Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Una Signora quasi perbene prima parte

By 22 Febbraio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

UNA SIGNORA QUASI PERBENE – prima parte
Quell’anno, fu l’unica volta che trascorsi le vacanze estive in montagna, anzi per essere precisi in collina. Lo ricordo bene, fu un anno terribile, mio marito cadde in depressione, lasciò temporaneamente la scuola dove insegnava, e su consiglio del terapeuta, prendemmo quel villino in affitto per luglio e agosto, lontani dai frastuoni e dallo stress della città. Per me, fu più un dovere che un piacere, non amo la vita di campagna, mi annoia, e solo per il bene del mio uomo, decisi di trascorrere quel lungo periodo isolati dal mondo. In seguito dovetti ricredermi, perchè non eravamo proprio soli, intanto tutti i giorni una signora del posto veniva in casa a fare le iniezioni a mio marito, e con la quale scambiavo qualche battuta in libertà, poi il vasto giardino della casa, veniva curato da un contadino sempre del posto. Teodoro, aveva sempre lavorato la terra, il suo fisico asciutto e curvo ne era la prova più evidente, non più giovanissimo, ma valido e fecondo. Veniva con il suo furgoncino a tre ruote due volte alla settimana, poi tre, e qualche volta me lo vedevo fuori casa quasi tutti i giorni, sempre impegnato con gli alberi e i fiori. A me non dava fastidio, ma sentivo che in qualche modo c’entravo pure io, avevo la sensazione che venisse anche per me, per vedermi, osservarmi, chissà cosa, baaa..! Parlando con Felicia, la donna delle iniezioni, venni a sapere che Teodoro, lei lo conosceva bene, era un uomo tranquillo ma con un vizietto, quale..? Bee, era un guardone, spiava le coppiette che si appartavano nei campi, e anche le donne del paese nei loro movimenti spontanei e maliziosi. Era sposato, ed aveva un figlio maschio tale e quale a lui, così mi disse Felicia, poi aggiunse che aveva un problema, con la moglie, ma non seppe o non volle dirmelo. Era estate, il caldo ti dà alla testa, senti la noia mortale che ti assilla, esci sulla terrazza a piano terra, ti sdrai sul lettino di vimini, ti togli la gonna, ed in reggiseno e mutandina ti abbandoni ai raggi del sole che ti accarezzano la pelle. Non te ne accorgi, ma Teodoro e lì, ti sbircia quando tu lo guardi, ti osserva sfacciato quando invece sei distratta, assorta nei tuoi pensieri, che fare? Gli occhi di un uomo anziano e lussurioso, emanano una specie di raggi invisibili che quando te li senti addosso sono, almeno per me, come delle frecce a forma di cazzi che ti colpiscono ovunque e ti penetrano dappertutto. Mi sentii per la prima volta imbarazzata, misi la veste sul davanti per coprirmi, poi mi alzai per andare dentro casa, lasciando all’uomo, la possibilità di vedermi e radiografarmi il didietro coperto dallo slip bianco. Non sono una santa, ma neanche una puttana, i “raggi” di Teodoro, avevano avuto il loro effetto, sentivo e volevo trasformare tutto ciò in un giochino erotico, dove la preda non sarei stata certamente io. Mio marito, sempre in casa, intento alla lettura dei numerosi libri che aveva con se, non si preoccupava di me, e io neanche di lui, perciò quella mattina usci di casa, già solo con slip e reggiseno, addosso, i costumi da bagno non li avevo portati, perchè inutili in campagna. Il contadino, puntuale come un orologio, mi vide, e facendo finta di rasare una siepe, lì di fronte, si sistemò dietro di essa in modo da potermi guardare senza voltarsi, eravamo l’una di fronte all’altro. Mi chinai per sistemare il lettino, di nuovo ritta, mi tolsi il reggiseno rosa, e lo poggiai maliziosamente sulla ringhiera di legno che cingeva il terrazzo, il mio seno florido e bianco, privo di abbronzatura, fu offerto all’avido sguardo dell’uomo. Non più di cinque metri, ci dividevano, mi girai e lentamente abbassai la mutandina anch’essa rosa, mi stava stretta, la portai giù ancheggiando con il culetto, quando fu ai miei piedi, mi chinai per prenderla, e.., e credo di aver offerto il meglio di me, agli stralunati occhi dell’uomo. Riposi con cura l’indumento sulla staccionata e mi stesi lentamente sul lettino a pancia sotto, in balia dei raggi del sole e di quelli di Teodoro. Anch’io cominciai a sbirciare per assicurarmi che lui mi guardasse, infatti non mi toglieva gli occhi di dosso, vedevo un movimento dietro la siepe, ma non sono certa che si stesse masturbando, allargai un po le gambe in modo che potesse vedermi anche la fica, un’unica fessura con il solco delle chiappe. Assorta nei miei peccaminosi pensieri, studiavo la prossima mossa, era chiaro che dovevo essere io a dare un segnale inequivocabile, non mi aspettavo certo che mi saltasse addosso e mi chiavasse. Mi venne in mente della legnaia dietro casa, senza pensarci sù, mi alzai in piedi, sempre davanti a lui presente e guardone, mi rimisi la mutandina fissandolo negli occhi, poggiai il reggiseno sulla spalla, senza indossarlo e con le mammelle al vento mi avviai al capanno della legnaia. Gli passai ad un metro di distanza, abbassai gli occhi, per non metterlo in imbarazzo, e a metà percorso, mi fermai, mi girai e con la testa gli feci cenno di seguirmi, lui recepì il messaggio e fù subito dietro di me. Le parole non avevano senso, appena mi appoggiai alla parete mi mise le mani addosso, mi toccò le mammelle, strizzandomi i capezzoli, poi me li baciò, non sazio, discese, chinandosi sul ventre, baciandomi l’ombelico fin dentro l’incavo, mentre con le mani trafficava tra le cosce. Mi abbassò la mutandina quel tanto per scoprirmi la passerina, i fulgidi peli neri del pube, attirarono la sua attenzione, me li carezzò col palmo della mano, come si fa con i cuccioli di cani. Poi si tuffò avido tra le mie cosce, che nel frattempo avevo allargate, e diritto con la bocca sulla mia fica, facendosi spazio con la lingua tra le grandi labbra. Tenuta ferma e salda dalle rugose mani del contadino, piantate sulle natiche, offrii il mio fiore anch’esso avido alla rasposa e insolente lingua, che subito mi penetrò in vagina, il piacere aumentava di intensità, cominciai a miagolare, strizzandomi da sola i capezzoli e l’intera mammella. Stringevo le chiappe per meglio aprirmi davanti, e la sua lingua non mi deludeva, mi spennellava dappertutto dentro la fica, fuori, nell’inguine e infine sul clitoride, che sollecitato mi offrì il primo orgasmo, leggero, di breve durata ma intenso. Stavolta fui io a chinarmi davanti a lui, ci eravamo invertiti i ruoli, aprivo la patta dei pantaloni guardandolo in faccia, e scorsi una leggera preoccupazione sul viso, un disagio suo, non capii, ma continuai, ficcai la mano dentro e tastai il “pezzo” di carne, lo tiravo fuori dalla patta, ma non ci riuscii. Decisa a fargli un bel pompino, ricambiando la favolosa leccata che appena mi aveva fatta, slacciai la cintura e gli tirai giù contemporaneamente pantaloni e mutande, rimanendo di stucco di fronte a quel spettacolo che mi si parò davanti. Una nerchia spaventosa, quando strana, mai visto un cazzo così, lungo quasi una trentina di centimetri, più sottile alla radice, con una cappella fuori norma…, a forma di ombrello, sii…., avete presente un fungo porcino…, proprio così…! Rimasi impressionata, lui parlò per la prima volta, farfugliando delle parole, come a scusarsi, si intimidì temendo forse che lo avrei piantato lì, andando via, ma a me i cazzi di qualsiasi specie e dimensioni non fanno impressione, passato lo stupore cominciai a leccarglielo sul lato esterno. Lo cospargevo di saliva, e lo tastavo con la lingua sulle grosse vene piene di sangue che solcavano il fusto, poi aprii bene la bocca tentando l’introduzione, mi accorsi che la grossa cappella a ventosa si comprimeva riuscendo a passare tra le mie labbra. Una volta che l’avevo in bocca, solo la cappella si intende, l’altro era impossibile da ingoiare, serrai le labbra attorno ad essa e giochicchiavo con la lingua, mentre con ambedue le mani gli menavo la lunga asta, masturbandolo freneticamente, fino a farlo venire. Avvertii con le mani, lo sperma che passava nel canale, strinsi di più le mani attorno al cazzo cercando di rallentare la pressione e la velocità, in modo di avere il tempo di sputare dalla bocca quella mostruosa cappella, che non voleva uscire. Appena in tempo, ancora a bocca aperta non potei evitare, di ingoiare i primi fiotti di sborra, poi, strinsi le labbra e il grosso della sborrata mi si appiccicò sul mento, sulle labbra, sul naso, sulle gote e sugli occhi. Terminata la “colata” usai il cazzone a mò di pennello, spalmandomi su tutto il viso e sulle tette il resto dello sperma, a cazzone ancora gocciolante, mi alzai in piedi, mi girai e me lo misi tra le cosce strofinandomelo sulla fica e sul culo, che goduria ragazzi…, esagerata…! Senza dir parola, mi alzai la mutandina, indossai il reggiseno e a capo chino mi allontanai entrando in casa. fiordinorma@virgilio.it

2
1

Leave a Reply