Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Suaviter acquiescere

By 7 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ai miei tempi si parlava ancora della goliardia come di un certo modo di vivere.
Da qualcuno i ‘goliardi’ erano ritenuti spensierati, sempre allegri, donnaioli, amanti di un certo linguaggio libero e di tiri burloni.
Ciò rispondeva alla realtà solo in alcuni periodi, molto brevi.
Per tutti, del resto, c’&egrave sempre un’oasi di serenità nel tumultuoso deserto della monotonia quotidiana.
Per la maggior parte del tempo, gli universitari erano preoccupati, incazzati, e quasi sempre le loro conquiste femminili erano semplici acquisti di qualche minuto di sesso, frettoloso e arido, in postriboli a basso prezzo, dove le zaffate di trascurata igiene si diffondevano generosamente.
Le ‘signorine’ molto spesso, troppo spesso, dovevano occupare gran parte del tempo ‘marchettato’ per rendere tollerabili sopportabili, perfino da loro, falli orfani di quotidiane abluzioni.
La cosiddetta ‘libertà di linguaggio’ era, tutto sommato, una specie di gergo adottato per sentirsi ‘gruppo’.
Un’altra cosa, in genere, li accomunava: cronica mancanza di denaro, per cui una sigaretta, magari una ‘popolare’ era spesso passata di bocca in bocca.
In compenso, si studiava abbastanza.
Non c’erano discoteche a distrarli.
Le pizzerie non erano molte, e per le nostre tasche erano care. Solo a Napoli era possibile, con mezza lira, mangiare una pizza calda calda che i venditori ambulanti offrivano in continuazione: margherita, marinara. O fritta.
A Roma, c’era qualche rosticceria con supplì a prezzo accessibile.
Io alcune lira le avevo, anche perché non fumavo.
Quello che tormentava insistentemente, e vi assicuro eravamo in molti, era il perenne e mai completamente soddisfatto appetito sessuale.
Una botta e via, al casino, non poteva essere appagante.
Le ragazze, e non tutte, gradivano pomiciate (altrove si chiamano limonate) anche ardimentose, ma la loro ossessione era l’integrità dell’imene: una sorte di dote che, in effetti, era la conditio sine qua non per convolare a giuste ed equilibrate sistemazioni coniugali.
Forse perché lontane dal controllo familiare o da critiche paesane, una sia pure parziale disponibilità l’ho riscontrata nelle ‘immigrate interne’, quelle che venivano da altre regioni ed ho potuto constatare che più difficili erano le comunicazioni col loro paese, più generosa era la loro accondiscendenza.
E’ inutile stare a dire da dove veniva Cristina, non ha alcuna importanza. Era, comunque di una piccola frazione interna della sua regione. L’Università di Roma, l’Ateneo dell’Urbe, era per loro un miraggio. Per questo avevano deciso, in famiglia, di consentirle di trasferirsi, anche per compensarsi della delusione provocata dal primo figlio, che aveva smesso di andare a scuola subito dopo le elementari.
Cristina, del resto, era già stata lontano da loro, nel vicino Capoluogo, presso le suore, per frequentare ginnasio e liceo.
A Roma avrebbe condiviso con la cugina, Grazia, un appartamentino, molto modesto, non lontano dalla Stazione Termini.
Una bella brunetta, piccolina, con un corpicino fantastico. Figuriamoci come era sotto i panni!
Cordiale, amichevole, pronta ad ascoltarti, a rispondere solo se interrogata.
Un temperamento che manifestava un indubbio carattere ardente, rivelato dai suoi occhi neri e sfolgoranti.
Io qualche ‘passaggio’ esplorativo l’avevo avanzato. Ma tutto era così difficile’
Le proposi di andare al cinema.
Quasi di fronte a casa sua c’era il ‘Volturno’, non era caro, me lo potevo permettere.
Accettò, e la scelta dell’ultima fila della galleria non le fece sollevare obiezioni.
Il cinema rispondeva ai più moderni dettami architettonici e tecnici: da quei posti, lassù, in alto, si vedeva perfino lo schermo, e bene, e l’acustica era quasi perfetta. Di ciò a me non interessava nulla, e mi accorsi che anche Cristina non poneva al primo posto delle sue attenzioni il contenuto della pellicola, e tanto meno il dialogo.
Non partii subito all’attacco, malgrado la mia tensione, ma le carezzai la manina, la lasciai distrattamente cadere sulla mia gamba, mentre, a dispetto del maledetto bracciolo che ci separava, le cinsi la vita, la strinsi a me, la sbaciucchiai sulla gota, giunsi alle sue labbra che m’accolsero deliziosamente, e iniziai uno scientifico palpeggiamento della piccola e soda tetta, con contorno di strizzatine di capezzolo.
A me piaceva un fottìo, e sentivo che lei partecipava attivamente.
Era giunto il momento di far entrare in azione l’altra mano.
Piccola stretta di coscia, carezza verso l’alto, palmo aperto tra le cosce che si dischiusero appena. Insistere nella carezza, premendo un po’.
Sentivo, attraverso gli abiti e la biancheria intima, il boschetto del suo pube, e il delinearsi delle sue grandi labbra.
Fase successiva.
Prosecuzione sulla tetta e cauta introduzione dell’altra mano sotto la gonna, scostamento prudente delle mutandine, carezzamento a pelle.
La metodica, cio&egrave il procedimento che segue criteri sistematici in vista di uno scopo, ha le sue regole, e i suoi tempi.
Quindi, timida introduzione del medio tra le grandi labbra, sempre con calibrati movimenti delicati, incontro col clitoride, accertamento del tasso di gradimento.
In quel caso, gradimento massimo, era ben turgido e palpitante e vibrava al lieve tocco del mio dito. Intanto, anche il resto della mano s’era fatto spazio, e il dito sfiorava le piccole labbra, l’umido ingresso della vagina.
La mano di Cristina si poggiò sulla mia, le sue labbra si staccarono dalle mie per sussurrare qualcosa.
Fa piano, Giorgio’ attento a non rovinarmi’ sono vergine’ prosegui con dolcezza’ tanta dolcezza”
Riprese a baciarmi, succhiando avidamente la mia lingua, e a dimenare lentamente il bacino mentre seguitavo la manovra vagino-clitoridea che la stava portando all’orgasmo.
Era il momento di prendere la sua manina e portarla sul gonfiore sempre più prepotente della mia patta. Nel contempo slacciai alcuni bottoni, la sospinsi dentro.
Entrò timidamente nell’apertura delle mie mutandine e afferrò l’incontenibile erezione che sfuggì ad ogni controllo, fuoriuscendo del tutto.
Era delizioso quel suo lieve scappellare e rialzare il prepuzio sul glande.
Mi resi conto che dovevo impedire l’inondazione che stava per sopraggiungere, misi la mano in tasca e presi il fazzoletto, lo avvicinai al fallo, Crstina, aiutata da me, l’aprì, lo avvolse intorno all’asta, seguitò la sua manovra.
Nello stesso momento, soffocò sulla mia spalla il grido che stava per sfuggirle e strinse bene il fazzoletto per impedire lo straripare del mio seme.
Le mordicchiai l’orecchio.
‘Sei meravigliosa, Cristina.’
‘Mi fai morire dal piacere, Giorgio!’
‘Andiamo a casa tua, piccola?’
‘Cosa vuoi fare?’
‘Nulla che tu non vorrai.’
‘Me lo prometti?’
‘Promesso, andiamo?’
‘Andiamo, Grazia &egrave a casa di un’amica.’
^^^
Due camere, non grandi e una cucina, abbastanza ampia. Bagno con doccia.
Ognuna studiava nella propria camera.
Tutto molto pulito e in ordine, per la verità.
Mi invitò a sedere nella poltrona ai piedi del letto.
Venne sulle mie ginocchia.
Mentre la baciavo, cominciai a slacciarle la blusetta.
Lasciò fare.
Quando cercai di levargliela, collaborò volenterosamente.
Fu la volta del reggiseno.
Due bellissime coppette, scure, con grossa areola, e stupendi capezzoli.
Iniziai a ciucciarli, uno alla volta.
Le mani sganciarono la gonna, la spinsero in basso, si mosse in modo da farla scivolare sul pavimento. Tornò a sedere sulle mie ginocchia, sarebbe più esatto dire sul promontorio formato dal mio impaziente fallo, schiacciato nei pantaloni. Sentii il suo culetto prensile, che lo aveva accolto, così come poteva.
Cercai di sfilarle le mutandine.
Mi trattenne la mano.
‘Hai detto che saresti stato buono!’
‘No, ho detto che non avrei fatto nulla che tu non volessi.’
‘E cosa ti proponi, ora?’
Baciarti, dovunque.’
Mi guardò, severa.
‘Ti fermerai lì?’
‘Quando vorrai.’
Si alzò, tolse le mutandine.
Spettacolo incantevole, un culetto da sogno, bello, tondo, disegnato mirabilmente, e un bosco nero e folto.
La spinsi delicatamente, perché sedesse sul letto. Mi tolsi la giacca, la cravatta.
Mi guardava aggrottando la fronte.
Mi fermai. Le sorrisi.
Le ghermii le tette, e la feci sdraiare, infilai la testa tra le sue gambe, me le feci porre sulle spalle, e iniziai una delle più belle leccate della mia vita, talmente trascinante che chiamarla col nome scientifico, cunnilinguo, &egrave proprio un peccato!
Cristina prese subito a sobbalzare, mi carezzava la testa.
‘Ti prego, Giorgetto, sta attento con la lingua, non spingerti troppo!’
Ma le piaceva sentire che le lambiva il clitoride, che girava nell’ingresso della sua vagina sempre più palpitante, inarcava il bacino e dovevo essere io a curare che non la penetrasse, per fugare ogni suo timore.
A mano a mano che proseguivo nel mio esercizio orale, che conducevo con la massima diligenza, iniziò sommessamente a mugolare, poi dalle sue labbra semichiuse, uscì un lungo e roco rantolo.
‘Gior’ gior’ stò per’ per’ ven’ ven”
Ora balbettava.
La guardai.
I suoi occhi s’erano riempiti di lacrime.
Ansimava, sempre più forte,
Sembrava presa dalle convulsioni.
Il mio volto era nascosto nei suoi riccioli neri.
Un lungo urlo, seguito da un singulto, sottolineò il suo orgasmo.
Non la lasciai, seguitai’
Ancora un altro e più squassante segno del suo voluttuoso godimento.
Mi alzai, tersi la bocca col dorso della mano, sedetti accanto a lei.
Mi abbracciò.
Il suo volto era tra l’estatico e lo stravolto.
Le sue labbra erano vicine alle mie orecchie.
La sua voce come affaticata.
Seguitavo a carezzarla, sul seno, sul ventre, sulle gambe.
‘Giorgetto, voglio che anche tu sia contento’ Te lo faccio mettere vicino alla mia cosina’ voglio sentire il tuo glande sulla soglia della vagina’ devi giurarmi, però, di non entrare, a qualsiasi costo. Sarai capace di resistere?’
Annuii.
Mi misi in piedi, in un attimo fui completamente nudo.
Col fallo così eretto che mi sembrava perfino più lungo del solito.
Non avevo compreso ancora come si sarebbe svolto, il tutto.
Lo capii quando si mise ginocchioni, in splendida esposizione del suo sesso e delle sue natiche.
‘Piano, Giorgio, piano’ per favore.’
Ecco, avevo introdotto il glande tra le sue grandi labbra, avevo raggiunto l’imbocco di quel delizioso tunnel che m’era vietato, mi muovevo, piano.
‘Attento, Giorgio, non venire, sarebbe un guaio!’
Mi allontanai un po’.
Il suo buchetto era lì, malioso.
Vi poggiai la testa del mio fallo, rorido degli umori raccolti da lei.
Sentii quel delicato sfinterino palpitare.
Ero eccitatissimo, sentivo che in quel momento sarei entrato dovunque.
Spinsi.
Cedette, ne sentivo le contrazioni prodotte dai premiti di Cristina.
Entrai dentro, tutto, fino a sentire i testicoli sbattere su quelle incantevoli chiappe.
Ero in lei, inaspettatamente.
E fu naturale iniziare un ‘in and out’ che doveva farmi scaricare quanto troppo a lungo ero riuscito a trattenere in me.
Cristina cooperava attivamente e’ piacevolmente.
Accolse la mano che le strinse la tetta, e quella che la titillava tra le gambe.
Mi mungeva, quella incantevole creatura, e quel suggermi stava facendole nuovamente percorrere il sentiero del godimento: mugolìo’ rantolo’ balbettìo’ pianto’ respiro pesante’ e un urlo più lungo del precedente, che si prolungò nel sentirsi invadere violentemente dal mio seme caldo che si sparse in lei.
Giacemmo a lungo, l’uno sull’altra.
Poi riuscimmo, purtroppo, a separarci.
Non finivamo mai di baciarci, di toccarci.
Grazia stava per tornare.
Dovevamo rivestirci, dare un aspetto ordinato al letto, andare in cucina e aspettarla facendo finta di bere una aranciata.
Fu solo il giorno prima della sua partenza per casa, definitiva, dovendo accettare di frequentare una Università più vicina al suo paese, che mi parlò del piacere che le dava quel modo di unirci.
E disse, che quando ne era stata costretta, dal fratello, era rimasta indolenzita per una settimana!
^^^
E’ fuori dubbio che la fresca e disponibile Cristina era una soluzione per le mie esigenze.
Ma io desideravo anche la ‘strada naturale’ ma non quella che potevo trovare nei postriboli.
La cosa non era facile.
Ogni tanto, al mattino, prima di andare all’Università, passavo alla Latteria Pignotti, e mangiavo un maritozzo con la panna. (il maritozzo &egrave come una brioche, più ovale)
Ne ero goloso.
Quel giorno mi accorsi che una signora mi guardava sorridendo.
Ricambiai il sorriso.
‘Posso offrirgliene uno, signora?’
‘No, grazie, ma notavo con compiacimento che &egrave un buongustaio.’
Risposi con un altro sorriso. Più scemo del precedente.
Uscimmo nello stesso momento.
Mi tese la mano.
‘Mi chiamo Jone.’
‘Piacere, Giorgio.’
‘Spero di rivederla. Mi ricorderò della sua preferenza per maritozzi e panna.’
Terzo sorriso, ancora più melenso.
Quando si allontanò, mi voltai a guardarla.
Dio, che bel posteriore, che fianchi, che gambe!
Quanti anni potrà avere?
Mah, tra i trenta e i trentacinque.
Alzai le spalle, voltai per san Martino della Battaglia, a Piazza indipendenza salii sul tram numero 10.
Quello che porta vicino alla facoltà.
Quando il pomeriggio mi misi a studiare, mi tornò in mente la signora Jone. Ricordai che oltre alla visione della sua schiena e dintorni, aveva un rigoglioso petto che il tailleur, di taglio maschile, invece di mortificare metteva bene in evidenza.
Niente da eccepire, la signora Jone era una gran ‘bonaccia’ ed evidentemente idonea a tutti i servizi. Beato chi ne fruiva.
Fu due giorni dopo che, non essendo riuscito a cancellare la signora Jone dalla mia testa, stavo per entrare da Pignotti, dove l’avevo incontrata la volta prima.
Jone ne usciva in quel momento.
Mi guardò e mi accorsi che il suo volto era luminoso.
‘Come va, Giorgio? Visto che ci rincontriamo?’
‘Buon giorno signora, lieto di rivederla.’
‘Veramente lieto?’
‘Certo, perché?’
‘Perché volevo invitarla ad assaggiare i maritozzi che faccio io. In questo vassoio ho la panna fresca. Lei potrà giudicare.’
‘Veramente’ non vorrei disturbarla.’
‘Crede che se fosse un disturbo la inviterei? Che fa, &egrave occupato?’
‘No, oggi, tra l’altro non devo andare all’Università perché il professore che segue la mia tesi &egrave fuori città.’
‘Allora?’
‘Si, grazie.’
‘Bene, io abito in Via Gaeta, vicinissimo. Lei dove abita?’
‘In via Cernaia, quasi di fronte al Ministero.’
‘Non stiamo lontani.’
‘No.’
Ci avviammo verso la sua casa.
Era veramente una bella donna, polposa al punto giusto, ma quello che ne aumentava l’attrattiva era la sua simpatia.
In effetti, ero molto meravigliato per quell’invito.
Giungemmo al portone. Abbastanza elegante, un edificio serio. Il portiere salutò con deferenza. Ascensore non molto moderno, con lucidissimi ottoni. Terzo piano. Una porta centrale, con una targhetta anch’essa d’ottone. In caratteri corsivi, era inciso Col. Mario Morini. Sull’altra porta, laterale, una targhetta in ferro smaltato, con la indicazione ‘servizio’.
‘Le dispiace se entriamo dalla porta di servizio?’
‘Tutt’altro.’
Aprì la porta.
Un piccolo ingresso, con consolle, specchio, una panca bassa, due sedie, un armadio a muro, un uscio, in legno scuro, che ci condusse in un corridoio abbastanza lungo.
‘Venga.’
Andammo a destra, prima porta. L’aprì.
Un salotto abbastanza ampio, ben arredato, dove, evidentemente, la signora Jone passava gran parte del giorno.
Poltrone, divano, sgabelli imbottiti, bassi, intorno a un tavolino; un mobile che doveva essere un secretaire, con cassetto e ribaltina. Tutto circondato da un’atmosfera alquanto civettuola, ma ricercata.
Dall’altro uscio, semichiuso, si intravedeva una camera da letto.
Mi indicò il divano.
‘Si accomodi, Giorgio.
Questo &egrave il mio angolo, una specie di ‘buen retiro’, soprattutto quando mio marito &egrave lontano, ed &egrave lontano spesso perché le esigenze militari lo costringono a partecipare alla Commissione per l’applicazione dell’armistizio. Lui &egrave uno tra i più giovani generali dell’aeronautica, ha poco più di quaranta anni.’
Era in piedi, col vassoio della panna.
‘Posso chiederle, Giorgio, quanti anni ha?’
‘Nessun segreto, tra poco ne compio ventidue.’
‘A me, quanti me ne da?’
Questa domanda non mi piaceva.
Se calavo troppo era chiara l’adulazione; se sbagliavo se ne sarebbe risentita.
La guardai fissamente, e i miei occhi le dicevano che per me la sua età non aveva alcuna importanza, era comunque un gran bel tocco di fica. Azzardai.
‘Trenta!’
‘Li avevo quasi tre anni fa.
Mi scusi, vado a imbottire i maritozzi.’
‘Vuole che l’accompagni?’
‘Non si disturbi, grazie. Questa &egrave l’ala da me preferita, dell’ampio appartamento che comprammo circa sei anni fa.
Dall’altra parte abita mia madre, vedova. Anche lei era moglie di un ufficiale, mai più tornato dall’Etiopia.
Mia madre &egrave un po’ strana.
Meglio lasciarla con le sue cose, le sue idee.
Per fortuna che la cameriera tuttofare la sopporta pazientemente.
Torno subito.’
Rimasi seduto, guardandomi intorno.
Dopo poco Jone rientrò, con un vassoio sul quale troneggiavano degli appetitosi maritozzi imbottiti, e una bottiglia con un liquido color ambra scuro, e due bicchieri.
Mise tutto sul tavolino.
Evidentemente aveva avuto il tempo di cambiarsi.
Camicetta bianca, con maniche corte, piuttosto scollata e alquanto trasparente. Gonna scura, non molto lunga e abbastanza stretta. Calze fumé, scarpe con tacco un po’ alto.
Tette e deretano formavano una ‘S’ da leccarsi le labbra. Per non parlare delle gambe, diritte, tornite, senza un grammo di superfluo.
Sedette vicino a me, ne sentivo il profumo, il tepore. Ricordai le parole di un narratore inglese che annusava l’aria, e dichiarava ‘smell of crumpet’, il ché significa ‘profumo di pasticcino’, ma anche ‘profumo di fica’. Proprio come in questo caso!
Quando si chinò per prendere un maritozzo, il reggiseno a balconcino offrì l’incantevole spettacolo di due tette proprio come le avevo immaginate. Anche esse di panna, ma con sopra una bella fragola vermiglia.
Forse dovevo trovare una scusa per andarmene, perché la testa cominciava a girarmi, e qualcosa altro ad agitarsi.
Mi porse il piattino sul quale aveva messo il maritozzo e una forchettina con un lato tagliente. Ne prese uno anche lei.
Assaggiai subito.
‘Sono deliziosi, signora, soffici e profumati. Veramente squisiti.’
‘Lo dice per complimento?’
‘E’ una constatazione, signora.’
Mi guardò.
‘Che dice, Giorgio, sono troppo vecchia perché lei mi chiami Jone?’
‘Ma non scherzi, non parli di ‘vecchiaia’, lei, nel fiore degli anni, nel più bel periodo della vita, quello che i saggi indiani chiamano l’età della giungla: misteriosa, calda, lussureggiante, rigogliosa, ammaliante, seminesplorata, piena di sorprese, che nasconde il canto degli uccelli, la flessuosità della tigre, ma anche il veleno del cobra.’
‘Non sapevo che fosse un poeta e così bravo a proferire parole galanti con tanta passione. Lei chi dice che io nasconda: tigre o cobra?’
‘Il cobra non ha bellezza, eleganza, movenze feline, occhi splendenti, e nemmeno artigli per difendersi dagli importuni.’
‘Si conferma ancora per un affabulatore molto abile.’
Abbassò la testa, finì il suo dolce.
Mi affrettai a finire il mio.
‘Dunque, Giorgio, mi chiamerà Jone?’
‘Me ne dia l’occasione.’
Si irrigidì, mi guardo. Seria. Poi il suo sguardo divenne dolce, tenero, carezzevole.
Prese la mia mano e la strinse tra le sue.
‘Così?’
‘Vi &egrave sempre un inizio, Jone, in tutte le cose.’
Mi chinai su lei, audacemente, le presi la testa tra le mani. La baciai. Sentii le sue labbra dischiudersi, ricambiare il bacio, sempre più golosamente, s’era abbracciata a me.
I suoi occhi lampeggiavano, il seno affannava.
Mi guardò di nuovo, trasfigurata.
‘Vuoi?’
I miei occhi, il cenno del capo, le dissero quanto la desideravo.
Mi prese per mano, ci avviammo nella sua camera da letto, chiuse porta, a chiave. E chiuse anche l’altra porta, quella che dava sul corridoio.
Tolse blusa, reggiseno.
Sfilò scarpe e calze.
Armeggiò sotto la gonna per far cadere le mutandine.
Ero impaziente, eccitato come non mai.
La spinsi dolcemente sul letto, con la gonna che le era salita fin sotto al petto, le gambe divaricate.
Poggiai il mio fallo fremente all’ingresso della sua ancor più smaniosa e palpitante vagina.
La penetrai lentamente, voluttuosamente.
Io non so da quanto tempo non riceveva un maschio, ma sembrava impazzita, sconvolta, si mordeva la mano per non gridare, per non farsi sentire.
Cominciò a sussurrare, sempre più forte,
‘Giorgio, sei meraviglioso’ lo sapevo, fin dal primo momento, &egrave da allora che ti voglio’. Non sbagliavo’ &egrave bello’ bello’. Belloooooooo!’
E dopo lo sconvolgimento dell’orgasmo, crollò sul letto, disfatta.
Forse qualcuno si risentirà del mio modo di scrivere, ma una scopata del genere non l’avevo mai fatta, e dal come si stavano prospettando le cose non sarebbe rimasta isolata.
Jone rimase immobile, a lungo, sentiva ancora i miei palpiti in lei e non voleva rinunciarvi.
Mi guardò con le nari frementi.
‘Ti &egrave piaciuto?’
Assentii con la testa.
‘A te?’
‘Mi sento svuotata e riempita nello stesso tempo. Una cosa mai provata. E’ stato il completo smarrimento dei sensi, non mi sono mai sentita così travolta, sconvolta. Sei stato stupendo.’
Mi sfilai lentamente.
Si alzò un momento, tolse del tutto la gonna che le era rimasta arrotolata sul ventre.
Si adagiò di nuovo sul letto.
La presi per le gambe.
L’attirai verso me, che ero in piedi, sul tappeto.
Le alzai le gambe.
Le misi sulle mie spalle.
Il suo sesso, umido e fremente, era esposto in tutta la sua bellezza.
Il riccioli che lo impreziosivano era in parte incollati a lei, per quanto era gocciolato da noi.
Attendeva, bramosa, in un modo, disse poi, che non aveva mai sperimentato, ma che le piacque infinitamente.
Questa volta non soffocò i gemiti, e ondeggiò con maestria, guardandomi negli occhi, traendo piacere dal mio piacere, donandomi godimento col suo godimento.
Cercai di resistere il più a lungo possibile, ma le contrazione del suo serico ventre mi mungevano sempre più avidamente, raggiungendo l’acme quando mi gridò tutta la sua voluttà, si rilassò, palpitò di nuovo, inarcò il bacino come se volesse che il mio fallo andasse oltre la volta della sua vagina. Sentivo il glande battere sull’ingresso del suo utero.
Secondo magnifico round.
Punteggio pari.
Sentivo, però, che il match non era terminato.
Non ricordo quale fu il motivo per cui si alzò, andò al comò, aprì un cassetto, vi rovistò distrattamente.
Mi volgeva le spalle.
Spettacolo incantevole.
Una schiena meravigliosa e un culetto che superava ogni immaginazione.
Fece un lungo giro per la camera.
Tornò vicino al letto. Vi salì. Sprimacciò un cuscino, vi poggiò le mani, chinandosi ad angolo retto, gambe leggermente divaricate.
Ora, quelle natiche semiaperte erano di fronte a me, irresistibili.
La punta della mia lancia vi si intrufolò, incontrò subito il buchetto fremente, scivoloso, accogliente. Spinsi con dolcezza ma decisamente, e la penetrai, li, sentendomi voluttuosamente fasciare il fallo in un ambiente caldo, fremente, suggente.
Mani sui fianchi, stantuffamento lento, come di locomotiva appena avviata. Ma la galleria invitava alla velocità, sempre di più, accompagnata dal palpeggiare di tette e titillar di fica.
I gemiti di Jone testimoniavano il suo ‘alto gradimento’ e questa volta non si rilassò che un istante quando fu travolta dal primo orgasmo. Seguitò a sculettare deliziosamente, stringendomi in se, strizzandomi, e così fu ancora quando straripai in lei, fino all’ultima stilla.
^^^
Le cose, con Jone, andarono avanti per un certo tempo, interrotte solo per il periodo in cui fu indispensabile un raschiamento liberatorio. Comunque non accettò mai l’uso di un profilattico. Asseriva di servirsi delle capsule spermicide, a base di acido lattico. Comunque, andavamo perfettamente d’accordo, sotto tutti i punti di vista, e non ci stancavamo mai di stare insieme.
Conseguita la laurea, si avvicinava l’inizio di un’attività lavorativa.
Il generale tornò nella capitale.
Gli ultimi giorni furono convulsi, travolgenti.
Andammo, come si dice, a ruota libera.
Non immaginavo che un uomo riuscisse a produrre tanto liquido seminale.
Dovetti allontanarmi, raggiungere una città del nord.
Quando, in uno dei miei brevi ritorni in famiglia, dopo un anno, la incontrai nel piccolo giardinetto di via Cernaia, era più bella che mai, seduta a una panchina, con una carrozzina a fianco.
Mi scorse, mi avvicinai, la salutai, con tenerezza, con gratitudine.
Frasi di circostanza, tanto per dire qualcosa.
‘Splendida questa creatura, come la mamma”
‘Soprattutto come il padre’ &egrave un bimbo”
‘Come si chiama?’
Mi guardò con gli occhi lucidi, sfavillanti.
‘Giorgio, naturalmente!’
^^^
Quanti anni sono trascorsi da allora.
Tanti.
Il lavoro mi ha portato a girare il mondo.
Non sono né un cacciatore di donne né un tombeur de femmes, mi viene da ridere quando si parla di conquistatori.
La verità &egrave che maschio e femmina sono entrambi attratti da ciò che loro dona maggior piacere e appagamento: il sesso. E’ logico, quindi, che molto spesso, quasi sempre, si trovino d’accordo nel praticarlo.
Ecco, ho trovato, potrei definirmi, in materia, un assiduo praticante.
Ho conosciuto, nel senso biblico, donne di ogni colore, in ogni latitudine. Dalle Esquimesi alle Tasmaniane, alle indiane d’Alaska, alle statuarie Somale, alle Guatemalteche, Giapponesi, Cinesi, Filippine, senza parlare delle Europee, delle Amhariche’ e così via.
Ho fatto l’amore sia con la raffinatezza e la sensualità orientali, sia con la sbrigatività della ‘quick one’, una botta e via, nella scomoda toilette di un Jumbo Jet.
Accoglienti, invece, le comodissime cabine delle eleganti navi da crociera, in tutti i mari, o sui grandi fiumi. Indimenticabili le notti d’amore sul Nilo, sul Reno, sul Danubio’
Si, gli anni passano.
Ad un certo momento te ne accorgi improvvisamente.
Ti ritrova in clinica, ti praticano, se tutto va bene, una angioplastica, ti inseriscono dei tubicini nelle coronarie e li lasciano lì, quelli che chiamano stents, ti dicono che hai avuto bisogno di un filtro cavale.
Insomma, torni a casa con sensibili limitazioni di vita e, putroppo, di funzionalità, anche sessuale.
Ti diffidano dal ricorrere ai farmaci che favoriscono l’acquisizione delle condizioni per avere rapporti sessuali. Prodotti a base di sidenafil, cio&egrave il Viagra.
Attento, ci puoi rimanere!
Poi, arriva il momento in cui ne hai veramente le tasche piene.
Che c’&egrave di meglio che una salubre scopata?
Ci resti?
Quale fine &egrave più desiderabile di quella tra le braccia, e le gambe, d’una bella femmina?
Mi torna alla mente una frase latina, e spero di ricordarla bene ‘suaviter acquiescere in gremio muliebre’. Addormentarsi dolcemente nel grembo di una donna, ma bisogna ricordare che in latino gremium significa anche ‘fica’!
Sfidando gli aruspici menagramo, cominciai ad informarmi sui farmaci più adatti. Ultimo ritrovato, il C’.s, taladafil, risultato garantito dopo una mezz’oretta, durata lusinghiera, almeno sedici ore, effetti secondari minori degli altri specifici, comunque sconsigliato ai cardiopatici. Confezioni, da quattro compresse, gialle, da 10 mg. La dose prescritta per ogni volta. Quindi una sola compressa é considerata sufficiente alla bisogna.
Deciso l’esperimento. Con chi?
Devo confessare che la persona che fungeva un po’ come mia assistente e si occupava anche del mio appartamentino di vecchio ‘single’, mi ha attratto, sessualmente parlando, fin dal primo momento. Piccolina, brunetta, belle tettine, stuzzicante culetto, visetto grazioso, modi cordiali e simpatici, sempre sorridente.
Forse un po’ troppo giovane, per me, perché aveva solo trentatr&egrave anni. Una bambina! Si capiva che aveva carni sode e’ autoreggenti.
Non era facile dirglielo, anche perché, se si fosse offesa della proposta e mi avesse piantato in asso io mi sarei ritrovato in braghe di tela.
Aveva marito e figli, ma del consorte non parlava spesso.
Insomma, morire facendo l’amore con Mirella mi attirava.
Io sono metodico e ordinato.
Ho nel cassetto centrale della scrivania un dossier nel quale sono elencati i miei beni e a chi destinati: prima di tutto i parenti, e qualche lascito di riconoscenza, anche per Mirella.
Decisi di prenderla alla larga.
‘Mirella, credo che dovrò assentarmi per qualche giorno.’
‘Dove va di bello?’
‘A Taormina, un congresso al quale non voglio mancare, fosse pure l’ultima volta.’
‘Ma non scherzi, dotto’, lei ci sotterra tutti. Piuttosto, non dimentichi di portarsi le medicine e di prenderle.’
‘E’ mai stata a Taormina, Mirella?’
‘Mai. Dicono che &egrave bella.’
‘Le piacerebbe andarci?’
‘Si, ma come faccio?’
‘Perché non mi accompagna? Così potrà assicurarsi che seguo le cure prescritte.’
‘Magari, dotto’.’
‘Da parte mia non vedo ostacoli. Ma come la mette con la famiglia?’
Si fermò, si mise di fronte a me, con uno strano sguardo negli occhi.
‘Ma che fa, dotto’, scherza?’
‘Le sembra sia argomento da scherzarci. Io mi sentirei sicuro e curato, con lei, e soprattutto non solo. Ripeto, cosa direbbe in famiglia?’
‘Vede, mio marito parte domani, con tutta la sua squadra per certi lavori alla rete elettrica della Val d’Aosta, per i miei figli ci sarebbe mia madre che, del resto, abita al piano di sopra. Ma quanto dovrei stare lontana?’
‘Questo dipende da tante cose”
‘Non &egrave che mi prende in giro?’
‘Non ci penso affatto.’
‘Senta, mi dia una risposta dopodomani, lunedì, perché io dovrei partire martedì mattino. Non solo, ma se mi fa il regalo di accettare, veda se le serve qualcosa per il viaggio e la sia pur breve permanenza. Questi sono mille euro!’
‘Mille euro? Perché?’
‘Certamente le servirà qualcosa’ via non sollevi eccezioni”
Dopo pranzo Mirella, come al solito, tornò a casa sua, con i mille euro.
Io aprii il cassetto della scrivania, ritoccai il lascito a suo favore, generosamente.
Va bene accompagnarmi, ma avrebbe accettato di venire a letto con me?
Non era ingenua, Mirella, e qualcosa poteva pure immaginare.
Lunedì mattina giunse prima del solito. Allegra come sempre, anzi di più
‘Allora, Mirella.’
‘Se lei non ha scherzato io verrei’ ho anche fatto spese’ ho comprato perfino una parure che sognavo da tanto.’
‘La potrò ammirare?’
Mi guardò in modo strano.
‘Se sarà il caso!’
‘Allora, partenza domattina. Venga qui presto, col bagaglio e poi, in taxi, a Fiumicino, scendiamo a Catania e da lì un auto ci porterà a Taormina. Va bene?’
‘Ha già prenotato, dotto’?’
‘Certo.’
‘Quante camere?’
‘Lei che dice?’
‘Se la devo assistere, curare, non posso starle lontana”
‘Una bella suite?’
‘Cosa &egrave?’
‘Camera con servizi, un salottino con divano letto, bei balconi fronte mare.’
Dal volto sembrava felice.
‘Non ho volato mai, dotto’, ho un po’ di paura.’
‘Le darò la mano.’
‘Grazie.’
Le dissi di considerarsi libera fino al mattino dopo.
Rispose che avrebbe fatto tutto come al solito e se ne sarebbe andata solo dopo pranzo.
Mentre lei sfaccendata, mi ritirai nel mio studio, telefonai al San Domenico Palace di Taormina, confermai il mio arrivo per il giorno dopo, dissi che desideravo una suite molto accogliente e con un bel panorama. Mi assicurarono tutto e che avrei trovato la loro auto all’aeroporto di Catania, alle undici.
Indugiai in qualche considerazione.
La mia vita scorreva tranquillamente, anche troppo. Era alquanto monotona.
Le condizioni fisiche, malgrado tutto, potevano definirsi soddisfacenti.
Sentivo, però, la mancanza dei più bei rapporti che avevo avuto nel passato: quelli sessuali.
Del resto, non so per quali ragioni, e neppure seppero chiarirmelo i vari medici consultati, il mio ‘coso’ non reagiva nel modo adeguato, agli stimoli che pur nella mente mi assalivano e in un certo modo mi ossessionavano. La mia era una eccitazione del cervello, ma si fermava lì.
Economicamente stavo più che bene.
Nel passato avevo realizzato alcune fruttifere compartecipazioni, avevo potuto acquistare alcuni appartamenti, e non dico l’ammontare della pensione per non far giustamente scandalizzare i pensionati ‘sociali’.
Mensilmente, almeno finora e dopo il riposo forzato al quale ero condannato, non riuscivo a spendere neppure la metà delle entrate.
Sapevo che avrei potuto lasciare tutto ciò, improvvisamente, in ogni momento, e che l’esperimento, mi auguravo piacevolissimo, che stavo affrontando aumentava notevolmente la probabilità che ciò avvenisse, ma, come ho detto, me ne fregavo.
Suaviter acquiescere’
Presi dalla piccola cassaforte parte del contante che custodivo per ogni eventualità, duemila euro li misi in una busta, gli altri li conservai nel portafoglio. Era inutile portare denaro liquido, avevo carte di credito e bancomat.
Chiamai Mirella, la pregai di prepararmi un pranzo alquanto leggero, ed anche per lei. Era bene abituarci a mangiare insieme.
Quanto tutto fu rassettato, mi informò su cosa aveva messo in frigo per la cena, mi tese la mano per salutarmi, e la trattenne un po’ nella mia. Mano bella, curata, malgrado le faccende cui era addetta, ma che sbrigava con tutte le possibili protezioni.
Erano passate da poco le sette del mattino quando sentii aprire cautamente la porta di casa.
Io ero già in piedi, già fatto la doccia, rasato, vestito, e cercavo le ultime notizie in internet.
Mirella entrò in punta di piedi, quando passò dinanzi allo studio e mi vide già al lavoro, come diceva lei, sembrò sorpresa.
Lo sbalordito, però, fui io.
Quella, dunque, era Mirella.
Bellissima, con un volto liscio, alabastrino, labbra rosse al punto giusto, occhi più scuri del solito, capelli raccolti dietro la nuca.
Un vestitino semplice ma elegante, con gonna svasata, una cintura alla vita, la parte superiore chiusa a sovrapposizione, abbastanza aderente per evidenziare piccole ma sode tette. Un sederino prepotente.
Mi rivolse un sorriso incantevole.
‘Buon giorno, dotto’, già bello e pronto!’
‘Si accomodi, Mirella, già pronto, si. Non dormo molto, al mattino, salvo ad appisolarmi durante il giorno davanti alla TV.
Venga, si accomodi, devo dirle alcune cose.’
Entrò, rimase in piedi, davanti alla scrivania.
‘Segga, la prego.’
Sedette.
‘Il suo bagaglio?’
‘E’ in anticamera, una sacca con tutto quello che serve, tanto, ha detto, non resteremo fuori molto, vero?’
‘Vedremo.
Senta, Mirella, in questo porta documenti ci sono i biglietti dell’aereo, andata e ritorno, i vouchers per l’albergo, già pagati per quattro giorni, gli indirizzi e i numeri di telefono di mio fratello e del figlio, Maurizio, ai quali rivolgersi in caso di necessità.
Poiché a Taormina potrebbe piacerle qualche cosetta da comprare o per qualsiasi altra eventualità, ho messo in questa busta degli euro, li consideri suoi ad ogni effetto.’
‘Degli euro? Ma, perché’?’
‘Perché mi piace metterli a sua disposizione.’
‘Veramente, non vorrei che”
‘Non mi va di parlarne, Mirella, la prego.’
‘Come vuole.’
‘Manca abbastanza tempo per la partenza dell’aereo, ma se lei &egrave d’accordo, chiamerei un taxi e potremmo fare una buona colazione in aeroporto.’
‘Va bene. Vado a prendere la sua valigia in camera sua?’
‘Un momento devo metterci ancora qualcosa.’
Dal cassetto della scrivania presi la confezione di C’., anzi due da quattro compresse e le misi nella piccola valigia.
Tornai nello studio, telefonai per il taxi.
Dissi a Mirella che potevamo scendere, e che pensasse lei a chiudere tutto. Mi avviai sul pianerottolo. Mi raggiunse subito. Sul braccio aveva un leggero soprabito, dello stesso colore del vestito.
Non sembrava, certo, la Mirella degli altri giorni. Dimostrava perfino meno della sua età. Era una giovane e bella donna, nel fiore della giovinezza, di quelle che, quando le incroci, ti viene voglia di gridarle dietro: ‘a bbona!’
Il taxi ci attendeva, in poco più di mezz’ora raggiungemmo l’aeroporto.
Carrello, check in, consegna del bagaglio, carte d’imbarco, e poiché c’era tempo, come avevo previsto, andammo al bar del primo piano, quello con la vista sulla pista.
Tipica colazione locale: cornetti e cappuccino!
Mirella, ogni tanto mi guardava, come se volesse dirmi qualcosa, ma rimaneva in silenzio.
Dopo un po’, la voce gracchiante dell’altoparlante informò che i passeggeri per il volo per Catania dovevano presentarsi per l’imbarco immediato, uscita numero quindici.
L’aereo spinse i motori al massimo, vibrando sensibilmente, cominciò a rollare per iniziare la manovra di decollo.
Mirella era seduta accanto al finestrino, io alla sua sinistra.
Guardava l’asfalto che scorreva sotto di noi, sempre più rapidamente.
Allacciammo le cinture.
Mi tese la mano, prese la mia, se la portò sul grembo.
Non so se se ne accorgeva, ma a mano a mano che la velocità aumentava lei premeva il dorso della mia mano tra le sue gambe. Percepivo distintamente le forme sode e deliziose del suo sesso. Le nocche erano tra le grandi labbra, e come se ciò fosse provocato dal movimento dell’aereo andavo strofinando lentamente.
L’aero si staccò dal suolo, virò verso il mare, seguitò a prendere quota, puntò a meridione.
Lei seguitava a guardare, incantata, dal finestrino, in basso, in alto, le nuvole che fuggivano.
Si voltò verso me, sorridendo, alzò la mia mano e la baciò sul dorso. La mise di nuovo dov’era prima, nella stessa posizione. Ebbi la certezza che, intanto, s’era sistemata meglio sul sedile, spostando il bacino in avanti, divaricando appena le cosce.
Quel contatto mi eccitava, il mio ‘coso’ lo sentiva, ma non riusciva a reagire come una volta!
Ad un certo momento, Mirella prese dalla tasca del sedile anteriore il giornale che le avevano dato all’imbarco e, dispiegatolo, se lo mise sulle gambe. Mi guardò, con un’espressione sbarazzina, e mi sorrise.
Provai cautamente a muovere la mano che godeva del suo tepore, la voltai. Questa volta era il medio ad intrufolarsi tra le grandi labbra.
Mirella avvicinò la testa al mio orecchio.
‘Si arriccia il vestito!’
Tolsi il dito e seguitai a carezzare a palmo aperto.
Mi guardò assentendo.
Non volle nulla di quanto la hostess offriva.
Avevamo già iniziata la discesa, quando le indicai lo stretto di Messina.
Mirella era rimasta con le cintura allacciata, anche io, e non me ne ero quasi accorto.
Più l’aereo s’avvicinava al suolo, provenendo dal mare, più stringeva le gambe e premeva sulla mia mano.
Eravamo a Catania.
All’uscita ci attendeva l’autista del San Domenico, gli demmo i tagliandi per il ritiro del bagaglio. Ci accompagnò all’auto, una elegante e comoda Alfa, e poi andò al banco. Evidentemente doveva avere un certo ‘giro’, perché tornò quasi subito, con la sacca di Mirella e la mia valigetta.
Ci chiese se desiderassimo qualcosa, si assicurò che stavamo comodi, si avviò verso l’autostrada, attraversando sconosciute scorciatoie.
Non credo che Mirella avesse paura anche dell’auto, ma prese ancora la mia mano tra le sue.
Le indicai la costa dei Ciclopi, i grossi scogli, isolati, che la leggenda dice fossero le pietre scagliate da Polifemo contro il fuggitivo accecatore, Ulisse.
Voltammo a sinistra, percorremmo le volte della salita che conduceva a Taormina, e poco dopo scendemmo dinanzi all’incantevole San Domenico, affacciato su uno dei più bei panorami del mondo.
La curiosità di Mirella era seducente, aveva l’espressione d’una bambina che scopre qualcosa di bello per la prima volta.
Nella Hall, guardava incontro, incantata.
Quando, giunti nella suite, e dopo che il facchino, sistemati i bagagli e intascata la mancia, chiuse la porta, la condussi sul balcone.
Veduta affascinante.
Era vicina a me.
Le posi la mano sulla spalla, l’accostai ancora di più.
Chi ci avesse visti, in quel momento, ci avrebbe creduti padre e figlia di fronte alle infinite bellezze del creato.
Mi venne spontaneo, darle il ‘tu’.
La guardai.
‘Ti piace, Mirella?’
Annuì, entusiasta.
Rientrammo, dovevamo prepararci per il lunch.
Mirella si fermò un attimo, guardando il grande letto matrimoniale.
‘Non ti preoccupare, li faccio separare o, se vuoi faccio preparare il letto del salotto, al di là della porta scorrevole.’
Scosse la testa, abbastanza seria in viso.
‘No, va benissimo così.’
Aveva detto ‘benissimo’, non ‘bene’!
Le dissi di andare in uno dei due bagni, per rinfrescarsi, io avrei usato l’altro.
Qualche minuto dopo eravamo pronti.
Scendemmo, era quasi l’ora per recarsi al ristorante.
Prima al bar, per un aperitivo.
Le piacque il ‘cocktail champagne’. Arricciò il naso, mentre lo gustava.
Il nostro tavolo era vicino alla vetrata, da dove si dominava la costa, a perdita d’occhio.
Non volle scegliere, andava bene quello che avrei ordinato io.
Gradì molto le ostriche, ed anche tutto il resto.
Dissi al Maitre che avremmo preso il caff&egrave in un angolo del bar.
Sedemmo.
Mirella mi guardava sorridendo.
‘Che te ne pare?’
‘Non lo so, sento la testa confusa: il cocktail, il vinello’ Mi sembra di sognare. Non capisco niente!’
Assunsi un tono e un aspetto serio.
Le presi una mano.
‘Devo dirti una cosa, Mirella. Una specie di confessione, e mi &egrave difficile farla.’
Mi guardava, attenta, quasi preoccupata.
‘Sta bene, dotto’?’
‘Sto bene, grazie.
Io non so come ringraziarti per non aver fatto dividere il letto’ ma tu sai che io sono vecchio e malaticcio’ e per certe cose sono molto vecchio! Non vorrei deluderti.’
Aveva un’espressione angelica, con gli occhi lucidi.
‘Come può deludermi. Mi consentirà di allungare la mano, di toccarla?’
‘Piccola Mirella, ti abbraccerò, ti cullerò tra le mie braccia!’
‘E cosa posso desiderare di più.’
Questa volta fui io a baciarle la mano.

Mille idee s’affollavano nella mente.
Proporle il ‘solito’ riposino?
Rimandare tutto a questa sera?
Come trascorrere il pomeriggio?
Quando avrei dovuto prendere il C’.s?
Avrebbe fatto effetto una dose?
Che tipo di effetto?
E se ne prendessi due?
E se crepassi prima di cominciare?
Eravamo nella sala lettura.
Mirella si era certamente accorta che qualcosa mi turbava, e non voleva disturbarmi. Sfogliava una rivista di mode.
Eravamo tutti e due sul divano, vicini.
Meglio rinviare tutto a questa sera.
Feci un profondo sospiro.
Avevo l’orologio al polso, ma feci finta di nulla.
‘Scusa, che ore sono, Mirella?’
‘Quasi le quattro.’
‘Sei stanca, ha bisogno di riposare un po’?’
‘Io sto benissimo, ma se lei vuole, andiamo su.’
‘Io vorrei fare due passi, vedere la città.’
‘Per me va bene.’
‘Devi prendere il soprabito, in camera?’
‘No, devo andare al bagno, ho visto dov’é.’
‘OK, chi arriva prima aspetta, nella hall.’
Anche io andai al bagno.

C’erano tante cose belle, nelle vetrine.
Mirella le guardava, ammirata.
‘Ti prego, scegli qualcosa. Desidero farti un regalino che ti ricordi Taormina.’
‘Crede che mi ci voglia il regalino, per ricordarla?’
‘Vedi quel bel girocollo, con motivi siciliani? Ti piace?’
‘Ma &egrave d’oro!’
‘E allora?’
‘A parte che non deve offrirmi nulla, come lo giustificherei con mio marito?’
‘Hai, ragione. E’ molto appariscente.
Allora, quegli orecchini. Puoi sempre dire, eventualmente, che sono delle imitazioni.’
‘Ha visto il prezzo?’
‘Perché, ha importanza?’
‘Per me si.’
‘Via, Mirella, permettimi di comprarteli, li metterai in questi giorni, almeno.’
La condussi, quasi a forza, nel negozio.
Erano veramente belli, luminosi. Glieli feci indossare.
Si contemplò allo specchio, mi guardò.
‘Ti stanno benissimo, Mirella, sono luminosi quasi quanto i tuoi occhi in questo momento. Non toglierli!’
Detti la carta di credito, facemmo mettere quelli che aveva in precedenza nell’elegante cofanetto di velluto blu, uscimmo.
Lo sguardo eloquente che mi rivolse valeva tutto l’oro del mondo.
Bighellonammo.
Prendemmo un taxi, dicemmo do portarci al mare, verso Mazarò. Scendemmo per Via Pirandello, poi, sempre lentamente, dopo aver bevuto una spremuta sul belvedere dello stabilimento balneare, riprendemmo la strada del ritorno. Ad un certo punto l’autista voltò a sinistra, per Via Roma. Giungemmo al San Domenico.
Mirella era affascinante, col viso che sprizzava contentezza. Ogni tanto si toccava gli orecchini.
Prima di salire in camera, per prepararci per la cena, la pregai di sedere un momento, vicino a me, nella sala di lettura.
Mi scrutava con curiosità.
‘Mirella, devo dirti una cosa.
Questa sera desidero sperimentare una nuova terapia che, in un certo senso, dovrebbe farmi sentire meno vecchio.’
Mi guardava con piccoli cenni di assenso del capo.
Proseguii.
‘La cosa dovrebbe essere priva di qualsiasi contrattempo, ma desidero evitare qualsiasi spiacevole complicazione.’
Ora, il suo visetto esprimeva sorpresa.
‘Ho pensato bene di prendere anche una camera, per te”
‘Vuole restare solo, dotto’?’
Le carezzai il volto.
‘No, bambina. Ti prego, fammi finire.
Io potrei non sentirmi bene, in qualsiasi momento, forse anche durante la notte. In questo caso, tu dovresti subito andare nella tua camera e informare il bureau che io non rispondo alle tue telefonate e che tu sei preoccupata.’
Aveva gli occhi pieni di lacrime, mi guardava sorpresa e addolorata.
‘Ma che dice, dotto’!’
‘Bisogna essere realisti.
Pensa cosa accadrebbe se, colpito da malore, tutti sapessero che sei nella mia camera’. Nello stesso letto’. Uno scandalo inutile, per te, forse la distruzione di una famiglia’
Anzi, ora che andiamo su, a prepararci per la cena, prendi la tua sacca e portala nella nuova camera, deve sembrare che &egrave abitata.
Nella suite lascia solo quanto ritieni ti possa servire per questa sera.’
Mi aveva preso la mano, la carezzava.
Andammo a prendere la chiave, anzi le chiavi, anche per la camera che avevo già prenotato.
Salimmo.
La camera di Mirella era poco distante, aprimmo la porta. Era ampia, ariosa, con tutte le comodità.
Andammo nella suite.
Mirella, seria e compunta, aprì la sacca, ne trasse una vestaglia, una leggera camicia da notte, le pantofole.
Mi guardò, triste, disse che andava a portare ‘di là’ la roba, che si sarebbe cambiata e sarebbe tornata subito.
L’accompagnai alla porta.
‘Allegra, bimba, allegra.’
La baciai sugli occhi.
Quando rimasi solo, presi la confezione C’, lessi di nuovo le istruzioni: 1 compressa; effetto dopo circa mezz’ora e durata di almeno sedici ore.
E se ne prendessi due?
Alzai le spalle, misi la piccola confezione in tasca.
Mi preparai per scendere.
Attesi Mirella.

Mentre consumavamo l’appetitosa, leggera cena, ero sempre tormentato dallo stesso dubbio: una o due compresse?
Decisi per una, a costo di fare cilecca!
Proposi a Mirella, dopo, di andare a bere una coppa di champagne al bar.
Poi, mi ricordai che tra le raccomandazioni c’era quella di non bere alcolici. Infatti, avevo a malapena bevuto qualche sorso del bianco di Salaparuta.
Mirella alzò il calice, io la imitai, portai le labbra al bicchiere, ma quasi non le bagnai.
Mirella mi guardò, sospettosa.
‘Nessun problema, cara, &egrave bene che, almeno per questa sera, mi astenga da alcolici. Quando vuoi, possiamo ritiraci.’
Presi una compressa, la deglutii.
Bevve ancora un po’ di champagne, poi mi guardò, significativamente, con un cenno di assenso.
Demmo un ulteriore sguardo alle vetrine che esponevano nella galleria, andammo all’ascensore, salimmo, entrammo nella suite.
Non avevo ancora abbracciato Mirella, avevo appena sfiorato le sue incantevoli forme, salvo la palpatina in aereo.
Come se avesse letto nella mia mente, mi venne vicina, col volto levato verso me, offrendomi le sue belle e turgide labbra.
La strinsi a me, forte, le carezzai i capelli, li sciolsi lasciandoli cadere sulle spalle, la baciai, appassionatamente ricambiato.
Forse la pillola iniziava a fare effetto.
Le afferrai le natiche, con desiderio.
Fu un bacio lungo.
Mi sorrise.
Prese la vestaglia e il resto, andò nel bagno che aveva già usato in precedenza. Sentii lo scroscio della doccia.
Io, intanto, mi ero messo in pigiama, ero pronto per andare a letto.
Vi andai, ansioso di rivederla.
Non ci mise molto ad apparire.
Così, acqua e sapone, era più bella e più giovane che mai.
La vestaglia aperta, la velata camicia che esaltava più che celare.
Scoprì il letto, si sedette, tolse vestaglia e camicia. Rimase nuda. Entrò nel letto. Il seno era scoperto, meraviglioso, invogliante.
Fu spontaneo allungare la mano a carezzarlo, chinarmi su lei e baciarlo, suggerlo, sfiorarle il ventre, il folto incantevole che s’arricciava sul pube. E, finalmente privo di inutili stoffe, sentii le sua grandi labbra aprirsi, trovai subito il piccolo clitoride vibrante, introdussi timidamente un dito nella sua palpitante vagina.
Li C’.s faceva effetto, e come!
Lei era andata con la mano sul mio pigiama, dal quale era balzato fuori, incredibile dictu, un baldanzoso e lusinghiero fallo. Come non ricordavo da tempo.
Mirella mi guardò, piacevolmente sorpresa, stringendolo nella sua manina.
‘E questo, dotto’, perché sei vecchio? Ma &egrave un pisellone di tutto rispetto!’
Rapidamente, mi sfilò i pantaloni, sbottonò la giacca.
‘Aspetta, dotto’, ci penso io. Sta fermo!’
Mi montò a cavallo, allargò le gambe, lo prese delicatamente e lo portò alle sue piccole labbra. Vi si impalò lentamente.
Da quanto tempo non provavo una simile sensazione!
Era bella la fichetta di Mirella, stretta, e le sue pareti lo stringevano, carezzavano, mungevano.
Benedetto il C’.s, ma certo che valeva una vita!
Forse sarà stata la troppo lunga forzata continenza, ma quella scopata mi sembrava la più bella di tutta la mia vita.
Ero irrequieto, le palpavo il seno, i glutei, m’intrufolavo tra le gambe a titillare il clitoride.
Lei cavalcava, sempre più decisa.
Socchiudeva gli occhi, rovesciava la testa indietro, li riapriva, gemeva’
‘Sei uno schianto, dotto”. Un vero schianto’. Me stai a fa’ morì’. ecchime’. oddio che sto a morì’. ecchime’. Madonna quant’&egrave bello’ vengo’. Amore mio’. Vengo’. Ammappete quanto sei grosso e tosto’ vengooooo!’
Si rovesciò su me, ansante.
Solo allora mi accorsi che aveva ancora gli orecchini ai lobi.
Le carezzavo i capelli, la schiena, le natiche sode e ancora frementi.
Io avevo goduto infinitamente, voluttuosamente, e il non impetuoso seme era fluito in lei che, dopo un momento di distensione, tornava a contrarsi intorno al mio fallo che non accennava assolutamente ad accusare segno di stanchezza. Di solito, dopo un amplesso del genere, il mio coso cominciava a decongestionarsi.
Nulla di tutto questo.
Come torre che non crolla!
Sollevò la testa, mi guardò, sorpresa. Le nari fremente, gli occhi sfavillanti,
‘Ma non s’abbatte per niente’ &egrave più duro di prima’ se &egrave così quello dei vecchi’ sia benedetta la vecchiaia’ Che fa, scendo?’
Alzai le spalle.
Dovette mettersi sulle ginocchia, alzare il bacino, per consentire che uscisse da lei, sempre tronfio e baldanzoso.
Si mise supina.
Abbandono’ il ‘tu’, tornò al ‘lei’.
‘Io ho conosciuto solo mio marito, dottò, ma lei &egrave eccezionale, tenero, passionale, un vero maestro’ non credevo che avrei goduto tanto’
Non nascondo che avevo messo in conto di cercare da darle un po’ di piacere, e che io non ne avrei provato’
E’ cambiato tutto, quando l’ho sentito dentro di me, così bello, tosto ed invadente, ho pensato soprattutto a me, lo confesso, a sfamarmi con un cibo che non conoscevo’
E’ proprio tutto nuovo’ le ostriche’ lo champagne’ questo albergo’ l’aeroplano’ questo meraviglioso pisellone.’
Allungò la mano, afferrandolo.
Mi guardò di nuovo.
‘Che fa’, ricominciamo?’
‘Vengo io su di te.’
Allargò le gambe, le alzò.
Mi sistemai tra esse.
Nessuna stanchezza, nessun disturbo, nessuna accelerazione del cuore.
Inarcò il bacino, intrecciò le gambe dietro la mia schiena, m’invitò a penetrarla.
E lo feci subito, col mio fallo che sembrava più saldo e aggressivo che mai.
Mirella mise le mani dietro la nuca, tutta intenta a sincronizzare i suoi movimenti con i miei. Il grembo palpitante, il volto estatico.
Mi piaceva da morire’ no, che c’entra il morire, stavo vivendo sensazioni paradisiache, voluttuose, con una bellissima femmina che aveva tanti, ma tanti anni, meno di me.
A mano a mano che intensificavo la mia azione, lei ondeggiava sempre più.
Il parlare nel piacere, evidentemente, aumentava la sua eccitazione.
‘Sei un fusto, dotto” gagliardo’ possente’ sento che il tuo pisello me liscia dentro ogni grinza, me fa’ gode da matta’ lo sento che spigne la bocca dell’utero, come si ce volesse entra” si’ daje così’ &egrave bellissimo’ ariecchime’ mejo de prima’ daje dotto” dajie’ dottoooooooo!’
E rimase di nuovo ansante e spossata, ma col volto estatico, incantevole.
Rimasi in lei, a lungo, perché il mio sesso non dava segni di rilassamento.
Avevo notato che in certi momenti prevaleva il dialetto, la spontaneità, la confidenza. Era bellissima.
Gli effetti del C’.s, erano veramente magici.
Che il cedimento fosse improvviso?
Comunque, mi stavo veramente sfamando.
E non ricordavo, devo confessarlo, una erezione del genere.
Due travolgenti amplessi e, in me, nessun segno di stanchezza.
Sentivo che le piaceva sentirlo in sé.
Ogni tanto avvertivo le contrazione della vagina, il movimento del bacino.
Indugiava a carezzarmi la schiena, a sbaciucchiarmi.
Ero tutto intento a palpeggiarle le tette ed a sentire come lo strizzarle i capezzoli si ripercuotesse in lei.
Non si accorse di assopirsi, ma anche così, le sue contrazioni e il suo continuo lieve ondeggiare non terminavano.
Com’era bello.
Si mosse un po’.
Mi sollevai, mi misi al suo fianco, si voltò, mi giacque sulle gambe.
Inutile, quello non s’afflosciava, e dovette, quindi trovare ricetto tra le splendide chiappe di lei, così com’era, turgido e gocciante.
Credo che anche io mi addormentai, non troppo a lungo, però.
Quando mi svegliai, eravamo ancora nella stessa posizione, lui compreso.
Mirella sospirò a fondo.
Evidentemente stava destandosi.
Allungò la mano e saggiò la consistenza della mia verga.
Senza voltarsi, più compiaciuta che contrariata, mi rivolse la parola.
‘Ancora?’
Spinsi un po’.
‘Sempre!’
‘Ma non conosce l’ammainabandiera?’
‘Sembra che lo rimandi.’
‘Allora profittiamone!’
S’inginocchiò sul letto, con la testa sul cuscino. Con le mani divaricò le natiche, tenendole aperte.
‘Dai, fammi una visita, riportalo a casa sua, non sbaglia’ porta, però.’
Al momento non volevo sbagliare, non era il casi di forzare i tempi. E poi, a dire il vero, quella fichetta, così stretta e palpitante, non aveva nulla da invidiare al’ foro concorrente.
Eravamo entrambi madidi dei nostri umori. L’ingresso fu più piacevole che mai. L’accoglienza entusiasmante. L’ospitalità ricca di voluttuose attenzioni.
Io profittavo di quella anomala e imprevista situazione erettile, e lei la sfruttava egregiamente, con voluttà, passione, bramosia, come fosse in inestinguibile fregola.
Comunque fu lei a chiedere riposo.
Per non morire, disse, perché voleva vivere e riprovarci ancora.
Fu solo a mattina inoltrata che l’effetto C’.s cominciò a cessare, rapidamente, com’era iniziato.
E solo allora, trasognata e felice, Mirella decise che era l’ora della doccia.
Fui d’accordo.
Ero letteralmente rinato.
Avevo temuto per quell’esperimento.
Non poteva essere più soddisfacente, appagante.
Quando Mirella rientrò, in accappatoio, sedette sul letto dove ancora poltrivo.
‘Scusi, dotto’, ma non si può prendere mezza dose di quella pillola?’
‘Perché, ti ha dato fastidio la cosa?’
‘A me? ma se non lo sognavo nemmeno di passare una notte del genere. Mi scusi, non lo sa c’&egrave un proverbio che dice: ha più fame una topa che cento bocche?.
‘E tu, hai ancora appetito?’
‘Non da quella parte là, lei m’ha sfamato per”
‘Per quanto?’
Mi guardò maliziosa.
‘Fino a quando vuole lei!’
‘Ma adesso la gradisci qualcosa per’ l’altra bocca?’
‘Certo!’
‘Allora, telefona e fa portare su due abbondanti colazioni, io intanto vado a fare la doccia.
Ah, a proposito, piantala a darmi del lei. Sei così bella quando mi dai il tu!’
‘Perché &egrave bello lei, in quei momenti. Anzi, tu.’
Andai nella doccia.
^^^
Da qualche tempo vivo una nuova vita.
Senza eccessi, logicamente.
La camera degli ospiti &egrave divenuta la camera di Mirella. Vi sono alcuni abiti, le sue vestaglie, le velate camice da notte.
Abbiamo una colf filippina che viene ad aiutarla.
Quando il marito ha il turno di notte, lei gli ha detto che va a casa di un malato che ha bisogno di assistenza. Unico mezzo di comunicazione il cellulare. Lui ci ha creduto, o ha fatto finta di crederci.
Non può essergli sfuggita una maggior ricercatezza della moglie, né un visibilmente diverso modo di vestire, di curare i capelli.
Ho fatto cambiare a Mirella la sua vecchissima 127 con modello più nuovo. Sempre una utilitaria. Lei ha detto al marito che la paga ratealmente con l’aumento della retribuzione concessole dal suo datore di lavoro, che sarei io, e con quanto ricava dalla sua nuova attività di assistenza notturna.
Non dice bugie, la ragazza (per me &egrave tale), tutto sommato si interessa di un malato!
E’ meraviglioso sentirla tra le mie braccia.
Prima ceniamo, a volte in un localetto poco distante da casa, poi il C’.s, quindi a letto!
Recentemente ho fatto l’elettrocardiogramma, anche la scintigrafia.
Tutto bene.
E poi, si tratta di una volta alla settimana.
L’effetto della pillola &egrave sempre pronto e duraturo.
Mirella ne &egrave soddisfatta, ne profitta, perché, dice, deve fare il pieno anche per i giorni successivi.
C’&egrave sempre la spada di Damocle del ‘coccolone’.
Pazienza!
Suaviter acquiescere’!
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply