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Racconti Erotici Etero

riveder le stelle

By 10 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Venire alla luce.
Nascere.
E’ attraversare un tunnel, scuro, stretto, soffocante.
E troppo spesso &egrave solo per rientrare in un altro tunnel, altrettanto angusto, tenebroso, insidioso, che non sai dove conduca, quanto sia lungo.
A volte non t’accorgi neppure che sei giunto al termine, che sei passato, o meglio trapassato, e per sempre, per l’eternità, nelle tenebre più assolute.
Non a tutti &egrave stato dato d’aver visto il cielo, il sole.
Almeno le stelle.
Si dice ‘tunnel della vita’.
Tunnel: lungo budello, tubo, condotto.
Qualcosa a forma di tubo &egrave entrato in un budello: ci ha generato.
Per vivere, introduciamo all’inizio di un lungo budello l’alimento che ci trasmette il sostentamento necessario.
Le melodie, quando ci sono, entrano nei nostri cervelli attraverso il condotto delle orecchie.
Gli aromi, se siamo fortunati, ci deliziano entrando dai tubi del naso.
Il godimento del sesso cosa &egrave se non un palpitar di tubi?
Tubi pieni, tubi vuoti.
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In uno dei rari momenti di riposo, Luisa, stravaccata nella poltrona del tinello, alquanto scompostamente, con le gambe allungate e allargate, la testa sullo schienale, la vestaglia semisbottonata, ancora sudata e affaticata per l’impegno messo nel riassettare la casa, stava ripensando un po’ alla sua vita.
Sì, viveva in città, come un tempo aveva sognato.
Aveva lasciato il paesetto, la vita quasi completamente guidata dalla tradizione e dalle superstizioni curtensi.
La mattina aspettava lo scuolabus all’angolo della provinciale, dove iniziava (o finiva) la carrareccia che conduceva alla masseria, e lo stesso mezzo la riportava a casa dopo le lezioni.
La domenica ci si vestiva ‘a festa’, che era un modo di dire perché, specie le ragazze, azzardavano strani abbigliamenti, un po’ copiati dalle riviste o veduti in TV. Qualcuna, certo inconsciamente, eccedeva nel cattivo gusto.
Questo, però, dopo la Messa perché don Nicola guardava male i jeans attillati, e non ammetteva in Chiesa le mini.
Gli abiti cercavano di seguire quella che per le fanciulle locali era considerata la ‘moda avanzata’, senza curare se il fisico consentisse o meno i modelli, molto spesso sforbiciati e arrangiati a casa.
Ecco, dunque, che insieme a bei corpicini, che faceva piacere ammirare in pantaloni attillati, stretch, ti passavano sotto al naso enormi sederoni ondeggianti, o le ridotte mini esibivano poderose e malformate cosce.
Luisa era molto carina, attenta e accurata nel vestire. Non mancava, certo, un po’ di civetteria, ma era contenuta entro i termini di un intelligente e prudente sex appeal.
Studiava, voleva fare la maestra, ma non si sottraeva alle normali faccende domestiche né disdegnava il lavoro nei campi quando la stagione lo esigeva.
Fu appunto in uno di quei lavoretti campestri che si trovò a fianco di Domenico.
Era tornato da poco dal servizio militare, ed era in cerca di qualche occupazione per utilizzare il diploma conseguito alla professionale.
Scambio di sguardi, di sorrisi.
Qualche gentilezza allorché la sete li spingeva ad abbeverarsi alla ‘quacquarella’.
La ‘quacquarella’ &egrave una specie d’anfora di terra cotta, e ci si beve direttamente, il nome le &egrave stato dato perché l’acqua, nell’uscire a fiotti staccati, per via dell’aria che contemporaneamente entra nel recipiente, fa uno strano rumore, una specie di ‘quà’ qua’.
Domenico la porse a Luisa, che ringraziò, bevve, terse l’imboccatura col lembo del grembiule e la ridette al giovane.
‘Non dovevi pulirla’ mi piace sapere il tuo pensiero!’
Luisa gli sorrise, senza rispondere.
Ventuno anni lui, diciotto lei.
Giovani, sani, esuberanti.
Era naturale che si guardassero in un certo modo, e poiché erano due bei giovani, si piacquero. Molto’ moltissimo!
Cominciarono ad andare agli stessi balli, in genere in casolari di amici, sempre sotto l’occhio vigile di papà Michele, che stravedeva per la sua figliola. Ma i giovani ne sanno una più del diavolo, e riuscivano sempre ad eclissarsi, e dietro la casa erano baci e carezze sempre più audaci e vogliose.
Fu così che Domenico chiese di sposare Luisa, e che Michele, dopo un lungo interrogatorio, acconsentì. Del resto di famiglia stavano benino.
Inutile attendere inutilmente, don Nicola preparò tutto, anche se non comprendeva, allora, tanta urgenza, e allo scadere del tempo stabilito per le pubblicazioni, li unì in matrimonio.
Domenico accettò di andare a vivere nella grande masseria di Don Michele, anche perché la parte che avrebbero occupato era del tutto autonoma.
Faceva qualche lavoretto in paese, aiutava il suocero, era sempre affettuoso e premuroso.
La cicogna aveva fretta, però, perché non erano trascorsi neppure sette mesi dal giorno dello sposalizio che venne alla luce Giovanni, Gianni, lo stesso nome del nonno paterno, al quale fu aggiunto anche quello del padre di Luisa, per cui fu sempre chiamato Gianmichele.
Il desiderio degli sposi, però, era vivere in città.
Domenico mandava domande e curriculum, e finalmente fu invitato a un colloquio.
Gli fu offerto un posto, con una posizione iniziale modesta, di assistente tecnico, e di conseguenza una retribuzione non entusiasmante. Domenico accettò subito, ci sarebbe stato sempre tempo di rifiutare.
Tornò a casa, ne parlò con la moglie, con i suoceri, i genitori.
Volle ascoltare i vari pareri.
Luisa era felicissima: andava a vivere in città.
Gli anziani, i genitori della coppia, avevano qualche riserva: la città &egrave cara, gli alloggi hanno fitti elevati, i loro ragazzi si allontanavano, ma si rendevano conto che in paese le possibilità di utilizzare i propri diplomi sarebbero state scarse, o addirittura inesistenti.
Finirono col dire che l’accettazione era una scelta giusta.
Alle brutte, c’erano sempre loro a riaccoglierli a braccia aperte.
Per il problema economico, avrebbero cercato di dare il oro aiuto.
A parte le provviste che potevano mandare o portare, c’era sempre una piccola quota degli utili della terra che sarebbe stata loro assegnata.
E così, due settimane dopo, Domenico, Luisa e il piccolo Gianmichele entrarono nel piccolo appartamento periferico che avevano arredato trasportandovi le loro cose, mettendo graziose tendine alle finestre, e dotandolo non solo di lumi e lampadari, ma degli elettrodomestici dono delle loro famiglie.
Una partenza discreta, soddisfacente.
Quando, la sera, il bimbo si addormentò nel suo lettino, Luisa si rifugiò nelle braccia del marito.
‘Siamo a casa nostra, Dome’, a casa nostra!’
E fecero l’amore con una passione che da tempo non capitava loro.
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Luisa era sempre in poltrona.
Con un fazzoletto era entrata nella vestaglia e si asciugava il sudore, sotto le ascelle, sotto al seno.
Pensava di fare una doccia.
Già, seguitava a rimuginare dentro, la passione!!!
La mattina sveglia presto, colazione per Domenico che doveva uscire per tempo per recarsi al lavoro.
Poi era il turno di Gianmichele che andava a scuola.
Per fortuna lo scuolabus non doveva andarlo a prendere alla strada provinciale, perché fermava proprio sotto casa.
Assicurarsi che la cartella fosse in ordine, che avesse preso la colazione.
Quindi, la casa da riordinare, la spesa da fare.
Bucato, stiro,
Preparare il desinare per la sera.
Mangiare qualcosa all’ora di pranzo.
Attendere Gianmi che tornava da scuola, farlo lavare. Aiutarlo nel fare i compiti.
Arrivava Domenico, in genere molto stanco anche se cercava di non farlo pesare sulla famiglia.
Anche per lui la doccia di rito.
Intanto la cena era pronta.
Mentre lei sparecchiava e riempiva la lavastoviglie, Gianmi andava a letto, Domenico si metteva a guardare la TV. Vi si addormentava davanti. Si alzava pigramente. La solita visitina al bagno, poi in camera. Svestirsi, mettersi in pigiama, anche se a malincuore perché gli piaceva sentirsi libero tra le lenzuola, chiamare Luisa se ancora non lo aveva raggiunto, darle il bacetto della buona notte, piombare nel sonno. Sul fianco, o supino.
Finite le proprie incombenze, Luisa si coricava a fianco del marito, lo sforava con una carezza, si metteva a leggere, cercando di non pensare e augurandosi che il sonno sopraggiungesse subito.
Il rito dell’amore coniugale ‘perché tale era divenuto: un rito- si celebrava la domenica mattina.
Era bello, si, ma un po’ troppo consuetudinario, ripetitivo.
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Luisa si era alzata dalla poltrona, era andata nel bagno, s’era svestita completamente, aveva aperto l’acqua della doccia e l’accoglieva, pigramente, con la testa alta, gli occhi chiusi, i capelli d’oro appiccicati al corpo.
Non aveva chiuso la tenda.
Di fronte, lo specchio la ritraeva.
Lei si guardava, attentamente.
La maternità non l’aveva affatto appesantita, e l’attività quotidiana funzionava meglio della palestra.
Un fisico invidiabile.
Gambe snelle, affusolate, fianchi deliziosamente disegnati, un fondo schiena tondo e sostenuto, ventre piatto, liscio, tette sode e prepotenti, e il suo visetto sempre sbarazzino.
Sentiva e sapeva che Domenico le voleva bene, forse l’amava, ma c’era qualcosa che lei desiderava e lui non riusciva a darle.
Cosa voleva, lei, in fondo?
Era sessualmente insoddisfatta?
Sentiva la mancanza delle coccole che avrebbe voluto?
Non riscontrava quella che alcuni chiamano la ‘unione spirituale’?
Alzava le spalle, perché non riusciva e rendersene conto.
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Uscì dalla doccia, si asciugò, si pettinò, indossò l’accappatoio, tornò a sedersi, sempre meditando, sul divano, vicino al tavolino sul quale vi erano alcuni giornali.
Forse era colpa dei racconti fantastici che aveva letto su alcune riviste destinate alle donne, o di quelli che trovati in alcuni siti di internet, ma non le sembrava di aver mai provato un travolgente orgasmo, di quelli che fanno perdere la cognizione del tempo. Né aveva mai sperimentato il susseguirsi di voluttuosi orgasmi multipli.
Aveva cercato di leggere qualcosa, anche di avanzare caute domande al consultorio, alla sessuologa.
Aveva raccontato la sua sessualità, come la viveva.
Era stata ascoltata con attenzione, alcuni particolari erano stati approfonditi con opportune domande da parte del medico.
La conclusione era stata: ‘Luisa, lei &egrave normale, sta benissimo; il suo comportamento e le sue reazioni sono normali’.
C’erano state, logicamente, domande su Domenico, sul suo sesso, anche relativamente alle dimensioni, all’erezione, alla durata del rapporto.
Luisa aveva prestato attenzione, ma qualche dubbio le rimaneva.
Che dipendesse dal punto ‘G’?
Ne aveva sentito parlare, anzi si era documentata anche graficamente, acquistando una pubblicazione che ne trattava dettagliatamente. Si era autoesplorata, credeva di averlo identificato.
Aveva messo tutto in rapporto con l’anatomia maschile.
Aveva fatto intendere a Domenico un particolare interesse lascivo per il suo fallo, e lo aveva osservato a lungo, carezzato in ogni particolare.
Riteneva che fosse tutto a posto.
Pensava anche di aver compreso perché a molte piaceva il coito anale: l’introduzione del pene nel retto si ripercuoteva sui tessuti interni della vagina e, di conseguenza, il tutto si proiettava su quel benedetto punto ‘G’. Per l’uomo l’attrazione consisteva ‘era sempre lei a dedurlo- nel minor volume della parte che lo riceveva, in confronto alla vagina, e quella piccolezza stimolava maggiormente il fallo, specie il glande.
Tutto questo, comunque, poteva anche essere empiricamente vero, ma non spostava il suo problema: cosa le mancava?
Non bramava di sentir riempita la sua vagina da un voluminoso fallo.
Una volta aveva letto dei versi d’un poeta dialettale siciliano:
Non negu ca li fimmini
amanu cazzu grossu
e longu e latu e turgidu
e duru comu un ossu.
Ma non era il caso suo.
Domenico era ben dotato, in materia, e lei conservava la foto fatta con la DC, digital camera, in un momento di particolare giocosità, dopo averlo facilmente eccitato.
La conservava nel cassetto della sua toletta, quella foto, e ogni tanto la sbirciava, sorridendo, compiaciuta, ma senza particolari riflessi erotici.
Si soffermò a considerare la parola, ‘erotismo’.
Ne aveva letto diverse definizioni.
‘Modo di fare in cui si manifesta la sessualità”
Non era d’accordo.
‘Visione delle cose sempre in chiave del sesso”
Neanche questa.
‘Ricerca ed espressione raffinata del piacere sessuale”
Ecco, questa poteva andare.
Soprattutto se si insisteva su espressione raffinata.
E proseguendo nel collegamento dei pensieri, si domandava: ma io sono sexy? Sono dotata di sex appeal, cio&egrave di capacità di esercitare attrazione erotica, fascino?
La grazia dei movimenti, la dolcezza dell’espressione, lo splendore del fisico sprizzavano seduzione.
La sua elegante femminilità, la sua dolcezza, suscitava tenerezza, oltre che irresistibile malia.
Scosse la testa, si decise a vestirsi.
La giornata proseguiva.
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Domenico si era svegliato prima del solito, l’aveva attratta a sé, la baciava dolcemente, le carezzava i capelli.
‘Sono bellissimi, Luisa. Splendenti più dell’oro, soffici più della seta.
Ogni tanto, perché non vai dal parrucchiere, invece di affidarti ai tuoi bigodini?’
‘Perché, non ti piaccio, così?’
Lui le dimostrò appassionatamente quanto le piacesse, e lei lo contraccambiò.
Pur essendo sabato, Domenico doveva effettuare il collaudo di una centralina; uscì.
Quando rimase sola, in casa, ripensò alle parole di Domenico.
Decise di farsi trovare più bella che mai, quella sera.
Uscì, andò da ‘Hair’, il parrucchiere alla moda che aveva aperto da non molto a qualche isolato di distanza.
Luogo raffinato, anche un po’ sofisticato.
Una comoda sala d’aspetto, cabine ben rispettose della privacy, personale gentile, tutti in eleganti camici celeste cielo.
Luisa fu accolta da una sorridente commessa.
Disse che voleva dare una sistemata ai capelli.
La ragazza chiamò, Renato, e assicurò Luisa che la metteva in buone mani.
Renato era un bell’uomo, forse sui quaranta, bruno, con volto simpatico, aperto, cordiale.
La invitò a seguirlo nel box dove lui lavorava.
‘Prego, signora, tolga il vestito e indossi questa specie di cappa. E’ anche impermeabile e salva da macchie e spruzzi.’
Luisa guardava intorno per vedere ‘dove’ togliere l’abito, lontana da occhi indiscreti.
Niente.
Renato uscì, tirando la tenda, non completamente.
Luisa s’affrettò, un po’ goffamente, a far cadere l’abito e infilare quella che era stata chiamata la cappa.
Renato rientrò, chiuse la tenda, fece sedere Luisa in poltrona, infilò le dita tra i capelli, li sollevò, li guardò attentamente.
‘Posso conoscere il suo nome, signora?’
‘Luisa.’
‘Lei &egrave una lovely and sexy fair-haired girl, Luisa!’
Luisa arrossì.
L’aveva definita sexy, e inoltre anche incantevole ragazza bionda.
Ragazza!
Quell’uomo ci sapeva fare!
Non riuscì a trovare una frase completa. Si limitò a una sola parola.
‘Grazie!’
‘Nessuno può farla essere ancora più attraente di quanto non sia, signora, ma cercherò di darle una cornice degna di lei. Mi occuperò di tutto io, anche dello shampoo, e se permette, poiché sono pure visagista, mi permetterò di dare una speciale ravvivata alle sue belle labbra. Posso?’
Luisa si sentiva lusingata.
Si limitò ad annuire.
Le dita di Renato sembravano il lieve muoversi d’ali di una farfalla.
Toccavano i capelli, li alzavano, lambivano il collo, le orecchie.
Sfioravano le gote.
Quando, poi, fu la volta del lieve ritocco alla labbra, Renato passò i suoi polpastrelli sulla bocca di Luisa, sentì le labbra inturgidirsi, le massaggiò per farle distendere.
Era di fronte a lei, curvo, e col pennellino ne delineava la forma, già di per sé molto regolare e invitante. Ne marcò i limiti, con un altro pennello ne ravvivò appena il colore.
Si allontanò un po’, ammirandola.
Si mise dietro a Luisa, per farla guardare nello specchio.
Luisa era gradevolmente contenta.
Capelli artisticamente acconciati, con eleganza e buon gusto.
Volto alabastrino, labbra ben evidenti ma non appariscenti.
Renato aveva la mano sulla spalla della donna.
Luisa vi poggiò la sua, con una lieve carezza, ringraziandolo con gli occhi.
Un risultato veramente entusiasmante.
Andò alla cassa, accompagnata da Renato, pagò.
Non era proprio a buon mercato, ma fu contenta di pagare, lasciò anche una generosa mancia per Renato, che l’accompagnò alla porta e la salutò chinandosi galantemente.
A casa rimase a lungo dinanzi allo specchio.
Stavano per rientrare tutti.
Il primo fu Gianmi, dalla palestra, e se ne andò subito in camera, per una doccia e per prepararsi per la cena.
Quando Domenico entrò, la vide, si fermò di colpo.
‘Ma Luisa, sei una visione, un sogno. Fatti toccare.’
L’attirò a se, l’abbracciò stretta.
La prese per la vita, s’avviò in camera, dove, di solito, si metteva comodo, per la serata.
Sedette sulla poltrona.
‘Vieni, piccola, sei bellissima più che mai.’
La fece sedere sulle sue ginocchia. La carezzò, lentamente, a lungo, la baciò sul collo, dietro l’orecchio, le mordicchiò il lobo, ne cercò le labbra, le lambì con la lingua, le penetrò, cercò la lingua di lei, e si attardò in lunghi appassionati baci, cullandola.
Luisa non ricordava tali tenerezze, tale sua felicità.
Si ripromise di telefonare al Parrucchiere, di prenotare per la volta successiva.
A cena, la seguiva con lo sguardo, senza mai lasciarla con gli occhi.
Rimase ad ammirarla mentre sparecchiava, metteva tutto nella lavastoviglie.
La prese per mano.
Gianmi era intento a continuo zapping con la TV.
Domenico, senza lasciare la mano della moglie, si affacciò alla porta del tinello.
‘Ciao Gianmi, buonanotte, siamo stanchi, andiamo a dormire. Tu spegni tutto e va a riposare.’
Quando furono a letto, dimenticando di infilare il pigiama, volle ancora sentire Luisa sulle sue ginocchia.
Le sollevò la leggera camicia.
‘Vieni, micetta, che ti scaldo il culetto bellissimo.’
Non ce ne era bisogno, ma Luisa ne fu felice.
Sentiva il crespo dei peli del marito, il duro del fallo tra le sue natiche belle e sode.
^^^
Fu una domenica indimenticabile.
Mille attenzioni, da parte del marito, tenerezze, sguardi radiosi, fugaci carezze, quasi rubate, ogni volta che le passava vicino. Ora sul fianco, ora sul sedere, sul petto. Ogni tanto un bacetto, furtivo, come ghermito.
Forse ‘pensava Luisa- sono stata pessimista a sentirmi soffocata in un tunnel oscuro e senza uscita. Forse ero io a non sapermi proporre nel momento e nel modo giusto.
In ogni caso, quella visita a ‘Hair’ era stata quantomeno propiziatrice.
Telefonò subito per il successivo appuntamento.
Fu accolta come una habituée. La ragazza le disse che Renato, al momento era ancora occupato con un’altra cliente, suggeriva anche un ‘relax massage’, loro avevano uno specialista in materia, e la stava attendendo.
Luisa rimase indecisa, non solo perché non si era mai sottoposta a massaggi, ma anche per il costo della prestazione. Poi concluse che semel in anno licet insanire, e che per una volta, dunque, si poteva fare una piccola pazzia.
Chiese alla commessa al banco se si trattasse di una massaggiatrice.
Le fu risposto che era un bravissimo massaggiatore, e che l’aspetto, non proprio robusto, non doveva trarre in inganno, era veramente un ‘mago’.
Fu fatta accomodare nella saletta della massoterapia.
Le fu detto di spogliarsi, sdraiarsi sul lettino, coprirsi ‘se avesse freddo- col lenzuolo pesante che era a fianco.
Spogliarsi!
Oltre Domenico, solo il medico l’aveva vista nuda.
Fece un lungo respiro. Si spogliò, si sdraiò.
Come doveva mettersi? Supina, bocconi, di fianco?
Ad ogni modo decise di stare supina e coprirsi fino al mento.
Dopo un attimo, entrò il ‘mago’!
Un biondino, dai tratti del volto gentili, con pantaloni bianchi, una casacchina a maniche corte, e un’espressione sorridente.
‘Buon giorno signora’ Luisa, vero?’
Luisa rispose a bassa voce, un po’ impacciata.
‘Si!’
‘Allora, vediamo”
Con delicatezza, ma con decisione, abbassò completamente il lenzuolo, fino ai piedi.
” un fisico perfetto, non c’&egrave che da far rilassare qualche tessuto piuttosto teso’ si volti, per favore”
Luisa si voltò, a pancia sotto.
L’uomo proseguì.
” meraviglioso, schiena senza difetti, glutei eccezionali, splendide gambe! Cominciamo da qui.’
Infilò dei guanti leggerissimi, di latice, prese della crema, da un vasetto, cominciò a massaggiare lievemente le spalle, per poi scendere sulla schiena, sulle natiche, sui polpacci.
Risalì, sempre lentamente, impastò delicatamente i glutei, a lungo, con entrambe le mani.
‘Adesso, Luisa, sperimenteremo una tecnica particolare che dovrebbe riflettersi anche sui tessuti interni. Si poggi sulle ginocchia, e ponga la testa sull’avambraccio.’
Luisa, sempre più impacciata, eseguì diligentemente.
L’omo seguitava a lavorare con le mani il sedere di Luisa, scendendo sulle cosce, risalendo e ponendo entrambi i pollici nel solco tra le due natiche.
I pollici, uno dietro l’altro, percorrevano e ripercorrevano quel solco e ogni volta si soffermavano a premere sul buchetto, sempre più insistentemente.
In effetti, si sorprese a constatare la donna, era piacevole, e si ripercuoteva anche tra le gambe, sentiva che il clitoride si andava eccitando.
Ora un dito premeva, delicatamente, introducendosi sempre più, nel buchetto che si dilatava docilmente.
Il dito era completamente dentro, la carezzava, girava intorno, entrava e usciva di continuo, sempre delicatamente.
Era veramente piacevole.
Luisa si accorse che stava mordendosi le labbra, che il suo bacino si muoveva, che stava avviandosi a sensazioni deliziose.
L’uomo abbandonò quell’esercizio, le dette una lieve pacca sul sedere.
‘Si giri, per favore.’
Massaggio ai polpacci, alle cosce, sempre più in alto, fino a sfiorarle le grandi labbra, ma senza andare oltre. Poi sul ventre, sul seno. Ancora giù. Le fece chiudere le gambe, le alzò entrambi, lentamente, tornò a palpeggiare decisamente i glutei, Riabbassò le gambe.
La guardò, sorridente.
‘Per oggi basta così, può rivestirsi. Sempre a sua disposizione, signora Luisa.’
Salutò, uscì.
Entrò la commessa, Luisa era quasi pronta, la accompagnò nel box dove era Renato ad attenderla.
Provò una strana sensazione, a sedersi sul cuscino morbido, le sembrava di sentire ancora il tocco del massaggiatore tra le sue natiche, e non le dispiaceva. Stringeva e allargava le gambe, istintivamente.
Renato fu più premuroso della volta precedente.
Le sue mani indugiavano sul collo, quasi la carezzavano, le dita, sempre leggerissime, le sfioravano le orecchie, il volto, lambivano i capelli’
Luisa pensava che quella seduta da ‘Hair’ le sarebbe costata una piccola fortuna, ma aveva capito perché chi poteva frequentava spesso locali del genere.
Quella volta, Renato non la accompagnò alla cassa.
Lei gli disse che avrebbe lasciato un piccolissimo segno del suo apprezzamento.
Lui si chinò ringraziandola.
In effetti non era a buon mercato.
Luisa, in tono confidenziale, chiese alla cassiera se Renato avesse famiglia.
La ragazza la guardò con un lieve sorriso.
‘Renato vive con Giangia.’
‘Lavora qui?’
‘Signora, Giangia é Giangiacomo, il massaggiatore che l’ha servita!’
Luisa ebbe un sussulto, ritirò il resto, dimenticò di lasciare la mancia preannunciata, uscì come ubriaca.
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Domenico rimase estasiato, ammirando la moglie.
Le disse che oltre a esaltarne la bellezza, il trattamento di ‘Hair’ le dava una nuova luce negli occhi.
L’aveva abbracciata.
L’allontanò guardandola sornione.
‘Non ci sarà un hairy, da ‘Hair’? Un’ peloso?’
Luisa gli rispose con lo stesso tono.
‘Sciocco, lo sai che l’unico mio hairy sei tu!’
E fu spontaneo, anche se tutt’altro che usuale, afferrargli il sesso nei pantaloni.
Volle andare subito in camera, Renato, e quella volta, nudo, volle sentirla, nuda sulle sue ginocchia.
Si baciarono a lungo, la carezzò, le lambì i capezzoli, li succhiò avidamente, mentre il suo sesso s’era eretto prepotentemente, irresistibilmente.
Se la pose a cavalcioni, sentì il grembo di lei palpitare, goloso, ansioso.
Il glande del suo grosso fallo era tra le piccole rosee labbra frementi, roride, che lo accolsero, avide.
Luisa spinse il bacino in avanti, lo ingurgitò con voluttuosa lentezza, lo sentì in sé, e percepì le dita di Domenico che la carezzavano tra le natiche.
Un piacere nuovo, immenso, che cercò di far durare all’infinito, ma che la travolse, a mano a mano che entrambi si allontanavano e riavvicinavano appassionatamente.
Pur in quegli istanti di supremo godere, nella testolina della donna, sempre un po’ sbarazzina, tornava, sia pure sotto diverso spetto: un tubo pieno in un tubo vuoto, che bello, e come quello riempie bene il tubo vuoto, ecco, adesso sta per invadermi col suo miele prezioso, ed io sto morendo di piacere.
Fu scossa da un orgasmo che né lei né lui avevamo mai sperimentato in precedenza, e rimasero così, ansanti, sudanti, felici.
Le dita di lui seguitavano a carezzarla tra le sode montagne delle sue natiche, ora sempre più rugiadose per la linfa che distillava dalla vagina.
Dita curiose, che quella vischiosità invitava ad essere sempre più indiscrete. E a mano a mano che penetravano, Domenico sentiva pulsarle la vagina e stringersi intorno al suo fallo ancora rigido e voglioso.
Sobbalzava, Luisa, in preda a un desiderio sconosciuto, a una voluttà ignota, che partiva dal centro delle sue natiche e s’impossessava sempre più di lei.
Non resisteva più.
Si levò in piedi, andò sul letto, si mise carponi, guardò Domenico.
Non avevano bisogno di parole.
I gesti, l’atteggiamento erano più eloquenti di ogni altra cosa.
Incredibile, ma era la prima volta nella loro vita che celebravano un rito del genere, ansiosi e frementi, come chi, per la prima volta, si accosti ad una fonte a lungo agognata e s’appresta a gustarne il sapore: scotterà, sarà amara, avvelenerà?
Il ricordo del massaggio di Giangia ricordò il rilassarsi, l’abbandonarsi, il facilitare l’accoglienza.
Fu più bello del previsto, per Luisa, un piacere totale.
Fu la scoperta di un nuovo paradiso, per Domenico, un caldo rifugio per il suo pisellone che lì non conosceva ostacoli, poteva spaziare in tutta la sua potenza.
Luisa si dimenava, scuoteva la testa. Le mani di Domenico le tormentavano deliziosamente le tette, i capezzoli, il clitoride, s’intrufolavano nella sua vagina, la facevano sussultare quando toccavano un certo punto, e nel contempo l’uomo, attraverso la morbidezza irrequieta della carne, percepiva col polpastrello l’andirivieni del suo fallo.
Orgasmi ricordevoli.
Inizio di una nuova stagione.
Luisa capì il significato di’ riveder le stelle!

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