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Racconti Erotici Etero

Sacro e profano

By 14 Febbraio 2020Febbraio 16th, 2020No Comments

L’asceta camminava lungo il bordo del fiume placido. Lo scorrere dell’acqua era lento, calmo, indifferente al caos e al furore del mondo. Purtroppo altrettanto non poteva dirsi di lui.
L’uomo sospirò. Erano anni che s’impegnava, che mortificava sé stesso e il suo corpo per riuscire a  trascendere il materiale e rivolgere lo sguardo verso il divino. Sapeva stare immobile per giorni, sapeva digiunare per mesi interi, non toccava alcool né carne né donne da quando aveva iniziato il suo percorso. Frequentemente pregava gli déi di concedergli la comprensione e l’illuminazione.
Eppure essa non giungeva, a dispetto dei suoi eroici sforzi. Il suo maestro gli aveva consigliato la pazienza. Un’altro asceta aveva scelto di infrangere il digiuno, se n’era andato dai boschi, sostenendo che una corda troppo tesa si spezza. La sua sconfitta era stata solo di sprone per l’uomo che aveva proseguito con rinnovato accanimento la sua spietata ascesi. Disertando i templi e gli ashram aveva cercato il divino nei boschi e nelle grotte, rifuggendo la società aveva scelto l’esilio. Erano ormai tre anni che attendeva, che meditava. Senza successo.

“Dove sbaglio?”, si chiese, “Dove ho sbagliato?”. Non trovava risposta a quella domanda.
“Chissà se quel rinnegato ha raggiunto l’immutabile quiete che consegue colui che ha trasceso?”.
La domanda era pura curiosità, civettuola speculazione, assolutamente priva di scopo.
Però c’era e tant’era. Il dubbio esisteva. Non poteva fare a meno di chiedersi se non stesse sbagliandosi. Probabilmente no. Forse doveva solo pazientare ancora un po’, doveva attendere.
Costeggiando la riva fluviale, si accorse di aver percorso una notevole distanza. Non se ne curò: non aveva lasciato nulla dietro di sé. La sua sola possessione era la magra veste che indossava, un dothi attorno alla vita. Era magro ma non sentiva fatica in quella sua marcia, il dolore del corpo sovrastato dall’inquietudine della mente.
-Forse dovrei riconsiderare tutto quanto.-, si disse, -Forse sbaglio.-, ammise.
Si sedette sulla riva del fiume. Aveva sete ma non bevve, in sprezzo per quel corpo che lo tratteneva dal conoscere il divino. Chiuse gli occhi, scivolando nella meditazione. 
Minuti, o forse ore passarono. La sete incalzava. Rimase immobile.
Percepì dei passi. Vicini. I timori lo assalirono. Un brigante? No… Suo malgrado, fu distratto da quell’intrusione. Aprì gli occhi.
Poco lontano da lui c’era una giovane dai capelli neri, la pelle scura e il corpo armonioso. Vestita di  un sari decisamente variopinto, la ragazza si avvicinò al fiume.
“Una donna…”, pensò l’uomo. Pensò che avrebbe dovuto andarsene, fuggire quella tentazione, riprendere a meditare e ignorarla. “Sicuramente é una prova che gli déi mi hanno mandato!”.
Completamente concentrata nel proprio agire, la giovane intanto si era tolta il sari rivelando una sottoveste ben più lieve che lasciava ben poco all’immaginazione. L’uomo sentì il sangue affluire al ventre, il desiderio risvegliare il suo legame con la materia, allontanarlo dallo spirito, dall’Atman.
Chiuse gli occhi, imponendosi di concentrarsi su altro, escludendo quella donna e ciò che aveva visto dalla propria mente con ferrea volontà.
-Perdonami.-, disse la donna, -Non ti avevo notato-. Le sue parole lo spinsero ad aprire gli occhi.
La giovane lo fissava con occhi innocenti, così diversi da quelli di qualche immaginario demone.
Miracolosamente, l’uomo riuscì a sorriderle.
-Non fa nulla… Credo che entrambi sappiamo che la tua presenza non mi disturba.-, disse.
Era vero: ora non lo disturbava più. La sua volontà si era imposta. Sorrise. Prova superata!
-Sei un asceta. Che io sappia, voi evitate noi donne come fossimo il male.-, disse lei.
L’uomo sospirò. Voleva veramente fare quel discorso? No, ma non gli pareva giusto limitarsi a pregarla di andarsene, non ne aveva il diritto e non sarebbe stato giusto farlo.
-Non siete il male. Siete… distrazioni. Se voglio raggiungere il divino non posso permettermi distrazioni, neppure quelle che potrebbero risultare gradevoli ai profani.-, spiegò.
La donna rimase in silenzio. Per un lungo istante. L’asceta si chiese se l’avesse offesa.
-Dunque, non hai ancora raggiunto ciò che cerchi.-, dedusse lei.
-No.-, ammise lui, -Tutta la mia ascesi pare non essere sufficiente. E ho atteso, pregato, meditato, digiunato e mortificato me stesso per così tanto tempo…-. Lei annuì, con aria saggia.
-Forse il tuo errore sta proprio in questo.-, disse. Sorrideva, i denti bianchi che spiccavano sulla pelle bruna del viso incorniciato dai capelli neri.
-Cosa intendi?-, chiese lui. Lei sorrise di nuovo. Quel sorriso era fuoco puro.
-Intendo dire che forse, concentrandoti tanto sul divino, dimentichi che il corpo ci é stato dato per una ragione. Dimentichi che tu stesso sei materia.-, spiegò lei.
-Questo corpo non sono io, non sono questo corpo.-, disse lui. Lei scosse il capo.
-No. Ma questo corpo é parte di te. Denigrarlo e negarne il sostentamento e l’appagamento non genera che un ciclo di sofferenza a cui ti condanni con estenuante tenacia nell’illusoria convinzione che un giorno la beatitudine sorgerà dal tuo patire. È masochismo.-, rispose.
-Come puoi pensare questo? Cosa ne sai tu del divino?-, chiese l’asceta. Era furioso ma riuscì a mantenere un tono calmo. La donna gli sorrise di nuovo.
-Io so che il divino non concepisce divisione né scelta. L’uno é e vale l’altro. Per poterlo trovare devi abbandonare la preferenza. È questo il sommo errore che tu e moltissimi altri fate.-, disse.
-Tu sei folle! Il divino é trascendente, la meteria é inerte e decadente!-, esclamò l’asceta.
-E tu hai appena rivelato la veridicità delle mie parole.-, rispose lei senza smettere di sorridere.
L’uomo tacque, improvvisamente conscio del tono con cui aveva parlato. Si sentì colpevole.
-Scusa… Io…-, era sopraffatto. Iniziò a piangere. Lentamente. Lacrime corsero lungo la sua faccia.
Lei lo fissò, poi, senza dire nulla lo abbracciò. Lui si rese contro che non era una tentazione, era rifugio, comprensione, accettazione. Smise di piangere.
-Anni. Anni di ascesi… A cosa sono serviti?-, chiese più a sé stesso che a lei.
-Anni di scelte. A cosa possano servire?-, domandò lei.
-Cosa dovrei fare, secondo te?-, chiese l’uomo. La giovane gli sorrise di nuovo.
-Non scegliere.-, rispose. Semplice. La morbidezza del suo seno e del suo corpo stava avendo effetti che lui non si curò di controllare. Si limitò a lasciare che accadessero. 
“Non scegliere…”.
-Pensi che noi donne siamo distrattive, un ostacolo sulla tua via. Ma se ti dicessi… che siamo ciò che ti serve?-, chiese la giovane. Ora parlava sussurrando.
-Io…-, non trovò parole per rispondere.
-Temi di perdere ciò che hai ottenuto, ma ciò che hai é il tuo vero ostacolo, la tua fissazione il tuo più grande nemico.-, il tono della giovane era suadente ora.
-Lascia cadere tutto.-, sussurrò lei prima di premere le sue labbra contro quelle dell’uomo.
Fu come un’esplosione. Il cuore prese a pompare, il suo membro si erse, ogni barriera fu cancellata mentre quelle labbra e quella lingua si facevano strada attraverso la sua consapevolezza.
Si annullò in quel bacio. Si annullò in quell’estasi. Lasciò andare.
Quando giacque a terra, lasciando che lei lo spogliasse e si spogliasse, rivelando il corpo bruno e slanciato come quello di una danzatrice di palazzo, sorrise.
Quando lei guidò il suo membro rigido tra le profondità del suo piacere, gemette.
-Ora dovrai apprendere a controllarti. Avanza sino al tuo limite, poi controllati con me. Recita questo mantra.-, sussurrò lei al suo orecchio mentre lo cavalcava. Lui sospirò. Quant’era bello!
A questo aveva rinunciato. Ma ora… Ora non c’era più rinuncia, ascesi, meditazione.
C’era solo lui dentro di lei, il fiume gorgogliante, lei sopra di lui, carne contro carne.
Anime affini e distinte. Si controllò. A stento ma ce la fece. Lei sorrise.
-Bravo. Come ti senti?-, chiese. Lui prese del tempo, era ancora un neofita di quelle arti ma…
-Libero.-, si sentiva libero. Si sentiva più libero di quanto la sua ascesi gli avesse mai dato modo di essere.
-Allora godi con me della tua libertà.-, sussurrò la giovane baciandolo di nuovo.
Il bacio fu il preludio a una nuova copula, lui sopra di lei, dentro di lei. Accarezzò il corpo della ragazza con mani tremanti di desiderio. Prese a muoversi, lasciando che il ritmo si stabilisse. Il respiro fuggiva lieve ma conscio. E improvvisamente, fu.
Quando si riversò dentro alla giovane, in un fiotto violento e copioso, percepì che allo stesso modo, l’universo si riversava in lui, in un’esplosione che cancellò tutto, annichilendo il pensiero.
L’esplosione si propagò in tutto il suo essere, spazzò via ogni cosa. Lo cancellò, lo annullò.
Quando riprese coscienza di sé, si scoprì sdraiato sulla giovane che come lui respirava piano.
Sorridevano entrambi.
-Chi sei?-, chiese lui.
-Puoi chiamarmi Devi.-, disse lei, -E se lo vorrai, potrai percorrere questa via che nulla nega e tutto contiene.-. L’uomo annuì. Notò che si sentiva strananamente bene. Riposato.
E anche i dubbi, l’ascesi, tutto pareva distante, lontanissimo, appartenente a una vita non sua.
-Insegnami, Maestra.-, sussurrò lui. Lei gli sorrise. Lo baciò.
-Allora t’insegnerò la via della Mano Sinistra perché tu possa insegnarla ad altri. Ma devi dirmi il tuo nome.-, disse lei. Lui sospirò. Delle tante cose che aveva lasciato dietro di sé, una di esse era il suo nome.
-Non ho un nome.-, disse.
-No. Ti chiamerai Behrama. Ora vieni. Laviamoci prendendo coscienza di tutto senza respingere nulla. E sappi che il tuo corpo non é nemico. È semplicemente il corpo. Così come tu sei semplicemente tu.-, disse lei. Lui annuì e capì che quell’asceta che aveva abbandonato non era stato completamente folle. Forse aveva capito in altri modi ciò che lui aveva appena sperimentato.
-Questo é l’insegnamento del Tantra.-, dichiarò lei. Lui annuì e sorrise.

 

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