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Schiavo d’amore

By 10 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Era puerile il suo imbarazzo, il modo in cui attendeva e seguiva i miei movimenti. Mi faceva tenerezza e mi eccitava sentirlo così, inerme e in balia del mio volere.
Sapevo ciò che voleva, solitamente non assecondavo mai i desideri degli uomini, non tolleravo la loro mancanza di rispetto, la loro pretesa di possedermi.
Era alto il prezzo che dovevano pagare per sperare che io li compiacessi, troppo alto perché potessero ottenere da me un cedimento. Chi mi aveva conosciuto lo sapeva bene, prima di tutto venivano i miei desideri.
Ma lui era dolce, un cucciolo innocente da accarezzare. Era raro un uomo così e decisi di premiarlo.
Lo feci inginocchiare e i suoi occhi brillarono, era estasiato e riconoscente per quell’ordine. Malgrado la sua inesperienza non osò avvicinarsi, attese col capo chino che fossi Io a dirgli quel che doveva fare.
Intinsi la punta del piede nel miele e gliela porsi. Lui sembrava incredulo, fremeva ed esitava, quel dono dovette sembrargli un piacere troppo grande per lui e dubitava di esserne degno.
Intanto il miele colava lentamente dalle mie dita. Lui leccò quelle gocce che erano cadute dal pavimento e Io lo incitai con dolcezza, finché non sentii la sua lingua morbida scorrere lungo il mio piede e tra le dita.
Lasciai che si nutrisse, che la sua brama montasse. Mi leccava i piedi e intanto, in silenzio, mi invocava, mi implorava, si sottometteva offrendosi a me incondizionatamente.
Calzai il suo volto, comodo pensai, sorridendo per quell’immagine buffa e al tempo stesso tenera. Mi piaceva il modo in cui si piegava, abbandonandosi ai capricci del mio piede che lo accarezzava. Il tepore del suo respiro soffiava come brezza tra le mie dita, un vento tiepido e leggero che cullava le mie voglie e le assecondava. Allora le allargavo e il tocco umido della sua lingua tornava a bagnarle e succhiarle, scorreva tra le mie dita in maniera quasi oscena. Era avido, insaziabile, il suo volto era rosso per l’eccitazione, la sua bocca si allargava e implorava di poter accogliere il mio piede, di averlo tutto pur sapendo di non poterlo contenere. In quelle carezze percepivo la sua brama di possedermi. Sì, in fondo era come tutti gli altri, voleva avermi. Ma non poteva, non più di quanto io gli avrei permesso. Mi apparteneva, era totalmente soggiogato e asservito, ma nella sua sottomissione vibrava un prepotente desiderio di possesso che lasciavo inappagato, facendolo crescere fino a renderlo folle d’amore, di un amore devoto senza confini.
Giurava di voler essere mio, di desiderare solo di potermi servire e adorare, assecondando il mio volere, forse lo credeva, ma era come ogni altro uomo, voleva solo imporre il proprio desiderio. Io però sapevo, conoscevo ogni corda del suo animo e sapevo come farla vibrare intonando solo le melodie che potevano deliziare le mie orecchie.
“Basta così”, gli intimai e vidi i suoi occhi languidi brillare.
Chinò il capo e rimase prostrato, annientato dall’attesa e dal mio prolungato silenzio.
Dovevo metterlo alla prova, spingerlo ad accettare fino in fondo il mio volere, solo così sarebbe stato degno di appartenermi.
Lo volevo, volevo la sua mente, tutta. Ma era un uomo e sarei dovuta passare attraverso il suo corpo per raggiungere la sua anima.

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