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Racconti Erotici Etero

STORIA DI UNA RAGAZZA PER BENE

By 3 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

STORIA DI UNA RAGAZZA PER BENE

Capitolo 1 – Pensieri, ricordi e una email

Moky cammina per la strada.
E’ uno di quei rari pomeriggi che le concedono un paio d’ore per s&egrave. I bambini sono con i nonni, al mare, e la visita medica che l’ha costretta a tornare in citt’ le ha preso meno tempo del previsto.
Morale, ha deciso di fare due passi in centro con la scusa di aspettare Franco, suo marito, e tornare dai bambini con una macchina sola.
In realt’ Moky ha bisogno di pensare.
Vaga come inebetita per le vie del centro, a malapena consapevole del caldo soffocante e delle ombre che cominciano ad allungarsi, lasciando scivolare gli occhi sulle vetrine.
Lei però non vede niente.
– Chi mi ha scritto quella email? –
Questa domanda la ossessiona da due settimane. Non &egrave il fatto di aver ricevuto una email anonima, sa bene quanta spazzatura giri sul web, e non &egrave neanche il contenuto ad impensierirla.
Il vero problema &egrave rappresentato dalla premessa:
“Ho avuto il tuo indirizzo email da una persone che conosciamo tutti e due.”
questa frase la terrorizza.
– Perch&egrave hai la coscienza sporca. –
questa frase, nella sua testa, era pronunciata con la voce di suo padre.

Moky sa di non essere una santa, ma non si sente neanche una puttana, sente solo di avere una visione della fedelt’, per così dire, più ‘morbida’ rispetto alla morale comune.
Era sempre stato così, fin dalle prime storielle al liceo.
Anche se era impegnata con il classico morosetto non riusciva a non concedersi qualche scappatella extra-relazione. E se inizialmente era stato solo per qualche bacetto, una volta persa la verginit’ erano diventate scappatelle a tutti gli effetti, non ci poteva fare niente.

Pochi mesi dopo l’inizio di una relazione, passati i primi momenti di entusiasmo e passione, Moky cominciava a sentirsi come soffocare, si sentiva derubata della scintilla che l’aveva infuocata fino a poco prima.
E la conclusione era sempre la stessa, cercare un pò di emozione al di fuori del rapporto ‘ufficiale’.
– Una volta sposata le cose cambieranno –
non era cambiato niente.
– Quando sarò mamma mi calmerò di sicuro –
non era cambiato niente.
Moky con il tempo aveva imparato ad accettare questo suo ‘aspetto caratteriale’, esattamente come chiunque impara, perch&egrave costretto, ad accettare una propria imperfezione fisica, reale o immaginaria che sia.

Così cammina, e pensa, e si chiede quale strano collegamento deve essersi venuto a creare perch&egrave il suo indirizzo email ‘secondario’ sia passato di mano in mano.
– L’importante &egrave che non si venga mai a sapere –
questo &egrave sempre stato il suo mantra, la condizione indispensabile che ha sempre accompagnato i suoi svaghi. Ed &egrave sempre stata anche l’unica cosa che riesce a mettere un serio freno ai suoi istinti.
Moky non &egrave mai stata scoperta, mai una volta, n&egrave &egrave stata sospettata.
Non si &egrave mai confidata con nessuno, non &egrave mai andata con un conscente e non ha mai replicato un incontro.
Le chiama da sempre le ‘tre regole d’oro della montagna’:

1 – In montagna il silenzio &egrave d’oro
2 – Per i boschi fai sempre nuove conoscenze
3 – Mai battere due volte lo stesso sentiero

E le ha sempre seguite alla lettera.

Adorava camminare in montagna, una passione che aveva sicuramente ereditato da suo padre. Dall’infaniza fino ai vent’anni o giù di lì aveva sempre camminato più che volentieri in sua compagnia. Avevano una casetta in montagna ereditata dai nonni paterni e almeno un mesetto ogni estate lo passavano tra i monti per sfuggire all’arsura della citt’, periodo che sua madre viveva con un pò di sacrificio (se non quasi con vera e propria sofferenza) in quanto amante del mare e delle localit’ più vive e frequentate. E proprio per questo sua madre non partecipava alle loro gite.
E a lei, poter condividere solo con lui questo momento, non dispiaceva affatto.

Suo padre aveva le sue regole in montagna, prima tra tutte non ci si doveva mai recare al luogo di partenza della gita in macchina, nella maggior parte dei casi il punto di partenza era direttamente casa, altrimenti, al massimo, ci si poteva spostare con i mezzi pubblici. Gli dava l’idea di staccarsi dai soliti canoni della macchina sempre ‘sotto al culo’, per abbracciare la filosofia del viaggiatore.
Un’altra regola era quella del silenzio, mentre camminavano si parlava poco, anche nelle poche soste che si concedevano ci si scambiava a malapena qualche frase, suo padre pensava che in quelle occasioni fosse importante ascoltare i rumori della natura.
E poi c’era la cosa che ancora oggi le fa più tenerezza a pensarci.
Quando durante le passeggiate incontravano qualcuno, suo padre salutava sempre. Fino agli anni ’80 primi ’90 la cosa era normale e tutti rispondevano al suo saluto con allegria e un sorriso, poi questa sorta di galanteria montanara era probabilmente caduta in disuso. Non erano rare le occasioni nelle quali suo padre veniva a distanza deriso e additato, soprattutto quando incrociavano gruppetti di ragazzi giovani.
Lei se ne accorgeva e un pò se ne vergognava, ma lui non se ne curava e non aveva mai smesso di farlo.

Neanche a dirlo anche le tre regole d’oro della montagna, nella sua testa, vengono pronunciate con la voce di suo padre.
– Pap’… –
E così Moky continua a camminare.
La premessa di quella mail ha infranto due delle tre regole d’oro, e questo la terrorizza perch&egrave ama la sua famiglia, e non vuole che una stupida scappatella
– Certo, una sola… –
rischi di rovinare il suo rapporto con Franco, per non parlare dei bambini, del mutuo, della casa, della figura con i suoceri…
– E pensarci prima, no….? –
Continua a chiedersi chi potrebbe essere stato così idiota da far girare il suo indirizzo email, dopo che seleziona con così tanta cura i suoi compagni di letto.
– Deve essere stato per forza il ragazzino della palestra –
Non si era mai concessa, da dopo sposata, uno svago troppo giovane, perch&egrave sa che gioventù e spacconeria maschile sono un’accoppiata che non va daccordo con la discrezione.
Ma quella volta non aveva proprio resistito.

Frequentava da cinque anni una grande palestra appena fuori citt’, di fianco alla zona industriale. Dopo due figli il suo fortunato fisico snello le aveva fatto capire con qualche curva di troppo che era venuto il momento di correre ai ripari. Così aveva cominciato ad allenarsi con costanza, mettendoci tutto l’impegno e la dedizione che nella vita l’avevano sempre accompagnata. Gi’ dopo i primi sei mesi gli sforzi avevano dato i loro frutti. Non era solo lo specchio a metterlo in chiaro, ma anche quello che lei chiamava lo ‘sguardometro’ (o il ‘culometro’), ovvero quante volte in una giornata il suo fondoschiena attirava sguardi, sia che fossero arrapati maschili o invidiosi femminili (o anche arrapati femminili, perch&egrave no?).

Da sempre era fiera del suo fondoschiena, stretto ma femminile, sodo ma invitante. Uno di quelli che, inguainato in un paio di jeans elasticizzati, fa girare i maschi per un ultimo fugace sguardo, anche se accompagnati, correndo il rischio di venire scoperti e di rovinare così la serata.
Notare questi sguardi riflessi su una vetrina o su una porta a vetri l’aveva sempre riempita di orgoglio, specialmente se la compagna del maschio di turno si incazzava seriamente, ma soprattutto se si incazzava dopo averlglielo guardato a sua volta.
– Piaceri meschini ma pur sempre piaceri della vita… –
pensava per giustificare il sorriso malefico che accennava appena con un lato della bocca.

Ed era stato proprio in palestra che aveva notato questo ragazzino.
Avr’ avuto sui diciotto vent’anni ed era uno di quelli che con gli attrezzi ci dava denro di brutto. Anche con le occhiate ci dava dentro di brutto.
Bruno, occhi verdi, belle labbra e sorriso alla Tom Cruise. Fisico asciutto piuttosto che pompato, ma con con il giusto livello di definizione, senza esagerare.
Sebbene impensierita per l’evidente differenza d’et’ Moky aveva subito cominciato a valutare la sua candidatura a ‘prossimo svago’.
Per un paio di settimane aveva controllato che non avessero conoscenze in comune e a rispondere quasi casualmente ai suoi sguardi. Le faceva tenerezza, se i loro sguardi si incrociavano lui abbassava subito lo sguardo e fingeva di essere concentrato su un esercizio o sulla tabella dell’allenamento.
E così Moky non aveva resistito malgrado un campanellino d’allarme le squillasse costantemente in testa, e aveva cominciato a tessere la tela della seduzione, per imprigionare quella piccola ma attraente preda.
Aveva cominciato ad andare in palestra con un velo di trucco e ad indossare shorts di un dito più corti del solito e magliettine un pelo più scollate e aderenti.

Il ragazzino aveva cominciato a farsi sempre più ardimentoso, sosteneva il suo sguardo per tre o quattro secondi e in un paio di occasioni, al suo arrivo le aveva anche sorriso.
Finch&egrave un giorno, quando Moky aveva cominciato a chiedersi se non fosse il caso di fare personalmente la prima mossa (cosa che non faceva quasi mai) o addirittura di lasciar perdere
– Eccolo, finalmente –
le si era avvicinato, dopo una evidente lotta interiore durata una ventina di minuti, con atteggiamento finto-sicuro (non ci sarebbe cascata neanche una sua coetanea) le aveva detto:
“Vieni spesso in palestra, quasi quanto me a quanto pare. Io sono Gianni, ma mi chiamano tutti Gian.”
tendendole la mano con un sorriso affascinante.
Come inizio non le era sembrato male, e considerando che aveva sempre avuto un debole per Tom Cruise quel sorriso gli aveva fatto guadagnare molti punti ai suoi occhi.
Avevano cominciato a chiacchierare nelle pause e a cercarsi con lo sguardo durante gli allenamenti.
Questo era il periodo che Moky preferiva: il corteggiamento. Il non voler esporsi troppo senza riuscirci, dedicare all’altra persona l’ultimo pensiero prima di dormire, sperare di incrociarlo nel corridoio che portava agli spogliatoio, il chiedersi se con quella canottiera o quella maglietta avrebbe fatto colpo, il cercare di essere sempre in ordine con i capelli e con il trucco…
Moky pensava non fosse altro che una specie di balletto che presagiva all’inevitabile rituale finale, l’accoppiamento.
Sapeva che non era amore, sapeva che tutte quelle emozioni sarebbero sparite in un batter d’occhio. Ma questa consapevolezza non le rovinava il momento, anzi, la spingeva a viverlo al massimo e il più pienamente possibile.
Con la scusa di passarle una dieta a suo dire ‘fenomenal&egrave, le aveva chiesto l’indirizzo email, così si erano anche scambiati un paio di email apparentemente innocenti, ma in realt’ tra le righe traspariva una sottile tensione erotica.

Dopo tre settimane sentiva che mancava solo l’occasione giusta, sarebbero finalmente arrivati al ‘dunque’ e lui sarebbe stato suo.
L’occasione arrivò poco dopo, in una piovosa sera di Novembre. Veniva giù come un torrente in piena e mettersi in macchina per andare in palestra non le ispirava proprio, ma due giorni prima si erano messi d’accordo quindi non le andava proprio di paccarlo. Anche Franco le aveva chiesto se era pazza a guidare con quel tempo, ma non era riuscito (ovviamente) a dissuaderla, così le aveva consigliato di usare il SUV, per sicurezza.
Quindi, dopo una ventina di minuti di guida sotto una pioggia battente era arrivata, ma solo per trovarsi nell’ampio ingresso, tutta bagnata, gocciolante e intirizzita, a sentirsi dire che per quel giorno e per i successivi la palestra sarebbe stata chiusa a causa di un allagamento che aveva interessato tutta la zona degli spogliatoi.
– Ma vaff… –
in quel momento l’aveva visto parlare con un ragazzo, e aveva capito alla velocit’ della luce che era l’occasione giusta.
Aveva aspettato che l’ingresso si svuotasse almeno un pò e poi si era diretta da lui:
“Ciao Gian, senti posso chiederti un favore?”
lui era trasalito nel trovarsela davanti all’improvviso
“Ehi ciao, dimmi tutto!”
l’altro tipo si era defilato in un secondo salutando al volo.
“Mi si &egrave rotto l’ombrello, non &egrave che mi faresti la cortesia di accompagnarmi alla macchina? Poi ti accompagno io alla tua, così ti restituisco il favore!”
– Dimmi di no e non mi vedi più –
“Ma certo, figurati, mi stavo muovendo anch’io!”
Neanche a dirlo l’ombrello funzionava alla perfezione, anzi, era anche più grande di quello di Gian.

E così, in cinque minuti erano seduti mezzi bagnati in macchina di Moky, più o meno nel mezzo di un enorme parcheggio ormai semideserto e con il rumore assordante della pioggia che cadeva sul tetto della macchina.
Inaspettatamente fu lui a fare il primo passo e la baciò. Lei ricambiò il bacio con ardore, voleva fargli capire fin da subito che non sarebbe sceso da quella macchina dopo un paio di bacetti.
– Cavolo se bacia bene, mi sto sciogliendo –
Mentre le loro lingue si accarezzavano lui le passava con dolcezza le mani sulle spalle e le braccia, le infilava le dita tra i capelli e respirava forte, sembrava che volesse riempire di lei tutti i suoi sensi. Moky si sentiva sempre più avvampare.
Avvicinò una mano alla coscia di lui e fu contenta di sentirlo aprire le gambe per facilitarle il primo incontro con il suo sesso. Lei lo trovò gi’ completamente eccitato e lo afferrò con foga attraverso la sottile stoffa dei pantaloni da ginnastica.
Lui emise un forte sospiro e spinse il bacino in avanti per aumentare ancora di più il contatto con la mano. Moky intrufolò la mano sotto ai pantaloni e sotto ai boxer afferando il membro eretto che contenevano.
Mentre lo accarezzava dall’alto verso il basso e viceversa si staccò dai suoi baci e lo guardò negli occhi intensamente per una decina di secondi prima di dire:
“Quello che succede dentro a questa macchina rimane qui, non dovrai parlarne mai a nessuno e soprattutto non succeder’ mai più. Se accetti, da adesso fino a quando non deciderai di scendere da questa macchina, io ti dirò sempre sì. Accetti?”
“…. Sì ….”
sussurrò lui, ormai non più in grado di ragionare o di pensare ad altro che non fosse la fortuna che gli era capitata di finire con una bella donna più vecchia di lui e quindi più esperta. Inoltre quel ‘io ti dirò sempre sì’ lo aveva turbato ed accitato all’inverosimile.

Lei sorrise e lo guardò per un paio di secondi prima di passarsi la lingua sulle labbra e dirgli:
“Adesso che siamo daccordo, avrei tanta voglia di prendertelo in bocca, posso…?”
lo aveva detto con l’aria innocente di chi non ha mai fatto una cosa del genere, ma che &egrave tanto curiosa di provare, per una volta.
Non aveva aspettato una risposta e si era chinata fino a prenderglielo in bocca, lentamente, mentre con la mano continuava ad accarezzarlo. Aveva continuato con questo movimento per un pò prima di guardarlo negli occhi e chiedergli:
“Ti piace…?”
Ancora una volta quell’aria da ragazza con poca esperienza. Sapeva bene che così faceva impazzire gli uomini…
“S…sì”
Lei gli sorrise maliziosa e si riabbassò per continuare.
I respiri di lui cominciavano a farsi sempre più frequenti, e ogni tanto lei rallentava il ritmo e lo toglieva dalla bocca. Sapeva che era giovane e non voleva che venisse subito. Sebbene le desse un sacco di soddisfazione far venire gli uomini con la bocca in poco tempo, voleva sentirlo dentro di s&egrave, voleva guardarlo negli occhi mentre gli stava sopra.
Ogni tanto se lo introduceva fino alla gola, provocandosi di proposito un piccolo colpo di tosse, sapeva che ai maschi piaceva, sentivano di averlo troppo grosso per infilarlo tutto in bocca…
Astuzie di questo tipo le aveva imparate col tempo, negli anni di esperienza, e aveva capito che fare felice un uomo &egrave una cosa più semplice di quanto non possa sembrare: un uomo vuole essere il primo. Punto e basta.
Possibilmente il primo a scoparti, se non &egrave così allora l’illusione va benissimo lo stesso. Il primo che ti scopa con un cazzo così grande, il primo che ti fa godere oppure il primo che ti fa godere così tanto, il primo al quale l’hai preso in bocca oppure il primo al quale l’hai fatto volentieri oppure il primo che non riesci ad infilarti tutto in bocca perch&egrave &egrave troppo grosso oppure il primo dal quale ti sei fatta venire in bocca. Il primo dal quale te lo sei fatta mettere nel culo oppure il primo…. Eccetera eccetera eccetera… Non &egrave chiaro? Il primo, non importa in cosa, non importa se &egrave vero o no, la maggior parte delle volte non importa neanche se lui ci crede o no, il primo.
E così, mentre lei tossiva sul suo cazzo Gian le spingeva la testa, convinto che lei rischiasse di soffocare, rialzandogliela e baciandola, come per fare il padrone misericordioso che le permette di respirare.
Moky stava al gioco, e quando lui le rialzava la testa traeva dei lunghi respiri, come per dirgli ‘stavolta mi stavi proprio soffocando col tuo cazzone’ mentre lui si arrapava sempre di più.
Lei però non era delusa dalla semplicit’ mentale degli uomini, non era annoiata da quelle messinscene, anzi, era fiera di s&egrave, si sentiva padrona e felice di condurre il gioco.
Questo la accitava da morire, infatti quando lui le infilò una mano dentro ai pantaloni e sotto le mutandine la trovò eccitatissima, bagnata e pronta.
“Ti piace succhiarlo, vero…?”
“Il tuo sì, da morire”
gli rispose guardandoglielo con desiderio.
– Uomini… –
“Adesso voglio che ti togli i pantaloni e vieni sopra di me”
Le disse con tono di comando. Le moine di lei l’avevano reso sicuro, pensava che non avesse mai avuto per le mani un cazzo come il suo, e che ormai fosse in suo completo potere.
Non pensava certo a come lei avesse messo in chiaro la natura di quell’incontro e a come in realt’ fosse stata lei ad organizzarlo.
Lui era il re, il cazzo maximo, e aveva il dovere morale di scoparla il meglio possibile per rendere quell’incontro il più indimenticabile che lei avesse mai avuto.
E così si era messa sopra di lui, l’aveva preso in mano e, guardandolo fisso negli occhi, aveva cominciato a farlo entrare, con estrema calma, come se ci volesse del tempo per farlo entrare del tutto, spalancando la bocca sempre più man mano che entrava.
Alla fine aveva emesso un lungo sospiro piegando la testa all’indietro e aveva cominciato a muoversi piano, molto piano, con cautela, sempre con la bocca spalancata…
“Ti fa male?”
aveva detto lui, inesperto
“No… ma mi devo abituare…”
aveva risposto lei, sorniona, sospirando.
Dopo qualche minuto aveva cominciato a muoversi con rapidit’, normalmente, cercando il proprio orgasmo, mentre lui le aveva sollevato la maglietta e le succhiava i capezzoli.
Era completamente rapito, la guardava, la baciava, le stringeva i seni, le sorrideva, sospirava.
“Mi fai morire Gian, non sono mai stata così eccitata in vita mia… Fammi venire…”
E così, ringalluzzito all’inverosimile, cominciò ad accompagnare i movimenti di lei per portarla all’orgasmo.
Lei venne, sul serio, urlando e piantandogli le unghie sulla schiena, mentre gli bagnava i pantaloni con i suoi umori.
Gian per due settimane si sarebbe guardato quei graffi allo specchio, contemplandoli con la soddisfazione di un guerriero che dopo aver vinto la guerra sfoggia le sue ferite.
“Devo venire anche io, dove vuoi che venga…?”
“Non lo so… Dove vuoi tu…”
Rispose lei con finto imbarazzo….
“In faccia”
le rispose.
Questo non l’aveva mai fatto, veramente questa volta.
Dopo un attimo di esitazione decise che glielo poteva anche concedere, dopotutto l’aveva fatta godere, e poi gli aveva detto che avrebbe sempre detto sì… Quindi…
“Non l’ho mai fatto…. Come vuoi che mi metta…?”
“Scivola in avanti con la schiena verso il fondo della macchina, io mi inginocchio davanti a te”.
E così Moky si trovò il pene davanti alla faccia, lo succhiò per una decina di secondi, poi quando Gian ormai si sentiva prossimo all’orgasmo, glielo tolse dalla bocca e lo tenne in mano. Lei si sentì inondare il viso da cinque o sei schizzi caldi. Quando sentì che aveva finito aprì la bocca per ospitarlo un’ultima volta.
Quel misto di imbarazzo e di umiliazione nel sentirsi sporcare la faccia a quel modo l’aveva eccitata, se avesse avuto tempo avrebbe ricominciato volentieri.
Questa sensazione , però, l’aveva spiazzata, per un attimo aveva sentito di aver perso il controllo della situazione.
Si rivestirono in fretta, lo salutò e lo scaricò vicino alla sua macchina. Perdeva subito interesse per i propri svaghi…
Ovviamente la settimana successiva aveva cambiato palestra.

Così, immersa nei propri ricordi Moky cammina.
“Di chi &egrave questo bel culetto?”
&egrave Franco, suo marito.
“Spritzetto…?”
risponde lei baciandolo.
– Chi cazzo mi ha scritto quella email… –

STORIA DI UNA RAGAZZA PER BENE

Capitolo 2 ‘ Uno specchio e una fantasia

Risveglio.
– Madovecavolo… –
I soliti due secondi di smarrimento nello svegliarsi dentro alla casa al mare dei suoceri. Moky non riesce ad abituarsi a quella casa, non la sente sua e ogni volta &egrave un trauma.
– Perch&egrave non la sopporti –
Di certo non ‘la’ sopporta, la casa invece &egrave stupenda.
Non ha mai legato con la suocera, si sente sempre inadeguata davanti a lei, si sente piccola e troppo ‘poca’ per stare con suo figlio-perfezione.
Troppe volte aveva notato sguardi di rimprovero appena accennati, troppe volte quella bocca raggrinzita (in realtà una bella bocca per quell’età) si era piegata in una smorfia di disapprovazione. Soprattutto diverse volte si era sentita criticare, in maniera neanche troppo velata, riguardo all’educazione dei propri figli.
La cosa peggiore, però, &egrave riconoscere in quella donna tutte le qualità che qualunque appartenente al sesso femminile vorrebbe evere.

Un’affascinante, snella e carismatica sessantacinquenne.
Doris aveva cominciato come segretaria nello studio di un commercialista. Pochi mesi dopo era emerso che la giovane era non solo portata per la materia, ma possedeva anche una memoria al limite del disumano. Era stato proprio il dottore commercialista, allora, a consigliarle di laurearsi in economia. L’aveva licenziata, le aveva pagato gli studi, l’aveva riassunta e alla fine sposata.
Doris aveva preso la laurea in economia in tre soli anni, era sempre stata una moglie eccezionale, una cuoca eccellente e una madre adorata.
Gli aveva dato tre figli, due maschi e una femmina senza mai perdere un giorno di lavoro, tranne quelli previsti per legge.
Inoltre grazie a lei l’attività di famiglia aveva fatto un netto salto in avanti, richiamando clienti sempre più importanti, e facendo entrare incassi altrettanto importanti.
In un modo o nell’altro tutti e tre i figli avevano seguito le orme dei genitori e lavoravano nello studio.

‘Forza Moky, Franco, sveglia, sono quasi le otto e i vostri figli vogliono andare in spiaggia!’
era proprio Doris a chiamarli dal corridoio.
– Sarai anche perfetta… Maccheccazzo… –
Fanno colazione tutti insieme nella smisurata veranda della villa al mare.
La colazione l’ha preparata Doris: &egrave abbondante ma sana, saporita ma leggera, nutriente e varia. Mentre Moky si sta chiedendo a che ora deve essersi svegliata la suocera per presentare una colazione da hotel a cinque stelle, a suo figlio maggiore Simone, con la bocca ancora piena, scappa:
‘Eh… mangiassimo tutte le mattine così…’
Franco scoppia a ridere, &egrave troppo uno spirito buono e semplice per cogliere l’umiliazione che sta provando Moky, Doris si limita a sollevare un sopracciglio e continua a mangiare come se niente fosse.
– Ok Simone, mi ricorderò a Natale di questa tua uscita… –
Mentre Moky vorrebbe sprofondare, una cima le viene lanciata da suo suocero, Stefano, che le strizza l’occhio, le sorride e dice:
‘… saremmo tutti dei bidoni!’.
Tra le risate generali, e Doris che cerca di difendere l’apporto calorico della sua colazione, l’imbarazzo &egrave superato.
– Grazie Stefy, sei sempre il migliore… –
‘Franco oggi viene a trovarci tuo fratello Mauro con la famiglia. Arriva per pranzo, così nel pomeriggio andiamo in spiaggia tutti insieme’.

La mattinata scorre pigra, come un fiume che non ha fretta di arrivare al mare.
– Uno di quelli lenti lenti, in riva ai quali non ti conviene aspettare di veder passare il cadavere del tuo nemico, perch&egrave potresti aspettare tutta la vita… –
Moky non sopporta le domeniche al mare, le trova noiose, lente e pigre. Si ricorda di quando le doveva affrontare senza i bambini, solo con Franco e i suoceri. Le viene un brivido e ringrazia il cielo per poter gridare una cosa del tipo:
‘Simone non annegare tua sorella!’
all’avvicinarsi della suocera, per dileguarsi e andare a fare una nuotata con i bambini.
Con una punta (neanche troppo sottile) di orgoglio, si accorge che nel momento in cui si alza calamita l’attenzione dei maschietti intorno a lei. Suo suocero compreso.
– Ma sì, goditi lo spettacolo Stefano, te lo sei meritato, e poi… Alla faccia di Doris! –
Indossa un bikini neanche troppo striminzito, a bande orizzontali con colori pastello, ma di quelli con la mutandina che a metà gluteo penetra nel solco. E sa bene che sotto al culetto, se lo sporge un po’ indietro, si intuisce la curvetta della patatina.
Lo sporge.

Arrivata l’ora di pranzo, dopo una doccia veloce, tornano verso casa, dove sono appena arrivati Mauro con la moglie e il figlio Christian.
Mauro &egrave il maggiore dei figli di perfettina-Doris e suo figlio ha ormai 17 anni, un bel ragazzo dalle spalle larghe, il fisico atletico e una bella testa riccioluta.
Dopo i vari ‘Ma che grande che sei’, ‘Chissà quante morose’, ‘Ma fai nuoto’, ‘Mi ricordo quando eri alto così’, ‘Mi sa che non giochi più con i lego’ dei nonni ci si siede a tavola, in veranda, nella grande tavola tonda che i maschi di casa sono andati a prendere in taverna.
Moky &egrave seduta di fianco a Christian e passa tutto il tempo a chiacchierare con lui, lo trova un piacevole disimpegno dai soliti ‘discorsoni economici’ che vengono puntualmente intavolati quando ci sono sia Mauro che Franco.
Scopre che all’università vorrebbe fare medicina (anche se non &egrave sicuro) e le confessa sottovoce che sì, ha la ragazza, Beatrice, ma che non vuole che si sappia perch&egrave poi sennò i nonni gli tolgono la vita… Le mostra anche una sua foto sul cellulare e poi aggiunge:
‘Mi piace tanto, secondo me ti assomiglia un po’ zia!’
Moky si sente lusingata, le piace che un ragazzino abbia trovato nella sua morosetta una somiglianza con lei, la fa sentire un po’ più giovane. Poi però si imbarazza perch&egrave nota che continua a fissarla, in attesa di una sua risposta. Non può certo lasciar trasparire il piacere che ha provato…
Così manda giù tutto il vino che ha nel bicchiere, in un solo sorso, e risponde
‘Mah, non mi sembra mi somigli troppo…’
lui ride e aggiunge
‘Dipende dall’angolazione della foto, zia.’
Moky solleva le sopracciglia, improvvisamente capisce cosa vuole dire.
Lui avvampa e raggiunge suo padre mugugnando di qualcosa che gli doveva dire.
– Fai il galletto, ma sei sempre un ragazzino. –
Però sorride, e beve un altro bicchiere di vino.

Dopo aver messo i figli a nanna per il riposino, anche Moky decide di stendersi per una mezz’ora, il vino le ha regalato un piacevole senso di leggerezza, e l’idea di stare un po’ a letto tra le mura spesse e fresche della villa la alletta.
In più Franco &egrave andato con Mauro al porto per vedere se riescono a trovare un po’ di pesce per la cena, quindi ha la camera tutta per sé.
Si sfila il vestitino leggero che indossa e rimane in perizona e reggiseno. Comincia a sentirsi meglio, più fresca.
Si distende e con un sorriso beato si guarda intorno.
La stanza &egrave quadrata, con un grande letto di metallo laccato di bianco. La testiera del letto, alta e ornata di cuscini, &egrave appoggiata ad una parete. La parete contrapposta &egrave dominata da una enorme finestra che dà sul giardino. Il vetro &egrave diviso in quadrati, le tende bianche sono raccolte ai lati e trattenute da lacci bordò, a separarla dall’esterno c’&egrave solo una grande veneziana abbassata e quasi completamente schermata. In questo modo la maggior parte della luce &egrave trattenuta all’esterno e filtrano solamente delle sottili strisce di luce che, pur lasciando la stanza in penombra, la arricchiscono di un’atmosfera immobile, quasi liquida.
L’unico rimore che si sente &egrave il frinire delle cicale in giardino.
Alla sua sinistra c’&egrave un pesante armadio a due ante piuttosto vecchio, se non antico, e alla sua destra un tavolino di metallo, nero, con due sedie coordinate.
L’arredamento &egrave indubbiamente di buon gusto, di certo &egrave una casa ‘delle vacanze’, ma allo stesso tempo sembra una di quelle stanze uscite da una rivista di arredamento.
Il pavimento &egrave di mattonelle di cotto, non la classica porcellana, che al tatto &egrave sempre gelida, ma risultano piacevoli, intime. Il soffitto &egrave dominato da un lampadario non eccessivamente grande, di gusto, ora spento.
– Mi piacerebbe poter dire che se avessi i loro soldi farei questo oppure quello… ma questa stanza &egrave semplicemente perfetta. Un altra qualità di Doris… –
Così si gira sul fianco sinistro e si vede riflessa sullo specchio dell’anta dell’armadio.
Le &egrave sempre piaciuto guardare il proprio corpo pennellato da quelle strisce di luce, perch&egrave vanno a sottolineare ogni curva e particolare del corpo. Così si alza, apre completamente l’anta del pesante armadio, e si guarda.
– Però… –
Le piace quello che vede.
Vede una ragazza (sì, si sente ancora una ragazza) alta poco meno di un metro e settanta, snella e con le gambe magre. Vede come i fianchi si allargano dolcemente sopra alle cosce, offrendo un bacino più generoso di quanto non fosse prima di essere mamma
– Che la gravidanza mi abbia in realtà mogliorato il fisico…? –
e vede come poi il giro vita si stringa bene, grazie ai due anni di palestra. Adora guardare la luce che gioca con il suo corpo, evidenziando i solchi degli addominali laterali e il solco centrale
– Ti&egrave Shakira… –
poi sale con lo sguardo e si guarda il petto e le spalle, le piacciono soprattutto…
In quel momento, con la coda dell’occhio, vede che &egrave cambiata la luce della camera, e che un’ombra che prima non c’era &egrave apparsa al margine del suo campo visivo. E’ inequivocabilmente una testa e vedendo il volume dei capelli capisce subito che non può essere che Christian.
– Ma guarda questo… –
Lui rimane immobile, segno che non sa di essere stato visto, lei rimane immobile, abbassa lo sguardo.
Non prova imbarazzo nell’essere vista in biancheria intima, dopotutto sono al mare e un paio d’ore dopo l’avrebbe vista in costume. Sente però che c’&egrave qualcosa di sbagliato, &egrave suo nipote e non dovrebbe comportarsi così.
Ma poi le viene in mente la sparata che ha fatto a pranzo ‘dipende dall’angolazione, zia…’ e prova un moto di orgoglio. Lui deve aver necessariamente fantasticato su di lei, sul suo fondoschiena, tanto da trovare una somiglianza con la sua ragazza…
Il suo lato narcisistico prende il sopravvento e alza lo sguardo, vede la sua immagine riflessa e vede ‘quel’ mezzo sorriso spuntarle sulle labbra.
La decisione &egrave presa in un attimo, come spesso le accade nei momenti di dubbio. Decide di lasciarsi andare, decide di offrirsi in uno spettacolo che nella sua testa ha un unico fine: vuole che quel giovane la veda seminuda, vuole che si masturbi pensando a lei, e vuole che confronti per tanto tanto, tempo le altre ragazze con lei.
– Buon divertimento… –
Si fa scorrere le dita sull’addome, lentamente, mentre piega un po’ la testa di lato. Fa salire l’altra mano fino alla base del seno per poi farla scivolare dietro, sulla schiena, raggiungendo il gancio del reggiseno. Lo trattiene solo un attimo, le sembra quasi di sentire il respiro del ragazzo fermarsi per qualche istante, poi lo lascia cadere e con una mano si solleva i capelli dalle spalle, raccogliendoli in una coda immaginaria, dalla quale scappa qualche ciuffo che le incornicia il volto.
Socchiude leggermente le labbra, come se fosse una pin-up durante un servizio fotografico. Assume l’espressione che fa impazzire gli uomini, quella che la fa sembrare una ragazza poco esperta che &egrave sexy in maniera naturale, senza neanche volerlo.
Poi si volta, si guarda di profilo, cingendosi il seno con un braccio, mettendosi in punta dei piedi e offrendo le spalle all’improvvisato voyeur alla finestra.
Lo specchio le restituisce l’immagine di una brava ragazza, quasi pudica nel suo cingersi il seno, ma che allo stesso tempo trasmette una intensa carica sensuale.
Si piace, decisamente, si piace.
Immaginare l’eccitazione che sta provando il ragazzo la eccita a sua volta. Per un momento le passa per la testa l’idea di toccarsi, offrendo così un ricordo ancora più indelebile…
In un istante l’ombra scompare e la lascia sola.
Una ragazza che si guarda nuda allo specchio della camera.
Il momento &egrave andato, sorride e si stende sul letto. L’eccitazione sta passando, si calma e sotto sotto &egrave contenta che sia tutto finito.
Si odia un po’, sa che se il ragazzo non se ne fosse andato gli avrebbe fatto vedere molto di più.
Fantastica che se ne sia andato per correre in bagno a farsene una pensando a lei, e questo la fa sorridere. E la fa stare bene.
Pensa a come sarebbe stato continuare quello show privato, a come avrebbe potuto cominciare a toccarsi senza fargli capire che era uno spettacolo destinato a lui.

Dopo essersi guardata un altro po’ allo specchio avrebbe appoggiato il ginocchio sinistro sul letto, mentre il piede destro ancora appoggiava con la punta per terra, si sarebbe piegata verso la testiera del letto con il fondoschiena sempre rivolto alla finestra, come per voler cercare qualcosa o per sistemare il lenzuolo. Poi si sarebbe distesa, con i capelli aperti a ventaglio sul cuscino, con le gambe che non riuscivano a stare ferme, che si muovevano a destra e a sinistra per creare un po’ di pressione sulla patatina che già le trasmetteva piccole scosse di piacere.
Si sarebbe forse, con una mano, stretta la base di un capezzolo (anche se non lo faceva mai quando si masturbava), mentre con l’altro braccio avrebbe avvicinato un seno all’altro, accennando appena un movimento ritmico del bacino.
Avrebbe fatto scendere, con calma, una mano verso la pancia e portato l’altra al viso, mentre ancora si cingeva il seno con il braccio. Si sarebbe accarezzata la testa, portando infine la mano alla bocca.
Poi avrebbe intrufolato la mano sotto alla mutandina, inarcando improvvisamente la schiena al primo contatto con il suo sesso, avrebbe sospirato e spinto un po’ un dito dentro alla bocca.
Si sarebbe accarezzata con calma, all’esterno, sempre accompagnando le carezze con movimenti del bacino e della testa, per sottolineare che stava provando un piacere come mai aveva provato prima.
Non si sarebbe penetrata, ma ad un certo punto si sarebbe spostata le mutandine per fargli vedere bene cosa stava facendo, aumentando sempre più i sospiri, e ogni tanto sollevandosi come per voler guardare anche lei cosa combinava quella mano birichina lì sotto.
Avrebbe spesso portato lo sguardo allo specchio, guardandosi mentre si toccava, aumentando così l’intensita della scena, facendogli vedere che era eccitata come non mai e come percondividere con lui lo spettacolo.
L’intesità e il ritmo dei movimenti sarebbero aumentati, gradualmente, fino a letteralmente spingere il proprio sesso contro alla mano, per cercare il tanto agognato orgasmo.
Infine sarebbe arrivato (Moky pensa che non avrebbe dovuto fingere, sarebbe arrivato sul serio), potente e improvviso, tanto che avrebbe dovuto tapparsi la mano con la bocca per non farsi scoprire da tutti mentre godeva.

Si &egrave bagnata mentre immagina lo spettacolo che avrebbe offerto a Christian, tanto che comincia a chiedersi perch&egrave cavolo se ne sia andato. Ha voglia di godere ma non così, da sola come un’adolescente, vorrebbe farlo per eccitare qualcuno che la guarda, oppure farlo perech&egrave le viene ‘ordinato’
Un pensiero, improvviso
– Chissà se mi ha scritto ancora –
Era dal giorno prima che non pensava alla strana email che aveva ricevuto.
Prende il telefono dalla borsetta, apre sul browser una scheda di navigazione anonima e accede al suo indirizzo di posta ‘secondario’, quello che usa solo in ‘certe occasioni’.
Non ha nuove email, ma ne approfitta per rileggere quella che fino al giorno prima, e per quasi una settimana, la preoccupava tanto:

Primo Contatto
Ciao Moky,
ho avuto il tuo indirizzo email da una persona che conosciamo tutti e due.
Mi &egrave stato dato qualche tempo fa, al termine di una serata.
Non conosco il tuo nome e non so niente di te.

Se vuoi possiamo giocare un po’ insieme.

In ogni caso, però, comando io.
Il Conte

Moky &egrave infastidita dal tono prentorio con il quale termina la email. Quel ‘comando io’ le fa venire il nervoso, le pesa addosso come una catena.
Però che tipo deve essere uno per scrivere una email del genere?
Da un lato le viene da pensare che sia solo uno sfigato, uno che pensa di fare colpo con un po’ di atteggiamento della serie ‘sono il padrone’. Dall’altro, però, potrebbe essere una persona che non sta facendo finta, ma che lo &egrave. E questo la incuriosisce.
– Ormai la fuga di notizie c’&egrave stata, cerchiamo di capire perch&egrave qualcuno avrebbe dovuto dare il mio indirizzo email a questo tipo. –
Così risponde:

Re: Primo contatto
Caro Conte,
non capisco bene.
Se non sa chi sono, cosa mai potrebbe volere da me?
E a cosa vorrebbe giocare? A nascondino? E in che senso comanderebbe lei?

E poi non mi piace che il mio indirizzo le sia stato dato senza prima interpellarmi.
Chi si &egrave preso questo diritto?
La sua mi sembra una email a dir poco pretenziosa.
Inoltre sono una donna impegnata e le assicuro che non &egrave proprio il caso che il mio compagno venga a sapere che mi ha inviato una email del genere.
Moky

Sceglie di dargli del lei in tono canzonatorio, un po’ per il nick ‘Il Conte’, un po’ anche per mantenere un minimo di distanza.
Ripone il telefono e chiude gli occhi, sorride pensando a Christian e si chiede ancora se non fosse qualche stanza più in là, in bagno.
– Mascalzoncello… –
Cerca di rilassarsi e chiude gli occhi, ma &egrave inquieta, non resiste, vuole saperne di più di questo tipo che le manda email da tono perentorio e che vuole ‘giocare con lei’.
Riprende in mano il telefono e controlla se c’&egrave già ha una risposta. Sono passati neanche cinque minuti, lo sa, ma &egrave impaziente.
La risposta c’&egrave:

Secondo Contatto
Finalmente.
Aspetto da sei giorni, e credimi se ti dico che non &egrave che mi piaccia tanto aspettare.
Bene per la scelta del lei, ho apprezzato.
Meno bene per il tono. Mi vuoi prendere in giro?
Lascia stare, credimi.

Prima o poi saprai tutto, ma nei modi e tempi che IO deciderò.

Se sei impegnata non &egrave un problema mio, ma non &egrave neanche nei miei interessi che tu venga scoperta.
Sono convinto, comunque, che un paio di email siano il più misero tra gli scheletri che hai nell’armadio. Sbaglio?

Per quanto riguarda il gioco, credo potremmo cominciare con qualcosa del tipo io comando e tu esegui.
Per oggi non ti risponderò più, non mi &egrave piaciuto il tono della tua risposta.
Il Conte

Moky &egrave divertita.
Di sicuro non fa finta, ci crede, &egrave convinto. Inoltre la punisce perch&egrave non gli &egrave piaciuto il ‘tono della risposta’.
– Ma per favore… –
Non le sembra pericoloso, anche se l’ha impensierita il discorso sugli scheletri nell’armadio, cosa sa di lei? Sembra qualcosa in più di un indirizzo email.
Troppi campanelli d’allarme le suonano dentro alla testa.
– No, basta così. –
Esegue il logout dalla posta, chiude la scheda anonima e ripone il telefono.

STORIA DI UNA RAGAZZA PER BENE

Capitolo 3 – Un gioco e un’ammissione

“Wow… cio&egrave… dovevi essere veramente eccitata, ma lo ero anch’io… non ti ho mai vista così… anzi soprattutto non ti ho mai ‘sentita’ così… io ero… cio&egrave…”
Franco &egrave seduto sul letto, nudo, con i peli del petto lucidi di sudore, sta ancora ansimando, e non smette di parlare un secondo. E’ tra il confuso e lo scioccato.
“E poi dicono che il matrimonio &egrave la tomba del divertimento a letto… A me pare invece che stiamo andando in crescendo… E’ stato stupendo, io non ero mai stato… così insomma…”
Le sorride. Il sorriso &egrave un pò incerto.
Moky &egrave colpita quanto lui per come sono andate le cose, annuisce, gli sorride a sua volta e risponde:
“&egrave stato speciale, spero che tu non mi abbia trovata, diciamo, eccessiva…”
Sa bene che Franco ha gradito le ‘novità’, lo dice giusto per lasciar parlare lui, &egrave troppo forte il tumulto che prova dentro, preferisce che sia lui a tentare di definire goffamente quello c’era stato tra loro.
“Ma no Piccola, cosa dici, mi hai fatto impazzire.”
“Ho detto eccessiva per non dire qualcos’altro…”
“Ma sì, l’avevo capito, ti assicuro che sei stata semplicemente magnifica, &egrave l’unica cosa che penso, sul serio.”
“Grazie… &egrave solo perch&egrave sei tu, lo sai, io non avevo mai…”
“Ti ho detto di non preoccuparti…”
“… e spero che non ti aspetterai che da adesso ogni volta…”
“Moky, non sono uno scemo. E poi non preoccuparti, sinceramente non credo reggerei ad un’altra nottata come questa…”
Ridono insieme.
“… piuttosto, tu? Ti ho delusa in qulche modo? O peggio…?”
“Io sono felice di tutto.”
Lui sorride, sollevato. Il suo sorriso non &egrave più incerto.
Moky &egrave contenta che l’atmosfera si sia rilassata, solo fino a pochi minuti prima…
Non ci vuole pensare, non ancora.

Franco &egrave ormai pronto per andare in studio, dopo aver bevuto un caff&egrave in velocità si avvia verso l’ingresso, ma esita.
Le fa cenno di avvicinarsi, la stringe a s&egrave e la bacia con ardore.
‘Cosa mi dicevi prima…?’
“Dai scemo…”
dice lei
“… non sono cose adatte alla luce del sole…”
“Ahah, lo so lo so, stavo scherzando.”
La bacia ancora, con dolcezza questa volta, poi esce.

Moky ha il turno di pomeriggio e i bambini sono ancora al mare con i nonni, quindi deve solo passare in tintoria per ritirare due giacche, poi può tornare a casa. Sa che deve sistemare mezza casa in tempo record, ma almeno avrà un pò di pace per pensare.
Sa anche che prima di uscire dovrà fare un’ultima cosa.

Mentre riordina le stanze lascia vagare la mente.
Complici le poche ore di sonno, a Moky sembra di avere un post-sbronza colossale. Questa sensazione la deve anche ai flash che le compaiono davanti agli occhi man mano che passa il tempo. Come dopo una sbronza, i ricordi le tornano gradualmente, man mano che si ricostruiscono gli ‘eventi’ annebbiati dall’alcool, e proprio come dopo una sbronza i ricordi della serata portano spesso sensazioni non proprio piacevoli.
Prova vergogna. Non solo. Ma in quel momento prova soprattutto vergogna.
Non ha mai fatto sesso in quel modo, mai in tutta la sua vita.
N&egrave con un ‘ufficiale’ n&egrave con uno ‘svago’.
E tutto per colpa di una email.
– Ma perch&egrave ho letto quella email… –
Moky sa che quello non &egrave stato un semplice ‘giochino da letto’, ma qualcosa di più, qualcosa che &egrave andato ben al di là delle sue aspettative, e che ha risvegliato in Franco istinti di cui non era consapevole nemmeno lui.

Tornati dal mare Domenica sera, erano esausti. Era mezzanotte passata e non vedevano l’ora di farsi una dormita.
Così dopo una doccia si erano coricati.
La doccia però, come spesso le capitava, l’aveva svegliata completamente. Conoscendosi Moky sapeva che non avrebbe preso sonno tanto presto.
Se c’era una cosa che detestava era rimanere a letto, stanca ma sveglia, a girarsi e rigirarsi.
Franco invece dormiva alla grande, aveva preso sonno già mentre lei si faceva la doccia.
Così aveva optato per andare in cucina a farsi una camomilla e aspettare che il sonno tornasse a farle visita.
Mentre accendeva il bollitore le venne in mente il piccolo show che aveva improvvisato poche ore prima per il nipote, e si accorse di sorridere.
– Che zia poco seria che sono… –
ma non ci credeva tanto neanche lei. Era felice di averlo fatto, l’aveva fatta star bene e sicuramente aveva fatto stare lui ancora meglio.
– E poi sono una zia acquisita, dai… Che vuoi che sia –
Poi le tornarono in mente le email del Conte (ormai nella sua testa lo chiamava così, dopo tutto non aveva altri riferimenti) così, più per curiosità che per altro, controllò la casella email.
C’era una email con orario 00.01:

Primo Ordine
Ciao Moky,
la tua punizione &egrave terminata, spero sinceramente che non mi mancherai più di rispetto.
Lo spero soprattutto per te.

Oggi ti darò un ordine, e tu lo dovrai eseguire alla perfezione.
Come regola generale, ogni volta che esegui un mio ordine, entro la fine della giornata devi scrivermi e raccontarmi tutto.
Ho detto devi.

L’ordine &egrave questo:
1- devi fare sesso con il tuo compagno, all’inizio del rapporto devi invitarlo a soddisfare su di te ogni sua fantasia e devi dire sempre sì, ad ogni sua richiesta
3- ogni volta che ti tocca il lobo sinistro devi dire: ‘sono la tua troia’
4- avvicinati quanto vuoi all’orgasmo, ma non devi venire, mai

Non deludermi.
Il Conte

Moky era allibita.
Non capiva cosa potesse passare per la testa di una persona per sognarsi di scrivere cose del genere. Frasi del tipo ‘Non deludermi’, ‘Ho detto devi’ o ‘Lo spero per te’ la facevano sentire strana.
Tutta la email a faceva sentire strana.
Era come se il solo tono imperativo con il quale venivano impartiti quegli ordini fosse di per s&egrave sufficiente a giustificarne l’esistenza.
Non rispose alla mail, anzi, la cancellò.
L’acqua ormai stava bollendo, chiuse il gas, versò l’acqua in una tazza e immerse la bustina di camomilla.

Mentre lasciava in infusione la bustina, sebbene fosse fermamente intenzionata ad ignorare quella stramberia, si sorprese a chiedersi in quale modo Franco avrebbe approfittato della situazione. Non avevano mai parlato delle sue fantasie a letto, per lo meno mai seriemente.
– Chissà cosa mi chiederebbe di fare, se lo spingessi a lasciarsi andare… –
A Franco piaceva farselo succhiare, ma come a tutti gli uomini, e gli piaceva prenderla da dietro… In effetti non le veniva in mente niente che potesse darle qualche indizio di cosa avrebbe potuto sentirsi chiedere.
Sicuramente ne aveva di fantasie, ma quali…?
Questo ipotetico ‘salto nel buio’ la intrigava…
Dopotutto era suo marito, perch&egrave non sapeva quali erano le sue fantasie più nascoste?
– Perch&egrave certe cose forse &egrave meglio che rimangano nascoste… –
Forse era meglio, sì.
E poi quella cavolata del lobo… Era certa che Franco si sarebbe messo a ridere senza più fermarsi.
Ormai sbadigliava da cinque minuti, posò la tazza e raggiunse la camera da letto.
Prima di dormire posò un ultimo sguardo su suo marito.
– Chissà cosa ti piacerebbe fare… maialone… –
Con questa domanda che le girava per la testa aveva preso sonno.

Il giorno dopo si era svegliata bene, si sentiva attiva e riposata. Mentre Franco ancora dormiva si era alzata, e sotto la doccia aveva capito che era una di ‘quelle’ giornate, una ‘giornata perfezione’.

Aveva coniato il termine ‘giornata perfezione’ quando ancora frequentava il liceo.
Per tutti gli anni delle superiori aveva portato avanti una miriade di impegni: la scuola, la squadra di pallavolo e le lezioni di pianoforte. Per il divertimento aveva poi gli amici, il moroso e, ovviamente, gli ‘svaghi’.
C’erano giornate intere nelle quali non aveva un minuto libero che non fosse in bagno (per le fisiologiche visite) o in tram/autobus (per gli spostamenti).
Quelle giornate la galvanizzavano: la spronavano a far uscire il meglio di sé e la facevano sentire una ‘donna in carriera’, ormai già matura e in grado di organizzare la propria vita.
Tra tutte quelle giornate, però, ne spiccavano alcune per una importante caratteristica: poco dopo il risveglio si sentiva investita da una carica produttiva enorme, sentiva come un prurito ai palmi delle mani e una voglia di fare incontenibile.
Quelle erano le ‘giornate perfezione’: giornate nelle quali riusciva a fare tutto e bene, e il più delle volte riusciva anche ad anticipare parte dei compiti o degli esercizi dei giorni seguenti.
Ciclicamente le capitavano ancora, e con il lavoro, un marito, due figli e una casa da tenere in ordine erano giornate benedette.

Così Moky era uscita dalla doccia con il sorriso sulle labbra, la schiena dritta e la mente impegnata a pianificare alla perfezione la giornata. Il piano d’attacco era suddiviso in dieci fasi:
1- preparare la colazione
2- prepararsi per andare a lavoro
3- sistemare la cucina
4- andare a lavoro
5- in pausa pranzo andare a fare una spesa veloce per una cenetta intima
6- dopo il lavoro tornare di volata a casa
7- pulire cucina e soggiorno
8- preparare la cenetta
9- farsi bella per suo marito
10- cenetta

Con i bambini ancora al mare dava per scontata anche la fase 11 anche se non era in lista, quello era piacere e veniva dopo, se doveva venire.
Però lo sperava.

Ultimata la fase 7 della sua lista mentale si era approcciata ad una cucina perfettamente pulita per preparare la cena.
Aveva organizzato tutte le materie prime e tutti gli strumenti davanti a sé sull’ampia penisola della cucina, e come un chirurgo era pronta ad ‘operare’ per preparare una cenetta speciale.
Il menù era semplice: antipastino di rucola melone e crudo, da accompagnare ad una bottiglia di Franciacorta ghiacciata (ovviamente la bottiglia era in frigorifero già da due ore, poco prima di servirla l’avrebbe lasciata una ventina di minuti nella ghiacciaia).
Il secondo era un filetto di angus appena appena scottato (bleu, come piaceva a Franco) con contorno di patate tagliate a rondelle sottili sottili passate in padella per renderle croccanti e dorate.
Per il secondo aveva preso una bottiglia di Valpolicella. Inizialmente era combattuta se prendere o meno una seconda bottiglia, era raro che ne finissero anche solo una, ma la serata era fresca, i bambini al mare e ed era in una delle sue ‘giornate perfezione’… non aveva intenzione di rischiare di rimanere senza vino per il secondo. Così l’aveva aperta subito per farlo respirare.
Preparati l’antipasto e il contorno aveva deciso di sistemare la tavola in soggiorno, non le andava di mangiare in cucina.
Dalla porta che divideva la cucina dal soggiorno aveva contemplato il suo lavoro, e ne era soddisfatta.
Aveva optato per le tovagliette color crema piuttosto che per la tovaglia, più easy, i piatti erano bianchi e i tovaglioli infilati su anelli di metallo color argento.
Aveva preparato i bicchieri per il bianco, per il rosso e per l’acqua.
Le mancava di farsi bella per il ritorno di suo marito, e anche in quella fase voleva dare il massimo.

Prima di infilarsi sotto alla doccia si era guardata allo specchio.
– Ho un bel corpicino… –
Era contenta di piacersi, ma soprattutto era contenta di piacere. Adorava sentirsi guardata, sorprendere sguardi curiosi, soprattutto quelli rivolti al suo sedere, o ad una scollatura pronunciata o alle sue gambe. Le dava una sensazione di piacere, la facevano sentire padrona della situazione.
– Cosa mi fareste maschiacci…? –
si chiese dandosi un leggero schiaffo sul gluteo. Lo faceva perch&egrave le piaceva ammirare quanto poco vibrasse la sua carne una volta percossa. Le vibrazioni erano molto contenute, si propagavano poco e terminavano quasi subito.
Improvvisamente le tornò alla mente la email, nella quale il Conte le proponeva
(le ordinava)
di concedere a suo marito, a letto, qualsiasi cosa volesse.
Con questo pensiero nella mente si era fatta la doccia, chiedendosi ancora una volta cosa le avrebbe chiesto suo marito se gli avesse lasciato carta bianca assoluta.
Temeva che aprire la porta di una stanza della sua mente che era stata (per quanto ne sapesse lei) sempre al buio, e accendere anche la luce potesse essere un po’ pericoloso, non per la sua incolumità fisica, conosceva bene Franco, ma piuttosto per il bene del loro rapporto.
– Quale bestia potrebbe essere in agguato, al buio…? –

Per la cenetta scelse un intimo semplice ma d’effetto: una coulotte molto ristretta (o una brasiliana un po’ abbondante, secondo lei i due prodotti sfumavano uno nell’altro) bianca con un reggiseno un po’ ‘strizzante’. Sopra indossò in vestitino di lino, bianco, sfiancato, scollato sufficientemente da mostrare il solco tra i seni e sufficientemente lungo da dare un perch&egrave ai due profondi spacchi che le arrivavano fin quasi alla redice delle cosce.
Quello spacco sarebbe stato una specie di calamita per lo sguardo di chiunque, figuriamoci per qualcuno con un paio di bicchieri di vino in corpo.
Inoltre le cuciture leggermente spesse della coulotte si intuivano sotto al leggero tessuto del vestito.
Si sarebbe mossa in continuazione intorno al tavolo, per un motivo o per l’altro, con il fine di attirare il suo sguardo, ma soprattutto con il fine ultimo di sentirsi desiderata.
Voleva sentirsi ammirata.
Terminava il quadro un paio di sandali beige con un po’ di tacco.

Franco era tornato in orario ed era stato entusiasta all’dea della cenetta intima, si era fatto subito una doccia e l’aveva raggiunta in cucina. Avevano aperto il Franciacorta in cucina e si erano serviti il primo, generoso, bicchiere.
Si era creato un clima stupendo, chiacchieravano di tutto, ma soprattutto dei figli. Li avevano anche chiamati colpiti da un raptus di nostalgia.
Non capitava spesso che avessero un momento per loro, sembravano due sposini alle prime armi.
Franco non smetteva un secondo di baciarla e di farle notare quanto fosse bella e sexy. Moky, dal bozzo che si sentiva premere a livello del basso ventre ogni volta che la abbracciava, capì subito due cose:
primo: che la fase 11 era assicurata
secondo: che la fase 10 sarebbe saltata, se non si fosse sbrigata a portarlo in soggiorno per la cena.

La prima bottiglia coprì a malapena l’antipasto e alla fine del filetto era quasi andata anche la seconda. Erano alticci tutti e due gli sguardi che si lanciavano mentre chiacchieravano presagivano un dopocena ottimo e all’altezza delle aspettative di Moky.
La sua tecnica di moversi in continuazione aveva funzionato, Franco ormai non le guardava che il fondoschiena ogni volta che gliene dava la possibilità. Così, mentre sparecchiava, la prese e la sedette sulle gambe e le disse
‘Non sai cosa ti farei oggi…’
A Moky tornarono in mente i pensieri che aveva avuto sotto la doccia, e la decisione fu presa in una frazione di secondo.
Lo guardò con un mezzo sorriso, quasi di sfida, e si avvicinò al suo orecchio sussurrandogli
‘Ah sì…? Perch&egrave allora non me lo fai? Perch&egrave allora non mi fai tutto quello che vuoi…?’
lui parve spiazzato, non si aspettava una risposta del genere, detta così
‘Eh? Sul serio…? Io…’
un attimo di esitazione, Moky se lo aspettava.
Si alzò, lentamente, per fargli vedere bene il fondoschiena, e si diresse in cucina.
Giunta alla porta lo guardò, sempre con quel mezzo sorriso, e disse
‘Se ci vuoi pensare io sono di là, che preparo il caff&egrave…’
e con questo uscì dal soggiorno.
Mentre la moka era sul fuoco aveva già messo in lavastoviglie i pochi piatti usati e riordinato la cucina.
Non si era aspettata che le saltasse addosso con la bava alla bocca, ma si era aspettata per lo meno un po’ più di entusiasmo per l’offerta che gli aveva appena fatto.
– Forse Franco &egrave troppo buono per approfittare della situazione, forse pensa che ho bevuto troppo e… –
in quel momento Franco entrò in cucina e le diede un bacio, come se nulla fosse.
‘Ci beviamo anche un bicchierino…?’
le propose, mentre già apriva l’armadietto che conteneva la loro magra scorta di superalcolici. Prese una bottiglia di Montenegro e una di Jagermeister e le appoggiò sul tavolo, di fianco alle tazzine che aveva preparato lei.
‘Volentieri, tanto ormai io sono bella andata…’
disse, ma subito se ne pentì. Se Franco aveva tentennato per la paura che fosse troppo ubriaca per capire cosa stava dicendo, questo l’avrebbe bloccato ancora di più.
‘… e ho voglia di fare festa, di lasciarmi andare. Anche tu…?’
aveva corretto il tiro. Adesso stava a lui.
‘Sai, prima mi hai spiazzato. Non mi aspettavo una proposta del genere…’
‘Hai pensato che scherzassi…?
‘Un po’… ma poi ho avuto paura di cosa avresti potuto pensare di me…’
– Ah, era questo… beh ma allora… –
Moky prese un bicchierino, lo riempì fino all’orlo di Jagermeister e lo bevve tutto in un sorso. Poi lo riempì ancora e glielo porse con un sorriso, dicendo
‘Senti perch&egrave non ti bevi questo, intanto…’
lui obbedì, in un sorso
‘… e poi non mi fai tutto quello che vuoi? Tutto quello che hai sempre sognato di fare ad una donna, senza vergogna e senza limiti. Sono io a chiedertelo.’
In quel momento la moka cominciò a borbottare, quindi Moky fu costretta a girarsi per spegnere il fornello.
Quella fu l’ultima operazione della giornata che eseguì di sua volontà.

La Nottata
Franco la prende improvvisamente da dietro, un braccio le cinge la vita e la immobilizza contro di s&egrave, l’altro, il destro, le sale verso il viso e con la mano le stringe il collo, non le fa male, ma &egrave una stretta decisa.
‘Sei convinta di volerlo fare? Adesso sono io che non scherzo.’
L’alito sa di liquore, e questo la eccita, perch&egrave non &egrave una cosa da lui, come la piega che sta prendendo la serata, non &egrave una cosa da loro.
Prima che possa rispondere le morde leggermente il lobo sinistro e lei, come rispondendo ad un automatismo, ad un condizionamento, dice
‘Sono la tua troia.’
L’ha detto. Non ci può credere di aver detto al padre dei suoi figli una cosa del genere, ma lo ha fatto.
Lui la gira e la bacia con foga, spingendole la lingua in bocca con forza, senza mollare la presa sul suo collo. Con la mano sinistra le stringe forte il gluteo destro.
– Domani avrò i segni –
pensa, ma non le importa. &egrave eccitata e vuole soddisfarlo in ogni suo desiderio.
‘Cosa mi hai detto?’
Le chiede stringendole un po’ più forte il collo e fissandola negli occhi
‘… che sono la tua troia.’
risponde lei con un filo di voce.
‘Allora in ginocchio adesso.’
‘… sì…’
Si inginocchia mentre lui sposta la presa dal collo ai suoi capelli, raccogliendoli in una coda e tenendoli in tensione.
Lei armeggia con i pantaloni, slaccia il bottone e abbassa la zip.
Ha l’acquolina in bocca, &egrave eccitatissima, non vede l’ora di averlo in bocca.
Abbassa i boxer e si sente dire
‘Senza mani, mani dietro alla schiena’
così mette le mani dietro alla schiena.
Sempre di più sente di perdere il controllo sulla situazione, e questo la eccita ancora di più.
Perch&egrave non le &egrave mai successo.
Franco le afferra la testa con entrambe le mani e comincia un lento dentro fuori dalla sua bocca con il pene ormai completamente eretto.
Le tiene la testa ben salda, lei non la può muovere per accompagnare i movimenti, &egrave lui a muoversi.
Le spinte cominciano a farsi sempre più profonde, andando a stimolarle la salivazione.
‘Non deglutire, la saliva la voglio veder colare.’
Così cominciano a formarsi dei fili di saliva che inizialmente sono sottili e uniscono la punta del pene alla sua bocca, poi cominciano a farsi sempre più spessi e a colare sul mento di lei e per tutta la lunghezza del pene fino allo scroto, dove si forma una colata grossa e spessa che oscilla dalle sue cosce al petto di lei.
Moky lacrima copiosamente e ha il vestito tutto inzuppato dalla propria saliva.
Ogni tanto tossisce e saliva esce copiosa dalla sua bocca, ando ad allargare la pozza vischiosa che ha cominciato a formarsi per terra tra di loro.
In un attimo di tregua le alza la testa e le dice
‘Capisci cosa sto facendo?’
lei &egrave preplessa, non capisce cosa intende, così risponde
‘no…’
‘Mi sto scopando la tua bocca.’
risponde lui, e decidendo che il momento di pausa &egrave finito, le rimette il pene in bocca e ricomincia a muoversi in profondità dentro alla sua gola.
Moky si sente usata, come se fosse uno specie di ‘strumento masturbatorio’ nelle sue mani. Come se fosse solo un ‘buco’ che esiste con l’unico scopo di dargli piacere.
Questo la eccita. &egrave stata lei a volerlo
– Sul serio…? –
e adesso vuole con tutta se stessa continuare ad essere solamente il mezzo attraverso il quale l’uomo che ha di fronte può soddisfare ogni sua fantasia. Ormai le fa male da morire la mandibola e le lacrime le impediscono di vedere bene e le danno fastidio. Ma non ci pensa neanche a mollare.
Si chiede cos’altro le farà fare, e muovendo leggermente la coscia si accorge di avere l’intimo completamente bagnato dai suoi umori, era da tempo che non le succedeva.

Franco, o quello fino a poco prima era Franco, le infila le mani sotto alle ascelle e la solleva mettendola in piedi.
‘Togliti il vestito’
le ordina. Lei esegue.
Rimane in intimo con i sandali, Franco ha uno sguardo feroce, la guarda tutta senza dire niente, lei non sa dove mettere le mani, &egrave a disagio come non si &egrave mai sentita in vita sua davanti ad un uomo.
‘Girati e appoggiati al mobile’
Moky esegue e si appoggia alla penisola, offrendo quella che considera la parte migliore di sé allo sguardo famelico del marito.
‘Allargati per me.’
Lei porta le mani sui glutei e li allarga, facendo un po’ scivolare la coulotte nel solco.
Adesso prova vergona perch&egrave sa che si vede quanto &egrave eccitata.
‘Sei bagnata?’
‘… sì…’
‘ti eccita questo gioco?’
‘… sì…’
‘cosa ti eccita di più?’
sa bene di cosa si tratta e risponde
‘… che mi usi per il tuo piacere.’
‘Abbassati le mutande.’
Moky si abbassa le coulotte fradice fino al ginocchio e fa appena in tempo ad afferrare i bordi del mobile che Franco &egrave dentro di lei.
&egrave talmente bagnata che &egrave entrato in un secondo, e quando si muove provoca un rumore forte e umido che la fa vergonare.
&egrave una vergona strana, non la capisce bene.
Dopotutto &egrave normale e giusto che si ecciti facendo l’amore con suo marito. Allo stesso tempo, però, la imbarazza che questo gioco perverso la faccia eccitare come una ragazzina che succhia il suo primo cazzo.
Inoltre sente che rivoli di liquido le scorrono per le cosce, mentre Franco ha cominciato a spingere forte, colpi profondi, di quelli che sa bene che la fanno venire urlando.
Lei lo sa, punta proprio a questo: vuole farla urlare.
Sente che l’orgasmo &egrave ormai vicino. Ma non vuole venire. Oggi vuole essere solo uno strumento di piacere, non vuole provare piacere
– &egrave solo per querto che non vuoi venire…? –
così si sforza di distrarsi, di interrompere l’avanzare del piacere. Lo fa offrendo un altro piccolo spettacolo a suo marito: si afferra i glutei e li allarga un’altra volta, mostrando il suo buchino e imbarazzandosi per il gesto che trova un po’ volgare.
Questo la aiuta a calmarsi.
‘Lo vuoi lì, vero…?’
il suo gesto non era finalizzato a questo, ma non può dirgli di no…
– E perch&egrave non puoi…? –
‘… sì…’
‘me lo devi chiedere’
lei &egrave imbarazzatissima ma lo fa:
‘mettimelo lì…’
‘più precisa’
‘mettimelo dietro…’
‘ancora di più.’
Adesso ha capito cosa vuole sentirsi dire, e lo dice:
‘per piacere, mettimelo nel culo.’
Lui sospira soddisfatto e comincia a premere per farsi strada nel suo ano.
Moky non &egrave la prima volta che lo prende lì, in più &egrave completamente bagnata di umori, quindi non ci vuole molto perch&egrave ce l’abbia tutto dentro.
Lui si muove piano, assaporando la diversa resistenza offerta dal nuovo ambiente, mentre lei ancora si allarga il sedere.
Si vergogna di quello che ha appena detto, e ovviamente questo aumenta la sua eccitazione.
Franco le afferra i fianchi e comincia ad accelerare le spinte, quasi facendolo uscire dopo ogni colpo.
Ad un certo punto lo estrae e commenta
‘Guarda quanto sei aperta.’
lei trae un sospiro di sollievo, stava per godere quando &egrave uscito.
Franco comincia un dentro fuori, alternando i due pertugi, trovando ormai la strada completamente aperta in entrambi.
Moky non lo avrebbe mai permesso in un’altra situazione, ma quella era la serata dedicata a suo marito.
Così resta lì, immobile, a farsi prendere in tutti e due i suoi buchi, tenendosi ben aperta per lui, e cercando di controllarsi per non venire.
Per fortuna &egrave lui a cedere, ed esce da lei dicendo
‘Non voglio venire, non ancora, c’&egrave ancora qualcosa che voglio da te…’

Mentre lei si rialza e rilassa i muscoli della schiena, lui si avvicina e le accarezza una guancia
‘Sei pentita di averlo fatto?’
‘neanche un po’, anzi…’
‘anzi cosa?’
‘Spero non sia finita qui, te l’ho detto.’
‘Mi hai detto cosa?’
Moky sorride, versa altri due bicchieri di liquore e ne porge uno a lui.
Beve il suo tutto d’un fiato, lo guarda negli occhi
‘Che sono la tua troia.’
Detto questo gli prende il pene in mano e comincia ad accarezzarlo per farlo risvegliare del tutto
‘Tu oggi puoi farmi quello che vuoi, per tutto il tempo che vuoi…’
lui beve e fa per afferrarla
” ma adesso devo andare al bagno.’
così si avvia verso il bagno.
Ma lui la segue ed entra in bagno con lei.
‘Falla davanti a me’
Moky sente ancora quella vergogna eccitante farsi strada. Non &egrave tanto il discorso di farla davanti a lui, stavano insieme da troppi anni perch&egrave non fosse mai successo di condividere il bagno mentre uno dei due faceva pipì, era vedere quanto fosse eccitato e quanto il suo imbarazzo aumentasse la sua eccitazione.
‘Ma…’
‘niente ma, tutto quello che voglio, hai detto.’
Così si siede e vede che se l’&egrave preso in mano e si sta toccando, guardandola, con il pene, che ormai ha riaquistato tutto il suo vigore, a pochi centimetri dalla sua faccia.
‘Allargati, voglio vedere bene.’
Moky allarga la vulva e si mostra, mentre un getto di urina scompare dentro al water.
Si sente inondare il viso da altri getti.
– Mi &egrave venuto in faccia mentre pisciavo… –

‘Come stai?’
Nemmeno la doccia rilassante che si sono fatti insieme &egrave riuscita a calmarla. Moky ne ha voglia, ancora, vuole sentirsi ancora un oggetto nelle sue mani. Vuole soddisfarlo ancora, vuole sentirlo ancora dentro di sé. Vuole urlargli ancora in faccia che &egrave la sua troia.
‘Bene’
mente.
‘Pentita?’
‘No, per niente.’
non mente.
Poco dopo dormono entrambi.

Si sente svegliare da una mano impertinente tra le cosce.
– Ma cosa… –
&egrave Franco. Evidentemente non ne ha avuto abbastanza.
‘Cosa sei…?’
le sussurra all’orecchio sinistro, leccandoglielo subito dopo
‘la tua troia’
‘ancora…?’
‘… sì…’
complice l’intontimento del risveglio Moky si sente subito avvampare un’altra volta.
Lei &egrave a pancia in giù, come dorme di solito, e in un attimo lui &egrave sopra di lei, mentre le blocca i polsi alla base della schiena.
Comincia dei lenti movimenti di bacino che lo fanno rizzare a lui e bagnare lei.
Erano nudi, quindi i loro sessi vengono in contatto, lui si distende sopra di lei, mentre continua con quel ondeggiare
‘dimmelo’
‘sono la tua troia’
lui sospira
‘ancora’
‘sono la tua troia’
Moky si sta eccitando, partecipa attivamente ai movimenti del marito, cercando di fargli trovare il passaggio.
Lo trova, e comincia a muoversi velocemente dentro di lei. La trova bagnata e calda.
‘ancora’
‘sono la tua troia sono la tua troia sono la tua troia sono la tua troia’
ormai ha perso compleamente il controllo, lo sente duro e caldo dentro di sé.
Lui continua a tenerle le mani immoblizzate mentre la penetra con forza.
Adesso &egrave lei a chiederlo
‘Dimmelo’
‘sei la mia troia.’
Lei viene, urlando.
Lui viene.
Suona la sveglia.

Così la nottata si era conclusa.
La sveglia li aveva riportati alla realtà.

Adesso Moky ha ricostruito tutto mentalmente.
Ha finito di riordinare casa e tra un paio d’ore deve essere a lavoro.
Ma ha un’ultima cosa da fare. Lo sa.
Non vorrebbe farla. Ma sa che deve.
Accende il pc, accede al suo ‘account alternativo’ e comincia a scrivere

Re: Primo Ordine

Caro Conte,
le scrivo per raccontarle com’&egrave andata…

Ormai lo deve ammettere a se stessa, ha eseguito gli ordini del Conte.
Sa di aver infranto il terzo punto. Non doveva venire.
Freme di eccitazione per conoscere quale sarà la punizione.

STORIA DI UNA RAGAZZA PER BENE

Capitolo 4 – Una lunga attesa e un viaggio nella nebbia

– &egrave quasi Dicembre, ma quando mi scriverà ancora… –

Da quella folle nottata con Franco, Moky non ha più sentito il Conte, ad eccezione di una stringata mail nella quale le comunicava la sua delusione.

… non hai saputo eseguire un ordine così semplice, hai accettato il piacere sebbene se te l’avessi chiaramente vietato.
Sono molto deluso, come inizio dei nostri ‘giochi’ &egrave scoraggiante.

Sinceramente mi sto chiedendo se tu sia la persona che credevo.
Non so quando ti scriverò ancora, non so neanche se lo farò mai.
Da ora sarai solo tu a scrivermi.
Se smetterai di farlo capirò e scomparirò dalla tua vita.

Il Conte

Le aveva detto di non venire, di ridursi a semplice strumento di piacere nelle mani di suo marito, ma lei non ce l’aveva fatta, complici l’intontimento del risveglio e le forti spinte di Franco aveva avuto un orgasmo contemporaneamente a suo lui.

Non si pente assolutamente di quell’orgasmo, anzi, Moky crede che sia stato quello a rendere più “normale” tutta quella strana esperienza, riportando la nottata all’interno di un’ottica più matrimoniale, per così dire.
Però si sente anche frustrata dal fatto che il Conte le abbia quasi sbattuto la porta in faccia.

Sono passati quasi quattro mesi, e in questo periodo Moky gli ha scritto con regolarità, sperando che gli argomenti delle sue mail potessero essere quelli giusti per riportarlo ad avere fiducia in lei.
Non sa neanche perch&egrave si stia impegnando tanto, non sa neanche chi sia il destinatario di queste mail, potrebbe essere un vecchio bavoso che si masturba pensando a lei.
&egrave il suo atteggiamento ad intrigarla, quel comandare, quel farla sentire in colpa e, soprattutto, il fatto che sia sparito sebbene abbia ottenuto un resoconto così dettagliato di una folle notte con suo marito.
Uno che cerca una semplice scopata o, meno ancora, del semplice materiale con il quale masturbarsi, non sparisce così, anzi, batte il ferro finch&egrave &egrave caldo.
Il Conte invece &egrave deluso e lo dimostra negandosi, punendola con la sua assenza, dando per scontato che a lei importi qualcosa.
Un comportamento del genere non &egrave di un maniaco, no, &egrave di una persona speciale che ha in serbo per lei cosa speciali. La vuole guidare ed aiutare.

E lei vuole essere aiutata e portata per mano, lo vuole tanto. Freme tutti i giorni, quando apre l’account di posta ‘personale’, all’idea di ricevere un ordine da lui.
Vuole avere un’altra possibilità di dimostrargli quanto sia brava, quando sia capace di eseguire i suoi ordini e di mandargli poi un resoconto completo e dettagliato.
Vuole che lui pensi che &egrave brava, capace e meticolosa.
Una brava cagnolina.
&egrave così che ha comnciato a vedere se stessa, una brava e buona cagnolina che ha imparato chi comanda e che ormai ama e lecca quella mano che la sa accarezzare ma che la sa anche punire, quando se lo merita.
E lei sa bene di esserselo meritato.

Scrive al Conte ogni volta che ha avuto un rapporto sessuale con suo marito. Gli racconta i più intimi particolari e pensieri. Non descrive il rapporto in termini di posizioni o di prestazioni, lei crede che al Conte non interesserebbero. Piuttosto cerca di analizzare le proprie emozioni.
Da quando suo marito l’ha avuta come schiava per una notte, Moky ha capito che dentro di lei albergano delle emozioni che non conosceva ma che sono sempre state lì.
Ha capito che ogni volta che con un uomo recita la parte della donna inesperta ma volgiosa, non sta solo mettendo l’uomo a suo agio per farlo sentire speciale e farlo eccitare. In reltà sta cercando di mettersi ‘sotto’ a lui, di fargli capire che &egrave lui a comandare.
E poi ha il sospetto che alla base del suo prematuro stufarsi dei suoi ‘svaghi’ ci sia il momento di tenerezza che ha quasi sempre l’uomo per la donna quando sente di essere stato bravo a letto.

Non si &egrave più concessa completamente come quella volta, ma ogni volta che fa sesso cerca di sfruttare al meglio questa nuova consapevolezza per provare piacere e per capire fino a quale punto la sottomissione faccia parte di lei.
Sono mesi che sperimenta e non ha ancora trovato il suo limite.
Sono piccoli particolari e stratagemmi che mette in gioco per esplorare la voglia che ha di mettersi al servizio, di rendersi umile e disponibile. Sono soprattutto questi i particolari che racconta al Conte (e a se stessa) nella mail che invia.

Gli ha raccontato di quelle volte in cui si &egrave sorpresa ad indossare un nastro colorato al collo e farsi prendere da dietro, nella speranza che lui la afferrasse per il nastro mozzandole il fiato.
Si &egrave vista più di qualche volta, tornata dopo una giornata di lavoro, portare a suo marito le pantofole, preparargli la cena, sparecchiare tutto da sola, servirgli il caff&egrave in divano, mettere a letto i bambini, portargli un bicchierino e mentre lo beve inginocchiarsi tra le sue gambe concludendo il servizio con un bel pompino.
La cosa che però la fa vergognare più di tutte, ma che non riesce a smettere di fare, &egrave aspettare che Franco durante un rapporto sia prossimo all’orgasmo e chiedergli di venirle in faccia. Assume sempre la stessa posizione: si mette in ginocchio con la bocca semi-aperta ma senza toccarlo, vuole che lui finisca da solo. Aspetta di essere inondata da quegli schizzi e in quel momento, inevitabilmente, le viene in mente sempre la stessa immagine: un vespasiano. Quando ci pensa le viene da piangere per l’autoumiliazione che si infligge ma contemporaneamente si eccita e la mente si avvicina al “pensiero proibito”, quello che non ammette neanche a se stessa.

– Fosse stato solo con Franco… –
Da quella fatidica notte Moky ha avuto due avventure extraconiugali. In entrambi i casi aveva seguito le sue regole riducendo praticamente a zero le possibilità di essere scoperta. Non era questo ad impensierirla, ma piuttosto la scelta del parthner, in particolare nella seconda avventura, capitata due giorni prima.

Il Sabato precedente era andata ad una cena con i colleghi fuori città.
Il Natale era ancora distante ma considerando i turni quello era stato l’unico week-end papabile quindi la cena natalizia era stata anticipata di un mese.
Tornando, lievemente alticcia e in ansia all’idea di perdere la patente, si era trovata in autostrada, in mezzo ad un banco di nebbia impenetrabile. I fari illuminavano solo un muro bianco a dieci centimetri dalla macchina e aveva ridotto la velocità a 40km/h nel terrore di trovarsi davanti un ostacolo improvviso e di non riuscire a frenare in tempo.
Aveva accolto l’insegna di una stazione di servizio come una manna ed aveva impegnato l’uscita con un misto di sollievo e preoccupazione per l’ora tarda e l’ambiente non proprio dei migliori.
Fortunatamente erano stati molti i viaggiatori che, come lei, si era rifugiati in quell’oasi di luce in mezzo ad un deserto lattescente.
Dopo aver bavuto un caff&egrave al bar aveva avvisato Franco del ritardo e si era messa paziente con gli altri avventori fuori dalla porta, ad aspettare che la nebbia salisse almeno un po’ per tornare a casa, contemplando tutti insieme quel muro che sembrava far terminare il mondo pochi metri più avanti.
Tra quelle persone un ragazzo aveva attirato il suo sguardo in particolare: un tipo sui venticinque con un tatuaggio che spuntava dal colletto del maglione disegnando una fiamma che copriva metà del collo. Trovava quel tatuaggio ripugnante ma allo stesso tempo non riusciva a spostare lo sguardo, le ricadeva sempre sul collo di quel giovane. Aveva i capelli completamente rasati, un piercing sotto al labbro inferiore. Indossava anfibi slacciatim jeans e una giacca di pelle logora e sbiadita. Continuava a fumare e nel complesso il suo atteggiamento risultava sgradevole e poco rassicurante, tanto che nei pochi minuti trascorsi fuori, si era creato un discreto vuoto intorno a lui.

Ad un certo punto aveva rivolto il suo sguardo gelido nella sua direzione e l’aveva squadrata da capo a piedi. Moky indossava un cappottino piuttosto corto che metteva in risalto le gambe fasciate dalle calze e scarpe col tacco ‘da serata fuori’. Non era riuscita a trattenere un brivido quando le si era avvicinato fissandola negli occhi.
“C’&egrave qualcosa che non va con il mio tatuaggio?” le chiese altezzoso
“Ma no, si figuri, solamente mi stavo chiedendo cosa rappresentasse” schivò Moky con prontezza
“Diciamo che dopo due anni di riformatorio me lo sono fatto per ricordarmi di rigare dritto”
“E ha funzionato…?” chiese lei pentendosene quasi subito
“E a te cosa importa?”
“Niente, certo, mi scusi…”
Ma lui se n’era già andato.

Poco dopo si era recata ai servizi, si era data un’occhiata allo specchio ed era uscita. Invece di tornare all’ingresso del bar, a sinistra, aveva girato a destra ed era andata dal lato opposto dell’edificio, per dare un’occhiata a quell’incredibile muro di nebbia senza le luci dell’ingresso.
Davanti aveva cinque o sei file di tir parheggiati che si perdevano gradualmente nella nebbia, uno spettacolo da film sugli zombie, pensò.
Ad un certo punto la sua attenzione fu catturata da dei suoni inconfondibili provenire dall’unica macchina presente, parcheggiata qualche metro più avanti.
Con la complicità della nebbia e di una rientranza della parete larga un paio di metri che l’avrebbe parzialmente nascosta, si era avvicinata con il preciso scopo di guardare. Non aveva mai visto un’altra coppia farlo, era curiosa ed eccitata.
Riconobbe immediatamente la coppia: due sui trentacinque che poco prima erano al bar. Lei era inconfondibile per la capigliatura pesantemente ossigenata, ma anche per il seno generoso. Lui era seduto al posto di guida e lei gli stava sopra cavalcandolo come un’indemoniata. Il grosso seno sbatteva in faccia all’uomo mentre lo afferrava con forza affondando di molto le dita in quella morbida carne.

“Mai vista una guardona donna”
Moky ebbe un sobbalzo e per un attimo non gridò, riuscì a trattenersi perch&egrave riconobbe la voce. Si girò di scatto e si trovò davanti il tatuato di prima.
Quando si era nascosta nella rientranza, tutta presa dalla voglia di vedere, non si era accorta che quella specie di nicchia era già stata occupata.
“Guarda pure, non voglio rovinarti lo show” continuò lui con un mezzo sorriso.
Detto questo si era girato verso la macchina senza aggiungere altro.
Così anche lei aveva continuato a spiare la coppia.
In quel momento gli stava dando le spalle e un brivido di eccitazione la stava pervadendo, da un lato stava guardando due fare roba dal vivo, dall’altro lo stava facendo in compagnia di uno sconosciuto.
Avrebbe tanto tanto voluto andarsene, in due o tre minuti avrebbe riguadagnato la compagnia di altra gente ‘normale’ e sarebbe stata fuori pericolo. Ma dall’altro la situazione era troppo eccitante e voleva vedere come si sarebbe evoluta. Tutto sommato se avesse gridato la coppietta in macchina l’avrebbe sentita e anche gli altri davanti all’ingresso del bar.
La bionda adesso si era afferrata le grosse mammelle e gliele metteva in bocca alternandole, prima una e poi l’altra, senza smetterla di muoversi sopra di lui.
“Sembravi tanto una donnina di casa, poi ti sorprendo a spiare due che scopano”
“Perch&egrave tu invece cosa stai facendo?”
“Qualche minuto fa facevo quello che fai tu, adesso invece…”
“Cosa ‘adesso invece’?”
“Adesso invece ce l’ho duro e qui ci sei tu.”
La sua mano era scattata all’improvviso, l’aveva afferrata per un braccio, girata, presa per il collo e sbattuta al muro.
– Eccolo… –
Non le impediva di respirare, ma la stretta era decisa, forte… qualcosa dentro di lei era scattato.
Si sorprese a pensare che avrebbe potuto stringere di più.
“Hai voglia di cazzo, troia?”
Lei invece di ripondere si era aperta il cappottino e aveva alzato la gonna quel tanto da mostrare un dito di autoreggenti. La presa di lui si era fatta più forte mentre le guardava le gambe con gli occhi sgranati.
Moky non respirava più e si vergognava da morire all’idea di gocciolare umori giù per le cosce. Era eccitata come non lo era più stata da quella notte.
Un pensiero le era ben chiaro in testa, non doveva essere una semplice scopata all’aperto contro un muro, voleva essere usata, voleva umiliarsi, voleva vedere se riusciva finalmente a toccare il fondo.
“Dimmi solo cosa vuoi”
lo disse guardando verso il basso, mesta e rassegnata, voleva apparire rassegnata al suo status di troia.
Sì, voleva sentirsi la troia di uno sconosciuto.
Solo così si sarebbe capita, solo così avrebbe finalmente messo la parola fine a quel periodo di sperimentazioni che però non arrivavano mai dove voleva lei.
Dopo quella esperienza con quell’avanzo di galera sarebbe stata finalmente libera.

Come aveva sperato il tatuato non si era fatto spiazzare dalla sua arrendevolezza, anzi, sembrava che se lo aspettasse. Come tante volte aveva notato nella sua vita, le persone più semplici avevano la capacità di percepire le situazioni in maniera più diretta, senza tanti fronzoli e tanti ripensamenti.
Evidentemente quel tipo sconosciuto l’aveva capita al primo sguardo, e quando gli si era presentata l’occasione non se l’era fatta scappare.
La mano che ancora le stringeva il collo l’aveva spinta verso il basso mentre l’altra armeggiava con i bottoni della patta. Una volta tirato fuori gliel’aveva guidato immediatamente in bocca, mentre cambiava presa dal collo ai capelli. Aveva cominciato a muoversi in profondità dentro verso la sua gola con ritmo costante.
“Adesso anche la tettona ha la bocca piena di cazzo”.
Quando alzò gli occhi non lo vide intento a godersi lo spettacolo del proprio membro che le spariva in bocca, lui guardava in direzione della macchina: si scopava lei ma gurdava l’altra.
Pensare che si stava concedendo ad un tipo che preferiva guardare un’altra (tra l’altro con il seno molto più grande del suo) la faceva sentire male, umiliata, una specia di ‘macchina per i pompini’.
– &egrave quello che mi merito… e che voglio. –
Era eccitatissima.
“Dai troia, in piedi adesso” disse mentre la tirava per i capelli
“Lo vuoi prendere, vero?”
lei non rispose, per sfidarlo.
Lui intensificò la presa ai capelli facendole male
“Vuoi il cazzo dentro o no?”
“Sì”
“Girati e solleva tutto, voglio vederti bene”
Moky si girò e sollevò prima il cappotto, poi la gonna mostrando le autoreggenti e il perizoma neri, quest’ultimo fradicio di umori
“Che bel culo… Lo dai mai a tuo marito?” disse lui scostando il perizoma e appoggiandosi all’ingresso del buchetto.
Lei ancora una volta non rispondeva così lui la tirò forte per i capelli avvicinandole la bocca all’orecchio e affondandole di colpo mezzo pene nell’ano.
“Se ti faccio una domanda tu mi rispondi, chiaro puttana?”
“Sì”
“Sì cosa?” commminciando a muoversi dentro di lei e allentando un poco la presa
“Sì ho capito… e sì, do il culo a mio marito.”
“Ecco, brava. E ti piace prenderlo nel culo?”
“Sì mi piace… se lo fai forte…”
“Avevo capito subito che eri una troia.”
Detto questo aveva cominciato a muoversi con forza, affondandolo tutto e togliendolo, quasi.
Dal piacere Moky sentiva cedere le gambe.
“Continua a guardare la tettona mentre ti inculo”
Così, piegata in avanti Moky continuava a ricevere colpi fortissimi, mentre le tirava i capelli e grugniva soddisfatto.
La bionda adesso era tornata a cavalcare il suo compagno per quello che sembrava lo sprint finale. Era tutta rossa in viso e il seno le sbatacchiava di qua e di là mentre gemeva a volume sempre più alto.
Intanto il tatuato l’aveva agguantata per i fianchi e spingeva sempre più forte. Moky era appoggiata al muro e sbatteva ad ogni colpo con la guancia, mentre vedeva la bionda godere soddisfatta strizzandosi i grossi seni.
Quando anche lei era prossima all’orgasmo
“Sto per godere, dove lo vuoi?”
“In faccia” senza un attimo di esitazione.
Così mentre lui usciva lei si era affrettata a girarsi a ad assumere la sua posizione, pregustando l’umiliazione e quindi il piacere.
Il tipo doveva essere a secco da un bel po’ perch&egrave la inondò come non le era mai successo prima. Era chiaro che non le sarebbe mai bastato un fazzolettino per pulirsi.
“Beh stammi bene donnina di casa”.
Detto questo rimase da sola: in ginocchio, con la gonna tirata su, l’orgasmo negato, il sedere indolenzito, dei segni sul collo per i quali avrebbe dovuto trovare una buona spiegazione e viso, collo, vestito e cappotto imbrattati di sperma.
– Se questo non &egrave il fondo… –
Ma non lo era.

Si era sistemata alla meglio e si era rifugiata in bagno per finire il lavoro, per fortuna il bagno era deserto e in pochi minuti aveva cancellato quasi completamente ogni segno.
Mentre era davanti allo specchio a pettinarsi (in realtà a verificare che non ci fossero tracce di sperma visibili), le si era avvicinata la bionda della macchina.
“Abbiamo condiviso qualcosa oggi, io e lei.”
Moky era avvampata.
“Non stia a vergognarsi, la prego, non volevo metterla in imbarazzo. Dopotutto lei ha visto me all’opera e io ho visto lei prenderlo da quel giovanotto dall’aria equivoca. Non le nascondo che la vostra presenza &egrave stata un valore aggiunto, e immagino sia stato lo stesso per lei.”
Moky non sapeva cosa dire, si limitò ad annuire.
“Questo &egrave il mio numero. Io e mio marito da tempo pensiamo di rendere le cose, diciamo, più ‘piccanti’ e lei &egrave entrata con naturalezza nei nostri giochini. Se le interessa mi contatti, io sono Sara, buonasera.”
Detto questo la bionda se ne uscì dal bagno.

Il giorno dopo Moky apre come al solito la posta ‘alternativa’, ma questa volta c’&egrave una mail ad aspettarla.

Terzo contatto

Bene Moky,
ho deciso di darti un’altra possibilità…

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