Skip to main content
Racconti Erotici Etero

UNA SCOLARA SPECIALE – IL PRIMO ESAME – 6

By 15 Settembre 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Quella notte dormii poco e male. Più di una volta mi ero impedita di muovermi nel letto nonostante mi sentissi irrequieta, per non far trapelare a Francesco la mia inquietudine. Tra di noi avevamo sempre parlato molto di ogni argomento e parlavamo ancora molto, ma ora sentivo che qualcosa si stava incrinando e certi argomenti non venivano più affrontati. Era solo una sensazione, ma ero quasi certa che non fosse dovuta alla mia condizione di prostrazione per quel periodo scellerato; quella storia ci stava pian piano logorando. Quel giorno anch’io feci colazione con lui per risparmiare tempo e quando mi diede un bacio, guardandomi mesto mentre prendeva l’uscio per uscire, mi venne il magone. Non capivo bene se stavo prendendo in giro anche me, ma nonostante fossi fermamente convinta che non sarei andata da Luana nella pausa pranzo, stavo predisponendo tutto, come se avessi invece già deciso diversamente. La sera precedente avevo persino trovato il tempo per passare dal negozio di sanitari per comprare l’occorrente per fare un clistere. Era qualcosa che non avevo mai fatto e quando ero bambina, ma allora era la mamma che provvedeva con una minuscola peretta. Dovevo far presto se volevo salvare il mio matrimonio. Misi un pentolino d’acqua sul fuoco, mi tolsi il plug anale che non creò alcun problema e preparai l’occorrente per la mia lavanda intestinale. Quando infilai la cannula, immaginai che quell’appendice lunga e sottile potesse essere qualcosa di diverso e mi scoprii a immaginarne l’effetto pensando che fosse qualcosa che il giorno prima avevo anche già assaporato che non era poi così mortificante come ricordavo; anzi tutt’altro. Passai tutta la mattinata in negozio a ripetermi che no, non ci sarei andata! E quando arrivò l’ora della mia pausa, ruppi gli indugi con me stessa e accettai la verità che in fondo avevo sempre conosciuto, ma che fingevo, da atavica moralista, di considerarla come una macchia e un disonore anziché la mia unica ancora di salvezza.

Quando suonai alla porta venne Luana ad aprirmi col solito camice bianco. Ci guardammo immobili e silenziose sulla soglia un attimo di troppo, ambedue col cipiglio severo. Non ci eravamo nemmeno salutate. Stanca entrai senza dire una parola e mi diressi verso la camera da letto, entrando nella zona privata. Tutto era in ordine, con sul letto il mio corpetto stirato e profumato di pulito e un paio di calze nuove. Aveva già preparato tutto. Cominciai a spogliarmi, mentre lei mi guardava appoggiata alla porta della camera e quando fui nuda le rivolsi un’occhiata incrociando i nostri sguardi. Indossai il corsetto e le calze, regolando bene che la riga dietro fosse diritta. In quell’attimo sentii suonare, ma lei non si mosse e non mi mossi neppure io; non volevo darle la soddisfazione di mostrarmi titubante, manifestando il mio cambio di umore. Poi mi sedetti sulla sponda del letto e calzai le scarpe.

“Avrei bisogno del gioiello.”
E accosciandomi tolsi quello che avevo senza alcun problema, lo fasciai in un fazzolettino e glielo diedi. “Questa mattina mi sono fatta una lavanda.”
Lei apri un cassetto lo prese e me lo porse mentre io ero ancora china, lo inumidii mettendolo in bocca e in un attimo lo sistemai.
Quando mi rialzai mi fermai immobile davanti a lei e ci ritrovammo a guardarci fisse negli occhi.
Non riuscimmo a guardarci per più di una manciata di secondi perché, come se ci fossimo segretamente accordate, cominciammo a ridere e abbracciandoci ci scambiammo un lungo e lascivo bacio.
No, non era lascivo. Quel bacio tra noi aveva acquistato un significato diverso. Quello scambio di lingue e salive era il nostro modo di dimostrare all’altra tutta la nostra affinità affettiva, offrendoci a vicenda la nostra intimità, anche se poi il risultato finale, almeno per me, era quella di farmi gonfiare i capezzoli e risvegliare in me un ignoto prurito tra le gambe. In effetti, forse un po’ di lascivia c’era in quel bacio.
“Aspetta. Siediti un attimo alla toeletta e girati verso di me.”
Prese un beauty case e lo posò accanto a me sul ripiano di vetro.
“Ti ho tolto tutto il rossetto e dobbiamo rimediare.”
Il rossetto tuttavia fu l’ultima cosa che mi sistemò e dopo parecchi minuti:
“Ecco, ho finito. Guardati!”
Mi guardai stralunata. Ero uno schianto.
“Non immaginavo davvero che fossi così brava.”
Le mie labbra erano rosse come il fuoco. Io non avrei mai comprato un rossetto così, ma era terribilmente accattivante e mi stava bene; dava vivacità e un’aggressività rapace al mio volto.
“Ma come hai fatto?”
Sentii ancora suonare alla porta, ma lei non parve aver udito e anch’io ignorai la cosa.
Gli occhi poi, erano il suo capolavoro. Aveva sfumato il nero sulle palpebre in ombre magistrali. Non rendendoli più scuri, ma più penetranti ed intriganti; direi più viziosi, e con quelle sfumature di ombretto dorato, dosate con quello blu pastel, mi vedevo come una principessa egiziana in attesa di compiacere il faraone. Aveva dosato le sfumature del trucco rendendomi il viso più affusolato. Non sembravo più io e di certo l’aspetto d’insieme non era certo peggiorato. Indossando la mascherina avrei coperto una buona parte del mio viso. Peccato! Arrivai a pensare che con quel trucco nemmeno io avrei saputo riconoscermi se mi fossi avventurata

di là, senza la mascherina, ma abbandonai subito quella balzana idea che scomparve dalla mia mente con la stessa velocità con la quale mi era venuta.
“Siamo pronte? Mettiti anche la maschera che possiamo incrociare altre persone.”
“Dammi una mano a indossarla. Ho paura di sbavarmi il trucco.”

“Ecco fatto; andiamo.”
Quando entrammo nel salottino sentii provenire dall’altra parte un vocio allegro e scherzoso. Ma chi c’era? Luana aprì la porta sulla reception ed ebbi subito l’impressione di una gran quantità di persone e fui nuovamente sopraffatta dall’agitazione e dalla paura.
“Buongiorno signori questa è Maona.
Maona questa è Carmen.
Questa è Nancy.”
Ad ognuna stringevo la mano che mi porgeva e rispondevo:
“Piacere.”
Mi accorsi subito che io ero la più discinta; le altre due ragazze avevano sì una mise che si accordava con la mia, ma per quanto ridotti, ognuna aveva degli eleganti string a coprire le nudità.
Johnny lo conosci già e questi sono Il dott. Martelli e il prof. Klauster, miei buono amici.
Notai subito che tutti e due mi stavano guardando in modo impertinente una sola cosa.
Subito dopo, però, mi dovetti ricredere quando il prof. Klauster mi accarezzò un seno, stringendomi un capezzolo.
“E dire che io di seni ne vedo tutti i giorni, ma per vederne uno uguale bisogna andare a scomodare Venere sull’Olimpo. Il tuo è davvero perfetto.”
Fu Luana a fornirmi il chiarimento.
“Il professore è un emerito chirurgo senologo e di tette se ne intende.”
Mi ero voltata di spalle e lui si accorse del mio plug anale.
“Son diventato senologo perché mi piaceva toccare le tette, ma anche fare il proctologo non sarebbe stato male e mi diede un buffetto su una chiappa per poi stringarla chiudendo le dita attorno alla mia carne che finì per essere una palpata licenziosa con la scusa del mio gioiello.
Mi ritrovai immedesimata e a mio agio in quel mio Salon Kitty, come se l’avessi sempre fatto.
Poi, come ad un silenzioso segnale ognuno si diresse verso il proprio paradiso e io, con Luana e Johnny mi diressi verso il mio inferno. Johnny si sedette sul letto e guardandomi mi chiese di togliermi la mascherina. “Dai, voglio vederti bene.”
Quando lo feci rimase a bocca aperta.
“Che meravigliosa creatura. Sei perfetta.”
Mi tolsi il plug con facilità e visto che c’era del disinfettante, lo lavai, lo asciugai con un kleenex, irrorandolo con la soluzione disinfettante per poi posarlo diritto senza più toccarlo sulla mensolina del lavabo.
Quando mi girai anche Luana si era levata il camice e aveva addosso un magnifico completo di pizzo che con le sue trasparenze era pressoché inesistente e guardandomi aggiunse.
“Vedi? È questa la lingerie che mi piace.”
“È molto bella davvero!”
“Dovresti tenere anche tu qualche “boite a desir” di Aubade nel tuo negozio.”
Mi sedetti sul letto accanto a Johnny che ne approfitto subito per carezzare l’interno della mia coscia, mandandomi fremiti che subito mi fecero risvegliare e lievitare i capezzoli che ora sembravano due pollici rosa. Johnny si alzò, andò a lavarsi le mani e poi con calma, guardando ora me ora Luana, cominciò a spogliarsi sorridendo.
Fu la volta di Luana a sedersi sul letto accanto a me e parlandomi sottovoce, ma non tanto, in modo che anche Johnny potesse sentire, guardandomi aggiunse:
“Lo so che tutto questo per te vuol dire dare un taglio con quello che sei stata fino ad oggi, ma vedrai che tutto andrà bene. Non aver paura, ci sono anch’io e so quanto questo sia penoso per te.”
Sì, aveva ragione. Per me era penoso, ma quello che non sapeva era che in quei pochi giorni passati da quando l’avevo vista per la prima volta, mi avevano trasformato dentro ed era come se fossero già passati anni da quando avevo conosciuto Luana. Ora volevo con impazienza che tutto si compisse. O meglio: quasi tutto; purtroppo tutto non poteva compiersi, ma ora nella mia voglia di sapere era subentrata con tenacia anche la mia curiosità morbosa. Lo volevo sapere come donna, non come implicazione morale che poteva ripercuotersi su di me. Sentivo che quella barriera era già stata superata anche se cercavo di negarlo. Compresi che ero curiosa di assaporarlo, ma solo come atto sessuale.
Com’ero cambiata! Il sesso non mi era mai stato familiare e anche per mio marito era qualcosa di poca importanza a cui comunque io tendevo e avevo manifestato interesse, ma solo per canonico dovere coniugale nei suoi confronti. Solo che ora, pur non avendolo mai assaporato, lo volevo per pruriginosa curiosità.
Poi lei mi fece sdraiare sul letto.

“Sei bellissima.”
Mi forzò ad allargare le gambe e io chiusi gli occhi.
“Non chiudere gli occhi. Guardati.”
Aprii gli occhi e mi guardai sul soffitto che rimandava la mia immagine e, sempre acquattata su di me con gli occhi puntati al soffitto, incrociai i suoi che famelici e sorridenti mi fissavano. Poi, sempre guardandomi, si avvicinò fino a farmi sentite il suo respiro sulle carni umide e facendo avanzare la lingua cominciò ad intrufolarsi golosa dentro di me. Chiusi gli occhi posando le mie mani sul suo capo cercando di aumentare quel torbido contatto.
Strinsi le gambe imprigionandola, e quel vortice fece piazza pulita dei miei pensieri e delle mie remore, tendendo il mio corpo fremente nell’attesa di quel lampo accecante che da poco Luana mi aveva fatto scoprire. Mi sentivo partecipe in quella tenzone. Sentii improvvisamente due mani calarmi sui seni e stringermi i capezzoli.
Johnny!
Mi piacque quando la sua bocca me li morse alternativamente fino a farmi sentire quella dolorosa sensazione che mi si rivelava là, dove Luana stava vorticando la sua lingua. Mi stava piacendo ciò che facevo. E ora, senza più provare vergogna, stavo partecipando.
Pensai con pena a Francesco, ma lui subito scomparve quando quella spirale viziosa cominciò a farmi sentire i suoi prodromi e mi misi in attesa che mi esplodesse in testa quel bagliore sorprendente.
Poi tutto si fermò.
Aprii gli occhi sbarrandoli.
Johnny e Luana si erano staccati da me.
“No, vi prego. Non lasciatemi così.”
Mi sentii piagnucolare.
“Vi prego. No, no. Non mi fate questo. Non potete!”
Mi sentii sballottare.
Poi vidi Luana impadronirsi della mia bocca e cominciare a baciarmi.
Le risposi in preda all’ansia, con la speranza che potesse farmi arrivare alla conclusione che qualche istante prima mi stava assalendo rapidamente.
Avvertii le mie cosce sollevarsi e due paia di braccia robuste che le tenevano sollevate.
Luana mi parlò con la bocca appoggiata al mio orecchio e mi sussurrò:
“Ecco, questo è il momento. Distenditi. Non essere tesa. Prova a spingere quando senti che Johnny prova ad entrare; come se volessi espellere qualcosa.”
E subito dopo sentii Johnny appoggiarsi dove prima c’era il mio gioiello. Lo sentivo spingere e arretrare e avvertivo che stava lentamente entrando forzandomi. Attendevo il dolore che sapevo sarebbe arrivato. Stringevo la mano di Luana e quando sentii l’inguine di Johnny appoggiarsi alle mie chiappe capii che era tutto dentro. Mi meravigliai di quello che era successo. Non era stato affatto doloroso. Non ho idea di quanto tempo passò, e mi ritrovai con Johnny che ora mi stava assestando pesanti colpi che ero contenta di ricevere e mi scoprii a muovermi all’indietro e ad andargli incontro, rinculando col suo stesso impeto. Capii che il mio piacere era quello di sentirmi alla sua mercé e il sentirmi sottomessa e scardinata mi fece comprendere appieno il senso del piacere che avvertivo in quel momento. Fu nell’attimo in cui sentii il mio sfintere trasmettermi le sue pulsanti contrazioni che mi irrigidii cercando di intrappolarlo come per impedirgli uscire da me. In quel momento presi coscienza che lui mi stava inondando gli intestini con il suo seme e compresi appieno che mi piaceva quella totale sottomissione.
Forse fu la grandiosità di quel pensiero a farmi esplodere e ciò cui bramavo mi strinse con la sua mano possente e mi fece esplodere finalmente quel lampo sconvolgente che poco prima mi era mancato. Mi sentii come premere da una benefica e incontrollabile pressione che era tanto forte da rimpicciolire il mio corpo alla sua essenza, dandomi la sensazione di allontanami da me stessa e guardarmi come spettatrice tutta quella scena, ma nulla rispondeva più ai miei comandi. Ritornai alla realtà con ancora il respiro concitato e con i polmoni che reclamavano ancora più aria.
Poi anche Johnny si staccò.
Ci guardammo e mi chiese:
“Ti ho fatto male.”
Mi sentii arrossire.
“Proprio per niente. Me lo aspettavo, ma …. ma mi son sentita solo tendere molto forte la pelle. Non mi hai fatto male, anzi ………”
Aggiunsi con un risolino seducente e vergognoso.
“Ho solo un fastidioso bruciore, ma credo che sia dovuto al fatto che io, il culo, non l’ho mai usato in questo modo. Quello che non sapevo e che pensavo impossibile era che non credevo proprio che si potesse godere

col culo. Pensavo che fosse solo un piacere mentale nel sentirsi come una preda in mano al proprio carnefice che poteva farmi qualsiasi cosa; insomma, un godimento solo mentale e invece …….”
“Che gioiosa troia. Mi sei costata, ma ne è valsa davvero la spesa. Sei il più bel culo che abbia mai riempito. Stretto e morbido come un guanto. Con una pelle che sembra velluto. Una carezza.”

Spalancai gli occhi guardando Luana e le dissi:
“Ma mi hai venduto? Ti sei fatta pagare?”
“Lo credo bene! Cosa credevi che gli lasciassi sverginare il tuo culo gratis? Non preoccuparti che facciamo fifty-fifty.”
Ora sì che ero una diventata una puttana, ma una puttana vera; una di quelle che lo fanno per soldi e, come diceva la signora Gianna, eccomi trasformata in una corpivendola.
Sentii una vergogna immensa, ma anche un intimo pensiero di compiacimento per quanto era successo. Ora tornare indietro non era più possibile e anche quel “gioiosa troia” con cui mi aveva chiamato Johnny, mi risuonava quasi come un complimento straordinario.

Leave a Reply