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Racconti Erotici Etero

UN AMANTE INESPERTO

By 4 Febbraio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

UN AMANTE INESPERTO MA FOCOSO

Suonò il campanello. Mi alzai dal divano e corsi ad aprire. Era Silvano: lo aspettavo, dovevamo vedere insieme il programma dell’esame di statistica. Dopo il 30 e lode di matematica ero esaltata, mi pareva di avere il mondo in mano, di poterlo gestire a mio piacere. Farmi anche il prof di statistica era impossibile: era gay, e lo sapevano tutti. Dunque non mi restava che rassegnarmi, e mettermi a studiare.
A questo punto, cercare di metter su una strategia di studio insieme a Silvano, uno dei miei compagni di corso più bravi, mi pareva l’unica strada percorribile.
Il mio collega di facoltà entrò, tutto sudato ‘ come al solito ‘ e salutò educatamente i miei genitori. Mio padre rispose con uno dei suoi soliti mugugni, mia madre invece fu gentilissima, ci chiese anche se volevamo il caff&egrave.
Declinammo, poi ci dirigemmo nella mia stanza. Silvano sedette e si chinò subito a prendere i libri dallo zaino. Quando si piegò in avanti, vidi che aveva la base del cranio piena di forfora. Addosso aveva la solita felpa blu, un po’ stinta, e dei jeans che non conoscevano l’acqua da un bel po’.
Era bravo, Silvano, molto intelligente, ed anche altruista, sempre pronto ad aiutare i compagni in difficoltà. I suoi appunti erano tra i migliori che giravano nel nostro gruppo, molto più completi di quelli di Floriana. Il problema era che non aveva granch&egrave cura di se stesso. Si lavava poco, indossava vestiti vecchi e puzzolenti. Aveva uno strato di forfora che gli copriva tutto il cuoio capelluto, e un nugolo di punti neri sul naso che, ogni volta che lo fissavo. era come se mi chiamassero: ‘Strizzami, ti prego, fammi venir fuori che chiuso qui dentro non voglio starci più’. Insomma, non era quel che si dice ‘un bel figo’. Stargli vicino mi dava un po’ di nausea, e di solito preferivo servirmi della sua ‘consulenza’ incontrandolo in facoltà; ma stavolta era dura, e avevo davvero bisogno di lui.
Quando mi sorrise, sollevando la testa dallo zaino, rivelò che nemmeno la pulizia dei denti era il suo forte: tra gli incisivi aveva qualcosa, probabilmente residui del pranzo. Mi veniva quasi da vomitare. E, sia per il suo bene che per il mio, gli chiesi: ‘Vuoi una gomma?’. Fortunatamente accettò.
Poi ci mettemmo a studiare. Mi accorsi subito che era bravo, molto attento, pronto ad aiutarmi e paziente. Studiammo per quasi due ore senza interruzioni, poi bussarono alla porta della mia camera: era mia madre, che aveva preparato dei panini e ce li portava per fare un break, insieme ad una brocca di succo d’arancia.
Io e Silvano facemmo volentieri una pausa e ci mettemmo a chiacchierare piacevolmente: parlammo di musica, di alcune conoscenze comuni, dei progetti per il futuro.
Ad un certo punto, lui si tolse gli occhiali, per massaggiarsi la radice del naso, e scoprii due occhi di un azzurro chiarissimo, molto più espressivi e mobili di quanto le spesse lenti facessero intravedere.
Parlammo e ridemmo a lungo, e quando decidemmo di rimetterci a studiare, lui inforcò nuovamente gli occhiali e si sedette; aveva ripreso da poco a spiegarmi un concetto difficile, e io facevo fatica a comprendere. ‘Aspetta, te lo sottolineo’, disse. Mentre tendeva una mano per prendere l’evidenziatore, casualmente mi sfiorò un seno. Rabbrividii, e lo guardai intensamente negli occhi. Lui ricambiò lo sguardo, ma vidi che era arrossito fino alla radice dei capelli. Gli sorrisi dolcemente e, prendendogli la mano, me la rimisi sul seno. ‘Cosa c’&egrave ‘ gli chiesi ‘ hai voglia di fare un’altra pausa?’
Silvano era immobile, rosso, fissava la sua mano sul mio seno e sembrava incapace di fare qualsiasi mossa. ‘Allora, cucciolo, cosa c’&egrave?’ continuai.
Lui si tolse di nuovo gli occhiali e, guardandomi ancora negli occhi, osò allungarsi verso di me e toccarmi l’altro seno. Tremai. Sentii un linea sottile di piacere che mi solleticava alla base dei reni, e un palpito leggero laggiù, nel sesso.
Ora fui io che, mentre i nostri sguardi erano incatenati, lo toccai, accarezzandogli l’uccello, già teso allo spasimo sotto i jeans.
Fu un attimo. Poi Silvano mi fu addosso, goffo, accaldato, bramoso. Mi cincischiava con forza i seni, mi tirava i capelli, mi strofinava il pube con il suo turgore. Pareva un ragazzino eccitato, di quelli alla prima esperienza.
Con abilità gli tirai fuori il cazzo dalla cerniera e glielo accarezzai. Venne immediatamente, con un rantolo da animale ferito. Fu allora che capii: non era mai stato con una donna. Lo compresi, oltre che dalla sua precoce eiaculazione, dall’imbarazzo che lo prese subito, da come nascondeva il volto nella mia spalla, per sfuggire al mio sguardo.
Gli presi il viso tra le mani e con delicatezza gli chiesi cos’era accaduto. Non parlava, era muto, vergognoso. Accarezzandogli il collo, gli dissi che andava tutto bene, e che non era nulla di grave. ‘Son cose che capitano’, mormorai.
‘E’ che tu’sei così bella, e mi piaci così tanto’, si giustificò lui.
Mi accoccolai tra le sue lunghe braccia e rimasi così, tranquilla, mentre lui mi accarezzava i capelli, infilando le dita tra i miei riccioli.
‘E’ così bella questa massa di capelli neri, così selvaggi. Come te: &egrave così che ti immagino, da sempre. Indomabile, selvaggia. Mi fa venir voglia di prenderti e di metterti le briglie come una puledra nervosa. Mi sei sempre piaciuta per questo tuo modo di essere, Veronica’.
Rimasi assai colpita dalle sue parole. Come, il piccolo, forforoso genietto del mio gruppo di facoltà aveva una cotta per me e non me n’ero mai accorta? Mi intenerii e gli diedi un bacio sul collo. Per lui fu come se gli avessi ricaricato una molla invisibile. Mi attirò verso di sé e mi baciò sulla bocca. Un bacio bollente e umido, pieno di passione. Poi ritornò sui miei seni, massaggiandomeli a mani piene. Il suo cazzo, ancora fuori dai jeans e appiccicoso di sperma, cominciò a muoversi. Una spinta verso l’alto, come un guizzo, ed era di nuovo teso e rigido, puntato verso di me.
Stavolta non commisi l’errore di toccarlo; attesi invece che Silvano mi toccasse. Le sue maldestre carezze mi avevano fatta bagnare: mi sentivo calda ed aperta, pronta per un rapporto. Glielo dissi, sussurrandoglielo tra le labbra, mentre mi baciava. ‘Ho voglia di far l’amore’, gorgogliai. Lui non si fece cogliere dalla timidezza; fu invece lesto ad abbrancarmi per le gambe e infilarmi una mano sotto la gonna. Mi allargò lo slip e si insinuò nella passera: la strada era facile, sgombra. Ero aperta e liquida, e a lui questo piacque moltissimo. Cominciò a muovermi le dita dentro, curioso, come solo un ragazzino alla prime armi può essere. Toccava dappertutto, senza cognizione di causa, smanioso di sentire, eccitato come non mai. Dovetti guidarlo, e per me fu bellissimo mostrargli cosa doveva fare, come doveva muovere le dita. Si rivelò un amante inesperto ma focoso, desideroso di imparare, pieno di buona volontà. Gli feci scoprire il clitoride, il punto G, la vagina. Mi lasciai leccare: lappava con voluttà, assaporando i miei umori, esplorando con la lingua appuntita, divertendosi a farmi gemere di piacere. Giocò con la mia fica a lungo, finch&egrave fu troppo congestionata e vogliosa perché mi lasciassi toccare o leccare ancora. ‘Ti voglio dentro, adesso’, gli dissi.
Lo feci stendere sul mio letto. Il suo pene ormai era teso come un pezzo di legno, e dovetti calmare un po’ la sua eccitazione stringendogli i testicoli, altrimenti avrebbe goduto immediatamente. Quando lo vidi ridimensionarsi, lo tenni fermo con due dita e mi avvicinai. A gonna sollevata, mi sedetti su di lui e, aprendomi la fica con due dita, mi calai sul cazzo rigido di Silvano. Lo vidi farsi paonazzo, annaspare nell’aria, come alla ricerca di qualcosa di inafferrabile. Mi prese i glutei tra le mani e li strinse forte, mentre mi spingeva il pene dentro, penetrandomi in profondità. Fu una sensazione deliziosa. Lo cavalcai dolcemente: ero calda, vogliosa, volevo stringerlo dentro di me, volevo godere.
Scopavo ritmicamente, ondeggiando i fianchi, chiudendogli il cazzo nella fica con movimenti circolari, in attesa dell’orgasmo. Silvano era sul punto di venire: il suo viso era contratto, aveva gli occhi chiusi. Per tre volte mi accorsi che stava per godere e per tre volte mi fermai. ‘Aspetta, ti prego, devi aspettarmi’, gli dicevo.
Mi mossi su di lui agile e desiosa; quando sentii arrivare il piacere, accelerai il ritmo strofinandomi sul pene durissimo. Vidi Silvano che spalancava gli occhi, lo vidi aprire la bocca e sentii i suoi colpi che mi martellavano. Godemmo insieme, mugolando, mordendoci a vicenda le labbra per non far sentire le nostre grida trattenute ai mie genitori che, ignari, guardavano la tv in salotto.
Quando tutto fu finito, scivolai via da Silvano ma lui mi trattenne.
‘Ti amo, Veronica’, mormorò. Lo fissai negli occhi. ‘Come fai a parlare d’amore? Non &egrave possibile. Non mi conosci affatto’.
E lui: ‘Ti conosco abbastanza per sapere che sei la ragazza più bella e sexy che io abbi amai conosciuto. E so che sono follemente innamorato di te’.
Non risposi. Mi limitai a scuotere la testa, e lui mi guardò tristemente. Poi ci ricomponemmo e lui disse che doveva andar via. Ci salutammo con un leggero imbarazzo, senza darci un nuovo appuntamento. Il giorno, dopo, però, in facoltà, andammo a prendere un caff&egrave e gli parlai con dolcezza, tentando di fargli capire che non era il caso che lui mi considerasse la sua nuova fidanzata.
‘Non &egrave successo nulla di che, fra noi’, gli dissi.
‘Ma come ‘ replicò lui ‘ ma se abbiamo fatto l’amore!’
‘E’ per quello che tu sei convinto di amarmi, Silvano. Non l’hai capito? Il mio fascino sta solo nel fatto che sono la prima donna che te l’ha data!’. Mi guardò, uno sguardo da cucciolo ferito. Capii che era il momento di ‘affondare’.
‘Il fatto &egrave, amico mio ‘ proseguii ‘ che io sono la prima che te la dà, ma non sei certo tu il primo a cui la do io’, e poi feci un sorrisetto leggero.
Lo vidi impallidire, ed ebbi la netta percezione di scendere dal piedistallo su cui mi aveva innalzata. Mi guardò, scosse la testa, poi voltò le spalle e si allontanò.
Non lo vidi per una settimana. Quando lo rincontrai, era lunedì. Non lo riconobbi subito: sembrava un altro. Era vestito alla moda, aveva i capelli puliti, tagliati corti e aveva tolto gli occhiali. Una pulizia del viso gli aveva restituito un aspetto curato. Era bellissimo. Mi passò accanto lasciando una scia di intrigante profumo. Vicino a me c’era Carola, una ragazza molto carina, che appena lo vide si misi a scodinzolare. ‘Silvano, aspetta, andiamo al bar?’. Lui si girò e, con aria a metà tra l’annoiato e il compiaciuto, rispose: ‘E va bene, andiamo’.
Li guardai allontanarsi insieme. Lei sbavava, e lui si compiaceva di fronte a tanta ammirazione. Sorrisi a me stessa. Avevo ‘svezzato’ un verginello, gli avevo regalato nuova consapevolezza di sé e ne andavo fiera.

Gioialuna

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