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Racconti Erotici Etero

Un giorno di pioggia

By 14 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Dieci centimetri. Entrambi sapevano che se i loro visi avessero coperto quella distanza, e le loro bocche, finalmente, si fossero incontrate, nulla sarebbe più stato come prima.
Dieci centimetri, e le fantasie, che entrambi serbavano dentro loro, ormai da mesi, sarebbero diventate realtà.
Dieci centimetri, e ciò che temevano, più di tutto, si sarebbe avverato.
Dieci secondi, per decidere se darla vinta alla ragione o alla passione.

Era un grigio pomeriggio di Gennaio, Elisa aveva appena finito le lezioni, e si apprestava ad uscire dal dipartimento di fisica per tornare, finalmente, a casa. Varcato l’uscio, fu investita da un vento gelido, e, guardando in alto, poteva scorgere nuvoloni minacciosi che preannunciavano un’imminente temporale. Era a piedi, senza ombrello.
Decise quindi di camminare a passo svelto, per arrivare prima che si scatenasse la tempesta. Qualche minuto più tardi, le prime e finissime gocce di pioggia cominciarono a cadere, e farsi via via sempre più insistenti. Fu quando, finalmente, trovò un fortuito riparo sotto la pensilina della fermata, che abbondanti scrosci di pioggia cominciarono a venir giù, obbligandola li per chissà quanto tempo.
Con estrema pazienza, si sedette ed attese.
La sua mente vagava. Le piaceva fermarsi a pensare quando era da sola. Elisa era una grande sognatrice, le piaceva fantasticare su argomenti più disparati ed immaginare luoghi e situazioni strane od improbabili, o, perchè no, desiderate.
Il primo pensiero, quindi, corse a lui, il suo professore di Analisi, la sua ricorrente fantasie erotica. Elisa era una bella ragazza, forse un pò capricciosa. Aveva sempre avuto tutto nella vita, soldi, successo ed amore, ma viveva nella perenne insoddisfazione di chi, una volta ottenuto ciò che desidera con tutto il cuore, automaticamente si accorge che, in fin dei conti, non valeva chissà quanto.
Il suo adente desiderio, adesso, era proprio lui, il professor Carlo Martini, protagonista dei suoi sogni erotici ormai da mesi. Era un burbero e temutissimo professore, per il quale, senza riuscire a comprenderne il motivo, senza che effettivamente lo conoscesse, aldilà dell’ambito universitario, provava qualcosa di molto simile all’amore. Non era amore, chiaramente, anche Elisa ne era consapevole, ma era altrettanto certa che, se lo avesse avuto, anche per una sola volta, sarebbe stata sua, incondizionatamente. Si stupiva di come una persona razionale e cinica, come lei, potesse partorire questi pensieri ai limiti del melenso.
Il clacson la risvegliò dal suo sogno ad occhi aperti. Una macchina scura si fermò prorio davanti la pensillina, il vetro si abbassò, mostrandole il conducente dell’auto.
“Signorina Rossi! Prenderà un malanno se resta li!”
“P-Prof. Martini” balbettò Elisa “Stò aspettando l’autobus” replicò.
“Mi permetta di offrirle un passaggio, con questo tempo dubito che riuscirà a tornare a casa prima di un paio d’ore!”
Le si illuminarono gli occhi, sentendosi, contemporaneamente, tremendamente a disagio.
“Professore, davvero.. non si preoccupi”
“Salga su, non la mangio mica!”
Con un sorriso, Elisa, accettò.

Il prof. Martini, classico professore universitario. Volutamente severo a lezione, temuto da tutti gli studenti, era in realtà una persona estremamente gentile. Non fu, tuttavia, solo la sua cortesia, a spingerlo ad offrire ad Elisa quel passaggio. Quella ragazza gli piaceva, e non poco. Era diversa dalle solite oche che si presentavano nel suo studio, sperando di ottenere la materia dispensando favori sessuali, compromesso che egli, da uomo, non rifiutava.
La vedeva sempre a lezione, seguirlo con estremo interesse, ed esporgli intelligenti dubbi sugli argomenti spiegati. Si divertiva ad ammirarla, quando la lezione terminava, uscire dall’aula e chiacchierare con i colleghi. Si dispiaceva, del fatto che non fosse mai andata a trovarlo nel suo studio, o di non fermarsi, come molte sue colleghe, a chiedere informazioni, con sguardo civettuolo e provocanti atteggiamenti, intorno la cattedra, prima che cominciasse a spiegare.
Da uomo, era un cacciatore, ed una preda difficile era molto stimolante, è vero, ma non era solo questo che lo attraeva in questo modo. C’era dell’altro, che neanche lui riusciva a spiegarsi.
Così, quando la vide sola, al freddo, ripararsi dalla tempesta, alla fermata del bus, colse la palla al balzo, e ne approfittò.

Salita in macchina, ringraziò garbatamente il suo insegnante, e si godette il tepore dei riscaldamenti accesi.
“Dove devo lasciarti?” Chiese il professore. Elisa gli indicò la strada.
“Così vicino? Che peccato!” Commentò ironico, facendo sprofondare nell’imbarazzo la sua allieva, che non sapeva come interpretare, ne come rispondere all’affermazione.
Gli sorrise timidamente, poi, portò la mano sul bocchettone dell’aria calda, tentando di ristabilire la abituale scioltezza di quelle lunghe dita. adesso anchilosate per il freddo.
Non si era mai sentita tanto in soggezione come in quel momento, e lo stesso Prof. Martini, non sapeva che pesci pigliare.
Era, per entrambi, una situazione nuova, a cospetto di qualcuno di cui si è inspiegabilmente e pericolosamente attratti. Nella macchina si poteva solo sentire il rumore del tergicristalli che liberava il parabrezza dagli abbondanti scrosci di pioggia ed il debole rumore del riscaldamento acceso. Gli occhi dell’uno, e dell’altro, rivolti sulla strada, provavano a non incrociarsi, per un nuovo ed immotivato imbarazzo che impediva loro di formulare alcuna frase minimamente sensata.
“Li, Professore, può lasciarmi li, grazie” disse Elisa indicando un cancello verde, seminascosto dall’edera del giardino.
Le pallide dita della ragazza, artigliarono la maniglia dello sportello della macchina, fin quando con un “clic” esso si aprì. Si, voltò, intenzionata a ringraziarlo di nuovo, ma, nel momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli del suo professore, l’unica frase che le uscì di bocca, istintivamente, fu:
“Le va di salire?”

“Le va di salire?”. Carlo Martini non credeva alle sue orecchie, la guardava con occhi stupiti, pensava, ma con tutte le sue forze non sperava, di aver frainteso.
“Vorrei offrirle qualcosa, è stato gentilissimo ad accompagnarmi fino a casa” si affrettò a puntualizzare Elisa, sapendo bene che la motivazione, in realtà, non era quella.
Si, Carlo aveva frainteso, pensava, era solo un gesto gentile di ricambiare la cortesia, quindi, accettò, deluso, con un “Volentieri”.

Si accomodarono dentro. La casa era ampia, elegante, ed abbondantemente riscaldata. Da ottima padrona di casa, Elisa lo invitò a spogliarsi del cappotto ed accomodarsi sul lungo divano in pelle nera del salotto, porgendogli gentilmente, dopo aver preso l'”ordinazione”, del whisky.
Aleggiava un silenzio assordante, che si andava pericolosamente protraendo nel tempo, fino a che il rumore del bicchierino di cristallo del professore che si poggiava, vuoto, sul tavolino antistante il divano, non lo ruppe. Elisa gli sorrise “Desidera qualcos’altro?”.

“Te” rispose Carlo, senza troppi indugi, avvicinandosi alla sua allieva, e fermandosi esattamente a dieci centimetri dal suo viso.

Dieci centimetri… Dieci secondi… E tutto accadde.

Adesso erano soltanto una massa informe di carne, passione e vestiti, intrecciati tra loro, che si nutrivano l’uno dell’altro. I corpi andavano spogliandosi, il respiro si faceva pesante e rumoroso, e i movimenti sempre più rapidi, atti a scoprire, nel minor tempo possibile, la pelle nuda e calda sotto gli indumenti. Le mani di Carlo frugavano nervosamente sotto i vestiti, palpando e stringendo tra le dita le morbide e giovani forme dell’allieva, che ansimava, al contatto di quegli estranei ed eccitanti artigli.
Le ruvide dita si intrufolavano in meandri caldi ed umidi, inzuppandosi degli umori che scaturivano copiosi dall’eccitata figa di Elisa, adesso nuda, a gambe aperte, oscenamente offerta al suo amato professore.
“Continui, continui la prego” ansimava e gemeva allo stesso tempo, mentre stringeva nelle sue piccole mani da ragazza il possente e scuro membro di Carlo, che ammirava, con sguardo estasiato le smorfie di piacere su quell’innocente visino.
Si avvicinò ad esso, in un esplicito invito.
La ragazza aprì gli occhi ed ingoiò con avidità, come se non stesse aspettando altro, il turgido cazzo, mentre fissava, con occhi lucidi ed eccitati quelli del suo insegnante. Lo succhiava e lo leccava con amore, non aveva desiderato altro in questi mesi, che dar piacere a Carlo, in ogni modo possibile, il quale, ancora, stentava a credere a ciò che stesse accadendo.
Fu quando, in una roca preghiera, la dolce allieva lo supplicò di chiavarla, che mise da parte ogni remora morale o qualsiasi dubbio che avesse potuto trattenerlo dall’ottenere l’agognata preda, si distese sopra di lei, la baciò, e con un movimento lento ma deciso, penetrò quella accogliente culla, aumentando, progressivamente, il ritmo degli affondi.
I gemiti ed i mugolii di Elisa spronavano il professore ad una scopata animalesca.
Lo supplicava, mentre mordeva la pelle del divano, a chiavarla senza gentilezza, a farle male, a sfondare il suo giovane fiorellino e fare del suo corpo tutto ciò che egli desiderasse, anche incularla, se lo avesse voluto.
Si stupiva, di come una fanciulla, all’apparenza tanto innocente, potesse essere, il realtà, una micidiale macchina da sesso.
Si eccitava tremendamente, mentre, artigliando per i fianchi il magro bacino e spingendo dentro di lei il suo cazzo, con estrema violenza, guardava il faccino dolce e pulito della sua alunna, arrossato e sudato per i numerosi orgasmi. Le sue dita, strette in un solido pugno, gli occhi, chiusi per il piacere, la bocca, spalancata, urlare parole oscene, ed il meraviglioso corpicino, coperto da un eccitantissima patina di sudore, venirgli incontro, rendendo ancora più profonda, quella già estrema cavalcata.
Approfittò dell’ennesimo orgasmo, quando la muscolatura dello sfintere anale fosse sufficientemente rilassata, per esaudire l’ultima sua richiesta, scoparle anche il culetto.
Provò a penetrarla con due dita, che a stento riuscirono ad attraversare lo strettissimo buchino, muovendole con dolcezza ed infinita lentezza.
“E’ la mia prima volta li, faccia piano, la prego”.
Elisa adesso lo guardava con aria preoccupata, mentre l’eccitazione di Carlo continuava pericolosamente a salire.
Cosa c’è di più eccitante per un uomo, che essere il primo a deflorare quel superbo e minuscolo orificio?
Con amore, si piegò in mezzo alle gambe di Elisa, ed iniziò a leccare, con movimenti circolari, lo scuro buchetto, che, pian piano, permise l’ingresso alla punta della sua lingua. Poi si servì delle dita, spargendo gli abbondanti umori anche laddove, purtroppo, la natura non ha mai provveduto ad una adeguata lubrificazione, penetrandola con dolcezza, mentre la sua bocca, succhiava delicatamente il clitoride.
Bastarono pochi secondi, per portare la sua amata allieva alle porte di un’altro potentissimo orgasmo, che avvertì, nitidamente, dalle ritmiche contrazioni della muscolatura anale che si stringeva e si allargava intorno le sue lunghe e ruvide dita.
Quindi, con attenzione, la penetrò. Stava attento ad ogni minima smorfia di dolore sul viso di Elisa, rallentando o fermandosi all’occorrenza. La ragazza gli aveva, si, chiesto di farle male, ma mai Carlo, avrebbe voluto farlo seriamente.
Con enormi sforzi, e parecchio tempo, finalmente, l’intero membro si era fatto strada nel giovane intestino, ed adesso non attendeva altro che iniziare a muoversi. Si appoggiò sulla pallida schiena dell’allieva, portando le sue mani davanti, sul piccolo bottoncino, iniziando una lenta stimolazione, mentre, dietro, dentro di lei, entrava ed usciva con estrema attenzione.
Ben presto i gemiti cambiarono natura, le smorfie, che si disegnavano sull’angelico visino, mutarono di significato. Il dolore lasciò ben presto posto al piacere, un estremo piacere, per entrambi.
Elisa lo incitava ad accelerare, e Carlo non vedeva l’ora di accontentarla, pur consapevole che una più rapida penetrazione in un così stretto canale, avrebbe messo sicuramente a repentaglio, la sua proverbiale resistenza.
Così infatti accadde. Bastarono un paio di affondi, che, l’ormai stremato cazzo del professore, riversò, dentro di lei, roventi e copiosi fiotti di sperma, ed il suo torace si appoggiò, sudato ed ansimante, sulla schiena di Elisa, che si muoveva, su e giù, seguendo i suoi profondi e frequenti respiri.
La invitò a sdraiarsi, a pancia in giù, e lui, sopra, senza uscire da lei, si godeva i meravigliosi minuti successivi all’eiaculazione.
Carezzava i suoi capelli, scostandoli dalla fronte imperlata di sudore, baciava la bocca, ancora schiusa ed ansimante, massaggiava le sue ossute spalle e le sue braccia, mentre, con gli occhi chiusi, entrambi annusavano l’aria che sapeva dell’unione dei loro corpi, l’odore di ormoni, umori e sperma che pervadeva la sala, per quanto ampia essa fosse.
L’antico orologio a pendolo, ruppe l’idillio. Come nella fiaba di Cenerentola, il suo rintocco, che annunciava l’ora ormai tarda, obbligò loro a sciogliersi da quell’abbraccio, ricomporsi, salutarsi, e ringraziare quella benedetta giornata di pioggia.

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