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Racconti Erotici Etero

Uno Strano Collega

By 9 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

– UNO STRANO COLLEGA –

Erano mesi, ormai, che lavoravamo insieme.
Oddio, non proprio fianco a fianco. Stavamo in due uffici diversi, su piani diversi, però avevamo in comune l’assistenza sulla contabilità di alcuni clienti, per cui capitava frequentemente di dover lavorare insieme su alcuni aspetti del nostro lavoro.
Aveva attirato la mia attenzione sin dal primo momento che l’avevo visto e conosciuto.
Educato e gentile, ma molto taciturno e riservato.
Non si sbilanciava mai, solo ogni tanto qualche battuta buttata lì, senza troppa convinzione, condita da qualche sporadico sorriso di circostanza.
In quell’azienda siamo tutti abbastanza amiconi, ma di fare ‘sbottonare’ Marco il ‘serio’ non c’era verso, nemmeno in quelle occasioni dove si usciva la sera assieme tra colleghi per un pizza o per una partita di calcetto.
Non ho mai capito, poi, cosa in realtà mi attirasse di lui. Un po’ cicciotello, circa uno e settanta di altezza e con capigliatura mora che cominciava drammaticamente a diradarsi. Una volta mi aveva detto che aveva compiuto da poco trentacinque anni e che viveva da solo.
Fisicamente, dunque, non era certo un granché.
Ma doveva nascondere un qualcosa di intrigante e, comunque, i suoi modi, lo rendevano talmente diverso da tutti gli altri uomini che avevo conosciuto sino a quel momento da farmelo sembrare come un extraterrestre.
Altri uomini, fra cui molti colleghi, mi fanno una corte spietata.
Ovviamente per nulla di serio e duraturo, per una bella scopata e via.
Evidentemente mi trovano una ‘gran scopata’. Lo leggo nel loro sguardo.
Soprattutto adesso, che è estate, fanno fatica a guardarmi negli occhi, quando mi parlano. Guardano le mie tette. O meglio le fissano.
Sono alta quasi uno e ottanta, con forme generose e sempre da me ben esposte.
I capelli lunghi castani e mossi, occhi grigi e gote pronunciate. Un filo di trucco, nulla più mi serve ora a trent’anni compiuti. Questo è quello che vedo ogni mattina allo specchio.
Sì, sono una di quelle che non si sopravvaluta di certo, ma, è anche certo che non mi sminuisco e non faccio come tutte le altre mie colleghe che si trovano solo difetti.
E molte di loro, lo so, lo fanno solo per farsi dire il contrario, che non è vero, e per farsi fare qualche complimento dai presenti. Complimento ben accetto se viene soprattutto dai maschietti.
Nessuna relazione fissa. Non mi interessa e non la cerco per ora. Troppo grandi le due delusioni attraverso le quali sono passata negli ultimi dieci anni.
L’ultima storia seria chiusa non più di un anno fa. Storia che mi ha lasciato grande disillusione e amarezza per tanto tempo.
Ora ne ero uscita e non volevo farmi una malattia del fatto che avrei dovuto trovarmi un marito, come mia madre continuava a ripetermi ormai da tanto tempo.
Meno male che mia sorella le aveva dato due nipotini’così si teneva impegnata con loro piuttosto che rompere sempre le scatole a me con quella storia.
Vivevo da sola. Convivevo al tempo dell’ultima storia seria che era durata per quasi due anni.
Mi ero tenuta l’appartamento, oltre all’amarezza. E’ piccolo, ma mi piace ed è mio.
Poi è vicino al posto di lavoro ed anche questo conta.
Non avevo avuto più storie sentimentali dopo la separazione di quasi un anno prima.
Certo che ci avevano provato in molti. A volte avrei voluto cedere.
A volte avrei voluto davvero dare retta al mio istinto del momento’ ‘Ma sì, Valentina, fatti una bella scopata, che ne hai voglia e bisogno! Sono secoli che non te la fai!’, mi dicevo.
Ma poi, all’ultimo momento, mi tiravo indietro. Si intende che non illudevo certo i miei corteggiatori. Mantenevo sempre una discreta distanza di sicurezza.
Non so di preciso come mai non avevo mai ceduto ad uno di loro in questo ultimo anno.
Forse la delusione non era ancora passata, forse non ero realmente interessata ad una storia da una botta e via. Forse ero ancora molto, ma molto confusa.
Di certo, se avessi badato solo all’aspetto fisico, avrei dovuto darmi da fare un bel po’.
Molti miei amici o colleghi o semplici conoscenti sono dei bei ragazzi. Disinibiti, socievoli, fisicamente prestanti.
Ma nessuno di loro che mi avesse mai fatto scoccare la scintilla della curiosità. O di andare al di là dell”involucro’, dell’aspetto.
Tutti, tranne lui, il mio nuovo collega, Marco.

‘Ciao, Valentina, scusami se ti disturbo”.
Era lui al telefono.
‘No, non mi disturbi, Marco. Dimmi”.
‘Ho la signora Savini che mi stressa per i dati di bilancio e volevo confrontare le cifre con te prima di darle una risposta.’
Era l’occasione per lavorare a stretto contatto per almeno una giornata. Certo non saremmo stati da soli, lavoriamo in uffici aperti, però ci sarebbe sicuramente stata l’occasione anche per parlare d’altro, per prendere un caffè, per andare a mangiare un panino.
Non mi ero messa in testa nient’altro, solo il fatto di conoscerlo un po’, di aprire quella scorza apparentemente impenetrabile.
‘Ok. Scendi da me, stacchiamo i telefoni per le chiamate esterne e finiamo quel lavoro.’
Lavorammo alacremente per almeno tre ore sul quel cavolo di bilancio.
‘Facciamo una pausa? Ho bisogno di un caffè”. Dissi.
‘Ok. Andiamo.’
Scendemmo le scale che portano al seminterrato dei nostri uffici dove c’è la macchinetta del caffè e quella automatica che distribuisce brioche e altre merendine varie.
Eravamo soli e ne approfittai.
‘Allora, Marco’cosa fai quando non sei qui a lavorare?’
‘Bah, niente di speciale” Rispose senza guardarmi mentre premeva il tasto del caffè.
‘Beh, avrai un passatempo, uno sport, la musica, il calcio”
‘Dipingo magliette.’
‘Magliette?
‘Sì, magliette.’
Certo non era loquace. Ma avevo la certezza che non si trattasse di timidezza,
‘Ehilà, che si dice di bello?’
Cazzo, non eravamo più soli! Giorgio, un nostro collega gran rompiballe era venuto a prendere il caffè.
‘Ehm, ho interrotto qualcosa di ‘bollente’. Disse cercando di provocarci.
Marco non arrossì ed emise uno dei suoi sorrisi di circostanza senza dire nulla e senza guardare Giorgio.
‘No.’ Dissi io pronta ‘Qua di bollente c’è solo il caffè, che poi è l’unica qualità che ha.’
Stavolta Marco mi guardò tenendo lo sguardo fisso su di me con un altro sorriso standard ma, stavolta, gli occhi, piccoli, neri e dietro le lenti degli occhiali, gli brillavano.
‘Capisco.’ disse Giorgio con ironia malcelata ‘Torno su che devo finire uno schifo di lavoro per mezzogiorno’a proposito, il mio invito vale sempre eh, Valentina?’
Sì, certo, un invito a farsi una ciulatina con me e per mettere contemporaneamente le corna alla moglie celato da cena di lavoro.
‘Sì, come no, tu aspetta” Dissi con il massimo della simpatia possibile e senza cattiveria.
Giorgio si allontanò ed io cercai di riprendere il discorso che era stato interrotto.
‘Allora dicevi che dipingi magliette”
‘Sì. Torniamo su?’.
Cacchio, non c’era verso di fare un discorso che esulasse un po’ dal lavoro.
Sarei tornata alla carica a pranzo, ma’
‘Bene, Marco, è l’una e direi che siamo a buon punto’andiamo a mangiarci un panino?’
‘No. Vai pure tu se vuoi. Io salgo ad iniziare un altro lavoro urgente. Quando torni chiamami che continuiamo.’
Lo ammetto, ero delusa. Contavo tantissimo in quella mezz’oretta di pausa. Non potevo certo dirgli ‘Ok, allora continuiamo a lavorare qui da me.’ sarebbe stato palese, forse, avrebbe capito. O forse no.
Cominciava ad essere un bel rompicapo, quel Marco. Un intrigante rompicapo.
Lo chiamai dopo aver mangiato il panino per continuare il lavoro.
Lavorammo a spron battuto sino alle sei e mezza. Facemmo solo un’altra pausa per il caffè, ma alla macchinetta trovammo numerosi altri nostri colleghi per cui non ci fu l’occasione per parlare tra noi. Anzi, i colleghi chiedevano cose a me di lavoro o di altre stupidate. Cercavano di coinvolgere anche Marco nei loro discorsi, ma lui, niente, rispondeva come al solito, coi suoi monosillabi e sorrisi a modo.
‘A domani Valentina e grazie.’
‘E di cosa?’
Avrei voluto trattenerlo con un pretesto sino a tardi.
Ma non era il momento. Dovevo frenare la mia curiosità e la voglia di conoscerlo.
Il problema è che quelle fantasie che non avevo più da mesi e che nessuno era riuscito a risvegliare pensando a lui si stavano riaccendendo alla grande.
Quella sera, a casa di mia madre, me lo immaginavo, in pigiama, in tuta, vestito solo con una dette sue magliette che gli evidenziavano la pancetta non proprio da sportivo.
Sorridevo a questi pensieri, anche se non riusciva a dare una spiegazione a mia madre di quei sorrisi spontanei che avevo.
Cominciava a farsi largo in me il desiderio di rivederlo il prima possibile.

Il giorno dopo, un venerdì caldissimo di giugno, ci lavorammo insieme per quasi tutto il giorno per finire quel benedetto bilancio. Da una lato ero contenta perché era venerdì e c’erano due giorni di vacanza. Dall’altro non lo avrei visto in quei due giorni per cui’
E, così, presi il coraggio a due mani e’
‘Senti, Marco’per stasera ci sarebbe l’intenzione di fare una pizzata”
‘Ma non ho ricevuto mail dai nostri colleghi.’
‘Beh, in realtà la ho organizzata io in questo momento.’
‘Allora dovremmo fare un giro veloce per vedere chi viene, anche se forse adesso è un po’ tardi”.
‘Pensavo a noi due, per la verità” dissi con voce flebile, scoprendomi, sorprendentemente un po’ timida e ritrosa.
‘Per me è ok. Dove si và?’
Quella risposta, rapida e risoluta, mi sorprese un poco’
‘Farei a casa mia’se non ti spiace.’
Stavo forse forzando un po’ troppo la mano, ma Marco mi incuriosiva davvero.
‘Ok. Devi dirmi dove abiti di preciso, però’Facciamo alle otto e mezza?’

Organizzai tutto per bene.
Il mio appartamento risplendeva come un piccolo gioiello. Avevo apparecchiato con cura, la musica era pronta, il vino era in fresco.
Marco arrivò puntuale alle otto e mezza con le pizze. Avevo preparato anche degli stuzzichini salati e avevo comperato il gelato.
Non avevo la minima idea di come sarebbe andata a finire quella serata, ma ero contenta del fatto che Marco era lì con me, in quel momento.
Cercai di tenere su i toni della conversazione’non si può certo dire che lui sia un loquace parlatore’
‘Mi dicevi di quella tua passione per le magliette”
‘Ah, sì” Si bloccò senza dire altro’Lo stimolai cercando di provocarlo un po”
‘Dunque? Certo Marco che per tirarti fuori quattro parole” dissi sorridendo e ammiccando”
‘E’ che penso che quello che ho da dire non sia molto interessante”
‘Sì, ma scusa questo fallo dire agli altri’a me, in questo momento, ti pare?’
‘Beh, che vuoi che ti dica Valentina’conduco una vita normale da single, lavoro e niente passioni ‘pericolose’ come sport o discoteca. Vacanze tranquille in montagna, dai miei.’
‘Sì, però non mi dire che nei tuoi trentacinque anni non hai mai vissuto un’avventura un po’ fuori dallo standard, non lo posso credere”
‘Eppure è così. Un’infanzia normale, felice se vuoi, qualche storia poco importante con le ragazze, qualche amicizia più o meno importante”
Dava a quelle frasi un tono quasi anonimo, piatto, come se non ci mettesse calore.
Quell’atteggiamento avrebbe dovuto farmi cambiare idea su di lui, avrebbe dovuto allontanarlo dalla mia curiosità. Mi pareva di avere fatto tutto il possibile per aprire quella corazza, per farlo solo un po’ sbilanciare.
Ma mentre pensavo a questo mi rendevo conto che stava accadendo il contrario.
Ero terribilmente attirata da lui. Da un punto di vista intellettuale e, ora, anche da un punto di vista fisico.
Sì. Avevo deciso, in quel momento, che quella sera avrei fatto di tutto per portarmelo a letto.
Come avrebbe fatto a resistermi?
Cacchio, è un uomo!
E io mi ero fatta trovare in casa con un vestitino azzurro lungo fino sopra il ginocchio generosamente sbottonato.
Eppure avevo notato che per tutta la sera non aveva mai e poi mai fatto cadere gli occhi sul mio seno o sulle mie gambe come avrebbe fatto qualsiasi altro maschio.
Lo guardava certo, il mio seno, così come guardava parecchio le mie gambe. Ma lo faceva come guardasse una qualsiasi altra parte del corpo, senza dargli un maggiore importanza.
Mi ero fatta l’idea che a letto sarebbe venuto fuori il suo vero ‘lui”Probabilmente i suoi segreti e la sua vita fuori dal normale sarebbero venuti a galla.
‘Prendiamo il caffè sul divano?’ Dissi sofficemente.
‘Va bene.’
Gli portai il caffè e ci accomodammo sul divano di pelle verde che c’è nel mio salottino, mentre il cd di Elisa continuava a suonare.
‘Me le farai vedere un giorno quelle magliette che dipingi?’
‘Sì, se ce ne sarà l’occasione”
‘Beh, potresti portarle al lavoro, no?’
‘No. Non mi piace farle vedere a tutti.’
‘Allora le potresti portare qui la prossima volta.’
Era un chiaro invito a rivedersi e presto. Speravo che almeno questo gli fosse arrivato.
‘Sì’ rispose, al solito, telegraficamente.
Gli fissavo il viso, mentre lui sorseggiava piano il suo caffè.
Le orecchie piccole, guance solo un poco paffute e rosse, le labbra generose, l’espressione sempre seria.
Mi stavo piano piano eccitando. Sapevo che avrei dovuto fare io il primo passo.
Poteva essere molto pericoloso. Chissà che tipo di reazione poteva avere.
‘Oddio, e se è gay?’ Pensai per un attimo”No. So che non è così. Lo sento!’
Mi rassicurai da sola.
Il caffè era finito’ora! Il momento era arrivato!
Come avrei fatto?
‘Dai, Marco, andiamo a letto!’
Oppure le sarei salita addosso allargando le gambe dopo essermi sfilata gli slip bianchi già umidi da un pezzo dei miei umori.
Oppure lo avrei involontariamente provocato sino a far fare a lui inevitabilmente la prima mossa.
O anche”Sai, Marco, voglio fare l’amore con te’Mi dai un bacio e mi porti a letto?’

‘Ok, Valentina. Grazie di tutto. Io vado. Si è fatto tardi.’
Rimasi di gesso con la tazzina in mano e la bocca semi aperta dalla sorpresa.
Poi bofonchiai’
‘Co’come ‘si è fatto tardi’, Marco non sono neanche le dieci e mezza! Ed è venerdì!’
Forse non era proprio la cosa più intelligente da dire in quel momento, ma la mia delusione era davvero tanta e avrei fatto di tutto per trattenerlo senza forzare troppo la mano, però.
‘Beh, devo fare una ventina di chilometri. Poi domani voglio alzarmi presto e fare almeno una mezza giornata di lavoro a casa per portarmi avanti.’
‘Potresti venire qui a lavorare. Ti darei una mano. Non vado via, questo week-end.’ Abbozzai.
‘No, ti ringrazio. Vado adesso. Ciao.’
Lo salutai facendo trasparire dal mio ‘ciao’ tutta la delusione possibile.
‘Ti deve arrivare il messaggio, bastardo!’ pensai drighignando i denti e mordendomi le labbra mentre sbattevo le stoviglie a lavare e mentre sentivo la sua auto allontanarsi.
‘Ma cazzo, sarà mai possibile? Una volta che mi decido a darmi da fare quello mi dà buca!’
Ero veramente nera. Mi passavano tutti i pensieri più turpi per la testa in quel momento. Avrei voluto chiamarlo sul cellulare, se solo avessi avuto il numero, e ricoprirlo di improperi. Dirgli ‘Ma come, io sono qui che ti voglio scopare a morte e tu te ne vai perché domani ti devi alzare presto? Ma dove la trovi un’altra fica come me?’
Sbottai a ridere così forte che uno dei bicchieri mi sfuggì dalle mani finendo in mille pezzi.
Rimisi a posto tutto, mi diedi una lavata, guardai annoiata un po’ televisione e, a mezzanotte circa andai a letto.
Non riuscivo a smettere di pensare a lui.
E solo l’idea che avrei dovuto aspettare sino a lunedì per rivederlo non mi faceva stare un granché bene.
Però, anche se avessi avuto il suo telefono, non lo avrei chiamato.
Volevo vedere se, a questo punto, era lui che, magari, cercava la prossima occasione per stare insieme da soli o che la stimolasse, in qualche modo, magari con la scusa del lavoro.
Allora avrei consumato la mia ‘vendetta’ con più piacere.
‘Hai visto? Facevi tanto lo scostante e il finto timido e adesso sei qui ai miei piedi con l’uccello in tiro che mi vuoi possedere per tutta la notte’!’
Sorrisi, senza accorgermi che, automaticamente, pensando a tutto ciò, avevo inevitabilmente cominciato a toccarmi.
Avevo la fica in fiamme già da un pezzo e l’arrabbiatura per la sua andata a casa non aveva fatto altro che aumentare l’eccitazione.
Spalancai le cosce mentre le mie dita frugavano fameliche tra le mie labbra e il clitoride gonfio e viscido di umori. Pensavo di averlo, di sentirlo dentro di me con il suo membro virile, con le sue labbra attaccate alle mie, con la sua lingua in lotta d’amore con la mia.
Pensavo di sentire il suo seme scorrere bollente e copioso dentro di me, di sentirlo confondersi e unirsi ai miei umori viscidi, mentre sentivo l’orgasmo arrivare presto e forte.
Quasi urlai di piacere mentre le dita finivano di martoriare la mia fica affamata.
Quel piacere mi aveva fatto passare un poco la delusione. Un poco.

Finalmente arrivò il lunedì e, come temevo, tutto normale.
Marco non faceva nulla di più o di meno degli altri giorni, solo lavoro e sporadiche pause caffè insieme ad altri colleghi, nessun pranzo insieme.
Ero lì lì per lasciar perdere e di mandarlo al diavolo. Certo la cosa mi dava un enorme fastidio. Anche perché non riuscivo a capire cosa davvero gli passasse per la testa.
Nemmeno le più spinte ed esplicite allusioni sessuali del solito invadente e boccaccesco Giorgio alla macchina del caffè e alla presenza di diversi colleghi lo smuovevano più di tanto. Niente. Stavo davvero per rinunciarci.
Arrivò venerdì ed io ero intenzionata a passare il fine settimana in montagna con mia madre, mia sorella ed i nipotini. Saremmo partiti il sabato mattina e alla sera mi trovavo a preparare la borsa per il giorno dopo.
Erano quasi le nove quando sentii suonare alla porta.
‘Sì? Chi è?’-
‘Ciao. Sono Marco.’
Non ci potevo credere. Mi sarei aspettata la visita di chiunque, anche del presidente della repubblica, ma lui no di certo!
‘Sa’Sali.’ dissi flebilmente ed evidentemente emozionata.
Cercai di darmi una sistemata alla bell’e meglio mentre Marco era già alla porta.
‘Disturbo?’
‘No’no. Entra.’
Cercai di dimostrargli tutta la mia sorpresa nel vederlo qui, in casa mia.
‘Posso offrirti qualcosa da bere?’
Dissi tanto per dire qualcosa.
‘No. Grazie.’
E, senza dire altro e senza lasciar trasparire alcuna apparente emozione mi prese per mano e si mise di fronte a me.
Io ero senza parole e non sapevo cosa fare e dove guardare mentre il cuore mi batteva a mille.
Mi prese anche l’altra mano e mi spalancò le braccia.
Sbottono lentamente il mio vestitino nero e lo fece cadere per terra.
La sue espressione non cambiava e non diceva nulla.
Io ero già eccitata da morire e volevo lasciarmi assolutamente trascinare in qualsiasi cosa avesse in mente lui in quel momento.
Mi abbracciò completamente e la sua guancia toccò la mia. Quell’abbraccio servì anche per permettergli di slacciarmi il reggiseno.
Mi rimise le braccia lungo i fianchi mentre insinuava le dita fra gli slip neri e il mio corpo ora pieno di brividi e sussulti a quel tocco dolce.
Li fece scivolare lungo le mie gambe ma non li lasciò per terra. Li tenne in mano.
Io volevo ricambiare lo spogliarello, ma lui me lo impedì fermandomi con la mano. senza dire nulla.
Mi prese di nuovo per mano e mi condusse in camera.
Mi fece adagiare sul letto. Avevo la testa sul cuscino ed ero completamente nuda. Volevo proprio vedere che intenzioni aveva adesso!
Si appoggiò sul letto facendomi spalancare di nuovo le braccia.
Poi adagiò i miei slip che aveva tenuto in mano sulla mia faccia.
Li piazzò con estrema cura in modo tale che coprissero completamente i miei occhi e che, dunque, mi impedissero di guardare.
Ebbe la cura anche di metterli vicino il mio naso in modo tale che potessi sentire distintamente il profumo di miele dei miei umori che avevano invaso la stoffa prima che li me li sfilasse poco prima.
Questo non faceva altro che portare il mio stato di eccitazione ai massimi livelli. Sentivo i capezzoli esplodermi e la fica gonfiarsi come un pallone e cominciare a grondare di piacere.
Avevo capito le sue intenzioni, senza bisogno che me le dicesse.
Voleva che tenessi le mani ferme, ma senza il bisogno di legarle.
Desiderava che non vedessi nulla, ma senza il bisogno di bendarmi.
Mi aveva lasciato la bocca libera di fare tutto, tranne che di parlare.
Questo lo avevo capito. E io lo lasciavo fare.
Chissà dove mi voleva portare. Certo era una sensazione mai provata, sino a quel momento.
Stavo al gioco, ma ero tremendamente impaziente.
Sentivo che stava spogliandosi vicino al letto. Ora lo sentivo salire sul letto.
Allargai un poco le gambe presumendo le sue prossime azioni.
Presumevo e sbagliavo.
Lui, molto sofficemente, me le riavvicinò con le sue mani. Le sue mani’.bollenti.
Trasmettevano un calore incredibile quando cominciò ad accarezzarmi tutto il corpo.
Cominciò dal collo. Me lo cinse con entrambe le mani in un tenero ed caloroso abbraccio, abbraccio che si allargò per scendere sul mio seno turgido e prosperoso sfiorando appena i capezzoli vogliosi, strisciando lungo il mio ventre, utilizzando i polpastrelli, il dorso della mano, le unghie, prima sofficemente, poi energicamente, con una mano soffice, con l’altra energica.
Aveva cominciato da neanche mezzo minuto e io già mugolavo di piacere.
Non contavo più i brividi che invadevano il mio corpo mentre la mia fica cominciava a piangere la sua voglia di piacere emettendo fluidi caldi e vischiosi attendendo impaziente il suo membro.
Ora le sue mani erano proprio in quella zona.
Evitò di accarezzarmi la fica, premendo energicamente con i polpastrelli sull’inguine facendomi sobbalzare e rabbrividire ancora di più.
Fece scorrere velocemente le mani lungo le mie cosce, passando le ginocchia per arrivare a stringere forte forte le caviglie e poi le piante dei piedi.
Poi, all’improvviso, smise completamente di accarezzarmi.
Stava fermo. Non diceva nulla. Sentivo solo il mio respiro affannoso.
Avrei voluto gridargli di scoparmi a morte, ma non sarei stata al gioco.
Quei momenti mi sembravano interminabili. Mi lasciò così non so nemmeno per quanto tempo. Quanto sarebbe durata quella dolce tortura?
Finalmente mise le dita sulla mia bocca e le dita dell’altra mano sulla punta di un mio piede. Aprii la bocca e gli leccai le dita. Appena bagnate lui le tolse velocemente e facendole strisciare lungo tutto il mio corpo le fece incontrare a metà strada, sul mio ventre, con quelle dei piedi che avevano fatto, velocemente anche loro, il percorso contrario.
Sobbalzai di nuovo. Fece questa cosa chissà quante volte.
L’unica volta che sfiorò appena la mia fica lo fece per raccogliere un po’ di miei umori e di farmeli assaggiare. Ingoiai ingorda le dita ma dopo averle succhiate solo un po’ lui le ritrasse velocemente. Bastardo!
La voglia di smetterla con quel gioco era forte. Volevo ribaltarlo e saltargli addosso e scoparlo a morte sino al mattino seguente. Lo avrei fatto urlare di piacere, lo avrei obbligato a parlarmi mentre gli facevo un pompino altrimenti avrei smesso, gli avrei permesso di tutto pur di capire come era e quello che pensava.
Però la curiosità di vedere come sarebbe andata a finire era più forte. E poi chissà quale reazione avrebbe scatenato in lui. Magari se ne sarebbe andato.
Resta il fatto che ora ero nelle sue mani, non lo vedevo e lo sentivo appena. Ero completamente nuda e a sua totale disposizione mentre del suo corpo non avevo ancora visto nulla!
Mentre tutti questi pensieri misti a tutte le altre sensazioni di piacere mi invadevano la testa ed il corpo lui mi baciò teneramente.
Introdusse la punta della lingua nella mia bocca ampia e affamata, con la mia lingua alla ricerca di piacere e del suo sapore.
Ma lui si ritrasse. Capii che oltre a voler condurre il gioco lo voleva fare senza i soliti attacchi da ariete tipicamente maschili.
Li avevo provati alcuni di quelli. Certo non posso dire che non fossero piacevoli, però, a volte, sembrava proprio che fossi lì esclusivamente per essere montata come una cavalla.
Marco, invece, mi pareva di capire, non era proprio così. E, a suo modo, come quando mi accarezzava, sapeva essere energico e anche molto, ma alternava questa energia con la delicatezza.
Tornò a sfiorarmi le labbra con le sue ed io, stavolta, risposi sofficemente. Avevo capito. E lui si lasciò andare ad un bacio lunghissimo, dolce, tenerissimo, che mi fece sciogliere ulteriormente.
Abbandonò la mia bocca facendo scorrere la lingua sul mio collo per farla fermare ora su uno dei capezzoli, mentre l’altro lo stringeva fra due dita.
I miei seni sono molto ricettivi, mi danno un piacere infinito. E lui li sa trattare alla grande, dandomi emozioni sconosciute e forti. Me li baciò ed accarezzò a lungo, prima di scendere lungo il mio ventre per soffermarsi un attimo a riempire di saliva il mio ombelico provocandomi una risata da solletico. Si fermò immediatamente e si allontanò, come poco prima.
Ma non rimase senza far nulla. Cominciò a soffiare dolcemente verso il mio ombelico, facendomi sobbalzare e rabbrividire mille e mille volte’
Incredibile’stavo quasi per venire!
Mugolavo di piacere senza quasi sentire la necessità di avere una mano, una lingua, un membro che mi rovistasse la mia fica in ebollizione.
Riprese a leccarmi e a baciarmi le cosce, le ginocchia e i piedi, mentre con entrambe le mani accarezzava, sempre alternando energia e delicatezza, tutto quello che riusciva a raggiungere. Tutto, tranne il mio sesso.
Ora mi teneva con la bocca un alluce’lo baciava e lo leccava proprio come io avrei voluto fare con il suo cazzo. Oddio, come avrei voluto almeno vederlo, il suo cazzo, ora!
Doveva essere in tiro da matti o forse no. Per me Marco era ancora un mistero. Non lo vedevo. Non lo sentivo. Ma, per la miseria, c’era eccome!
Quella fellatio all’alluce, lasciva, interminabile, eroticissima mi stava portando definitivamente all’orgasmo.
Smise all’improvviso di nuovo, come se l’alluce avesse avuto il suo orgasmo.
Ora, come poco prima, non lo sentivo più. Sapevo che era lì, vicino a me, ovviamente, ma lui stava immobile, senza fare nessun rumore, respirando normalmente.
Il mio di respiro, invece, era uno di quelli da orgasmo da record.
Stavo per scoppiare. L’idea era quella di mettermi una mano nella fica e di strizzarla a più non posso. Mi sarebbero bastati solo pochi secondi, visto come ero messa in quel momento. Sentivo il clitoride gonfio come una mongolfiera sull’orlo del decollo, i miei umori avevano provocato una specie di pozzanghera, ormai, sulle lenzuola azzurre, i seni erano cresciuti di un paio di misure!
No! Devo trattenermi, voglio vedere come va a finire!
Adesso sentivo un profumo particolare, mentre respiravo in maniera parossistica.
Si era avvicinato di nuovo al mio viso, ma non con la bocca, stavolta.
Sentivo distintamente il profumo del suo sesso. Lo teneva ad un paio di centimetri dal mio naso e dalla mia bocca.
I miei occhi volevano trapassare il tessuto nero degli slip, per placare la sete di curiosità, ma quel nero era troppo fitto’
Quel profumo mi eccitò ancora di più, se possibile.
Spalancai la bocca per fargli capire che avrei potuto e voluto ingoiarlo tutto, baciarlo, leccarlo e succhiarlo fino a farlo venire dentro la bocca e bere tutto il suo dolce seme senza lasciare andare nemmeno una goccia.
Ma lui si allontanò immediatamente.
Di nuovo riprese a non fare nulla. Solo che mi aveva portato davvero troppo in là ed io rischiavo di impazzire. Ora se non venivo fisicamente rischiavo davvero di stare male!
Anche perché, comunque, era una cosa che non avevo mai provato prima e quali potevano essere le conseguenze io non lo sapevo di certo.
Improvvisamente sentii qualcosa di bollente e vischioso cadermi sulla pancia’era il suo seme!
Mi stava inondando il corpo con il suo sperma, copioso, bollente, denso.
Le gocce mi cadevano senza soluzione di continuità sul ventre, sui seni, sulle cosce, e alcune pure sulla fica.
E a questo punto sbottai definitivamente nel mio orgasmo.
Venni definitivamente lasciando andare liquidi ed umori in quantità industriale mentre urlavo di piacere sobbalzando e rantolando mentre Marco finiva di scaricare il contenuto dei suoi testicoli sul mio corpo ribollente.
Sarà pure stato un orgasmo ‘breve’, ma la intensità è stata qualcosa di davvero sconvolgente.
Ora il mio respiro andava via via normalizzandosi, mentre tenevo ancora le braccia spalancate e gli slip sugli occhi.
Chissà cosa stava facendo Marco ora. Forse era lì, immobile, che mi guardava con adorazione. O forse aveva quella sua tipica espressione pensierosa, mentre con una mano finiva di strizzarsi l’uccello delle ultime gocce.
Solo che dopo un paio di minuti sentii dei rumori’era andato in salotto.
Aspettai ancora in quella posizione, curiosa di capire cosa volesse fare ora.
Probabilmente mi avrebbe tolto gli slip e ‘liberata’ dalla mia prigionia.
Forse voleva invitarmi a fare la doccia insieme e lì consumare ancora un po’ del nostro amore.
Niente di tutto questo.
Sentii la porta d’entrata chiudersi.
In due minuti, nel massimo silenzio, si era rivestito e se ne era andato lasciandomi lì sul letto nuda, impiastrata del suo seme e dei miei umori e sola’!
Incredibile!
E ancora più incredibile il fatto che non ero arrabbiata, anzi.
Quel misterioso bastardo mi aveva appena fatto provare le sensazioni più sconvolgenti e devastanti che avevo mai provato in vita mia.
Chissà dove stava andando adesso, chissà a cosa stava pensando’
Forse voleva stare ancora con me, forse voleva lasciarmi così sospesa, fintamente insoddisfatta, comunque succube delle sue insani voglie.
Rimasi a pensare ancora per un po’.
Poi le doccia e a nanna.
Ma prima di cadere di schianto fra le braccia di Morfeo l’ultimo pensiero era ancora per lui.
Volevo sapere tutto di lui, volevo che me lo dicesse.
Volevo sentirlo implorare di volere il mio corpo ed il prezzo da pagare sarebbe stato quello di parlarmi sino allo sfinimento.
Solo allora avrei dato tutta me stessa. Molto, molto di più rispetto a questa sera.

Nei giorni che seguirono quella sconvolgente serata facevo di tutto per starmene un po’ sulle mie. Volevo vedere se il primo passo lo faceva lui. Sapevo bene che anche a lui quella sera era piaciuta e molto’

E invece niente’!
I nostri incontri e i nostri colloqui erano sporadici e vertevano solo ed esclusivamente sul nostro lavoro.
Avrei dovuto aspettarmelo, ma non volevo farmi avanti io, anche se non passavo ad altro che a farmelo!
Facevo il possibile per cogliere l’occasione per provocarlo, anche di fronte agli altri colleghi, al caffè o durante la pausa pranzo.
Lo provocavo anche quando, nei rari momenti in cui eravamo vicini, toccandolo con i piedi, facendo cadere sbadatamente la penna vicino a lui che, ovviamente, si abbassava per raccoglierla’Portavo sempre la minigonna, in quelle occasioni e volevo cogliere il suo sguardo malandrino’niente.
Come se gli fosse totalmente indifferente.
Decisi di prendere il toro per le corna.
Approfittai, quel venerdì, del fatto che io e lui rimanemmo a lavorare in ufficio rinunciando alla pausa pranzo, causa l’ennesima scadenza e la conseguente richiesta del capo di portare i risultati il prima possibile.
Avremmo così evitato di lavorare il sabato, almeno.
Nel nostro piano eravamo rimasti da soli’
‘Cavolo’!’ esclamai.
‘Che succede?’
‘Mi si deve essere spostata una lente”, dissi dando la colpa ad una lente ballerina del mio rapido sbattere le ciglia.
‘Vado in bagno’ Ho bisogno dello specchio grande e, forse, di una mano’Puoi venire con me, per cortesia?’
Marco mugugnò un qualcosa che io interpretai come un ‘sì”Mi sarei aspettata un po’ più di entusiasmo, ma tant’è!
Una volta davanti allo specchio gli chiesi se si poteva avvicinare per potermi dire se vedeva che fine aveva fatto la lente dispettosa.
Mi sarebbe stato così vicino che ne avrei approfittato per baciarlo in bocca, di sorpresa.
Ne avrei approfittato, mentre lo baciavo, per tastargli l’uccello.
Uccello che avrei sentito indurirsi immediatamente, mentre la mia lingua gli ispezionava la bocca in lungo e in largo.
In men che non si dica, e senza dargli l’opportunità di opporsi, lo avrei trascinato dentro il bagno e, una volta chiusa la porta, gli avrei calato i pantaloni e gli avrei fatto un pompino che non si sarebbe dimenticato per tutta la vita!
‘La lente mi sembra ok’io torno di là.’
Veloce come il vento mi aveva lasciata nel bagno a fissarmi allo specchio come una scema.
‘E che cazzo! Stavolta no!’
Dissi ad alta voce.
Ero veramente nera. Era mia intenzione andare di là e dirgli in faccia quello che pensavo di lui e che se solo pensava di portarmi a letto poteva andare a farsi fottere!
Tornai in ufficio con passo veloce e con la faccia scura.
Lui era seduto sulla sua sedia di fronte al terminale.
Sbattei l’astuccio delle lenti a contatto dentro la mi borsa un po’ per rabbia ma, soprattutto, per attirare la sua attenzione.
Lui si volò con lo sguardo placido verso di me.
Decisi di affrontarlo’
‘Senti, Marco, io”
‘Mangiamo insieme stasera?’
Mi chiese pacato interrompendomi…
‘Io’va bene”, dissi sommessamente.
Con quella frase aveva smontato la mia rabbia.
Con quella richiesta, fatta con calma, aveva riacceso la fiamma.
La fiamma della mia curiosità e della mia smisurata eccitazione.
In una frazione di secondo avevo immaginato quello che avrebbe potuto accadere quella sera’immaginavo le scene più piccanti e spinte, mi vedevo persa nel torpore della sensualità più lasciva e immorale.
‘Porto io il cibo’tu metti la casa’ok?’, mi disse.
‘Va’va bene.’, dissi con voce bassa e un po’ incerta.
‘Facciamo alle otto?’, gli domandai.
‘Sì. Ma ora finiamo qui.’ Mi rispose un po’ risoluto.
Il pomeriggio sembrava non finire mai. E io non vedevo l’ora di andare a casa e pregustarmi quello che sarebbe accaduto la sera.
Alle sei in punto uscimmo dall’ufficio.
Ci demmo appuntamento per due ore dopo, a casa mia.

Era tutto perfetto! Avevo il tempo di farmi una doccia e di prepararmi per bene.
Avevo il tempo di preparare la tavola e la mia camera come si doveva.
La tovaglia e la musica giusta, la biancheria intima e i fiori secchi.
Alle otto meno un quarto era tutto pronto ed io ero impaziente, come una ragazzina al suo primo appuntamento.
Pensai a questo e capii che raramente mi ero sentita così.
Raramente ero stata così impaziente, così vogliosa e desiderosa di dare e ricevere amore,
Avrei voluto una serata senza sorprese spiacevoli.
Avrei staccato il telefono e non avrei risposto al citofono, dopo che lui era entrato.
Avrei’avrei’avrei’
‘Ma quando arriva?’, dissi ad alta voce.
Il citofono’! Uno sguardo all’orologio alla parete, mentre mi reco alla porta’le otto in punto.
‘Sì? Chi è?’
‘Marco.’
‘Sali”.
Il cuore mi batteva all’impazzata mentre il cancello si apriva.
Un cd di Dylan girava nel lettore a basso volume e le due candele erano accese sul tavolo.
Gettai un ultimo sguardo tutto intorno per vedere se tutto era al suo posto, se tutto era perfetto.
‘Sì! E’ tutto ok!’ dissi a bassa voce a me stessa, con una malcelata punta di vera soddisfazione.
‘Entra”
Marco entrò salutandomi con un ‘ciao’ detto con un tono assolutamente piatto e guardandomi fugacemente in volto.
Non feci caso a ciò più di tanto’forse cominciavo a conoscerlo e ad accettarlo così.
Anzi, forse era proprio quel suo modo di fare sfuggente, un po’ timido e distaccato che lo rendeva più misterioso ed intrigante.
Chissà quali storie aveva da raccontare e chissà se me le avrebbe mai raccontate.
Ma ora non c’era tempo e posto per quei pensieri. Ora lui era qui, a casa mia.
Aveva portato il cibo, come aveva detto.
Era in una busta di carta marrone del supermercato.
‘Vuoi darmi la spesa? Posso fare qualcosa?
Non mi rispose. Mi guardò e fece di ‘no’ con il capo.
Non insistetti, sapevo di doverlo lasciare fare.
Marco appoggiò la borsa per terra, vicino al divano.
‘Ti piace Dylan?’, chiesi un po’ stupidamente.
Dovevo e volevo lasciarlo fare, sì, ma il silenzio un po’ mi preoccupava.
Marco mi rispose con un ‘sì’ che sembrava sincero, ma più di questo non gli scucii.
Si tolse il giubbino di jeans. Lo appese sull’attaccapanni.
Io lo scrutavo in attesa di qualche suo cenno, qualche sua parola.
Mi aspettavo che, prima o poi, mi chiedesse di fare qualcosa di operativo in cucina o se, magari, mancava qualcosa sulla tavola.
‘Io non ho preparato nemmeno un aperitivo, degli stuzzichini” dissi.
‘Non importa.’ Disse lui, stringato, come sempre.
Si abbassò. Forse aveva una stringa delle scarpe lenta.
No.
Si sciolse le scarpe da ginnastica e si ritirò in piedi.
Se le tolse sfilandole una alla volta utilizzando la punta del piede e tenendo lo sguardo basso
Io lo fissavo, sorpresa.
E intanto pensavo se aveva notato come mi ero vestita.
Non avevo pensato soltanto a sistemare il mio appartamento come conveniva all’occasione’anche io mi ero messa ‘giù da corsa’, come amavano dire alcuni miei colleghi quando parlavano di qualcuna vestita in maniera particolarmente eccitante.
La camicetta bianca che lasciava intravedere il reggiseno dello stesso colore, la minigonna, le scarpe a punta, un filo di trucco e altri dettagli che io credevo e speravo lui notasse.
Non saprò mai se lui li aveva notati, se questi dettagli lo eccitavano o meno. Non si capiva e questo lo rendeva sempre più intrigante.
Ma ora ero io che lo fissavo mentre si sbottonava la camicia dopo essersi sbottonato il primo bottone dei jeans.
Finì di sbottonarsi la camicia e, una volta tolta, la adagiò sul divano.
Io non facevo e non dicevo nulla.
Semplicemente lo guardavo e facevo guidare a lui, ancora una volta, il gioco.
Mi ero promessa che lo avrei fatto io, stavolta, il gioco, ma non ce la facevo. Mi intrigava, la sua maniera di fare, in qualche modo mi ‘fotteva’ il cervello. E io lo lasciavo fare.
Anche i jeans fecero la fine della camicia insieme alle calze bianche.
Marco rimase in piedi con i boxer a pantaloncino neri e con la sua pancetta.
Se penso a quanto formalmente poco sexy era e a quanto invece mi eccitava’quello spogliarello frugale aveva avuto il potere di eccitarmi da impazzire nel poco tempo che era durato.
Sì avvicinò a me, finalmente.
‘Ci siamo!’, pensai.
Ora lo avevo vicino, di fronte.
Non riuscivo a tenere lo sguardo sul suo. Abbassavo gli occhi, pudicamente.
Arrossivo. Il mio rossore era un misto di tremenda eccitazione e di candido pudore.
Non mi ero mai sentita così.
Non mi ero mai sentita così, mentre lui mi sbottonava la camicetta.
Mentre lui mi sfilava la minigonna.
Mentre lui mi slacciava il reggiseno.
Mentre lui mi toglieva le scarpe.
Mentre lui mi faceva scendere le calze.
Tutto questo sfiorandomi appena con la punta delle dita’facendomi rimbalzare il cuore nel petto, facendomi correre il respiro, facendomi inzuppare di umore vischioso i miei slip bianchi’
I vestiti, miei e suoi, ora alla rinfusa sul divano.
Non avevo la forza di fare o dire nulla. Ero semplicemente alla sua mercè.
Ed ero impaziente’tremendamente impaziente!
In attesa, di essere travolta, posseduta, ribaltata’di essere baciata, leccata, penetrata’di sentirmi piena, sua, ora!
Anche la mia curiosità, la mia voglia di vedere voleva essere appagata.
L’altra volta non avevo visto nulla’avevo ‘sentito’ tutto, però.
Ora volevo soddisfare anche la sete dei miei occhi’volevo vedere tutto di lui’
Mi prese le spalle e mi fece voltare.
Mi infilò le dita negli slip sui fianchi e li fece cadere a terra.
Li raccolse.
Io avrei voluto voltarmi, ma lui mi fece capire, tenendomi ancora per le spalle , di non voltarmi.
Lo assecondai’ovviamente.
Si avvicinò a me.
Mi prese con le mani i fianchi accarezzandoli delicatamente. Potevo, finalmente, sentire il suo corpo sfiorare il mio.
Si attaccò a me.
Fece salire le sue mani dai fianchi verso i miei seni’gli diedi strada allargando un po’ le braccia. Potevo, finalmente, sentire il suo respiro vicino alle mie orecchie.
Si avvinghiò a me.
Le sue mani ora sui miei seni che sembravano esplodere’turgidi e pulsanti come il mio cuore che batteva senza posa. Le sue mani bollenti, le sue dita che indugiano sui capezzoli che ora sono come sul punto di esplodere.
Potevo, finalmente, sentire il suo respiro sulla mia pelle, i suoi baci delicati ed umidi sul mio collo e sulle mie orecchie.
Potevo, finalmente, sentire il suo sesso turgido ma ancora prigioniero dei boxer tra i miei glutei.
E tutto questo mentre il mio, di sesso, piangeva umore di piacere, colava miele di lussuria, pulsava di voglia di amore.
‘Mangiamo.’, mi sussurrò ad un orecchio.
‘Come mangiamo???’, avrei voluto dirgli, ma non ne avevo la forza’ero semplicemente persa e le mie gambe cominciavano a non reggere più.
Marco mi lasciò per andare verso il tavolo. Io rimasi ferma, in attesa.
Potevo vederlo spostare tutto dal tavolo: i piatti, i bicchieri, le posate, il pane, le candele’
Tornò rapidamente da me e con un movimento rapido mi fece voltare verso di lui e mi prese in braccio.
Mi sciolsi completamente, a quell’abbraccio. Lo avvinghiai per il collo, ma il tragitto fu troppo, troppo breve!
Ero già arrivata. E la meta era il tavolo.
Mi sdraiò sul lungo tavolo rettangolare appena da lui sparecchiato.
Finalmente mi avrebbe posseduta’era il momento, lo sentivo!
Dylan continuava a cantare e ad incantare tutto intorno e le candele, vicino a me, facevano danzare la loro fiamma, come a tempo con la musica’
Fantasticavo che quel ‘Mangiamo’ poteva significare che avrei baciato e succhiato e bevuto il suo sesso e che lui avrebbe fatto altrettanto con il mio!
Fantasticavo che quel ‘Mangiamo’ poteva significare che finalmente lo avrei sentito dentro di me, possedermi ripetutamente sino a farmi venire, fino a sentirlo venire dentro di me, fino a sentire i miei umori mischiarsi finalmente con i suoi!
Socchiusi gli occhi, mentre sentivo lui allontanarsi di un poco’Lo sentivo aprire la borsa della spesa e armeggiare al suo interno’Chissà cosa stava combinando!
Stavolta, però, non avevo gli occhi coperti. Lui aveva lasciato che io potessi vedere.
E stavolta io volevo vedere.
Aprii dunque gli occhi’aveva preso dalla borsa della spesa una confezione di wurstel che ora avevo vicino al viso’in prospettiva vedevo le sue mani armeggiare con questa confezione e, dietro, il suo cazzo rigido, sempre trattenuto dai boxer neri’
Con un tagli dei suoi denti aprì la confezione che conteneva tre wurstel abbastanza grossi.
Ne sfilò uno e lo portò vicino le mie labbra.
Avevo i sensi annebbiati, non avevo la forza di chiedermi cosa stava accadendo.
Presi in bocca quel wurstel avidamente, immaginando fosse il suo cazzo.
Feci un pompino a quel pezzo di carne sperando di eccitarlo a tal punto da volerlo sostituire il prima possibile con il suo uccello’Gli avrei dimostrato quanto sono brava a fare i pompini! Il sapore della carne accresceva la mia eccitazione e, spontaneamente, allargai le cosce.
Marco estrasse un secondo wurstel e lo fece scorrere lungo il mio corpo, dal volto sino ai piedi, mentre con una mano continuava a palparmi i seni e io continuavo a succhiare quel pezzo di carne.
Marco risalii con il wurstel le mie gambe per fermarsi nei pressi della mia fica, spalancata bollente e fradicia.
Mise la punta del wurstel sul mi clitoride facendomi urlare di piacere.
Cominciò a masturbarmi con quel pezzo di carne dandomi un piacere infinito.
Smise all’improvviso. Inserì la punta del wurstel nella mia fica. Inarcai la schiena, facondo intendere chiaramente quello che volevo’Volevo essere penetrata! Volevo essere posseduta! Non avevo pensieri per la testa, sono voglia di sesso, con lui.
Mi torturava, Marco. Teneva la punta ferma, senza spingersi oltre.
Avevo capito.
Avevo capito che voleva fossi io a fare il gesto.
Inarcai la schiena di nuovo, aprendo le gambe quanto più potevo e mi spinsi in fondo al tavolo.
Il grosso pezzo di carne entrò come una lama bollente nel burro della mia fica.
Cacciai un urlò liberatorio di piacere, piacere che solo ora era liberato e chiedeva di esplodere del tutto.
Non volevo lasciare indietro l’altro wurstel che avevo in bocca e continuavo, dunque, a fargli quel pompino che Marco voleva.
Ora non mi muovevo io.
Marco faceva su e giù con il wurstel nella mia fica e ora assecondava quel movimento con l’altra mano che, lasciati i miei seni, si era portata sul mio clitoride violaceo ed eretto.
Ora godevo come una matta.
Marco lo aveva capito e, in men che non si dica, cominciò a fottermi a più non posso.
Faceva scivolare quel pezzo di carne dentro e fuori di me sempre più velocemente’Faceva roteare il polpastrello del suo dito medio sul mio clitoride sempre più velocemente. Io ero completamente persa e sua, ormai.
E come l’altra volta sentivo che il culmine del mio piacere stava per arrivare, mai così veloce, violento e squassante.
Urlai così forte il mio orgasmo quasi da preoccuparmi dei vicini!
L’orgasmo veniva accompagnato da generosi flussi dei mio umore così vischioso e denso e condito dai miei gemiti di piacere e dai brividi che assalivano tutto il mio corpo’Ero sconvolta, decisamente sconvolta.
Avevo lasciato cadere il wurstel dalla mia bocca e tenevo gli occhi chiusi.
Non mi era mai capitato di sentirmi così, mentre gli ultimi rantoli di piacere abbandonavano il mio corpo, la mia mente, tutto il mio essere.
Marco smise di accarezzarmi poco a poco, con dolcezza e’mestiere.
Sfilò il wurstel dalla mia fica piangente molto, molto lentamente. Lo sentivo uscire piano piano e questo mi provocava un sottile piacere misto al sottile dispiacere che quel momento bellissimo stava per finire.
Riaprii gli occhi poco dopo’mi rividi sdraiata sul mio tavolo, nuda, stravolta, felice.
Marco stava lì in piedi con i suoi boxer neri’Volevo farlo godere come lui aveva fatto con me’Solo che avevo la impellente necessità di andare in bagno’
Mi alzai un po’ a fatica e mi tirai in piedi.
‘Devo fare pipì’torno subito.’
Dissi a Marco con voce flebile.
Lui non rispose e io, un po’ barcollando e completamente nuda, andai in bagno.
Mentre facevo pipì ripensavo a quello che era accaduto e, se quello era stato l’inizio, chissà come sarebbe proseguita la serata!
Sciaquai e asciugai accuratamente il mio sesso e, dopo essermi rinfrescata il volto e datami una sistemata ai capelli, tornai di là.
‘Eccomi sono torn”.
Non c’era!
Marco era andato via, di nuovo!
Tutte le scene che avevo immaginato in quei due minuti scarsi che ero rimasta in bagno svanirono come neve al sole, lasciandomi un misto di amarezza e leggera incazzatura!
Doveva essersi rivestito alla velocità della luce e, come l’altra volta, doveva essere uscito senza fare il minimo rumore.
Sulla tavola in disordine spiccava un post-it giallo con una scritta in pennarello rosso’
‘Devo andare. Ciao.’
Messaggio laconico, come le sue frasi. Impossibile aspettarsi di più.
‘Ma dove cazzo devi andare?’
Urlai come se lui fosse ancora lì.
Non ero delusa’ero decisamente fuori di me.
Ma stavolta non avrei lasciato perdere. Stavolta non avrei fatto passare il tempo.
Lunedì lo avrei affrontato subito.
Avevo anche ben chiaro in mente cosa gli avrei detto.
Non poteva trattarmi così! Chi si credeva mai di essere?
Lasciarmi per due volte così, in casa mia, nuda e sconvolta e sola’sola e con ancora un immensa voglia di vederlo e farlo godere’non era ancora accaduto!
Mi misi un maglietta e un paio di pantaloncini per riassettare il salotto, mentre Dylan attaccava con l’ultima canzone.
Un rapido sguardo all’orologio’le venti e quaranta scarse.
Soffiai con un po’ di rabbia sulle due candele. Appallottolai il foglietto scritto da Marco e raccolsi i due wurstel.
Gettai il tutto e presi la borse della spesa che aveva portato Marco.
Nulla.
Dentro non c’era nient’altro che la confezione da tre wurstel giganti.
La borsa era esageratamente grande per quel contenuto.
Lo aveva fatto apposta, lo avevo capito.
Riempiva di apparenze la scena che preparava accuratamente’mi faceva capire, senza dirmelo, come gli occhi, ciò che loro vedono, trasmettono al cervello immagini e sensazioni preconcette e scontate.
Vedendo la borsa grande avevo dato per scontato che il suo contenuto fosse un sacco di roba buona, cibo per ripetere le scene di ‘Nove settimane e mezzo’ o qualcosa del genere.
Lui invece mi aveva dimostrato come quel modesto contenuto, usato con i modi e i tempi giusti, mi avrebbe dato un piacere indimenticabile.
Mi stava insegnando a passare oltre le apparenze, a scendere più in fondo, a scoprire cose fantastiche che, poi, erano dentro di me, in realtà.
Dovevo solo farle uscire. Lui le faceva uscire.
Ma non continuava. Avrebbe potuto.
Se lo avesse fatto mi avrebbe presa per sempre. Sarei stata sua per sempre.
Seduta sul divano pensavo a tutto questo guardando in un punto non definito della parete mentre Dylan aveva finito di cantare.
Le sue fughe ora avevano una spiegazione, forse.
E, d’incanto, l’incazzatura era andata via.
Mi rimase un sorriso e il pensiero di lui.
Quello non andava via.
Mi alzai. Gettai anche il terzo, inutilizzato wurstel.
Mi era venuta fame e mi feci un bel piatto di pasta, mentre speravo che la televisione, più che tenermi compagnia, mi distraesse da quel pensiero fisso di lui’inutilmente.
Che cosa avrei dovuto fare? Che cosa avrei potuto fare?
Quel disgraziato mi aveva fottuto il cervello. Mi aveva fottuto il cervello prima della fica.
Non potevo fare più a meno di lui, del suo modo di fare, dei suoi silenzi.
Mangiavo la mia pasta ma la testa era altrove. Non avrei potuto resistere sino al giorno dopo.
Gli avrei parlato. Gli avrei detto quello che sentivo per lui.
Mi aspettavo la sua reazione. Un silenzio, un sorriso di circostanza, forse.
Un invito improvviso, uno sviluppo a sorpresa’chissà cosa mi avrebbe riservato.
Non potevo attendere oltre, anche se era lui a guidare il gioco.
Arrivai a pensare che quello che mi faceva, il mondo che mi aveva fatto scoprire forse non era del tutto positivo, per me.
Avrei forse preferito una vita normale, un rapporto normale.
Un uomo che mi diceva quanto ero bella e importante, un uomo che mi possedeva ogni volta che lo desiderava, ogni volta che lo desideravo io.
Potere sentire il suo sesso nel mi corpo, baciarlo, assaggiare e bere il suo seme, sentire il sapore della sua saliva, poter accarezzare ogni centimetro della sua pelle, anche quella più nascosta e proibita.
Forse avrei preferito un rapporto così.
Così’normale.
No.
Non più, ora. Ora che avevo conosciuto lui.
Quella sera decisi che avrei lasciato condurre il gioco a lui sempre e comunque. Qualsiasi fosse stata la sua decisione. Avrei atteso, avrei fatto qualsiasi cosa lui mi chiedesse, anche nulla.
Avrei accettato anche un suo abbandono, silenzioso come tutto il resto.
Lo avrei accettato, Perché ero sua.
Mi sentivo la sua schiava. Mi sentivo costantemente sotto il suo potere, sotto la sua sottile tortura.
E mi piaceva.
Non potevo più farne a meno.
E tutto il resto era secondario.

Anche al lavoro rimanevo in attesa.
Avevano sporadiche occasioni in cui lavoravamo insieme ma, nelle due settimane successive,lui non mi propose nulla.
Ma quando mi stava vicino io rabbrividivo e il cuore mi batteva a mille.
Quando mi stava vicino non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi.
O meglio’evitavo accuratamente di guardarlo negli occhi.
Se lo guardavo mi venivano in mente scene indicibili.
Me lo immaginavo mentre mi prendeva sempre e comunque e mentre io gli facevo le cose più spinte.
Ma rimanevo in sospensione, in eterna attesa.
‘Ci possiamo vedere stasera?’
Mi chiese all’improvviso.
‘Ce-certo”, dissi io balbettando come un’adolescente.
‘Possiamo a casa tua per le nove? Dopo cena”
‘Sì. Non..non c’è problema?’
Finalmente!
La mia attesa era stata premiata.
Mancavano poche ora a quell’appuntamento ma io non pensavo ad altro.
In pratica avevo smesso di lavorare e passavo il tempo a fissare il video.
Quei numeri che vedevo e che avevo digitato io assumevano un significato buffo.
Li riconducevo sempre a noi due’il risultato era sempre quello.
Chissà poi, perché, la mia attenzione cadde sul quel sessantanove che faceva bella mostra di sé lì, in prima pagina!
Non riuscii nemmeno a mangiare, quella sera.
Rimasi in spasmodica attesa.
La tv, la musica, il giornale’niente.
Niente distoglieva la mia attenzione da quello che mi attendeva da lì a poco.
E certo che le sorprese non sarebbero mancate.

‘Ciao. Sono io.’
Puntuale, Marco citofonò alle nove.
Mi ero vestita in maniera assolutamente ordinaria stavolta.
Tanto avrebbe fatto e disfatto tutto lui.
Il cuore mi batteva all’impazzata, ma quasi mi si fermò quando Marco entrò.
Non era solo!
‘Ciao. Lei è Giada.’
‘Piacere.’
Rimasi attonita e senza parole per non so quanto.
Una donna alta più di uno e ottanta a occhi e croce.
Vestita con un completo grigio e camicetta azzurra, una cascata di capelli neri e lunghi ed un viso dai lineamenti perfetti con due occhi verdissimi.
E quel ‘Piacere.’ Detto con una voce flautata e saudente.
Insomma, una strafiga della madonna!
‘Pia-piacere’Valentina.’
Dissi smozzicando le parole.
‘Vi posso’vi posso offrire qualcosa da bere? Un caffè?’
Chiesi sperando in una risposta positiva’Così avrei avuto, forse, la possibilità di parlare un attimo da sola con Marco e chiedergli chi cazzo era quella.
Sua sorella? La sua fidanzata? La sua troia?
Ero arrabbiata. Incazzata nera.
‘No, grazie. Andiamo di fretta.’
Disse quella lì.
Eh, no eh?
‘Andiamo? Andiamo chi? Avevamo un appuntamento o no, caro Marco?’
Avrei voluto dirlo. Non ce la feci.
Lui mi condizionava ancora.
‘Puoi indossare questo, per favore?’
Marco finalmente parlò. E lo fece consegnandomi un cappuccio, un cappuccio nero.
Non ebbi la volontà e la forza di chiedere per quale motivo, lo indossai e basta.
Rimasi in piedi ed in attesa con quel cappuccio in testa.
Credo che fu Marco ad avvicinarsi e a cominciare a spogliarmi piano.
Anzi, ero sicura che fosse lui.
Riconoscevo il suo modo di spogliarmi.
Lo fece lentamente e, anche se c’era quella lì non potei fare a meno di eccitarmi come non mai.
Ora ero completamente nuda e in piedi.
Lui mi prese le spalle dirigendomi verso il divano che era lì a poco più di un metro di distanza.
Mi fece sdraiare e appoggiare la testa sul bracciolo.
Poi si allontanò.
Rimasi ferma così per un po”non so per quanto. Un minuto? Cinque? Boh.
E che cosa stavano facendo quei due lì? Ridevano di me che ero lì come una scema? Si stavano spogliando anche loro? Se ne erano andati?
La mia curiosità non dovette attendere molto per essere soddisfatta.
Sentivo due mani che mi accarezzarono l’inguine.
Sobbalzai, rabbrividii e gemetti per la sorpresa e per il piacere.
Quelle mani mi chiedevano, anzi mi ordinavano dolcemente di aprire le gambe.
Ubbidii docilmente.
Quelle mani misteriose abbandonarono il mio corpo. Rimasi così per qualche secondo.
Sentivo una presenza avvicinarsi alle mie gambe’un bacio. Un sofficissimo bacio sul mio pube.
Sobbalzai di nuovo.
Quel bacio comandò una serie infinita di brividi che mi pervasero il corpo in lungo e in largo.
Il bacio si spense per trasformarsi presto in una lingua sinuosa e umida che si intrufolò nel più profondo intimo del mio sesso.
La punta di quella lingua si spinse dentro il mio corpo, accarezzando delicatamente le mie labbra bagnatissime e pulsanti come il mio cuore.
Quella lingua non mi dava tregua rovistando in lungo e in largo la mia fica vogliosa e umida di umori.
Quella lingua li succhiava, li bevevo, li spremeva dalle mie labbra e, ora dalla mia clitoride.
Urlai di piacere, stavolta.
Urlai e feci per allungare le mie mani verso quella testa, per poterla accarezzare dolcemente.
Ma altre mani, mani coperte da guanti, fermarono le mie.
Volevano che io non facessi nulla.
Ubbidii. Ancora una volta. E lo feci con piacere.
Mentre quelle labbra voluttuose avevano avvinghiato la mia clitoride e la giravano in bocca come una dolcissima caramella, vischiosa e buona come il miele.
Rantolavo di piacere, i miei seni parevano scoppiare, mentre inarcavo la schiena e spalancavo le cosce.
Non ebbi tregua e pace.
Quelle labbra, quella lingua e quella testa che le guidava avevano preso il sopravvento sul mio corpo e lo guidavano con maestria.
Sentivo solo i miei rantoli di piacere mentre sentivo il sopraggiungere dell’orgasmo.
Orgasmo che arrivò di lì a poco, intenso, così intenso da essere quasi devastante.
Urlai il mio piacere, mentre la mia fica dava tutto il miele che poteva a quella bocca voluttuosa ed esperta, che ora lo beveva avida e che non mi dava tregua, continuando a leccarmi, a succhiarmi, a bermi anche l’anima.
Inarcai ancora di più la schiena mentre i brividi percorrevano intensi il mio corpo.
Quella testa aveva capito che avevo raggiunto il massimo del piacere e cominciò a baciarmi più dolcemente lasciando poco a poco quella zona bollente.
Decine e decine di baci dolcissimi mi tempestarono ancora le labbra umide, la clitoride, i peli del mio pube, il mio inguine e, per finire, il mio ombelico.
La testa se ne andò, lasciandomi sfinita sul divano.
Non avevo la forza e la volontà di fare nulla.
Attendevo ordini parlati o dettati dalle mani di Marco.
Le mani, ora senza guanti, mi sfilarono il cappuccio nero.
Era Marco.
Mi aiutò a mettermi seduta sul divano.
Di fronte a me lui e la sua misteriosa amica? Fidanzata? Sorella? Troia?
Non mi sentivo in imbarazzo.
Loro mi guardavano ma senza espressione.
Non erano divertiti o stupiti o delusi.
Semplicemente mi guardavano.
Io non dissi nulla. Non era cambiato nulla, per me.
Rimanevo in attesa di ulteriori ordini.
‘Devi sapere che io e Marco abbiamo fatto una scommessa”
Disse quella lì con quella sua voce da centralino erotico.
La guardai con aria interrogativa. Poi diressi il mi sguardo su di Marco il quale rimase, ovviamente, impassibile.
La guardai, ma non le feci la domanda che probabilmente lei si aspettava facessi.
‘Dovresti dirci chi credi ti abbia baciato’io o lui?’
Rimasi di sasso.
Altro che aspettarsi una domanda da me. Quella era una risoluta e guidata o stava al gioco che avevano architettato. E io ne facevo parte.
Quella domanda non mi fece rimanere solo di sasso. Mi sconvolse.
Chi era stato?
Mentre venivo baciata avevo la certezza che fosse Marco.
Lui, la volta precedente, mi aveva baciato sulla bocca, sulle orecchie sul collo.
Credevo di aver saputo riconoscere quel tocco.
Ecco perché quelle mani misteriose non avevano voluto che allungassi le mie su quella testa.
La avrei scoperta rada di capelli e allora era quella di Marco.
La avrei scoperta piena di morbidi capelli e allora erano quelli di Giada’ecco adesso la avevo chiamata per nome e non ‘quella lì, la sua fidanzata, o sorella o troia”
Ecco perché quelle mani misteriose erano coperte dai guanti.
Se fossero state quelle di Marco che avrei riconosciute, piccole ma forti.
Se fossero state quelle di Giada le avrei riconosciute per esclusione.
Le stavo guardando, ora,
Grandi mani molto curate, dita lunghe e affusolate con unghie smaltate trasparenti.
Guardavo anche il resto del suo corpo. Gambe perfette e ventre piatto e’scarpe da trecento euro almeno!
Sì, ma chi era stato?
‘Io non sono lesbica!’, pensai, ‘Non l’ho mai fatto e non lo farei mai con una donna!’
Avevo questa certezza’sino a poco prima.
Dunque?
Semplice. Non sapevo chi era stato.
Guardavo Marco alla disperata ricerca della risposta scritta nei suoi occhi, in un accenno, in un ammiccamento’niente.
Come poteva essere altrimenti? Devo anche dire che se lo avessi avuto, quell’aiuto da Marco, forse ne sarei rimasta delusa.
Non sarebbe più stato il mio ‘padrone’.
Sorrisi.
Loro mi guardavano ancora senza espressione alcuna.
Non mi chiesero, e non si chiesero, perché avessi sorriso.
Guardavo Giada, ora, sempre alla ricerca di un cedimento, di un dettaglio, di un qualcosa che mi avesse potuto aiutare nella risposta.
Volevo alzarmi e avvicinarmi a loro.
Avrei potuto, magari, vedere chi di loro due aveva ancora le labbra umide, un pelo del mio pube ancora appeso da qualche parte!
‘Allora?’, interruppe ancora Giada il mio tentativo di investigazione.
‘Beh’sei stato tu.’
Dissi rivolgendomi a Marco, carica di speranza.
Non dico che avevo sparato a caso, ma quasi.
Speravo di aver riconosciuto nella lingua che mi aveva rivoltato la fica la stessa che qualche tempo prima mi aveva sfiorato il collo.
‘Che ti avevo detto?’
Disse Marco rivolgendosi a Giada con un altro dei suoi sorrisi imparziali.
‘Già’ho perso.’
Rispose Giada con un sorriso a trentadue denti.
Avrei dovuto dire: ‘ Ehi scusate! Sono qui! Per caso, mi sono persa qualcosa?’
Non lo dissi.
Capii in un momento che quei due avevano fatto una scommessa su di me.
Immagino anche come sia nata.
Giada che dice a Marco.
‘Scommetto quello che vuoi che al buio indovini comunque chi ti bacia, se un uomo o una donna.’
Giada, che non conosco assolutamente, dà l’impressione di essere una tipa esuberante e sessualmente molto, ma molto libera e la scommessa doveva essere gioco forza essere partita da lei.
‘Io dico di no.’
Doveva aver risposto Marco, telegrafico ed asciutto, come al solito.
Io ero la prova.
Ma, comunque, che razza di complicità c’era tra quei due? La domanda ormai mi rimbalzava nella testa da un po”Era sua sorella? La sua amica, fidanzata, mamma, troia’chi era, maledizione?
Dovevo scoprirmi gelosa in quella situazione assurda?
Io ero ancora lì, nuda, dopo avere raggiunto un orgasmo fantastico provocato da una donna sconosciuta che mi ha baciato la fica da dio.
Ecco, appunto.
Ero stata baciata da una donna. La prima volta nella mia vita. Consciamente non lo avrei mai fatto, e ora?
Ora che lo avevo provato? Sarebbe stato ancora lo stesso ora che lo avevo scoperto?
Avrei preferito non scoprirlo mai’forse.
Era un’altra cosa di proprietà di Marco.
Ora, però, stava esagerando’forse.
Tutto questo mondo di sensi che mi stava facendo scoprire ed esplorare stava sconvolgendo la mia vita.
Forse stavo rimpiangendo quei colleghi, quei finti amici che mi riempiono di complimenti solo per portarmi a letto.
Stavo rimpiangendo quegli uomini che vogliono scoparti e basta.
Qui si va oltre. Molto oltre.
Anzi, ci ero già andata, ed era troppo tardi per tornare indietro.
E poi’quali sarebbero i limiti? E se non ce ne fossero?
Ero spaventata? O eccitata?
Avrei preferito non scoprirlo mai’forse.
Ma no! Cosa dico? Ora c’è Marco, solo Marco.
E io sono gelosa, tremendamente gelosa, perché, forse, lui vuole così.
Mi usa per una sua scommessa? Va bene. Sono sua.
Mi umilia avanti ad una sconosciuta? Va bene. Sono sua ancora di più.
E poi’se ora io non posso più rinunciare a lui, può essere anche vero che anche per lui sia così.
E se avesse trovato in me quella persona che cercava chissà da quanto?
La sua amante complice, schiava, gelosa e pronta a tutto?
Puoi dirti ‘padrone’ solo se hai qualcuno ai tuoi ordini.
In questo caso non ero la sola ad essere sottomessa’lo eravamo entrambi.
Certo, lui dirige i giochi, lui cambia le carte in tavola.
Lui mi spoglia e mi riveste, lui ribalta il mio mondo.
Ma lui cambia e si arricchisce grazie a me.
Troverebbe un’altra ‘me’?
Credo di no. Non come me, almeno.
Avevo questa certezza ora. Non era un alibi. Avevo semplicemente deciso che era la cosa giusta. Se c’era un mondo sconosciuto era giusto portarlo a galla e scoprirlo. Non avrei più accettato la normalità, da ora in poi’
‘Posso chiedere cosa avete scommesso?’
Chiesi timidamente.
‘Innanzitutto devi avere la conferma che sia stata io a baciarti, altrimenti avremmo potuto dirti una bugia.’ Disse Giada avvicinandosi a me.
Mise le mani intorno alla mia nuca, si abbassò e mi baciò sulla bocca.
La feci fare e, anzi la assecondai.
Introdusse la sua lingua nella mia bocca.
La riconobbi e potei sentire il sapore dei miei umori ancora presente nella sua bocca.
Smise subito quel bacio dirigendosi verso Marco.
‘Abbiamo scommesso questo.’
Giada prese la cintura di Marco e la slacciò in un attimo.
Fece scendere la cerniera dei pantaloni e li calò a terra.
Alzò la maglietta che Marco ora teneva con le mani e abbassò i boxer neri.
Ora aveva il viso vicino al cazzo ancora moscio di Marco.
Da non credere!
Lo vedevo per la prima volta e non ero io quella che lo prendeva!
Giada ingoiò l’uccello di Marco in un attimo e cominciò a farselo girare in bocca.
Non ci mise molto ad indurirsi anche se il suo volto non cambiò espressione.
Giada ci sapeva fare.
Non usava le mani e con la testa si muoveva in modo tale da far crescere quel pezzo di carne dentro la sua bocca.
Dentro quella sua bocca ora si mischiavano la sua saliva, quello che rimaneva dei miei umori e le prime gocce lubrificanti emesse dal pene di Marco ora in completa erezione.
Stranamente non mi sentivo gelosa, in quel momento.
Anzi, mi sentivo tremendamente vicina a lui, mai così vicina come in quel momento.
Con la punta della lingua Giada martoriava la cappella rossastra e grossa di Marco e con le mani ora accarezzava i suoi ciglioni che dovevano essere gonfi e ribollenti di seme.
Ora la testa di Giada si muoveva sempre più velocemente.
Sentiva che l’orgasmo era vicino.
Capiva che Marco era pronto ad esploderle in bocca.
La cosa avvenne pochi istanti dopo.
Senza emettere un gemito ma solo socchiudendo gli occhi, Marco venne in bocca a Giada in maniera copiosa, credo.
Dico così perché Giada non lasciò la presa con le sue labbra nemmeno per un attimo. Beveva avidamente tutto il seme emesso da Marco continuando a dimenare la testa aventi e indietro sempre velocemente.
La sentivo rantolare di piacere mentre succhiava quel seme e io, ad assistere a quella scena, mi ero di nuovo eccitata.
Ora Giada diminuiva la velocità poco a poco mentre il cazzo di Marco si ritraeva emettendo le ultime gocce di sperma.
Giada usò ancora la lingua per leccare la cappella, ora diventata piccola, di Marco.
Io non potei resistere.
Mi alzai e andai verso di lei.
Mi inginocchiai e mi misi fra loro.
La guardai solo per un attimo, poi le cacciai la lingua in bocca.
Giada sembrava aspettarselo. Non aveva ancora ingoiato l’ultima dose di seme di Marco.
Me la passò facendola rotolare con la sua lingua nella mia.
Mugolammo entrambe di piacere, mentre potevo, finalmente, sentire il sapore dei seme di Marco, anche se per’interposta persona!
Il sapore era buonissimo. Dolce e forte come il miele.
Ingoiai e continuai a baciare Giada sino a quando l’unico sapore rimasto non fu quello delle nostre salive.
Lasciai quella bocca bollente e sensuale, sconvolta.
Lo era anche lei.
Probabilmente si aspettava quel mio gesto, ma sicuramente aveva provato un piacere immenso anche lei.
Mi alzai e mi rivestii e lo stesso fece anche Marco.
‘Dovete proprio andare?’
Dissi sperando di ricevere un ‘no’ come risposta.
‘Sì, dobbiamo proprio andare. Mamma ci aspetta.’ Disse Giada.
Avevo capito bene?
‘Mamma?’ Dissi io, sorpresa.
‘Sì. Le abbiamo detto che saremmo passati a riprenderla da mia zia.’
‘Sì ho capito, ma voi’cioè, siete”
‘Fratello e sorella.’ Disse Giada, asciutta.
‘O meglio, la mamma è la stessa, il papà no.’
Seguirono attimi di silenzio’io ero decisamente spiazzata.
‘Come vedi non ci assomigliamo” Disse Giada.
‘Infatti io sono bella.’ Continuò Giada scoppiando in una fragorosa risata.
Marco sorrise come al solito mentre io li guardavo attonita.
‘Ciao.’ Disse Marco semplicemente.
‘Ciao, Valentina. Spero che ci rivedremo.’ Mi disse Giada dandomi un tenerissimo bacio sulla guancia.
Non ebbi la forza di rispondere a nessuno dei due.
Li accompagnai automaticamente alla porta.
Lasciai accesa solo una piccola luce e mi sdraiai sul divano a pensare.
Così quella era la sorellastra.
E con la sorellastra chissà cosa aveva combinato.
Se gli faceva un pompino a casa di sconosciuti posso solo immaginare cosa potevano aver combinato in passato quei due.
Magari erano cresciuti assieme. Ad occhio e croce non correvano più di tre, quattro anni fra loro.
Chissà quante volte se l’è scopata, magari è stato il primo, magari l’unico!
Pensavo a questo e ad altre mille cose volevo pensare.
A tutto ciò che era accaduto quella sera, alla mia gelosia, alla mia sottomissione e a quella, forse presunta di Marco’
Non ce le feci.
Il sonno mi vinse subito, lì, sul divano.
Un sonno lunghissimo e profondissimo.

Mi risvegliai alle cinque e mezza del mattino tutta dolorante.
Quel divano è comodo per il sesso, non tanto per dormire.
Mi feci una doccia e rimisi un po’ a posto la casa.
Dopo la colazione andai al lavoro.
Sentivo la testa stranamente leggera e sgombra dai pensieri come se l’accaduto della sera prima fosse stata una cosa bellissima e sconvolgente, ma non da destare quelle preoccupazioni che avevo avuto qualche tempo prima, appena conosciuto Marco.
Dovevo solo attendere che le cose fra noi accadessero, che lui decidesse che accadessero.
Io sarei stata lì, pronta per lui e per me, per scoprire nuove sensazioni e cose sconosciute.

Giunsi, così, in ufficio.
Lui non c’era. Forse sarebbe arrivato più tardi.
Dopo un paio d’ore provai ad andare su, nel suo ufficio.
Entrai, ma ebbi la strana sensazione che quello non fosse il suo ufficio.
Mi decisi a chiedere ad un collega’
‘Scusa’sai se Marco oggi viene?’
‘Marco? Marco chi?’
Il sangue mi si gelò nelle vene.
‘Niente, scusa, mi sono sbagliata”
Mentre tornavo al mio posto lentamente, sempre lentamente capii cosa mi era successo’
Un sogno.
Un lungo, maledettissimo, bellissimo sogno.
Le sensazioni si mischiavano in me mentre mi sedevo al mio posto e guardavo tutti quei numeri.
Ero delusa.
Delusa che quell’esperienza fosse stata solo un sogno.
Doveva essere bellissimo sentirsi come mi ero sentita in quei momenti, insieme a ‘Marco’, per ‘Marco’, con ‘Marco’, di ‘Marco’.
Ero contenta.
Contenta che quell’esperienza fosse stata solo un sogno.
Se avessi davvero vissuto un’esperienza del genere forse ne sarei uscita a pezzi, se ne sarei uscita.

‘Va bè, Valentina, torniamo al bilancio che è meglio” Dissi tra me e me.
‘Prima, però, devo scaricare la posta’deve avermi scritto il capo’aspettavo un allegato urgente da lui”.
Cinque messaggi non letti. Due del mio capo, uno dei quali con l’allegato, uno di Annamaria, la mia collega del personale con la vignetta dell’oroscopo del giorno, una di Giorgio, il collega pedante che ci prova sempre e le cui lettere butto direttamente nel cestino, tanto so già di cosa parlano, e’..
‘Ricevuto un nuovo messaggio.’
Mittente ‘Marco’
Rimasi come paralizzata e rabbrividita davanti al video per un minuto buono.
Poi aprii la bustina’..

‘Ciao. Stasera a casa tua alle 8. Va bene?’.

– Crea, nov. ’03 –

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