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Racconti Erotici Etero

Viaggi

By 9 Settembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Viaggiare &egrave un po’ peregrinare, come dice l’etimologia, andare per i campi, ma non solo, anche per i mari.
Perché? Alla ricerca di cosa? Alla ricerca del bello, del buono, di un luogo misterioso, nascosto, sacro. O solo alla ricerca dell’ignoto.
Di propria iniziativa? Perché? Sfuggire qualcosa, qualcuno. O si vuole assumere una diversa identità. O sei stato inviato?
Diverse, infinite ragioni e qualche volta una sola meta, una sola destinazione.
Si dice che partire &egrave un po’ morire. Per qualcuno &egrave solamente morire.
Viaggi, dunque. Soli, o in coppia.
^^^

A
La loro casa era nei dintorni di Akurdet, quella che gli Italiani chiamano Agordat, in Eritrea. Se la passavano male. Dovevano ‘mettere sù’ famiglia, ma non c’erano assolutamente i mezzi. I più vecchi dicevano che si stava perfino peggio di quando c’erano gli Italiani. In quei tempi gli uomini potevano arruolarsi nelle formazioni di Ascari. Ora, invece.
Tekle era forte, robusto, sapeva leggere e scrivere e conosceva anche qualche parole di inglese e di italiano. Ne parlò con lei, con Om, la sua bella e dolce fidanzata, che aveva il nome di una celebre cantante. Poi se ne conversò in famiglia. Tutti d’accordo: si doveva andar via. Come, e per dove?
Forse si doveva andare in Italia.
Nessuna possibilità di avere un permesso d’entrata se non si era in possesso di un contratto di lavoro.
Dopo lunghe riflessioni, cui parteciparono tutti gli anziane delle famiglie interessate, si decise che si sarebbero sposati, e con i risparmi faticosamente raggranellati da tutti, sarebbero andati fino a Khartoum con qualche mezzo di fortuna, poi di lì in aereo a Tripoli, in Libia, e quindi si sarebbero imbarcati per l’italia. Su uno dei tanti natanti, vecchi e scassati, che li avrebbero portati in quello che per loro appariva l’Eldorado. C’era tutta un’invisibile rete che organizzava questi ultimi viaggi. Lo sbarco sarebbe avvenuto a Lampedusa.
Matrimonio senza grandi feste, riservato.
Non ci si crederà, ma Tekle e Om non erano mai ‘stati insieme’. Lei era vergine, una vergine vogliosa di ‘conoscere’ il suo uomo, di giacersi con lui e dargli figli.
La ‘futa’ bianca che avrebbe raccolto la testimonianza della illibatezza di Om, doveva essere oggetto della rituale ‘ostensione’ ai familiari. Questo non si poteva trascurare. La madre di lui l’avrebbe conservata, con sacralità, come fosse una reliquia.
Il piccolo corteo condusse gli sposi nella casa del nonno di lei, dove era preparato il talamo, lasciata temporaneamente libera, proprio per la bisogna.
Loro si sarebbero ritirati per la ‘consumazione’ e gli altri si sarebbero trattenuti fuori, all’aperto, con abbondanti libagioni di ‘tegg’, e ‘fantasie’ sempre più frenetiche, i loro balli caratteristici, mentre le donne avrebbero lanciato il caratteristico ‘trillo’ che manifestava esultanza e augurio.
Om amava Tekle, lo desiderava, ma non poteva nascondersi un certo timore. Lui ‘glielo’ aveva fatto vedere, toccare. Era un nodoso randello, con una ‘capocchia’ scura e smisurata. Sì, lei lo sapeva bene, tutte le donne lo facevano coi loro uomini, ma quello non l’avrebbe sfondata, lacerata?
Lo accennò, cautamente, alla madre.
La mamma la rassicurò, pur non sapendo le ‘dimensioni’ del genero. Le disse di pensare a quanto più grossa, comunque, era la testa del bambino che usciva dal grembo della madre.
‘Insomma, mamma, sia se mi entri qualcosa, lì, sia che ne esca devo soffrire!’
‘Ma no, figlia mia, forse un po’, solo un po’, la prima volta’. Ma vedrai quanto &egrave bello’. Ma.. lui’ ti ha mai carezzata’là?’
Om annuì.
‘Ti &egrave piaciuto?’
Ancora un sì, con la testa.
‘Col maschio dentro &egrave molto, molto più bello”
‘Si, mamma, ma il dito &egrave piccolo”
Ora, finalmente, era lì, nuda, bellissima, con fianchi snelli e piccole tette affascinanti.
Tekle la chiamava gazzella.
Anche lui era spogliato, e il suo fallo si ergeva maestoso, più grosso che mai, e impaziente.
Om lo guardava affascinata e timorosa nel contempo.
Tekle aveva avuto le raccomandazioni della suocera, di essere paziente, delicato, amorevole. Una cosa non aveva chiesto, in giro, neppure alle sciarmutte che fino ad allora aveva frequentato. Come doveva farlo la prima volta, di fronte, alla missionaria, o come fanno le gazzelle?
Lui voleva vederla, guardarla negli occhi, ciucciarle le tettine.
Le si avvicinò, l’abbracciò e la sollevò appena per farla ‘montare a cavallo’ di quel pennone di carne fremente. A cavallo, senza penetrarla.
Poi, eccitato come mai gli era capitato, in un modo strano e impaziente, la prese in braccio e la portò sul talamo. Il bacino sulla sponda, le cosce bene aperte, spalancate. E lui tra esse.
La guardava ammaliato.
Gli sembrò che le piccole labbra, il rorido ingresso di quella rosea vagina, vibrassero. Vi poggiò il poderoso glande, spinse appena. Sentì che le pareti si muovevano, con piccole contrazioni. Si chinò a ciucciarle un capezzolo. Le contrazioni aumentarono e lui ne profittò per spingersi oltre.
‘Ahi”
Un piccolo, soffocato grido, e poi un dolce rilassarsi e lui entrò. Quasi tutto. Si fermò. La guardò- Aveva gli occhi chiusi, Om, e i bianchi dentini mordicchiavano appena il labbro inferiore.
Ancora una lieve spinta.
Lei contrasse le gambe, inarcò il bacino. Le nari fremevano.
E cominciò il voluttuoso andirivieni che Om accoglieva con incalzante piacere. Sì era grosso, smisurato, ma come lo accoglieva, inebriata, la sua vagina. Quello era godere, altro che le carezze.
Oddio, che le accadeva? Le sembrava di sprofondare, giù, giù’ sempre più giù’ e poi di risalire, volare, in alto, verso il sole, forse stava per svenire, non riusciva a controllarsi, aveva stretto le gambe sulla robusta schiena di lui che seguitava ad alzarsi e abbassarsi’ non capiva più niente’.
Fu l’irruenza del caldo fiotto che la riempì a farle conoscere la completezza di un incontro tra lui e lei.
Se quello era Tekle, lo avrebbe accolto sempre, con avidità.
Rimasero quasi senza forze, ma per poco.
Lui la cavalcò di nuovo e con maggior foga.
Poi, lei si alzò, così, nuda come era. Aprì la finestra, mostrò quella che una volta era una candida immacolata ‘futa’.
Urla di uomini, trilli di donne.
Non indugiò, tornò al talamo.
Fu il giorno dopo che si misero in viaggio. Non portavano che poche povere cose. E un po’ di cibo.
Akordet- Khartoum, molti chilometri.
La fortuna fu dalla loro parte. Il traballante e cigolante truck li portò fino al bivio tra Bisha e Sebderat. Era un mezzo asfittico, ogni tanto si fermava. Al bivio era quasi notte, era difficile che passasse qualche altro mezzo, Per fortuna, poco distante, c’era una vecchia capanna, un tukul disabitato. Vi si rifugiarono, attinsero alle scarse risorse mangerecce, si sdraiarono per riposare.
Tekle prese Om tra le braccia, cominciò a baciarla, sempre più eccitato.
Non resistette a lungo. Alzò la veste, si abbassò i pantaloni, e cercando di frenare il proprio impeto, entrò decisamente in lei.
Un soddisfatto ‘aaaah’ di Om, manifestò il piacere di sentirlo in sé, ancora una volta.
Sul nudo terreno, lui la pompò diligentemente, e lei si muoveva e mugolava, e fu prima Om a godere, con le labbra schiuse sui denti candidi, e il corpo che vibrava voluttuosamente.
Cercarono di dormire. Lei gli volgeva la schiena.
Quel culetto, tondo e sodo, era una vera e propria tentazione.
Tekle, con delicatezza, l’abbracciò, si alzò lentamente, facendole comprendere come doveva mettersi. E lei, felice e obbediente, poggiò sulle ginocchia e sugli avambracci. Con una mano, Tekle, le divaricò le bellissime natiche brune, e con l’altra portò il suo sempre rigido fallo all’ingresso caldo e appicicaticcio della vagina della donna.
Le afferrò il petto, le piccole durissime tettine, e cominciò a darle colpi formidabili.
Sembrava impossibile che quella bellissima fanciulla potesse reggere alle vigorose spinte di lui. Ma le piaceva, certo. Sculettava lascivamente, lo stringeva in sé, raggiungendo presto il piacere, mugolando, sempre più forte, e le sembrò che il fallo attraversasse tutto il suo corpo, fino allo stomaco’ era bellissimo, e le sembrò perdere cognizione delle cose quando sentì ancora invadersi dal seme bollente di lui.
Evidentemente la buona stella li accompagnava.
Al mattino un altro camion, andava a Kassala.
A Kassala seppero che c’era un volo charter per Tripoli, in Libia, che era la loro prima meta. Non era necessario andare fino a Khartoum.
Incredibile, tre giorni dopo aver lasciato Akordet, erano sulle sponde del mediterraneo.
Avevano un recapito.
Era un mercante, copto come loro, ma che si dichiarava senza simpatie religiose se non per il grande Allah, di cui sosteneva di non essere degno di pronunciare il nome.
Li salutò nel suo ‘quasi’ arabo. ‘Salàm alaik’, la pace sia con te.
Era tigrino, e giurò che non avrebbe fregato i suoi compaesani, e che avrebbe rinunciato al suo guadagno. Il giorno dopo, da una caletta poco distante, sarebbe partita una imbarcazione, in discrete condizioni, e con un bravo nocchiero, suo amico. Era un natante sicuro, e veloce. Li avrebbe portati a Lampedusa. Sicuramente. Potevano essere certi che non avrebbero fatti scendere al largo. Il padrone dello scafo, anzi, ad un certo punto rallentava e si faceva raggiungere da una vedetta italiana che molto probabilmente li avrebbe accolti a bordo o scortati fino al porto.
Li accolse veramente con cordialità. Uscì dal suo bugigattolo, che chiamava pomposamente ufficio, e poco dopo tornò con cibo e acqua. Disse loro che potevano arrangiarsi li. C’era uno scassatissimo divano. Era inutile andare in giro, a volte la polizia libica era severissima. Lui li avrebbe chiusi dentro. Si raccomandò, sghignazzando, che non gli finissero di sfasciare il divano’ facendo nik-nik, e il suo sguardo percorse, compiaciuto, le belle forme di Om.
In fondo, Lampedusa non era lontana.
Quando Arkù, l’amico, andò via e chiuse la porta a chiave. Mangiarono voracemente quanto aveva portato. Tekle prese dalla tasca interna dei pantaloni il piccolo involucro, avvolto nel cellophane, dove custodiva quello che restava della somma, dopo aver pagato il charter da Kassala a Tripoli, tolse la cifra che aveva indicato Arkù, e conservò il resto nel ripostiglio segreto. Ed era ben poco quello che restava.
Quanto sarebbe durato il viaggio?
Pensò che pigiati con gli altri, nel battello, non avrebbe potuto’ abbracciare, la sua donna, che forse avrebbero messo le donne da una parte e gli uomini dall’altra’
Insomma, chi ha tempo non aspetti tempo, e si sdraiò, senza pantaloni, col pisellone nero ben diritto e Om non attese neppure l’invito. Si mise a cavallo a lui, si alzò un po’, e ‘lo’ fece sparire in se. Vibrando di piacere.
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B
Le cose tra Mario e Rosetta stavano attraversando un periodo di tensione. Nessun motivo apparente. Forse le quotidiane difficoltà della vita li logoravano e ciò si ripercuoteva anche nel loro rapporto.
C’era, spesso, come la ricerca di un motivo per potersi scaricare da quella specie di nervosismo che a volte non aveva nemmeno ragione di essere. Poi, ognuno, ripensandoci, conveniva che poteva e doveva comportarsi ben diversamente.
Mario era sdraiato sul letto, supino, le mani sotto la nuca lo sguardo al soffitto, quasi senza pensare. Indossava i soli pantaloncini del pigiama.
Rosetta aveva indugiato sotto la doccia, si era asciugata molto lentamente, sbirciando di continuo la propria immagine nel lungo specchio che andava via via perdendo l’appannamento provocato dal vapor acqueo. Si piaceva Rosetta. Ed aveva ragione. Sui trenta, con un corpo meraviglioso, piccolo seno con splendide tettine sormontate da graziose fragoline. Gambe affusolate, fianchi stretti e ben disegnati, natiche degne delle più perfetti sculture greche, un volto delizioso, incorniciato da capelli nerissimi, come il cespuglio che le adornava il grembo.
Si guardò intorno. Aveva lasciato la corta camicia da notte sul letto.
Infilò le pantofole e si avviò così, nuda, in camera.
Mario voltò la testa, la guardò, e negli occhi Rosetta lesse l’ammirazione, il desiderio. Gli sorrise appena, ma quell’incrociarsi di sguardi era più eloquente d’ogni cosa. Lei percepiva una certa eccitazione, in sé, e notava che nei pantaloncini del marito qualcosa lievitava.
Con quel sorrisetto enigmatico sulle labbra, andò a sedere sul letto, accanto a lui, infilò la mano nei pantaloncini ed accertò che l’eccitazione dell’uomo era cresciuta abbondantemente. Cominciò a carezzarlo, delicatamente, con la sua manina voluttuosa. Intanto, con l’altra mano, aveva cominciato a tirar giù i pantaloncini. Mario collaborò, e li sfilò del tutto. Lei aveva dovuto lasciare, ovviamente, lo scettro di carne palpitante che aveva stretto nella sua mano e pensò che quell’albero delle delizie ben meritava un bacio. Si chinò. Baciò, dischiuse le labbra, la lingua saettò intorno al glande, picchierellò su di esso, si dilatarono per accogliere quel grazioso e voluttuoso fallo nel tepore umido della bocca, un calore inebriante, e un vorace e ben modulato mungere che andava facendo rapidamente salire il piacere di Mario verso la conclusione.
Rosetta, senza lasciare il’ boccone, si mosse, si sdraiò su Mario, col grembo all’altezza della bocca di lui; si mise sulle ginocchia, a gambe aperte. Il nero vello del grembo solleticava le narici dell’uomo. Lui dischiuse il sesso di Rosetta, e con la lingua cominciò a lambirlo, a titillare il clitoride, a penetrarlo, come meglio poteva, ora riuscendo a fare della lingua un cuneo vibrante, ora una spatola deliziosa. Lei cominciò a dimenarsi, sempre più, a stillare la linfa del suo piacere, e quando l’orgasmo divenne irrefrenabile e travolgente, si abbandonò su di lui, e tolse il fallo dalle labbra nello stesso istante che lo zampillo caldo schizzò sul suo volto estatico.
Sfinimento appagante, ma non del tutto.
Il fallo era eretto e voglioso.
La vagina attendeva il ‘piatto forte’ dopo l’antipasto.
Mario supino. Quale migliore occasione.
La bocca di sopra, della bella Rosetta, cedette il posto a quella di sotto.
Un calore ancora più bello, che sentivano entrambi. Lui come uno splendido guanto che si contraeva fasciandolo voluttuosamente. Lei come il più affascinante e fantastico ‘riempitore’ del suo vuoto palpitante.
Una sempre più frenetica galoppata e s’aprirono le chiuse del piacere.
Era sdraiata su lui.
‘Forse dobbiamo trovare un periodo di relax, andare lontani dal tran tran, Mario. Io sto bene con te.’
Lui sentì che ‘lo’ stringeva voluttuosamente in sé.
‘Si, bambina bella, dobbiamo farlo.’
La spinta e il pulsare, in lei, confermarono il desiderio di contentarla.’
Decisero di andare, almeno per una settimana, a Lampedusa.
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C
Il ‘Pearl Diver’ era una elegante barca, lunga 112 piedi, con due motori che sviluppavano 4000 cavalli e raggiungevano 32 nodi. Poteva andare dovunque. Pensate che poteva imbarcare quasi 18 tonnellate di carburante, aveva una suite, cinque cabine, e quattro uomini come equipaggio e servizi.
Giorgio, però, non amava una grande brigata. In genere, oltre lui e Sabrina, con la quale stava da circa un anno, solo un’altra coppia, di amici, al massimo due.
Erano attraccati a Montecarlo, dopo una buona cena si parlava del più e del meno, delle belle isole del Mediterraneo. Sabrina era splendida, come sempre, e si mostrava innamoratissima di Giorgio. Non riusciva a trattenersi dal toccarlo, baciarlo, anche in presenza di estranei. Veramente, Marco e Leda, non potevano considerarsi estranei, vecchi amici di Giorgio, erano un po’ i ‘compagni fissi’, in quella barca.
Leda, per la verità, aveva espresso, cautamente, qualche riserva sulla sincerità dell’amore di Sabrina, ma Marco le aveva subito detto di star zitta!
Forse la noia, o chissà ch&egrave, certo che ogni tanto qualche ‘fumatina’ si faceva, sul ‘Pearl Diver’, il ‘Pescatore di perle’, quei pescatori che si tuffano nell’acqua, scendono in apnea alla ricerca di ostriche.
Leda disse che aveva sentito tanto bene parlare delle Pelagie, voce che in greco significa Isole d’alto mare, ma che non c’era stata mai.
Sabrina chiese dove si trovassero queste isole’ pelose’.
Giorgio fece finta che Sabrina scherzasse, sia pure stupidamente, e le spiegò che erano tra la Sicilia e l’Africa e che la più importante era Lampedusa.
Sabrina seguitò a fare la smorfiosa, e disse che in fondo, un’isola vale l’altra.
Giorgio si allontanò per qualche minuto e quando tornò informò che la barca era rifornita di tutto e di li a poco sarebbe salpata per Lampedusa.
Era abbastanza tardi, si ritirarono nei loro alloggi.
Sabrina uscì completamente nuda, dal bagno dove aveva fatto la doccia. Sedette alla toilette e cominciò a spazzolarsi i capelli. Indubbiamente era molto bella, ma lei faceva del tutto per ‘esibire’ la sua bellezza, metterla in mostra, farne sfoggio. Aveva movenze feline.
Giorgio, in poltrona, anche lui nudo, la seguiva attentamente con lo sguardo. Non riusciva a comprendere certi atteggiamenti della donna, ma ne era preso dal fascino, dalla bellezza, da una specie di malia che lo attraeva, incantava, seduceva.
‘Sabri, vieni qui, per favore.’
Lei si alzò, lentamente, e si avvicinò a lui, ancheggiando, forse naturalmente, ma sembrava proprio una pantera in agguato. Seno alto, sodo, e il triangolo scuro del pube. Un triangolo perfetto, con la punta verso il basso, quasi volesse indicare ‘dove’ si dovesse andare.
Il fallo di Giorgio era ben eretto. Lui aveva spostato il bacino un po’ in avanti.
Lei, sorridente, con le nari vibranti, andò a mettersi a cavalcioni. Prima di abbassarsi, con le dita scostò le grandi labbra. Lui prese il glande e lo portò all’ingresso rosa e rorido della vagina della donna. E lei si impalò, lentamente, col grembo che sussultava e i capezzoli che s’erano prepotentemente irrigiditi. Era quella eccitazione di lei che faceva impazzire Giorgio, e non poteva fingere la donna. Come avrebbe potuto fingere l’erezione dei capezzoli, la linfa che distillava da lei specie al momento del massimo godimento?
Era una partner appassionata, ardente, voluttuosa, inebriante, che raggiungeva rapidamente le vette del piacere, in modo travolgente, e lo conduceva con sé, il suo uomo, mungendolo deliziosamente.
Quando, languidamente spossata, si abbandonò su di lui, abbracciandolo, Giorgio le mordicchiò il lobo dell’orecchio, riscosse le stupende contrazioni del grembo di lei, e le sussurrò che era una vera perla.
‘E tu sei il pescatore di perle, amore, lo dice il nome della tua barca.’
‘Sei la mia perla, Sabri’.’
Lei sapeva perfettamente il significato di quelle parole e cosa lui si proponeva. No, non le chiedeva’ le diceva di’.
Solo la prima volta le aveva spiegato cosa intendeva per una ‘donna perla’. Era una che, come le perle, s’infilava da una parte e dall’altra.
In fondo, a lei non dispiaceva. Anzi.
Lo guardò negli occhi, si sollevò, con la mano raccolse il balsamo del loro piacere che distillava dal suo sesso e lo sparse lungo il perineo, insistendo intorno e ‘nel’ piccolo delizioso buchetto che era nascosto tra le sue rotonde e sode natiche. Si voltò. Fu lei a prendere il viscido glande tra le dita lunghe e curate e a portarlo nella giusta posizione, poi, ormai con consumata esperienza, si abbassò pian piano, facendolo sparire del tutto.
Le mani di Giorgio le stringevano il seno, pizzicavano i capezzoli, titillavano il clitoride. Lei si dimenava, sempre più, e il loro godimento si fuse meravigliosamente, mentre il caldo getto di Giorgio la invadeva piacevolmente.
L’imbarcazione navigava, a una discreta velocità di crociera, verso Lampedusa.
^^^
D
Giannino Sani, aveva percorso quasi tutta l’Italia visitando i clienti della Società per la quale lavorava. Era partito dal suo triangolo industriale e, finalmente, era giunto a quella che doveva essere l’ultima tappa di questo ‘giro’: Trapani. Telefonò in ditta, disse che aveva bisogno di qualche giorno di riposo. Gli fu risposto che non era possibile, già ci aveva messo troppo tempo per quelle visite, se l’era presa comoda. Lui obiettò che era stanco. Gli ribatterono che ‘doveva’ rientrare subito, in aereo. L’auto la poteva affidare a uno spedizioniere che avrebbe pensato a rimandarla in sede.
Giannino alzò le spalle.
Andò a cena, abbastanza contrariato.
Sara era al bar dell’albergo, lo aveva adocchiato fin dall’arrivo.
Era una moretta dagli occhi splendenti e dalle forme mozzafiato. Non se lo doveva lasciar scappare. Secondo lei era il ‘pollo’ giusto. Ma doveva circuirlo come se fosse lui a conquistarla. Se l’uomo avesse compreso che lei era una ‘professionista’ il tutto si sarebbe ridotto al solito meschino rapporto e relativo pagamento.
Era solo, al tavolino, gli passò accanto, fingendo di osservare intorno, per cercare un posto. Si fermò, lo guardò, sorridendo.
‘Lei ha preso il miglior tavolino, quello che normalmente assegnano a me. Scusi, ma non c’era il cartello ‘riservato’?’
Giannino si alzò, galantemente.
‘No, signorina, non c’era’ ma se &egrave il suo tavolo io posso cercarne un altro”
‘Ma no, le pare”
‘Allora’ posso pregarla di farmi compagnia?’
‘E’ solo?’
‘Solissimo, purtroppo.’
‘Come la capisco.’
E sedette.
Allungò la mano, attraverso il tavolo, con una certa ritrosia.
‘Mi chiamo Sara.’
‘Piacere, Giannino.’
Era vestita con una certa ricercatezza, e non era del tutto evidente l’attività che normalmente esercitava.
La ragazza, dagli occhi neri e dalle curve sconvolgenti, con una scollatura sapientemente disposta per lasciar intravedere l’ammaliante floridezza del suo seno, lo guardò con una certa ammirazione.
‘Scusi se mi permetto’ ma &egrave qui per affari?’
Lui l’ammirava, incantato.
La leggera cadenza, inconfondibile, della donna, lo attraeva.
‘Si, signorina. Sono in viaggio da diversi giorni, ho percorso tutta la penisola, sono abbastanza stanco, e desidero riposarmi un po’ La direzione, invece, mi dice di rientrare subito, in aereo, e di lasciare l’auto qui, a Trapani”
‘Se la sua presenza &egrave tanto richiesta, lei &egrave una persona importante nella sua società.’
‘Beh’. Insomma’ loro ci fanno conto’ Vede, signorina”
Allungò di nuovo la mano, per poggiarla su quella di lui. Mano affusolata, curata.
‘Mi chiamo Sara”
‘Grazie, Sara, io sono sempre disponibile e, come dire, loro ne profittano un po’.’
‘In compenso, la tratteranno bene. Voglio dire, la pagheranno bene.’
‘In effetti, non posso lamentarmi.’
Il cameriere s’era avvicinato, con una espressione strana. Era un misto tra il serio e il canzonatorio. Lui conosceva bene Sara, abituée del luogo, e guardando Giannino pensava che ci sarebbe cascato. In fondo ne valeva la pena. Lui non se l’era potuto permettere lo sfizio, ma Sara, a quanto si diceva, era di fuoco.
‘I signori comandano?’
Giannino si rivolse a Sara.
‘Mi aiuti lei, a scegliere. Lei, logicamente &egrave mia graditissima ospite.’
‘Non deve disturbarsi.’
‘Ma quale disturbo!’
Il cameriere alzò le sopracciglia.
‘Vedi, Giannino, qui sono specialisti in molti piatti tipici. C’&egrave la ‘pasta cu l’agghia’, squisita ma un po’ pesante. Forse, se ce l’hanno, oggi, si può optare per la ‘zuppa di aragoste alla trapanese”’
Il cameriere annuì.
”.e poi ti consiglio di assaggiare almeno un cucchiaio di ‘caponata’ e per finire ‘gelo di cotogne’. Vino nostro, ovviamente.’
Giannino annuì entusiasta, anche perché lei era passata al ‘tu’.
Si rivolse al cameriere.
‘Per due, per favore.’
‘Subito signore.’
‘Allora, Sara, lei cosa fa?’
Lo guardò con aria sbarazzina, gli mise di nuovo la mano sulla sua.
‘Lei?’
‘Scusa’ tu, di cosa ti interessi?’
‘Sono nel campo della cosmesi, soprattutto per le dimostrazioni dei vari prodotti.’
‘Quale ditta?’
Non si perse d’animo, la donna, anche perché era abituata a doversi disbrigare in proposito.
‘La Cosmin, cosmesi internazionale.’
Lui non ne aveva mai sentito parlare.
‘Ah, si’ una casa molto importante.’
Poi lei cominciò a decantargli le bellezze di quella terra.
‘Sei mai stato a Lampedusa?’
‘No.’
‘E’ bellissima, c’&egrave un Club incantevole, ‘La Rosa dei Venti’. Dovresti vederlo.’
‘Come si raggiunge Lampedusa?’
‘Il modo migliore &egrave l’aereo, un’ora da Trapani, con un ATR42. E’ un luogo per un piacevole relax’ specie se non si &egrave soli.’
Erano arrivate, profumatissime, le aragoste.
Mentre erano intenti a gustarle, Giannino, quasi con indifferenza, e senza alzare gli occhi dal piatto, le chiese:
‘Io qualche giorno di Lampedusa me lo farei. Tu però, hai detto che &egrave bene’ non essere’ soli”
‘Certo. Lo confermo.’
‘Puoi sottrarre qualche giorno al tuo lavoro?’
Sara non cambiò tono della voce, come se la proposta fosse più che normale.
‘Non più di una settima, però.’
Giannino la guardò sorprese e felice.
‘Aiutami a organizzare la cosa”
‘Posso interessarmene io, per l’aereo, per il Club, per farci venire a prendere all’aeroporto.’
‘Hai idea di quando si potrebbe partire?’
‘C’&egrave un volo domani sera, alle 20.35.’
‘Puoi fissare una settimana al Club?’
‘Ci conosco gente, credo che troveremo posto ed avremo anche una ospitalità particolare.’
‘Bene, allora ci pensi tu?’
‘Si’. ma’ non ho con me la somma necessaria per entrambi, e l’agenzia”
‘Ma &egrave logico che sei ospite mia. Ridarò la somma necessaria per il volo, e al Club pagherò con la mia carta di credito.’
‘Forse sono stata troppo precipitosa. Per Lampedusa serve il costume per il mare, prendisole, e qualcosa di diverso da quello che ho con me. Sono in giro per affari”
‘Senti, ti do il mio bancomat. Mi rimborserai a suo tempo. Dopo cena salgo in camera a prenderlo.’
Salirono insieme.
Andarono a letto, insieme.
Sara era splendida, così, nuda e disinvolta come si dimostrava, girando per la camera, dopo la doccia. Gli sorrideva, era provocantissima.
Giannino era fuori di sé, per l’insperata conquista, per l’eccitazione.
Voleva baciarla lungamente, carezzarla, titillarla.
‘Dopo’caro’ dopo’. Non ne posso più’ Ti voglio’. Adesso”
Si gettò sul letto e se lo tirò addosso. Gambe divaricate. Schiena inarcata. Prese il glande di lui e lo porto alla vagina, facendosi penetrare con voluttà.
E non gli dette tregua, per quasi tutta la notte. Facendo in modo che lui tornasse a eccitarsi, stuzzicandolo in tutti i modi. Mettendoselo tra le tette, tra le natiche, succhiandolo, cavalcandolo fino a svuotarlo del tutto.
Era da poco giorno.
Lo carezzò dolcemente.
‘Devo andare, caro. Devo fissare la gita, acquistare qualcosa per me.’
Giannino era mezzo assonnato e ancora non aveva smaltito gli esiti di quella travolgente notte di sesso. Infaticabile, Sara, e piena di iniziativa!
Allungò la mano, prese il bancomat, le sussurrò il codice segreto!
Lei afferrò la card, segnò su un foglietto il numero, lo baciò appassionatamente. Gli promise che sarebbe stata di ritorno per l’ora di pranzo, e per il’. dopo.
Un ‘dopo’ veramente egregio.
Giannino era arrapatamente gongolante, ma stava anche pensando che una settimana con quella donna, con quel ritmo’ Non, non ce l’avrebbe fatta’ Doveva darsi una regolata, altrimenti le cilecche non sarebbero mancate.
Lo cavalcava con consumata perizia, aveva un’abilità eccezionale. Sara era ‘padrona’ della propria vagina, la comandava lei. Giannino sentivo un lento e crescente ciucciamento vaginale che lo faceva impazzire, lo stava letteralmente svuotando.
Dovettero alzarsi, però.
L’aereo partiva.
Erano le 22.30, quando giunsero al Club la Rosa dei Venti, accolti da una squisita coppa di champagne gelato.
Lampedusa.
^^^
A
Arkù aveva dato alla coppia un telo impermeabile. Potevano aver freddo, sulla barca. Poteva piovere. In ogni caso, se avessero avuto la fortuna di non essere separati, sarebbe stato possibile ripararsi dagli occhi degli altri.
Era il calare del sole quando raggiunsero la piccola rada dove si trovavano alcune barche. Certune veramente sgangherate. La ‘El Mansour’, il vittorioso, sembrava la meno scassata. Fecero salire solo alcune persone, fino al numero stabilito. Uomini, donne, anche incinte, qualche bambino. In genere dell’Africa nera, c’erano dei Somali, ma di Tigrini erano solo loro due: Tekle e Om.
Non ci fu nessuna divisione dei sessi. Fu detto loro, in modo che capissero, di sistemarsi alla meglio e di stare fermi, di muoversi solo per l’indispensabile.
Chi parlava doveva essere il capo-proprietario-capitano, ed era coadiuvato da altri due, chiaramente tutti libici.
Non erano strettissimi, a bordo. Tekle, che aveva cercato di contare chi si imbarcava, stimò che dovessero essere circa 150.
Lui e Om andarono verso poppa, a ridosso della cabina del timoniere, al riparo del vento. Si misero sotto il telo da tenda, vicinissimi, abbracciati.
Dopo qualche minuto si sentì il rumore dei motori, il vibrare dello scafo. Si allontanarono da terra, puntarono verso nord!
Quelle vibrazioni erano eccitanti. I corpi le raccoglievano e le trasmettevano, l’un l’altro, se erano a contatto tra loro. Tekle e Om lo erano.
Lui sentiva il piacevole tremare della donna, come tante piccole carezze al suo corpo che andava sempre più eccitandosi.
Le mani, nervosamente, alzarono la veste di lei, liberarono il suo fallo dai calzoni, e riuscì a stringerla a sé, a penetrarla, e a goderla con piccoli movimenti, le mani afferrate al bel culetto della moglie, e lei che si dimenava, cautamente, ma golosamente.
Per loro stava per cominciare la vita: Lampedusa!
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B
L’aereo atterrò, quasi dolcemente.
Quella sarebbe stata la loro Isola dei sogni, dell’amore, della passione, della svolta decisiva della vita.
Si erano trattati bene, senza badare a spese.
Club La Rosa dei Venti.
Mario si era soffermato su quel nome.
I venti. Brezza leggera, che carezzava i corpi, dolcemente, li ristorava. Venti tiepidi che sembravano avvolgerti in un abbraccio voluttuoso, fino al gelido della tramontana, della bora, alle violenti libecciate, agli uragani devastatori e distruggitori.
Venti di vita e venti di morte.
Ma lui si soffermava su ‘La rosa’, il fiore odoroso e vellutato. Sì, ma anche con qualche spina.
Non doveva pensarci.
Stavano raggiungendo l’aerostazione. Erano attesi dall’autista del Club che era venuto a rilevare loro e un’altra coppia. Salirono in auto, si salutarono appena, con gli altri. Rosetta si strinse a lui, gli sussurrò che quell’aria la stordiva deliziosamente, la inebriava. Soprattutto aveva un delizio effetto sensuale, lascivo.
‘Non vedo l’ora di essere in camera. Questi vestiti mi soffocano”
Lui la guardò, eccitato.
‘Te li strapperò io’ subito appena giungiamo al Club’.’
‘Spero che aspetterai di essere soli.’
‘Cercherò!’
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C
Quando il ‘Pearl Diver’ attraccò, e non era stato facile trovare il posto, quasi tutti erano sul ponte, a seguire la manovra compiuta con maestria dal bravissimo equipaggio.
Solo Giorgio era rimasto in cabina, ed aveva trattenuto Sabrina. La sua bellissima partner, di cui non era mai sazio. Aveva fatto l’amore, ancora una volta, penetrandola con impeto, quasi con furia, ma, a dire il vero, s’era sì scaricato della tensione, dell’eccitazione, ma non poteva dirsi completamente soddisfatto. Ora giaceva supino, a fianco di Sabrina, e pensava che quel magnifico esemplare di femmina, però, a parte la fisicità meravigliosa, non era ‘tutto’. A volte, anzi, lo ‘lasciava fare’, non gli sembrava che partecipasse completamente.
Bella, elegante, affascinante, ma non ci potevi fare un discorso serio. Sembrava cadere sempre dalle nuvole. Altre volte, invece, sembrava godere da matta, sussurrava parole di passione, lo chiamava il suo pescatore’
Ma, andava rimuginando Giorgio, poteva essere tutta manfrina. Del resto di vestiti, gioielli, regalini vari, anche in contanti.. e generosi’
Ecco, forse era meno vamp, ma aveva un fascino particolare, lui la chiamava Circe, la maga, l’incantatrice: Leda.
Marco era veramente fortunato. Inoltre era una donna di ‘rappresentanza’, sapeva stare in compagnia, conversare, ed era dotata di intelligenza pronta e vivace.
In coperta, intanto, Marco, a fianco di Leda, seguiva le ultime manovre, ed era indeciso se scendere o meno a terra, magari per due passi, un gelato.
Intanto, pensava, Giorgio e Sabrina seguitano a scopare come conigli. Quella Sabrina, &egrave proprio un gran pezzo di femmina, e anche una volpona astuta. Quel povero fesso di Giorgio lo sta prosciugando, fisicamente ed economicamente. Va bene che lui di quattrini ne ha a palate, ma per il resto’ dai e dai può anche rimanerci secco, sopra, con un bel coccolone.
Io, comunque, seguitava arzigogolare Marco, una ripassata gliela darei, e di tutto cuore. Mi eccito solo a pensarlo!
Anche Leda andava con la mente a ‘quei due’, ma soprattutto a lei, alla donna, che giudicava una gran puttana, una vera industriale del sesso. E poi, la meschinella, si permetteva pure di darsi delle arie. Povero Giorgio, in che mani era capitato.
Anche nella testolina di Sabrina, confusamente e disordinate, giravano alcune considerazioni. Lei s’era proprio annoiata, quello l’aveva presa solo per una sex-machine, non sapeva cosa significasse esattamente, ma lo aveva letto da qualche parte. Doveva essere un qualcosa che si riferiva a un sesso quasi meccanico.
Gentile, premuroso, senza dubbio generoso, Ma che cavolo, ogni tanto un po’ di sentimento in certe cose deve pure esserci. Lei spesso godeva, non poteva negarlo, ma questo perché era una sensuale libidinosa. Comunque non le bastava più. Ormai l’appartamentino glielo aveva comprato e arredato, l’auto sportiva pure, aveva gioielli, vestiti ed anche discreti risparmi, ma che andasse a fare’ sto Giorgio del cavolo!
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D
Sara era veramente un portento.
Premurosa, affettuosa, a volte sembrava perfino un po’ smorfiosa. Una gatta in perenne amore.
Era imprevedibile, sempre piena di fantasia.
Anche nelle piccole cose.
Aveva le sue piccole preferenze.
Ad esempio. Appena lui andava sotto la doccia lei si precipitava a raggiungerlo. Nuda, nella sfolgorante seduzione del suo corpo incantevole. Voleva insaponarlo. E si soffermava particolarmente sul sesso di lui, con una specie di adorazione. Dopo averlo ben sciacquato, lo cominciava a baciare, poi, con consumata maestria, lo lambiva con la sua lingua saettante. Tutt’intorno al solco balanico. Ecco, ora lo prendeva nella sua calda bocca, mentre con le dita ne lisciava l’asta dalla base alla punta. Succhiava deliziosamente, con lunghi movimenti, e di tanto in tanto gli carezzava lo scroto, stringendo delicatamente e voluttuosamente i testicoli tra le sue piccole dita incantevoli.
Lo svuotava, completamente.
Si alzava, si poneva col suo grembo vicino al fallo di lui. Si muoveva, lo vellicava. Apriva le gambe, lo rinserrava tra le sue, mimava un coito. Poi, quando sentiva che la virilità dell’uomo era rinvigorita, con un balzo si avvinghiava con le gambe ai fianchi di lui, sollevava il bacino, guidava il fallo nella sua fremente vagina, e cominciava un ballo lascivo e inebriante, con paradisiache contrazioni che facevano chiudere gli occhi a Giannino e godere follemente.
E se ancora un rimasuglio di’ forze erano disponibili, allo stordito e spompato maschietto, non lo lasciava in pace, lo cavalcava con crescente ardore. Insomma, lo riduceva ai minimi termini. Ubriaco di sesso, frastornato. Ed allora Sara gli chiedeva ‘chissà come le sarebbe stato bene quel piccolo gioiello che avevano visto in una delle vetrine della hall del Club’.
Ed era certa che quel monile sarebbe stato suo, di lì a poco.
La carta di credito sembrava inesauribile.
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A
La Guardia Costiera andò loro incontro ad alcune miglia dalla costa. Li scortò al porto.
Era il porto della speranza, per quei poveri disgraziati.
Li fecero sbarcare, tra due ali di agenti di polizia, assistenti del centro di accoglienza, medici, volontari con acqua e cibo.
Accurata visita medica.
Om, riscosse l’ammirazione del medico e dell’infermiera che ne ammirarono la bellezza e la grazia. Le sorrisero. Lei ricambiò con lo smagliante nitore sei suoi piccoli denti.
Tekle era anche un bell’esemplare della sua gente.
Eritrei, di una terra che &egrave sempre rimasta nel cuore di molti italiani.
Dato l’affollamento del centro di accoglienza, fu necessario smistare alcuni di quei poveri esseri umani in altre strutture. C’era una piccola associazione, APE, Accoglienza Profughi Eritrei, curata in particolar modo da chi aveva vissuto in quella terra. C’era un aereo per Roma. Tekle e Om, con altri loro compatrioti, furono imbarcati su quel volo, sotto scorta delle forze dell’ordine.
Guardavano intorno, intontiti.
Era tutto un sogno.
Il centro APE non era lontano dall’aeroporto, vi furono subito trasportati.
Doccia calda, abiti puliti, cibo a loro confacente e una piccola cameretta, nel capannone, dove avrebbero trascorso la notte.
Erano raggianti di gioia.
Le cose stavano funzionando.
Macch&egrave dormire.
Fu un continuo baciarsi, carezzarsi.
Freneticamente.
Om sembrava scatenata, lo montava ardentemente, non gli dava tregua. Lo stringeva in sé, lo mungeva golosamente. Poi si abbandonava, disfatta.
Ed era la volta di lui, prodigiosamente sempre col fallo eretto, a pomparla coscienziosamente, meticolosamente, fino a farla quasi svenire dal piacere.
Quando la natura non consentì più l’appassionato congiungimento dei loro sessi, Om si adagiò su lui, e gli confessò che sarebbe stato bello farlo nascere in Italia.
L’indomani mattina, li informarono che non potevano essere considerati profughi politici e che il giorno stesso li avrebbero imbarcati sul volo per Tripoli.
Fine del viaggio!
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B
Il luogo, la natura, il desiderio di volersi ritrovare, come una volta, era il miglior afrodisiaco che potesse esistere.
Non ricordavano da quanto tempo non provavano quella incontrollabile attrazione che non dava loro tregua. Erano impazienti, bramosi, smaniosi.
La signorile e cordiale accoglienza, il vinello fresco, frizzante, bianco, che fu loro offerto all’arrivo, furono accolti con sorrisi stereotipati e soffocando a stento segni di insofferenza. Dissero loro che la cena sarebbe stata servita tra un’ora.
Mario rispose che se non li avessero visti scendere’
Fu interrotto dal gentilissimo receptionist. Poteva telefonare, farsi attendere, o farsi servire in camera.
Furono accompagnati nella bella, ampia e panoramica camera. Appena chiusa la porta, dopo che il facchino ebbe sistemato il bagaglio e riscosso la mancia. Si spogliarono impetuosamente. Pochissimi istanti, e Mario fu completamente nudo, in piedi, con il suo fallo eretto e fremente.
Cadde il perizoma di Rosetta, e lei si aggrappò al marito, che le pose le mani sotto il bellissimo, tondo e sodo culetto, e la sollevò un po’. La donna, con una mano si sorresse al collo del marito e con l’altra afferrò l’asta turgida e vi ci s’infilò con un lungo sospiro liberatorio.
Così in piedi, in equilibrio precario, con Rosetta che sembrava assatanata come non mai, e lui che rispondeva colpo su colpo, decisamente, la cosa non andò troppo per le lunghe.
‘Mario’. Sei bellissimo’ sto ‘ sto’ sto venendo’ amore’ amore’ amoreeeee!’
Le sue belle gambe tornite erano avvinghiate, strette sul dorso di lui. Il grembo sussultava, e le spinte irresistibili dell’uomo le dissero che lui stava per invaderla col getto violento del suo seme caldo.
‘Che bello, amore’ bellissimo’ ancora, tesoro’ ancora’ non uscire.’
Mario sentiva che le gambe gli stavano cominciando a tremare.
Così com’era, col suo sesso nel corpo della sua bella moglie, si accostò al letto, e vi riversò sopra, dolcemente schiacciando la donna. La penetrazione fu ancora più profonda.
‘Oh, Mario’ sei meraviglioso, immenso’ facciamolo ancora.’
E l’ora per la cena stava scoccando, quando telefonarono che desideravano essere serviti in camera.
Erano insaziabili, ardenti come non avrebbero mai immaginato.
Lei volle cavalcarlo, come una valchiria scatenata.
E poi, quasi disfatta, si gettò a pancia sotto, ma subito sentì tra i glutei l’intramontabile primula rossa del suo uomo. Era inesauribile Mario. E per lei era una magnifica sorpresa.
Rimanendo con la testa sul cuscino, si alzò sulle ginocchia, divaricò le gambe, e quello scettro voluttuoso entrò ancora una volta in lei, la stantuffò con passione, e riversò il lei il frutto di quell’insuperabile godimento.
Dormirono pochissimo.
Entravano le prime luci dell’alba, dalla fessura del balcone, quando lei si pose su lui, lo carezzò, lo baciò.
‘Sono sicura che abbiamo costruito la catena che ci vincolerà per sempre. Che stupidi a non pensarci prima. E’ bellismo, Mario. Come lo chiameremo?’
‘E lo vuoi lasciare solo, ad annoiarsi, senza compagnia?’
‘No, amore, voglio che abbia tanti fratellini e sorelline’ cominciamo a provvedervi”
Il loro viaggio, in effetti, stava cominciando allora.’
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C
Sabrina aveva atteso che Giorgio fosse sbarcato. Le aveva detto che voleva andare a fare un giretto col canotto. Lei aveva nicchiato, adducendo una delle mille scuse che ha una donna. Marco era ancora a dormire. Giorgio disse a Leda che avrebbe avuto piacere se fossero andati con lui. Leda andò nella cabina, ma l’uomo le rispose con un grugnito: lui stava bene lì.
Quando Leda lo riferì a Giorgio, lui alzò le spalle, contrariato. Andare così, tutto solo, non era quello che desiderava.
‘Perché non vieni tu, Leda?’
Lei pensò che, forse, era l’occasione, quella buona.
‘Ma si, perché no. Prendo un foulard, gli occhiali, la crema’ torno subito.’
Si erano appena staccati dal bordo quando Sabrina, che intanto aveva raccolto tutte le sue cose in due sacche da viaggio e messo i gioielli in uno special-case, così com’era, seminuda, andò ad abbassare la maniglia della cabina dove dormiva Marco. Era aperta, entrò. Senza dire nulla s’infilò a letto, si mise al suo fianco, lo carezzò leggermente sul volto.
‘Ma Sabrina, che cavolo vuoi, te l’ho detto che voglio dormire!’
Lei seguitò, insistendo.
‘Anche con me?’
Marco aprì gli occhi, mezzo assonnato, la guardò.
‘E tu che ci fai, qui?’
‘Indovina.’
Intanto s’era tolta la vestaglia e la camiciola, e s’era sfilato lo slip, rimanendo splendidamente nuda.
Marcò seguitava a guardarla.
‘Sabrina’ ma sei matta? Se viene Giorgio?’
‘Giorgio e Leda sono in gita’ solitaria’ Se non lo facciamo adesso”
Tirò via il lenzuolo, lui era nudo e ben eccitato.
Non stette a parlare, la donna, si accavallò su lui, si sollevò sulle ginocchia, prese il fallo e vi ci s’impalò golosamente, cominciando un galoppo, dapprima lento e poi sempre più incalzante, mentre lui le stringeva il seno, le pizzicava i capezzoli, e sobbalzava freneticamente.
‘Meraviglioso’. Meraviglioso’ Marco’. Sei un dio”’.!’
E dopo aver goduto pazzamente, s’abbatt&egrave su lui che stava riempendola del dolce balsamo tiepido che sgorgava da lui generosamente.
Le carezzava la schiena.
‘La bella Sabrina’ sei veramente bella!’
‘Andiamo via, Marco, via, insieme, tra un’ora c’&egrave l’aereo, ho preparato tutto”
‘Che stai dicendo, piccola! Andare via, ma Giorgio, Leda”
‘Staranno scopando, adesso, che t’importa”
‘No, non posso fare questo, a Giorgio’ non &egrave possibile.’
Lei su alzò, di scatto, lo guardò freddamente, si levò sulle ginocchia, con la vagina che colava, scese dal letto, indossò alla meno peggio la vestaglia, mise tra le gambe camicia e slip.
‘Povero cornuto meschinello, e parassita!’
Uscì dalla cabina, sbattendo la porta.
Fece rapidamente una doccia chiamò un marinaio e disse di portare a terra la sua roba e di cercare un mezzo per andare all’aeroporto.
Quando Giorgio e Leda tornarono a bordo, lei stava per atterrare in Sicilia, e da lì a poco avrebbe preso l’altro aereo per casa. Aveva prenotato tutto, da tempo.
Fine del viaggio.
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D
Giannino andò alla Reception, a chiedere di Sara.
L’impiegato lo guardò con uno strano sorriso sulle labbra.
‘La signorina &egrave andata via.’
‘Via?’
‘Come, lei non lo sa? Aveva già portato giù le sue cose, poi &egrave venuta un’automobile, con un marinaio. Era certamente uno dell’equipaggio del ‘Pearl Drive’ perché sulla sua maglietta c’era scritto questo nome.
‘Il ‘Pearl Drive’?’
‘E’ una splendida barca signore, e spesso prende a bordo qualche’ come dire’ gentile signorina come Sara.’
‘Che vuol dire ‘come Sara’?’
‘Beh, signore, lei &egrave uomo di mondo. Finito il ‘servizio’ quelle ragazze passano ad altro’ utente!’
Giannino era impietrito, allibito! Quindi, Sara, la dolce e passionale Sara, era una ‘professionista. Ecco perché si era fatta dare una certa somma che, aveva promesso, avrebbe restituito una volta a Trapani!
Giannino disse di preparare il conto e lasciò la carta di credito.
Mentre era in camera a preparare la valigia, il cassiere del Club gli telefonò, e lo avvertì che la carta di credito era ‘inesistente’.
‘Come ‘inesistente’ se fino a ieri ho pagato.’
‘Non so cosa dirle signore. Forse sarà stata revocata’ ritirata’ non so”
Fece chiamare la sua Società, il centralinista gli passò il Direttore, gli chiese cosa mai stava succedendo!
‘Le abbiamo revocato la carta, come a tutti i dipendenti quando ci lasciano.’
‘Ma io non vi ho lasciato!’
‘Lei non &egrave rientrato, come le era stato detto, né ha fatto sapere che fine aveva fatto. Quindi non fa più parte del nostro personale.’
‘Come faccio, debbo pagare l’albergo, il viaggio fino a Trapani, devo mettere la benzina per tornare in sede’.’
‘Non so cosa dirle. Qui &egrave pronta la sua liquidazione’.’
‘Per favore, mi faccia accreditare immediatamente una somma, alla posta di Lampedusa, la trattenga dalle mie competenze’ parleremo al mio ritorno’.’
‘Quanto vuole?’
‘Diecimila euro, per favore”
‘Però’ non &egrave che poi le rimarrà molto’ Va bene, farò subito così, un ultimo favore, anche se non lo merita proprio’ A proposito, a Trapani non troverà alcuna auto, quella che aveva in dotazione temporanea ce la siamo fatta rispedire’ buon viaggio”
Inizio del viaggio di ritorno!
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