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Ti fidi di me?

By 21 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Con il mezzo di locomozione che hai, quanti chilometri puoi fare?’ Questa frase mi raggiunse come un fulmine a ciel sereno, nel bel mezzo di una calda giornata d’estate. ‘Posso andare dove voglio’, rispondo io, ‘basta saperlo con un po’ di anticipo’.
Mi erano bastate quelle poche parole, dette con forza e decisione, a farmi scattare. Non avevo molto tempo a disposizione, e soprattutto non avevo assolutamente idea di dove sarei dovuta arrivare. E quanto tempo ci avrei impiegato. L’appuntamento era fissato per le 21.30, in un paese di mare vicino alla città. Ogni minuto di ritardo sarebbe stato severamente punito. Ero nel panico: il mio senso dell’orientamento era pari a zero e mi sarei dovuta affidare solo e soltanto al mio navigatore. Il mio signore mi aveva dato delle istruzioni precise: un abito scollato e leggero, tacchi molto alti, tutti gli oggetti che, durante il giorno, mi aveva detto di procurarmi: un libro particolare, un collare, un plug anale, una cintura, delle candele. Avevo messo tutti questi oggetti in una borsa e mi ero preparata alla velocità della luce. Tutto avrei voluto, tranne che fare tardi, tranne che perdermi per strada e iniziare con il piede sbagliato quella che, non lo sapevo ancora, sarebbe stata una delle serate più incredibili della mia vita.
Non so esattamente come, ma riuscii ad arrivare praticamente puntuale all’appuntamento: il mio orologio segnava le 21.30 precise, mentre quello del mio signore le 21.33: era la sua parola che contava, non la mia, e avrei dovuto impararlo in fretta. Sembrava allegro, rilassato, incuriosito e forse anche un po’ emozionato. Ero nel suo ambiente, nel suo territorio, fra le cose e le persone che a lui erano familiari: questo pensiero mi riempiva di orgoglio e di eccitazione, ma mi faceva allo stesso tempo essere molto tesa. Ero terrorizzata dal fare un passo falso, dal farlo vergognare nell’avermi condotto in un luogo per lui pieno di significato e di ricordi.
La cena trascorse lieve e serena, parlando del più e del meno, dopo avere incontrato anche un paio di suoi amici che, ne sono sicura, si stavano chiedendo chi io fossi. Per quanto avessi voluto sparire, mi rendevo conto che il mio vestito, tremendamente scollato e provocante, attirava molto l’attenzione: questi erano gli ordini, questo io stavo eseguendo. Sorridevo, cercavo di essere spigliata e sicura di me, ma non era per niente semplice e so che il mio signore se ne accorgeva, momento dopo momento. Finita la cena ci alzammo da tavola e il mio signore, avvicinando la sua bocca al mio orecchio, mi sussurrò: ‘dammi le chiavi della macchina’. Non avevo molta scelta e acconsentii. Non conoscevo affatto il luogo in cui mi trovavo e dovevo, per necessità, affidarmi a lui. Così presi dalla borsa le chiavi e, lasciandole tintinnare fra le mani, gliele lasciai scivolare fra le sue: il dado era tratto, e io gli appartenevo. Vederlo salire sulla mia macchina, prenderne possesso come fosse sua mi diede una scossa di adrenalina pazzesca: dove saremmo andati? Che cosa avremmo fatto? Lui sembrava tranquillo, ma non parlava. Girato l’angolo, accostò la macchina e mi disse: ‘vai al bar, quello in fondo, e acquista una bottiglia di acqua da un litro e mezzo’. Non mi sembrava un ordine così difficile da eseguire, e nemmeno un ordine dalle conseguenze poi così drammatiche. D’estate &egrave normale avere sete’ Chissà che cosa aveva in mente, mi domandavo. Rientrata in macchina, con l’aria spensierata dell’ignoranza, gli dissi: ‘&egrave naturale e a temperatura ambiente. Mi dispiace solo che non ci fosse da un litro e mezzo, ma da due’. Il suo viso si &egrave illuminato e, portando una mano sulla bottiglia per testarne l’effettiva temperatura, avvicinandosi alle mie labbra prima di ripartire, mi disse ‘&egrave ancora fredda. Inizia a berla, ma non deglutire tutto. Tienila prima un po’ in bocca per scaldarla. Quando l’appoggi, tienila fra le gambe, in questo modo’. Così mi disse, portando la bottiglia fra le mie cosce, proprio in prossimità degli slip. Io avvertii un brivido profondo e lui se ne accorse: ‘te l’ho detto che &egrave fredda’. E sorrideva. Iniziai a bere, senza capire il perché di quell’ordine strano; mandai giù qualche sorso e richiusi il tappo. ‘No’, mi disse, ‘ti ho detto di bere. La devi finire tutta’. Sgranai gli occhi’ Mi pareva impossibile riuscire a mandare giù due litri di acqua’ in quanto tempo poi? Non capivo e sentivo costantemente i suoi occhi su di me. La macchina continuava a scivolare lungo le strade di quel paese, fino ad arrivare al mare. Scendemmo, in silenzio, io con la mia bottiglia di acqua, lui con il suo passo sicuro di se. Andammo sulla spiaggia e nella mia testa di inguaribile romantica già pregustavo una serata carina in riva al mare e qualche sorpresa che ancora non riuscivo a immaginare. Iniziammo a camminare, lasciando le nostre orme sulla sabbia: lui davanti a me, io a qualche centimetro, cercando di stare bene attenta a dove mettessi i piedi. ‘Posso togliermi le scarpe?’ domandai. ‘puoi farlo’, si limitò a dirmi. Così era molto più semplice camminare sulla sabbia e lentamente mi misi al suo fianco. Arrivati proprio in riva al mare, ci avvicinammo ad un pattino piaggiato e il mio signore appoggiò lì il mio zaino e la bottiglia dell’acqua. Mi chiamò a se e, mettendomi le mani sulle spalle mi disse semplicemente: ‘adesso spogliati. Completamente’. Mi rassicurava il fatto che, con il buio, non potesse vedere il mio viso. Avevo le scarpe in mano che lui, prontamente e con molta cura, appoggiò sul pattino. Lasciai scivolare a terra l’abito, rimanendo così con l’intimo addosso. Speravo bastasse, ma lui stava aspettando. Non vedevo il suo sguardo, ma potevo sentirlo in tutto il suo spessore. Sfilai il reggiseno, sfilai gli slip. Gli consegnai tutto e rimasi così, davanti a lui. Mi stava guardando, mi stava osservando: non mi ero mai sentita così nuda davanti a qualcuno ma quello che mi sconvolgeva era il fatto di sentirmi anche profondamente eccitata. Mi sentivo come crisalide, pronta a divenire una meravigliosa farfalla. Mi sentivo proprio nel momento in cui viene bucato il bozzolo e si &egrave pronti a spiccare il volo. ‘Adesso voglio che cammini. E che vai verso il ristorante. Tocca la parete e torna indietro. Torna da me’. Il sangue mi pulsava nelle vene, sentivo le tempie scoppiare. Sarei stata vista, mi sarei sentita morire, sarei rimasta sotterrata dalla vergogna se qualcuno mi avesse vista in quel modo. Feci un respiro profondo, non potevo deludere il mio signore e mi incamminai. A testa alta, perché così il mio signore desidera che io fronteggi il mondo. Sentivo la brezza marina sfiorare tutto il mio corpo, la mia nudità. Mi sentivo riempita e con la testa vuota allo stesso tempo. Le mie gambe tremavano, ma io avevo una voglia pazzesca di fare quello che stavo facendo, come se una forza molto più grande di me si fosse impadronita di me. Camminavo, e più passi facevo, più mi sentivo forte e sicura.
Toccai la parete esterna del ristorante e fui pronta a tornare indietro. A oggi, non ho mai saputo se qualcuno mi abbia vista oppure no. Se questo &egrave accaduto, spero siano rimasti con il dubbio di averlo sognato. Oppure no. Tornata dal mio signore, mi sentivo abbastanza sicura di avere fatto quanto lui mi aveva domandato, di meritare un premio per il coraggio dimostrato, ma lui non sembrava affatto in vena di concessioni. Mi passò, invece, la bottiglia dell’acqua, chiedendomi ancora di bere. E mandai giù. ‘adesso andiamo’, mi disse, e iniziò ad incamminarsi. Lanciai un’occhiata al pattino, per vedere dove fossero finiti i miei vestiti, ma non ce ne era traccia. Lo domandai al mio signore, ma lui non mi rispose. Pensava davvero che sarei tornata alla macchina completamente nuda?
Si. Quella era la sua idea. Quello mi stava chiedendo. I miei vestiti li aveva lui, nello zaino che portava sulle spalle. Per riaverlo avrei quanto meno dovuto raggiungerlo: non avevo scelta, e così lo seguii. Ci stavamo pericolosamente avvicinando alla zona di luce, alla zona abitata: qualcuno mi avrebbe per forza visto e io ero terrorizzata. Non ero ancora così forte da poterlo sopportare. ‘Ti fidi di me?’ Mi disse. Quella era la domanda chiave. Quella alla quale per tutto il tempo avevo evitato di rispondere. Sapevo che da quella risposta sarebbe dipeso tutto il resto e che era quello il momento di decidere. Lo guardai negli occhi e lui guardò me come mai dimenticherò: ci stavamo dicendo tutto quello che era necessario dirsi in quel momento. ‘Ti fidi di me?’ disse ancora.
Chiusi gli occhi. Respirai profondamente. E quando li riaprii non ero più la stessa persona di qualche istante prima. Avevo fatto un salto che mi avrebbe portato in luoghi sconosciuti. ‘Si, mio signore’. Era la prima volta che lo chiamavo in quel modo. Fu allora che prese lo zaino, lo aprì e mi consegnò il mio abito. Non l’intimo, che tenne per se. Non le scarpe, solo l’abito. Me lo fece indossare e mi condusse, a piedi nudi, verso la macchina. Qualche cosa fra di noi era cambiata e lo sapevamo entrambi. Ci fermammo nuovamente dopo poco, questa volta davanti ad una casa. ‘Questa &egrave casa mia’, mi disse. ‘Fa piano, che i vicini dormono’. Non avevo idea di che ora fosse, né di cosa mi aspettava all’interno. Ma stavo entrando in un luogo che gli apparteneva intimamente, come fosse un santuario. Varcai la soglia e mi trovai in un salone buio. ‘Svuota lo zaino con tutto quello che c’&egrave dentro. Poi, mettiti in ginocchio al centro della sala e aspettami lì’. Eseguii silenziosamente e con cura tutti i suoi ordini e attesi secondi infiniti che lui tornasse. Sentii i suoi passi avvicinarsi a me, la sua mano fra i suoi capelli e il rumore di un accendino che veniva fatto scattare.
Dopo avere acceso tutte le candele che avevo portato, si inginocchiò davanti a me e rimase lì per un tempo che a me parve infinito. Poi, sempre in silenzio, prese la prima di quattro candele e, con un gesto repentino, mi colò la cera bollente sulla spalla destra. Non potei resistere a quel dolore violento che avvertii sulla pelle e gridai. Ma mi resi subito conto che durava pochi istanti. E che il piacere che il mio corpo provava subito dopo era qualche cosa di inaspettato e perverso. Lo lesse negli occhi, continuando a disegnare sul mio corpo attraverso le candele. Mi fece sdraiare a terra e il contatto con il freddo del pavimento mi procurò un brivido e la pelle d’oca. Attraverso la luce della candela, potevo vedere i suoi occhi ardenti e brillanti, compiacersi della sua opera. Le sue dita mi sfioravano ovunque, accompagnando la cera nella sua danza astratta su di me. Lo desideravo, lo volevo ancora. E ancora. La cera calava sul seno, sui capezzoli, sul ventre, goccia a goccia, come un lento stillicidio. Era una sensazione di godimento di incredibile intensità e violenza. Godevo nel vederlo compiacersi dei suoi gesti. E mi sentivo una regina nell’essere il centro di tutte quelle attenzioni. ‘Bevi ancora’. Mi disse. E io obbedii, ma dentro di me sentii che non potevo ancora resistere a lungo senza dover chiedere di poter andare in bagno, anche perché non avevo idea di dove fosse.
Lo vidi allontanarsi di qualche passo da me e prendere il collare che avevo scelto come tale: una catenina d’argento con delle sfere. Me lo mise attorno al collo, dicendomi che non lo avrei mai dovuto togliere, quando fossi stata in sua presenza. Disse che avevo fatto una bella scelta, e che scendeva bene fra i miei seni. Li guardò e li strinse forte strappandomi un gemito, più di piacere che di dolore. Lo vidi armeggiare con qualche cosa alle sue spalle e prese alcune mollette per i panni. Rigirandole fra le mani, le applicò sui miei capezzoli che divennero duri all’istante. Erano stretti, ritti per l’eccitazione e per la sollecitazione delle mollette. Poi mi chiese di stendermi a terra e di aprire le gambe. Già sapevo che lo stesso trattamento sarebbe toccato alle grandi labbra, ma ciò che fece mi stupì. Aprii le gambe e lui rimase a guardare la mia intimità per un tempo che a me parve infinito. Portò un dito alla bocca e poi dentro di me. Sentii la sua saliva mischiarsi ai miei umori, che serbavo copiosi dentro di me. Il suo dito scivolò abilmente nella mia intimità ed il piacere iniziò ad espandersi come un mare nel mio corpo. Quella sensazione era resa ancora più forte dalla vescica che spingeva verso il basso: dovevo disperatamente andare in bagno, ma mai avrei voluto che il mio signore smettesse di masturbarmi. Sentivo le sue dita dentro di me, sul mio corpo. Vedevo i suoi occhi bearsi di quella vista e il mio corpo era all’apice dell’estasi. La sua mano correva fra le mie labbra e all’improvviso si portò sul ventre e spinse. Io emisi un gemito e lui comprese tutto. ‘Devi forse andare in bagno?’. In un istante l’atmosfera cambiò ancora. ‘Si, dovrei’, dissi io con un filo di voce. ‘Allora devi chiedermelo come si deve’. ‘Dovrei andare in bagno, per favore’, aggiunsi io. Lui spinse ancora la mia pancia quasi fino a farmi male. ‘Devi chiedermelo come una brava sottomessa domanda al suo padrone’. ‘Mio signore’, dissi abbassando lo sguardo e sentendomi avvampare, ‘posso chiederti di concedermi di andare in bagno?’. Disse si e io feci per alzarmi, ma con un gesto repentino mi riportò sulle ginocchia. ‘Ti ho detto che saresti andata in bagno. Non ti ho detto come lo avresti fatto’. Prese il collare in mano e mi chiese di rimanere in ginocchio. Fece un passo in avanti e lì fu chiaro che lui era il padrone e io la sua sottomessa. Ecco perché aveva voluto che bevessi. Per gustarsi la scena. Non mi mossi subito. Attesi qualche istante, il tempo di realizzare quello che davvero stava succedendo. Arrivammo in bagno ed io sperai che fosse finita lì, che uscisse e mi lasciasse il mio tempo. Ma prese uno sgabello e si accomodò, aggiungendo: ‘prego, il bagno &egrave tutto tuo’. Avrei dovuto fare pipì davanti a lui???? Avrei voluto piangere, scappare via, andarmene. Non ci sarei mai riuscita. Eppure una forza a me sconosciuta mi inchiodava lì dove stavo: non volevo deluderlo, sentivo che il desiderio di compiacerlo era molto più forte della profonda umiliazione che stavo subendo. Mi trovavo in bagno, al guinzaglio del mio padrone, nuda, coperta di cera e con delle mollette per i panni sui capezzoli: che altro voleva da me? Più pensavo a quello e meno riuscivo a liberarmi. Sentivo il suo sguardo addosso a me, che scrutava ogni movimento, ogni emozione che il mio viso tradiva. ‘Ho tutto il tempo che serve, non ho fretta’, disse con una dolcezza che non mi aspettavo. L’idea di trovarmi in quella situazione mi eccitava da morire, ma mi innervosiva non riuscire a lasciarmi andare’ Chiusi gli occhi, senza dire niente, e mentre una lacrima scendeva sulle guance, finalmente sentii il liquido caldo uscire fra le mie gambe e una sensazione di liberazione impadronirsi di me. C’era un silenzio irreale, solo il mio rumore riempiva l’aria. Il mio signore mise una mano sulla mia testa per tutto il tempo. Finito fu lui ad asciugarmi e sentire la sua mano fra le mie gambe mi ancorò nuovamente a terra. ‘sei un lago, bambina’. Fu un brivido. Immenso, lunghissimo, senza fine. Finito tutto, tornammo in salotto e lo vidi slacciarsi la cintura. Guardandomi negli occhi, mi disse ‘adesso voglio premiarti. Perché sei stata brava.’ E spogliandosi completamente di fronte a me avvicinò il mio viso al suo membro, eretto e lucido. Tutta quella situazione lo aveva eccitato oltre misura: potevo vederlo, potevo toccarlo e lo accolsi nella mia bocca. Lo sentii gemere profondamente al solo contatto con la mia lingua: era pronto ad esplodere e voleva che fossi io a farlo. ‘Mentre tu farai venire me, io concederò a te di venire’, disse e, senza lasciarmi il tempo di dire nulla, con una mano sfilò le mollette dai miei capezzoli facendomi sussultare per il dolore, e con l’altra mano penetrò la mia intimità, toccando poi con maestria il clitoride. Più lui si muoveva così, più la mia bocca lavorava su di lui, facendolo gemere ed eccitare: il suo respiro si fece pesante e avvertii le contrazioni che precedono l’orgasmo. Fu un secondo ed esplose nella mia bocca, sulle mie labbra, sul mio viso, fra i miei seni. E mentre si lasciava andare così, seppe sfiorare il punto del mio clitoride che fece esplodere anche me in un urlo liberatorio. Stavamo venendo insieme, l’uno per l’altra, l’uno addosso all’altra. Durò un tempo infinito.
E rimanemmo così: la sua mano dentro di me, la sua intimità nella mia bocca, scossi, eccitati, per nulla sazi dei nostri istinti e delle nostre pulsioni.

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