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Racconti Erotici Etero

Tu chiamale se vuoi emozioni

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Si sentiva stupido. Stupido e incapace. Raul aveva 20 anni, faceva il cassiere alla “cadi”, una grande azienda di estintori, laureando in economia e commercio, giocava in una squadra di basket ed aveva tanti amici. Eppure si sentiva perso, lui che aveva sempre fatto quello che gli piaceva, non riusciva a capire cosa gli stava succedendo. Eppure nulla era cambiato da quando aveva lasciato la sua città del sud Italia per andare un po’ più su con la scusa di andare all’università. Aveva raggiunto il suo scopo, lasciare la famiglia impicciona e sentirsi libero. Si era inserito subito in una comitiva, grazie al suo modo di esprimersi, cosi’ simpatico e sincero, un po’ da nonno e un po’ da amante. Ogni giorno era per lui una nuova esperienza, il giorno andava a qualche noiosa conferenza, la notte andava in qualche negozio. Chiuso. Già, si divertiva, voleva succhiare da quello spicchio di vita quanto era possibile.Ma era ormai da tempo che non riusciva a muoversi, paralizzato da un seme che aveva dentro da molti anni, e che ora cominciava a metter radici. Lui conosceva questo seme. Era entrato dentro di lui all’inizio del suo terzo anno di scuola superiore. Si chiamava Eloisa. Era l’intervallo del primo giorno di scuola, e come al solito tutti i “vecchi” andavano a rompere le scatole ai novellini, animali freschi da gettare al carnefice. Entrò in quella prima, con nel viso quell’espressione da duro strafottente che devono avere quelli della sua età e diede uno sguardo panoramico a tutta la classe. Ma il suo viso non fece il giro completo, si fermò a metà. Alla terza fila sotto la finestra, una ragazza bellissima, capelli a caschetto castano chiari e occhi di un marrone che sfonderebbe qualsiasi animo, parlava con un’altra ragazzina, non degna di essere guardata dopo che gli occhi avevano contemplato la bellezza suprema. Ebbe modo di conoscerla poi, non alta, con delle gambe perfette e un seno prosperoso, molto simpatica e spigliata. Ebbe modo di conoscerla ma non la frequentò mai. Non ne aveva il coraggio. Eppure non era l’aspetto fisico che gli mancava, alto, moro, con quel po’ di muscoli che non guastano mai e con un modo di fare che poteva stendere qualsiasi donna. Non gli mancava neanche l’età, aveva solo sedici anni ma era già andato a letto con tre donne diverse, per non parlare delle numerose prede che faceva ogni anno.

Ma forse era quello il problema. Lui non la considerava una preda. La considerava una dea, superiore a chiunque, degna di essere solo contemplata. Si sentiva un po’ Leopardi, non riusciva neanche a masturbarsi pensando a lei, le sue mani si fermavano, la sua mente non osava sporcare un’immagine cosi’ pura. Qualche volta guardandola pensava: “bè, non sono mica un ricchione”, e si avvicinava con passo veloce verso di lei. Ma poi si fermava, riusciva a dire un ciao, a raccontare la giornata, niente più. Il sabato sera si incontravano raramente, frequentando posti diversi, ma quando la vedeva con minigonna e top aveva voglia di coprirla, di uccidere qualunque uomo la guardasse, anche i suoi amici. Eppure di solito vedendo una bella ragazza gli veniva voglia di stuprarla, non di coprirla. Non capiva cosa gli stava succedendo, aveva paura di quello che gli stava accadendo. Non riusciva neanche a stare con un’altra ragazza senza pensare a lei, la sua vita stava diventando come una delle tante storie retoriche che si vedono nei film, voleva finirla. Già, ecco il vero motivo per cui se ne andò, è vero che la famiglia era asfissiante, è vero che aveva voglia di libertà, ma Eloisa era diventato un pensiero troppo pesante e strano, e lui voleva sentirsi leggero. Ma anche lontano tantissimi km da casa, pensava a lei la vedeva in ogni donna che passava, in ogni cosa che vedeva. “cazzo, mi sto combinando come i lunapop”, diceva cercando di togliersi quel pensiero. Negli ultimi tempi sembrava che se ne fosse andato, ma era sotto la pelle, ad attendere, pronto a tornare su con forza. E cosi’ accadde. Un giorno, mentre camminava con i suoi pensieri rivolti al prossimo esame di diritto, vide all’angolo della strada lei, l’oggetto ormai rimosso. Non la segui’, lasciò che scomparisse all’orizzonte. Per tutto il giorno non pensò più all’esame di diritto. Quanti pensieri erano ritornati fuori, essi si accavallavano gli uni con gli altri creando uno stato confusionale incredibile. Tornato a casa si gettò sul letto, voleva vedere qualche foto del suo recente passato, ma si ricordò che non se ne era portata nessuna, faceva parte della cura. Malediceva se stesso, era inerme, cercava di convincersi che non era lei, cercò di mettere in ordine i pensieri. “Cosa ci faceva lei là? Certo aveva finito la scuola, dovrebbe essere iscritta all’università, ma cazzo con tutte le città del mondo proprio qui doveva venire?”. Era ormai sera, non se la sentiva di uscire, ma aveva voglia di scaricare tutte quelle tensioni. Arrivò al solito bar, si sedette al solito tavolino e cominciò a tracannare il tracannabile. I suoi amici erano un po’ scioccati, non lo avevano mai visto bere tanto. Ad un tratto una mano si appoggiò sulla sua spalla, lui si girò. “Eloisa!” esclamò. “bè hai visto un fantasma?” “scoppiarono tutte due a ridere, dopo 5 minuti i clienti del bar avevano deciso all’unanimità che quei due erano deficienti. Non avevano completamente torto! Quando finirono di ridere parlarono, del più e del meno, del meno e del più, ma Raul non osava dire quello che aveva passato per colpa di lei. Si diedero appuntamento per l’indomani sera in discoteca. Fu tutto veloce, come se si frequentassero assiduamente da sempre. In effetti, Eloisa da tempo frequentava una buona parte del cuore di Raul. In discoteca si poteva parlare poco, con quel rombo assordante, ma sentivano tutte due un’attrazione fortissima. Lui si sedette nel piccolo divano, lei lo segui’ e si baciarono. Aveva baciato la sua dea, non ci credeva, non sapeva cosa fare. Continuarono a baciarsi, accarezzandosi il viso per tutta la notte. Ormai tutti e due conoscevano in ogni dettaglio la bocca dell’altro, il sapore dell’altro. Erano le 4 di mattina quando lui l’accompagnò n4el piccolo appartamento che lei si era affittata. Lei lo invitò a salire, lui lo fece. Sentiva dentro di se che qualcosa era esploso, il suo cuore batteva a mille, avrebbe assaggiato con cura ogni istante di quel momento. Saliti, si baciarono di nuovo, lei lo invitò nel suo letto lo spogliò e si mise in bocca il pene di lui. Leccava tutto con maestria, lui venne subito, lei ingoiò tutto con ardore. Lo sborro gli aveva coperto tutta la nera maglietta aderente che portava, Raul gliela tolse, assieme a quella minigonna che aveva odiato nella sua giovinezza. Guardò quel corpo, gli tolse il reggiseno, portava una quarta abbondante, cominciò a leccargli i capezzoli, mentre con l’altra mano la masturbava. Si misero nel letto e lui la penetrò con dolcezza, non voleva osare troppo in quel corpo divino. Fece la stessa cosa nel sedere di lei, mentre lei gridava. Si misero a 69, sentirono il risultante dei loro umori, lui veniva ogni secondo, sembrava avere una riserva infinita. Dopo quella fatica lei si addormentò, mentre lui continuava ad accarezzargli il corpo, ormai convinto di aver decifrato quello che provava per lei.

“ti amo”, disse lui baciandogli la fronte

lei apri’ leggermente gli occhi, “io no, ma sei stato il migliore con cui ho fottuto”

le funzioni vitali di Raul si fermarono per qualche secondo

“che stupido che sono stato, lo sapevo, lo sapevo, lo dovevo sapere” pensò ripresosi

“lo sapevo, lo sapevo, lo dovevo sapere” e intanto la sua anima sprofondava nel nulla

“lo sapevo, lo sapevo, lo dovevo sapere” era come quando, da bambino, sua madre gli aveva detto che Babbo Natale era una favola

“lo sapevo, lo sapevo, lo dovevo sapere” continuava mentre il suo cuore piangeva

“lo sapevo, lo sapevo, lo dovevo sapere'”

“l’amore non esiste'”

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