro soddisfatto, rendendomi appena conto che qualsiasi traccia della mia traballante morale si era smaterializzata nei pochi passi che separavano il tavolo dove avevamo cenato dalla camera da letto. E in fondo, la cosa non mi dispiaceva. Affatto.
Dalla finestra semiaperta filtrava abbastanza luce da lasciare la stanza in penombra. Vidi Naty sfilarsi le scarpe e poi muoversi sinuosa, con quel movimento tipicamente femminile che mi faceva sempre pensare alle Sirene; sollevò leggermente un piede, poi l’altro, poi si chinò a raccogliere qualcosa, e capii che si era sfilata le mutandine. Dopodiché salì sul letto e si mise a cavalcioni su di me. Provai a protestare, ma venni smentito immediatamente dalle mie mani che si posarono sulle sue cosce come dotate di vita propria, come se quello fosse il posto più naturale su cui posarsi. La pelle di Naty mi mandava fuori di testa, il solo contatto delle mani sulle sue cosce mi mandava scariche di adrenalina al cervello.
“Chiudi gli occhi,” mi sussurrò Naty con la sua voce, che era diventata roca e bassa, eccitante da morire. Sentii il suo busto chinarsi su di me, e avvertii il piacevole peso del suo seno sul mio petto, mentre le mani mi sbottonavano lentamente la camicia. “Sono tua sorella, certo, ma prima di tutto sono una ragazza…”
Tra l’euforia provocata dal vino e gli occhi che Naty mi aveva chiesto di chiudere, mi sentivo quasi in un sogno, una reverie; mi parve buffo che adesso era la parte di me che aveva cercato di mantenere il controllo per l’intera serata ad essersi ridotta a una vocina debole, quasi insignificante, relegata in un angolino della mia mente, mentre quella guidata dalla mia concupiscenza e dai miei appetiti squillava risuonando a tutto volume.
Nell’istante in cui sentii la lingua di mia sorella farsi strada dentro la mia bocca, alla ricerca della mia, decisi di smetterla una buona volta di perdermi nei miei pensieri, e di concentrarmi sulle sensazioni che stavo provando. La lingua di Naty era morbida e calda, si muoveva delicatamente, ma con maestria, e si intrecciava con la mia, dandomi la sensazione di essere giunto in un luogo che avevo cercato per tutta la vita, senza nemmeno rendermene conto. Dal canto mio, sentii risvegliarsi in me una specie di fame atavica, un impulso impossibile da ignorare, tanto prepotente da instillarmi una vera e propria frenesia: volevo toccare, assaggiare, possedere ogni centimetro quadrato di quel corpo, ogni impalpabile atomo di quell’anima. Cercai avidamente le labbra di Naty, leccandole, succhiandole, mordicchiandole, godendo nel sentirla accelerare il respiro e prorompere di tanto in tanto in piccoli mugolii affannosi. Le sue labbra si staccano dalle mie, e iniziano a percorrere il mio petto nudo, scendendo verso i miei fianchi con una lentezza esasperante ed estasiante allo stesso tempo. Mentre mi slaccia i pantaloni, ci guardiamo negli occhi; gli occhi di Naty brillano nella semioscurità, come quelli di un gatto, e in effetti il piglio con cui si avventa sul mio cazzo che, una volta liberato dalla costrizione degli indumenti, svetta prepotentemente eretto, ha un impeto ferino. La bocca di Naty è meravigliosamente calda, la sua lingua meravigliosamente avvolgente e mi sento sprofondare in vortici di piacere infinito. Lei impugna il mio cazzo alla base, e lecca la cappella, instancabile, insaziabile, riversandovi una saliva densa e collosa, intrisa degli umori che mi colano dal glande.
“Dove hai imparato a fare pompe del genere? Mi stai facendo morire!” esclamo, vicino al culmine dell’estasi.
“Sei proprio sicuro di volerlo sapere?” risponde lei, gli occhi accesi di una malizia quasi ultraterrena, prima di sommergermi nuovamente il cazzo con fiotti di saliva per tutta la sua lunghezza. Le parole di Naty mi fomentano e mi rendono geloso allo stesso tempo, così le poggio le mani sulla nuca e le spingo la testa verso il mio cazzo, che pulsa più che mai, dettando il ritmo del pompino. Naty mi ingoia senza problemi, con una voluttà che mi fa mugolare, e anzi allungando la lingua a leccarmi le palle ogni volta che le arrivo in fondo alla gola. Nel giro di pochissimi minuti sento il cazzo ribollire come un vulcano pronto ad eruttare, i miei mugolii diventano più rapidi e più intensi, e riesco a mormorare “vengo!” qualche istante prima di fiottare quattro o cinque schizzi di sperma, che finiscono sul viso, sul collo, sulle labbra e nella bocca semiaperta di Naty, che trattiene il fiato come chi faccia un tuffo nell’acqua fredda, prima di sorridere, risalendo col viso sul mio torace, e darmi un lungo bacio appassionato.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLE CAMS GIRL ITALIANE

Free porn videos

La lingua di Naty dà lunghe pennellate sulla mia, e sento in bocca il sapore del mio stesso sperma. Non è una sensazione esattamente piacevole, e per esternare il mio disappunto, una mano corre a strizzare uno dei suoi capezzoli, sempre più turgidi, mentre l’altra lascia andare un deciso scapaccione sul suo sedere ben tornito.
“Che c’è?”, esclama Naty, il solito sorriso disegnato in volto, i capelli scarmigliati, mentre si accarezza seducente i fianchi e il seno, stropicciandosi il vestito, e sollevandolo quel tanto che basta a farmi intravedere la peluria tra le cosce.
“Mi hai appena fatto leccare la mia sborra!” esclamo, piccato.
“Direi che siamo pari, no?” ridacchia lei, divertita dal mio tono stizzito.
“Ah, le cose stanno così?” esclamo. La afferro per i fianchi e la faccio girare fino a che la sua testa non punta verso i miei piedi e i suoi verso la mia. “Ricomincia a succhiarmi,” le dico, “mentre io vedo cos’hai sotto questo bel vestito!” Sento la bocca di Naty che riprende a leccare e succhiare, le labbra che schioccano sulla mia cappella, che ben presto torna a inturgidirsi e a pulsare. Una delle mie mani scosta finalmente uno dei lembi sul davanti del vestito e inizia a sprimacciarle le tette burrosissime e prosperose, mentre l’altra afferra il suo sedere, facendo strada alla mia lingua, affamata come non mai. Il primo contatto con la passera di Naty è come un assaggio di paradiso: le sue labbra sono carnose, il suo clitoride fa capolino tra la peluria, che rende lo spettacolo ancora più stuzzicante, e un’ambrosia stilla da lei dritta nella mia gola. Ci stiamo regalando attimi di piacere prepotentemente puro e incontaminato, entrambi mugoliamo affannati e ci sibiliamo oscenità che solo gli amanti più inveterati si rivolgono l’un l’altro. L’apice del godimento sembra costantemente sul punto di arrivare, e godiamo di ogni singolo istante che ci sta portando a quel momento. Il cazzo, grazie all’insaziabile bocca di Naty, mi tira tanto da farmi quasi male.
“Adesso che sei di nuovo bello sveglio,” sussurra Naty, rivolgendo il viso verso di me, “voglio che mi riempi per bene la passera, ché non resisto più!” Vederla accovacciarsi sui miei fianchi, le cosce ben tornite ripiegate, e impalarsi lentamente sul mio cazzo pulsante, aumentando progressivamente il ritmo e sgrillettandosi furiosamente il clitoride fino a prorompere in un orgasmo squassante è qualcosa che tenterei inutilmente di descrivere a parole: certe sensazioni trascendono il potere perfino della penna più sapiente.
“Hai davvero un bel cazzo!” esclama Naty, la voce ancora pervasa dall’estasi dell’orgasmo, “mi piace un sacco!”
“Ne sono davvero contento,” esclamo a mia volta, “e spero che ti piaccia anche questo!” Faccio mettere Naty a gattoni sul letto, e con entrambe le mani le allargo le natiche, e continuo a lavorare di lingua sul suo ano, mentre lei si stropiccia le tette, prima una e poi l’altra, poggiandosi alternativamente sulle braccia, e sussurrandomi oscenità che mi fomentano oltre ogni limite: “Leccami il buco del culo, maiale! Fottimi con la lingua! Svuotami i coglioni in culo! Fammi piangere, dammi il cazzo, ficcamelo tutto dentro!”
Ignorare questi incitamenti sarebbe impossibile per chicchessia, e quindi dopo avere alimentato al massimo la fiamma della troiaggine di mia sorella, decido che è arrivato il momento di sfondare quel culo da dea che si ritrova. Al primo affondo il mio cazzo incontra un minimo di resistenza, sottolineata dai suoi gridolini soffocati, ma ben presto affondo dentro di lei come un coltello arroventato nel burro, e lei ricomincia a vomitare sconcezze a raffica: “Fottimi il culo, riempimi! Non ti fermare, bastardo, non ti fermare finché non te lo dico io!” Mentre continuo a stantuffarle il culo come un pistone che scorre nel suo cilindro, lei continua a sgrillettarsi la passera. “Ho la fica che cola! Bevimi, porco!” sibila Naty, infilandomi tre dita in bocca. Il mio cervello registra tutto, ogni istante, ogni stimolo visivo, uditivo, olfattivo, tattile e gustativo, anche se sul momento non presto particolare attenzione ai dettagli, ma mi lascio travolgere dall’estasi proibita, dal turbinio delle azioni. Non riesco più a sentire quella voce che, ripetutamente negli scorsi giorni, mi ammoniva di non fare la cosa sbagliata: come può una cosa così sbagliata provocare sensazioni così intense e piacevoli? Eppure nei più profondi recessi della mia mente, qualcosa si agita, irrequieta… Ma non è certo questo il momento per le dissertazioni filosofiche: sento le natiche di Naty schioccare sbattendo sul mio bacino, avverto la spinta dei suoi fianchi mentre si impala con la mia carne turgida, sento il suo sfintere contrarsi e stringere saldamente il mio cazzo, che pulsa più che mai. La frenesia, l’estasi dei sensi si impossessano sempre più di me, e inizio a schiaffeggiarle il sedere, la carne che tremola piacevolmente sotto le percosse della mia mano. La sculaccio e la pizzico: “fatti scopare, vieni qua, spalanca quel culo, voglio riempirti, voglio toccarti dappertutto, voglio scoparti tutta la notte!” sibilo veemente, godendomi i mugolii voluttuosi di Naty in risposta alle mie sconce effusioni. Dopo essere affondato fino alle palle dentro il culo di mia sorella, lei rimane ferma: “Non muoverti adesso”, sussurra, la voce intrisa di anticipazione, come di chi stia per rivelare una gran sorpresa. Inizia a ondeggiare sinuosamente i fianchi, come se ballasse, con il mio uccello ancora piantato dentro; la peluria che le incornicia la passera mi sfiora delicatamente le palle, solleticandomi piacevolmente. È uno spettacolo ipnotico quello dei suoi fianchi abbondanti ma ben torniti che si muovono ritmicamente, continuando a sfiorarmi quasi per caso; sento che sto per venire di nuovo, così appoggio con forza entrambe le mani sulle chiappe ondeggianti di Naty e le sussurro di stare un po’ ferma. “Che c’è, stai per venire? Di nuovo? La tua sorellina è troppo porca e arrapante e ti fa sbrodolare il cazzone?”
Evito di replicare, concentrato come sono nel trattenere l’ondata devastante di sborra che comincia a ruggire nei più profondi recessi dei miei coglioni. Contraendo i muscoli del pavimento pelvico estraggo il cazzo dall’ano di Naty, che rimane leggermente dilatato, semiaperto come un bocciolo di rosa. “Girati un po’!” le ordino, e lei si sdraia col collo esattamente sotto il mio cazzo svettante, tirando fuori la lingua e sprimacciandosi le tette come fossero cuscini: “Allora, maiale, hai deciso? Vuoi verniciarmi le tettone o mi vuoi offrire da bere?”
“Ma sei sempre stata così sconcia?”
Per tutta risposta Naty afferra il mio uccello e prende a succhiarlo, andando avanti e indietro con la testa, insalivandomi fino alle palle, e facendomi mugolare come un animale in trappola. Non riesco più a trattenermi, sento l’orgasmo che parte, mi fa inarcare le reni, percorre fulmineo la mia colonna vertebrale, irrompe nelle mie terminazioni nervose mettendole a soqquadro e si rituffa giù, pronto a riversarsi all’esterno. Mi afferro la base dell’asta e Naty capisce subito cosa succede: adagia la testa sul materasso, apre la bocca e srotola la lingua, allo stesso tempo squadernando le cosce e allargando con due dita le grandi labbra. Le afferro il seno destro, mentre continuo a menarmi l’uccello, finché un fiotto non fuoriesce dalla cappella e atterra sul suo capezzolo. Naty emette sonori mugolii intrisi di piacere, che farebbero resuscitare un morto, mentre io prendo a spalmare la mia sborra sulle sue tette, sentendomi una specie di pasticcere infoiato. Alcune gocce, nella concitazione del momento sono volate qua e là; nello specifico un paio hanno colpito Naty sul mento e su una guancia. Un dito sottile, dall’unghia corta e smaltata di un rosso corallo raccoglie queste poche gocce e poi sparisce tra le sue labbra. “Ma che razza di fratello porco che mi è capitato”, esclama, fingendo sprezzo e disgusto. Poi impugna ancora una volta il mio cazzo, che sta perdendo lentamente l’erezione e, “ma non ne hai ancora abbastanza? Cos’altro vuoi fare?” chiede, scimmiottando a meraviglia una reazione scandalizzata, come se fossi io a imporle i gesti che è invece lei a compiere. Prende la cappella tra due dita e, con un po’ di fatica poiché i liquidi l’hanno resa scivolosa, riesce ad allargarne un po’ le due metà: “da bravo, apri la boccuccia”, sussurra, e io sento il suo fiato caldo sul glande. Mi viene anche da ridere però, perché in effetti la punta del mio pene sembra un po’ una bocca. La guardo con gli strascichi del sorriso ancora stampati in volto quando Naty avvicina un capezzolo bagnandolo con le ultime stille di sborra che fuoriescono dal mio glande, che le sue dita continuano a tenere aperto. È l’apoteosi dei sensi, della sensualità, del proibito. Proibito… e sbagliato.

IN WEBCAM ADESSO >>>

Free porn videos

L’amplesso ci ha tenuti impegnati per buona parte della notte, e ci ha sfiancati: ci addormentiamo nudi, con le mani addosso l’uno dell’altra. Il mio sonno è liscio e soffice come seta, compatto e pesante, senza interruzioni.
I raggi dell’implacabile sole agostano filtrano attraverso la persiana, solleticandomi attraverso le palpebre chiuse; emergo lentissimamente dalle profondità del mio assopimento, e percepisco dei rumori in lontananza: Naty dev’essersi svegliata prima di me.
Naty… pian piano la mia mente inizia a bombardarmi con flash della nottata appena trascorsa, e la piena consapevolezza di quello che abbiamo fatto si fa strada nella mia mente cosciente, anche se annebbiata ancora dal sonno. Barcollo fuori dalla camera da letto e mi dirigo verso la fonte dei rumori: Naty è appena uscita dalla doccia. Non ha fatto in tempo a indossare l’accappatoio, e il suo corpo nudo è lucido d’acqua, profumato e perfetto. Lei è nuda e io sono nudo, e inevitabilmente qualcosa si risveglia in me. Lei si volta, mi rivolge un’occhiata rapida e indifferente, ignorando del tutto l’erezione che si fa sempre più evidente. Non è rimasto più nulla della donna infoiata con cui ho condiviso la notte, né i sorrisi sardonici, né l’atteggiamento provocatorio, nulla. Sbuffando leggermente afferra l’accappatoio e lo indossa voltandomi le spalle:
“Non ti ho sentito scendere dal letto,” dice, sostenuta.
“Sì, scusa,” rispondo cercando di mettere insieme quattro parole, e sentendomi imbarazzatissimo.
“Mettiti qualcosa addosso, muoviti.”
“Vado a fare il caffè,” le dico, e mi dirigo in camera, in cerca di qualcosa per coprirmi. Poi vado in cucina, metto su la caffettiera e mi appoggio al lavello. La caffettiera borbotta, spengo il gas, verso il caffè nelle tazzine, lo zucchero, rimescolo, sorseggio. E rifletto.
Quel che è fatto è fatto, mi dico, ed è inutile piangere sul latte versato; mi prenderei a schiaffi da solo, a volte, per la capacità di inanellare luoghi comuni uno dietro l’altro. Non riesco a capire perché Naty si stia comportando così. Voglio dire, quello che è successo non è certo qualcosa da sbandierare ai quattro venti, però è qualcosa che può succedere: la carne è debole, ed entrambi abbiamo ceduto a una delle tentazioni più comuni e più intense. Certo, il fatto di essere fratelli rende tutto più incasinato, ma tant’è…
Lei entra in silenzio, in silenzio inizia a sorseggiare il caffè, ormai freddo, e in silenzio guarda dal lato opposto rispetto a me. Cerco di sbirciare l’espressione sul volto di Naty: non sembra arrabbiata, bensì decisa, determinata.
“A che ora hai l’aereo?”
“Alle 18:00.”
“Saresti potuta rimanere qualche giorno in più.”
“Ho da fare su, a Milano. Preferisco avere qualche giorno libero per sistemare alcune cose prima di rientrare a lavoro.”
“Ti accompagno in aeroporto.”
“Lascia perdere, prendo l’autobus.”
“Ma si può sapere che ti è preso?!” perdo la pazienza. “Va bene, stanotte è successa della roba piuttosto strana, e posso capire che sei scombussolata. Lo sono anche io. Ma non puoi pensare che la soluzione sia comportarci come due perfetti estranei!”
“Mi prende che ti conosco! Lo so come sei, tu non ne hai mai abbastanza!” ringhiò Naty, rivolgendo finalmente il viso verso di me. “Stanotte ho ceduto alla tentazione, alla tentazione più sbagliata che esista. È stata una cosa sbagliata, e non deve succedere più. Mai più, hai capito?”
“Certo che ho capito!” replico io, tra il meravigliato e il piccato. “Ma cosa credi, che voglia fare il bis? È chiaro che è stato… è stata una cosa, è stato…” inciampo nelle mie stesse parole. La parte più lucida e razionale del mio cervello è determinata a censurare in toto gli avvenimenti della scorsa notte, mentre quella più istintiva e concupiscente cova le braci che durante la notte sono divampate senza alcun freno.
“È stato un capriccio, una curiosità che entrambi siamo stati abbastanza stupidi da esaudire” finisce lei la frase per me. “Questo non toglie che abbiamo sbagliato, e di grosso. Se trovi una soluzione migliore della mia, dimmela. Nel frattempo mi terrò alla larga, e in aeroporto ci andrò con l’autobus.” Le parole di Naty sono gelide, e mi lasciano basito e amareggiato. Decido però di assecondare la sua decisione, e per tutta la giornata, pur condividendo i pochi metri quadri della stessa casa, io e lei siamo come a chilometri di distanza, ognuno assorto nelle proprie occupazioni.
“Ho finito di fare le valigie,” la voce di Naty, bassa e vellutata, mi raggiunge fluttuando sull’aria afosa, dopo diverse ore.
“Allora vai via adesso?” chiedo, senza voltarmi.
“Stavo pensando che magari potrei accettare quel passaggio, se l’offerta è ancora valida.”
Mi giro sulla sedia e la guardo per qualche secondo: Naty indossa un paio di scarpe da tennis bianche, jeans e una normalissima maglietta. Niente trucco e niente acconciature particolari. Completano il quadro una sacca di tela sulle spalle e un trolley al suo fianco. Non trovo nulla di opportuno da dire, e in più sospetto che qualsiasi osservazione facessi, non migliorerebbe la situazione, anzi. Senza aggiungere nulla mi alzo, le sfilo il trolley di mano, prendo le chiavi di casa e quelle della macchina e le faccio cenno di uscire.
Il tragitto in macchina fino all’aeroporto si svolge perlopiù in silenzio: non è un silenzio ostile, anzi alle poche frasi e domande di circostanza che ci rivolgiamo a vicenda, rispondiamo ciascuno in modo tranquillo, magari un po’ rigido, ma per fortuna nessuno dei due ostenta quella cordialità che, in circostanze simili, è solitamente indice di un risentimento o disagio che cova nell’intimo.
Una volta scesi dall’auto, la solita, noiosa trafila per imbarcarsi attende Naty.
“Mi ha fatto piacere vederti. Chiama quando arrivi a Milano. E ricordati che per qualsiasi cosa sono qui. Chiamami quando vuoi, senza farti problemi.”
“Sì, ha fatto piacere anche a me”, risponde lei, anche se i suoi occhi fissano i miei soltanto di sfuggita. Poi, di scatto, mi stringe in un abbraccio. La stringo a mia volta, e l’amore fraterno si incrina leggermente quando sento le rotondità del suo corpo aderire al mio. Affondo il volto nella sua spalla, e aspiro profondamente il suo odore, accarezzandole i capelli. Inaspettatamente, Naty fa lo stesso con me.
“Mi raccomando”, sorride mentre mi ammonisce per scherzo, come un genitore preoccupato per un figlio un po’ troppo discolo.
“Dovrei essere io a raccomandarmi a te”, replico, facendole l’occhiolino.
“Figuriamoci!” sbuffa lei. Afferrare il trolley, issarsi la sacca sulle spalle, voltarsi e incamminarsi verso l’area controlli è un tutt’uno. Rimango a osservarla da dietro la transenna finché non passa oltre il metal detector. Sto per avviarmi verso l’uscita quando Naty si volta, agitando il braccio steso in un saluto, e facendo il broncio come quando eravamo piccoli. Rispondo al saluto e le faccio cenno di chiamarmi.

Sono già quasi rientrato a casa quando sento il cellulare vibrarmi in tasca: Naty. È ancora troppo presto perché il suo aereo sia già atterrato, e tra me sorrido del suo infischiarsene della regola che impone di spegnere i cellulari durante il volo. Poi mi blocco, letteralmente inchiodato a metà di un passo, nel vedere che non mi ha inviato un messaggio, ma una foto, e che la foto ritrae me stesso. In bagno. Completamente nudo.
“Certo che eri proprio carino mentre ti segavi pensando a me! Adesso siamo davvero pari!”

IN WEBCAM ADESSO >>>

Free porn videos

Leave a Reply