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Racconti Erotici Etero

Studiare in biblioteca

By 26 Ottobre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

In previsione dei prossimi giorni, dedicati completamente all’accudire la mia pupilla, mi accordai col mio ragazzo per vederci oggi in biblioteca, a mezzogiorno spaccato. 

 

Non vi è luogo che io preferisca alle biblioteche, nelle giornate grige e uggiose: la luce calda delle lampade, la temperatura perfetta per lo studio e i rumori soffocati degli studenti favoriscono la mia concentrazione.

 

Il suo arrivo fu  di poco seguente al mio e, posata la borsa con il portatile, mi chiese di uscire con lui, di fargli compagnia mentre si concedeva una sigaretta. All’aria aperta, mentre rabbrividivo in attesa che quella maledetta bruciasse in fretta, parlammo di cose di poco spessore intellettuale. 

 

Poche ore prima avevo avuto una lite con un’amica, riguardo ad una cena che aveva organizzato e che andava a coincidere con il giorno del mio compleanno, quindi stavo facendo un breve resoconto del suo opportunismo, dato che avrei dovuto saldare il conto e si era permessa di invitare una persona a me antipatica.

 

Mi stringevo nel magione a collo alto, osservando il vapore del mio fiato condersarsi di fronte a me e sui miei occhiali da vista; in un gesto cavalleresco, mi offrì la sua giacca, aspettando pazientemente che esaurissi il fiume di parole intercalate d’insulti a mezza voce.

 

“Rientriamo?” accolgo la sua proposta quasi fosse una chiamata per il Paradiso: sospingo il portone di legno massiccio e mi schianto contro un muro di calore. Da tredici a venticinque gradi centigradi in un passo. Boccheggio, spogliandomi subito dell’indumento prestatomi “Accidenti, che sete” commento, dirigendomi verso i bagni, mentre lui mi segue placido, fungendo da attaccapanni.

 

I servizi sono deserti, come anche la fontanella di acqua potabile “Adoro la civiltà” commento, chinandomi a bere; dietro di me, il mio uomo mi attende serafico. FIn troppo. Dopo un paio di sorsi, sento un dito tamburellare sulla spalla: mi volto, e in quella mi stringe la vita con un braccio “Vieni”. Lo pronuncia con voce così bassa che vorrei replicare “Cosa hai detto?”, ma il suo sospingermi verso la stanza riservata ai disabili mi fa sospettare le sue intenzioni.

 

Getta la giacca di traverso sul lavandino e gira la chiave. Mi appoggio al muro piastrellato, sollevando lo sguardo: è il muro portante di una volta; posso dire di apprezzare sinceramente il riutilizzo di antichi edifici ad usi pubblici – non c’è pericolo che uno dei soliti perditempo si metta a spiare e a riferire tempestivamente a qualche autorità l’uso improprio, se lo è, della toilette.

 

Quando mi bacia, affondando una mano nei capelli per tenermi la nuca e impedirmi di urtare il muro dolorosamente; a mia volta eseguo lo stesso movimento, ma per tenere le sue labbra premute sulle mie.

 

Lottiamo ognuno con la lingua dell’altro, avvolgendole tra loro e solleticandone la punta, in una sfida senza vincitori. Con la destra mi slaccia i jeans senza difficoltà, grazie all’esperienza consumata; non lo fermo e non mi ritraggo nel sentire le dita gelide sul clitoride, anzi, è un piacevole sollievo.

 

Gioca con quello, toccando la pelle che lo ricopre, muovendola lungo la nervatura, già rigida; ansimo, pregandolo di non smettere. Infila una falange tra le piccole labbra per saggiare la mia eccitazione; la percepisco come un cubetto di ghiaccio e muovo il bacino per aumentare la sensazione di freschezza, lasciare che il suo palmo prema contro il mio sesso.

 

Lo bacio, aggrappandomi a lui, lasciandolo libero di fare ciò che desidera; inserisce un altro dito, preme con forza contro le pareti della vagina, facendomi gemere; accompagno il suo gesto con movimenti complementari, cercando l’orgasmo. Non smette di baciarmi il collo, il viso, la bocca mentre mi chiede di venire, a fior di labbra.

 

Lo accontento, inarcando un’ultima volta le reni per poi abbandonarmi contro di lui, le ginocchia tremanti. Mi risistema i pantaloni “Ora che sei più tranquilla, corri a studiare e non pensare più a quella stronza.”; mi fa uscire ancora un po’ intontita e accompagna il mio passo oltre la soglia con uno schiaffetto sul sedere “Tesoro, hai un segno sui pantaloni”, mi canzona, angelico, nel lavarsi le mani. Gli faccio spallucce ed un sorriso, varcando la soglia comune e immergendomi di nuovo nel microclima tropicale dell’edificio.

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