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Racconti Erotici Etero

Senzatetto

By 6 Maggio 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Lei è Cristina. 1 metro e 75 per 55 chili. Terza di seno, culo modellato da anni di ginnastica artistica e dalla “palestra”, vizio di rito della società contemporanea. Occhi verdi smeraldo, brillanti, sopracciglia sottili, un piccolo naso, piccole labbra e capelli corti, molto corti, un taglio praticamente maschile, che però non stona con la morbidezza e dolcezza dei suoi lineamenti.

Io sono Alfonso. Sono alto 1 metro e 75 e peso 80 chili, sono un senzatetto. Vivo in una casupola dei rifiuti. Fortunatamente nella mia frazione non hanno mai pensato di rompere le scatole a noi unici tre senzatetto e quindi riusciamo a vivere in questa struttura di legno, mentre i bidoni della spazzatura e della differenziata rimangono fuori, in pratica, a circondarla: una sorta di cancello “naturale”.
Ho paura che qualche pazzo, un giorno, possa dire che si tratta di arte contemporanea.

è mattina. Il sole è alto.
Non è ancora arrivata.
Normalmente ha un’abitudine: il saluto.

Cristina lavora la mattina. Si alza presto, va a lavoro, torna a casa, mangia e poi scende subito a salutarci.
Soprattutto saluta e passa a salutare me.
è una brava ragazza, oltre che una immane troia.

Arriverà, arriverà, e dovrò punirla.
Lo sa già.
Sento dei rumori. So che è lei.
Avrà detto, come sempre, che scendeva a buttare la spazzatura e poi andava a prendere un caffè al bar. Dovrà giustificarsi per averne presi almeno una decina di caffè.
Tacchi. Ottimo.
Mi alzo. Oggi mi sono anche vestito bene.
Una maglietta con la scritta “London Bridge” un disegno plastificato. Sento già la chiazza di sudore con la forma di quella patacca sul petto. Ho anche un paio di pantaloni di un completo elegante che qualche scemo ha buttato nella spazzatura. Possono reggere ancora un inverno e un’estate, come minimo. I mocassini sono molli. I soliti. Comodi. Mi piacciono così.
La guardo mentre getta la spazzatura.
Ha addosso una tuta blu con delle righe bianche che seguono le braccia.
So che sotto non ha niente.
Gli altri sono via. La vedo entrare, sorridente. Si inginocchia di fronte a me. Mi sbottona i pantaloni: “Buongiorno Alfonso”. Il suo saluto è sempre celestiale, soprattutto quando imbocca il mio cazzo e inizia a succhiarlo e leccarlo neanche fosse un’idrovora. Oggi è proprio bello sporco, puzza talmente tanto che lo sento mentre lo tira fuori e lo annusa. Lo lecca e tenendolo in bocca lo conferma anche lei: “è saporito, grazie”. Sorride. Lo bacia. Lo imbocca nuovamente. Grata.
“Oggi sei in ritardo” le dico.
Mesta, non dice nulla. Fa scivolare ancor più giù i pantaloni e lo succhia con maggiore avidità, massaggiandomi le palle e insozzandosi le mani del mio sudore leggermente viscido. Il mio sesso è sporco ancora dello sperma della sega mattutina e lei sembra gradire anche più del solito, tanto che oggi sembra volere quintali della mia sborra, perché massaggia i testicoli come un’assatanata. Li spreme, come se volesse subito una gettata nella sua bocca. Lo ripulisce con dovizia, tanto che, massaggiando sempre le palle, stacca le labbra e sembra volermelo mostrare, bello lucido, con quella mia cappella violacea che le punta sulle labbra. Le guardo alcune tracce del mio sperma della mattina sulle labbra. Sorrido e lei capisce che deve continuare. Con una mano afferra l’asta, mentre la lingua scende oltre i testicoli, leccandomi il perineo, pulendomi anche lì, facendomi un bidet con poca grazia. Mi vuole lavare. Non l’ho fatto per giorni e lo fa lei. Regolarmente.
Sento le mie palle belle fresche e vedo la mia cappella che mi guarda, mentre mi sega. Anzi no. Ora torna con le labbra e la succhia. Alza gli occhi e mi guarda “Alfonso dammi la tua sborra, per favore. La voglio subito, devo andare'” mi dice, in quella gentile supplica.
Dai miei occhi, però, capisce tutto: “Oggi sei in ritardo e dovrai fare gli straordinari”.
Annuisce, e succhia impalando il mio cazzo tra le sue tonsille. Ha capito. Sento il suo dito che mi carezza il perineo e ora mi si infila tra le chiappe. Mi infila un dito in culo e inizia a succhiare più forte, massaggiando per benino.
Succhia e succhia, e mi guarda, con quello sguardo di gratitudine che sempre la contraddistingue. Mi chiama, bofonchiando sul mio cazzo: “Sh-A-l-fo-h-n-s-h-o”. Lo sa che mi piace.
Succhia forte, per prosciugarmi. La vuole. Sborra. La chiama, bofonchiando: “D-h-amm-ghr-ela! Sb-rrr-o-r-h-ami ghhhh in b-h-occ'”. Succhia come una forsennata. Lo sa che le sto per venire in bocca.
Esplodo e subito tossisce. Non se l’aspettava. Se la gusta. La sento gemere ad ogni fiotto che esce dal mio cazzo. Le prime volte si lamentava per l’acidità. Ora dice che è buonissima.

è il suo yogurt, dopo pranzo.
Ogni volta vuole la mia sborra. L’ho abituata bene. Succhia e mi massaggia il culo e sento le gambe tremare, mentre le palle si sgonfiano nella sua bocca. Una quantità copiosa di sborra, che le cola fuori dalla bocca. Estrae il dito dal mio culo e lo succhia, sempre con il mio cazzo in bocca, asciugando anche il rivolo a fianco della bocca. Dito e cazzo in bocca. Si stacca appena e sorride.
Non dice nulla. Sa cosa voglio: si mette in piedi e si toglie la giacca della tuta, lasciandola cadere per terra, mostrando le sue tette sode, quella terza soda e invitante. Un’altra mossa e spariscono anche i pantaloni. è nuda. Ha tolto anche le scarpe e rimane su quel cemento a piedi nudi e mi mostra la fighetta bagnata, completamente rasata, talmente bagnata da mostrare rivoli umidi fino alle ginocchia. Mani a terra, gambe tese e culo in alto. Si offre così, come piace a me.
Io la ringrazio a modo mio, normalmente. Ma oggi è stata cattiva. Nessuno sputo sul culo, ma il mio grosso medio bitorzoluto punta sul suo buco stretto e affonda in un colpo solo. Lei grida dal dolore. Non le ho mai fatto il culo, non ne avevo bisogno, ma oggi ha bisogno di una punizione e così sarà. è un urlo straziante, tanto che le sue gambe tremano e la sento gemere. Piange. “Non lì, non lì”.
Prova a urlare più forte, ma esce solo un respiro strozzato dalle lacrime: “Alfonso, no”. Prova a urlare. Non ce la fa. Si gira e me lo mima con la bocca. Le manca il respiro e il viso è cianotico. “Alfonso, no”, cerca di dire muovendo le labbra. “No”.
Quel culetto è troppo bello da esplorare. E le sue labbra che si muovo in quel modo così sguaiato me lo fanno solamente tornare più duro. Dentro fino a dove arriva. Dito che sventra quel culetto apparentemente vergine. Sorrido.
Piange.
Un altro dito si avvicina e fatica a entrare. Lo forzo. Indice e medio si avvicinano e fanno la strada insieme. Oramai è un pianto silenzioso. La sente che perde anche le forze.
Cade sulle ginocchia. Sicuramente se le sarà sbucciate. Ora posa la faccia. Piange.
Giro il polso e le dita iniziano ad allargare quel culo secchissimo. Vibra e stringe le dita. “Che gran troia”.
è a pecorina, con i seni spremuti sul cemento. La faccia riversa, che mi guarda, con gli occhi madidi di lacrime e il viso ancora rigato da schizzi del mio sperma che inizia a seccare.
Il mio cazzo è ancora bello umido. Già duro come il marmo e bello gonfio, per quel culetto quasi pronto. Tiro fuori le dita.
“Grazie”, sospira.
“Grazie al cazzo”, rispondo, mentre le due dita della destra tornano a rovistare assieme a due della sinistra. “Vediamo di allargarlo per bene”.
“Ti supplico”.
“Non supplicare. Te lo allargo comunque”.
Piange.
Prima per il verso orizzontale. Poi diagonale. Poi verticale. Di nuovo diagonale. Allarghiamolo bene. Scruto per bene dentro a quel buco. Da quanto tempo non vedevo un buco del culo? Vergine, poi, da aprire per bene e sventrare. Potrei sborrare al solo pensiero.
Lei lo spera.
Non succede. Con una mano la schiaccio ancor di più contro il cemento.
Singhiozza.
Cosa c’è di più semplice di aprire un culetto simile? Arpiono con i pollici la riga perfetta che separa le due natiche. Con le mani spingo verso l’esterno, come a voler spaccare quella perfetta doppia mandola. Appoggio la cappella rovente. Sposto il peso in avanti, mi lascio cadere su di lei, mentre spingo con il bacino. La verga affonda. Lentamente. Mi brucia. Sento che la sto sfondando brutalmente. La cappella potrebbe prendere fuoco.
Non ha più lacrime. Non ha più fiato. Mi guarda con occhi vitrei. è viva. Sento che prova a stringere le chiappe. A poco serve.
Spingo. Di più. Fino in fondo. Vedo le vene del mio cazzo che sembrano esplodere. Sono bluastre, rigonfie in modo spaventoso. All’interno saranno bitorzoli ancora più gonfi e roventi.
Vibra, in preda a spasmi, la troia.
Soddisfatto, sento le palle che toccano la sua figa bagnata.
Rimiro il capolavoro.

“Eri vergine”.
Sghignazzo da solo.
Inizio a ritrarlo. La fotto.
Silenziosamente si volta meglio e mi guarda.
“Grazie”. Sorride.
Mi fa impazzire.
Lo sa.
Inizio a muovere il bacino all’impazzata. Poco mi importa del dolore, del bruciore, di sentire le palle che pulsano tanto quanto il cuore. Sudo. Il sudore le si riversa sulla schiena. Lo sento addosso, copioso.
Tolgo le mani “dell’apertura”. Le prendo i fianchi, per assestare meglio i colpi.
Geme. Gradisce.
A bocca aperta inizia a mormorare una vocale aperta. Lunga. Intermittente. Brevi interruzioni, sempre più brevi. Tono sempre più forte. Con la bocca cerca di afferrare, senza ovviamente riuscirci, il cemento.
Esplosione.
Sperma. Sperma. Sperma. Sperma e ancora sperma. Lo sento scendere a fiotti, nuovamente, mentre rimango fermo a depositarle dentro fino all’ultima goccia.

Vedo arrivare Samuele. è poco più che un ragazzino. 21 anni, alto come una montagna e duro come una roccia: 1 metro e 90 per un centinaio di chili. “Il Fungo” lo chiamiamo. Avra un cazzo di 14 centimetri, niente di che. Ma è largo quanto una bottiglia di vino. Cristina è l’unica bocca larga che si impegna sempre a prenderlo tutto. Tutto. Lo guarda, riversa a terra. Gli sorride. Mi sorride.

Fa la copia di quanto fatto da me poco prima, la troia.
Le sue piccole dita arpionano la linea centrale del culo e separano le chiappe, mostrando quel buco sfondato, rosso, pieno di sperma bollente.
“Guarda. Ti piace?”, dice rivolta a Samuele. Sorrido.
Non mi muovo.
“Vuoi farlo anche tu?” gli chiede.
Samuele sorride.
“Troia, al ragazzino fai un servizio di favore ora. Benvenuta, Automa”. Sghignazzo.
Samuele mi fa eco.
Cristina ride e poi si infila due dita in bocca. Sa che mi piace quando parla bofonchiando: “A-fh-i t-f-uoi or-fh-dini padr-fh-one”, dice senza muoversi un millimetro in più.

Lee

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