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Vietnam e Cenerentola (Nel tunnel dell’amore)

By 4 Luglio 2022No Comments

“Hai preso questo posto per il tuo campeggio del cazzo? Si può sapere quando hai intenzione di levare le tende?”
“Ma che ore sono? Lasciami in pace, che cosa vuoi che ti dica? Mi ha buttato fuori. Dovevo trovare un posto almeno per dormire”
Mi sono girato su un fianco e ho tirato il giubbotto di pelle sopra la testa. C_Ca era sdraiata sull’altro lato del divano appoggiata sulle mie gambe. Ho abbracciato le sue ginocchia cercando di riprendere sonno. Il divano di pelle verde di Jenny era abbastanza comodo anche per dormire, dopo una settimana però le articolazioni cominciavano a risentirne. L’abbiamo sentita uscire sul balcone, ma non ci siamo mossi sperando che si dimenticasse di noi e ci lasciasse dormire. C_Ca si è girata ed è venuta con me sotto il giubbotto per ripararsi dall’aria gelida che stava entrando dalla finestra aperta. Ci siamo messi a prendere in giro Jenny ridacchiando sottovoce.
“Sei super”
“Anche tu…però lasciami dormire…tanto non attacca, voglio dormire”
“Ma no, sei un super-cazzone. Non mi avevano mai fatto venire in questo modo”
“Hai sempre un buon profumo…la mia ragazza da sogno…facciamo di nuovo l’amore…hai le labbra dolci come lo zucchero filato”
“Aspetta, prima vai parlarle. Si sta facendo divorare dalla gelosia come una quindicenne”
“mmm…dopo, adesso facciamo l’amore”
“Dopo. Adesso vai a parlarle. Non ti sembra strano che tra tutte le stanze scelga proprio questa per fumare sul balcone? Da quando sei qui se ne sta sempre da sola. Vai. Dai vai…vai…”

Si è alzata appoggiando la testa su una mano. Poi si è infilata il mio giubbotto lasciandomi al gelo.
“Grazie tante, sto congelando solo con la maglietta, ci saranno tre gradi sotto zero fuori”
“Tanto è di Superman, valle a parlare ti ho detto”
Ho cercato i sigari alla menta nei jeans, ma ho visto il pacchetto sul pavimento vicino alle bottiglie di Brewdog vuote. L’ho aperto con un dito, finiti. L’ultimo era quello che si stava fumando Jenny. Mi sono alzato dal divano stropicciandomi gli occhi e ho inforcato gli occhiali scuri. Jenny fumava appoggiata alla ringhiera guardando le luci della città avvolte nella foschia. Sembrava stranamente pensierosa.
“Vuoi un sigaro alla menta? Prendi pure uno dei miei”.
Le ho offerto il pacchetto vuoto, ma lei non ha abboccato ai miei segnali di armistizio. Dopo aver tirato un’ultima profonda boccata ha soffiato il fumo verso l’alto, ha guardato il sigaro appena a metà e lo ha lanciato di sotto. Mi sono girato verso C_Ca allargando le braccia in segno di resa, lei è rimasta impassibile mentre Jenny le sfrecciava davanti uscendo dalla stanza. Si è accesa una sigaretta e ha continuato a guardarmi, un sorrisetto compiaciuto si è allargato sulle sue labbra.
“Arrivo, ho capito”.
Le ho messo le mani sotto il giubbotto e le ho fatte scivolare su tutto il corpo.
“Non capisco come a molte persone possa non piacere l’odore di tabacco. Specialmente mescolato al profumo di una donna. Mi manda al manicomio”.
Lo stereo a tutto volume faceva tremare le finestre dell’appartamento. Ho lanciato gli anfibi cercando di schivare la ragazza impegnata a cantare nel disegno abbandonato sul pavimento, il suo viso con gli occhi chiusi sì era dissolto nelle note di Big in Japan, come se la canzone uscisse dal mangianastri con le bobine tra le sue mani. Ho abbracciato C_Ca e abbiamo di nuovo fatto l’amore. Mi sono messo comodo sul divano, l’ho sollevata tenendola per i fianchi e ho iniziato a scoparla. Aveva inarcato la schiena coprendosi gli occhi con le mani.
“Sai cosa mi piace di te? La sensazione di sicurezza che si diffonde alla base del cranio appena sento il calore del tuo corpo. Deve essere qualcosa che ha a che fare con l’istinto di conservazione. Una qualche sostanza che le ghiandole mettono in circolo nel sangue non appena ti tocco. Un messaggio che mi informa sul fatto di aver appena trovato un luogo sicuro dove custodire i miei geni”
“Sei malato…”
“Esatto e tu hai la cura”
“E allora vieni qui dentro così ti curo finalmente”
Di nuovo i passi nervosi di Pasticcina si sono avvicinati dal corridoio.
“Scusate, non fate caso a me”
Si è piegata in avanti infilando una mano tra lo schienale del divano e i cuscini alla ricerca di qualcosa. Siamo rimasti immobili come sassi per qualche secondo aspettando che avesse finito. Alla fine, ha tirato fuori la mano dai cuscini stringendo un clipper a gas. Sopra c’era il disegno di una bionda con gli occhiali a specchio verdi e la giarrettiera.
“Uh! Eccolo qui. Non riuscivo più a trovare l’accendino”
“E ti serviva proprio questo?”
Ha premuto il pulsante ripetutamente, ma era scarico.
“Ma sì, non riuscivo a trovarlo. E’ scarico, me l’ero dimenticato”
Si è voltata di scatto e ha di nuovo lasciato la stanza.
“Devi parlarle, sta uscendo di testa, non lo vedi?”
“Non mi vuole parlare. Ci ho provato, l’hai visto, no? E poi lo sai perché. Cosa dovevo fare? Avrei dovuto raccontarle balle per convincerla a lasciarmi stare qui?”
“Sembrate due adolescenti capricciosi”
“Avrà preso la mononucleosi. Ma come fai ad avere la pelle sempre così profumata?”
Non ho prestato la minima attenzione a quello che mi stava dicendo e mi sono messo a baciarla sulla pancia, scendendo lentamente verso il basso.
“Gnaamm…”
“Cre…ti…no…no…non fermarti”
Alphaville intanto aveva lasciato il posto ai Dire Straits.
Sometimes it all comes together baby Sometimes you’re a fool in love
Quando sono uscito in strada per andare al lavoro non ho nemmeno fatto caso al freddo allucinante che si sentiva lì fuori. Ho messo le mani in tasca stringendo le braccia sul corpo e sono rimasto qualche secondo a guardare la gente camminare sui marciapiedi, sbuffavano nuvolette di vapore come locomotive. Dopo aver fatto l’amore con C_Ca mi ero di nuovo addormentato sul divano con lei per qualche ora. Avevo sognato di trovarmi nel deserto ad armeggiare con una cassaforte. Cercavo inutilmente la combinazione per aprirla mentre lei se ne stava seduta sopra con le gambe accavallate. A un certo punto mi aveva detto: “Lo so cosa vuoi dire, ma ti assicuro che non è così”. Ho cercato di ricordare il caldo torrido del deserto per farmi coraggio. Con lo sguardo speravo di incrociare un tabaccaio, non riuscivo più a resistere alla voglia di fumare un sigaro alla menta. La T azzurra dell’insegna per qualche motivo mi ha fatto di nuovo pensare a Jenny. C’era qualcosa in un film che avevo visto, sulle T. Mi sembrava però che dovessero essere tre, a lei ne sarebbe bastata una, al massimo due. Sono uscito dal negozio con i sigari in mano e ho iniziato a camminare verso il Patrol parcheggiato vicino al portone di Pasticcina. Avevo appena montato una barra con l’hammersound per la musica. Ho fatto partire la playlist e mi sono acceso un sigaro guardando fuori dal finestrino. Aspettavo che il motore diesel si scaldasse. Billy Idol stava dicendo di non chiamarlo al telefono quando non era in casa. Proprio quello che avrei voluto dire io a Jenny. Ho messo la prima e mi sono diretto verso la tangenziale per uscire dalla città.
“Ciao, che stai facendo di così importante che non sei nemmeno uscito nell’intervallo?”
“Devo copiare una versione di latino prima dell’ultima ora, non ho fatto un cazzo ieri pomeriggio, sono andato a giocare a basket”
“Ma che bravo, vieni su al terzo piano alla mezz’ora?”
“Perché? Che c’è al terzo piano?”
“Ma niente…è che al terzo piano ci sono solo aule vuote. Non lo sai? Dove ci sono gli animali imbalsamati per il laboratorio di scienze”
“E allora?”
“E allora ci andiamo per…scopare”
“Mi prendi per il culo. A scuola?”
“Che dolce che sei. Non sai proprio niente. Ti ho fatto la cassetta dei Metallica, su un lato c’è Ride the lightning. Sull’altro ti ho messo un’altra cosa”
“Fa vedere”
“Nuclear Assault. Guarda…ascolta questa…Butt Fuck. Mi avanzava spazio…è da 90”.

Mi sono di nuovo svegliato sul divano di Jenny, con quel sogno del liceo piantato nel cervello. Sono rimasto a fissare il tavolino di vetro su cui avevo lasciato i guanti e il pacchetto di sigari prima di addormentarmi. Gli schermi in mezzo alla stanza erano accesi, tanto per cambiare un film sul Vietnam. Ho allungato una mano per prendere i sigari dopo aver inforcato gli occhiali scuri. Vuoto. Ovviamente. Sotto c’era un biglietto di Jenny e C_Ca. Una ragazza seminuda appoggiata allo scudo di Capitan America si alzava la maglietta mostrando le tette. Con una matita verde Jenny aveva scritto: “Goditi la nebbia, noi andiamo in vacanza”. Di fianco aveva scarabocchiato una palma e una spiaggia. C_Ca aveva firmato lasciando le sue iniziali vicino al segno di un bacio stampato sul biglietto con il rossetto, e un cuoricino rosso.
“Che strnz…”
Per qualche minuto ho sperato di poter riprendere il controllo restando a guardare l’alluce del mio piede che sbucava da uno dei calzini bucati. Ho dato un’altra occhiata al biglietto, poi mi sono accorto degli anfibi al fondo del divano. Dentro ci avevano messo un mazzo di margherite e li avevano appoggiati ad un cartone della pizza vuoto.
“Ah è così? Andate pure a giocare a Thelma e Louise, stronze”.
Alla fine, mi sono deciso ad alzarmi. Ho recuperato gli anfibi e ne ho infilato uno. Sotto il mazzo di fiori c’era qualcos’altro. Ho messo dentro una mano, ma non capivo cosa fosse. Una poltiglia molle. La mano è riemersa stringendo un panino smangiucchiato. Mi ero appena reso conto che il modo migliore per proseguire la giornata sarebbe stato quello di vomitare all’istante la birra che ancora custodivo nello stomaco. Invece ho dato un morso al panino senza pensare.
“Buono, non male dopo tutto: pancetta”.
Nel pomeriggio avrei visto un cliente. Avevo finalmente smaltito i postumi della sera prima, l’aria gelida è un toccasana per le sbronze. Sono salito sul Patrol e ho cercato una vecchia playlist nello stereo.
Crash Course in Brain Surgery mi ha definitivamente messo di buon umore, i Garage Days, che figata. Ho alzato la frizione pestando l’acceleratore a tavoletta. Il Patrol ha sollevato il muso, lasciandosi alle spalle una nuvola di fumo denso e nero. La casa che avrei dovuto visitare non era affatto male. I proprietari sembravano simpatici, mi hanno spiegato il lavoro da fare in circa tre quarti d’ora. Sulla strada del ritorno ho sentito una fitta nello stomaco. Avevo ancora le chiavi dell’appartamento di Jenny, dovevo soltanto trovare un posto per fermarmi a prendere qualcosa da mangiare.
“Pizzeria Al Brucio”
“Vorrei ordinare due pizze da portare via”
“Si mi dica”
“Due alla diavola”
“Ok. Da bere prende qualcosa?”
“Due Brewdog Elvis Juice”
“Non le abbiamo. Una coca?”
“No grazie. Allora niente”
“Mi lascia il numero?”
“Si certo. 331…”
“Aspetti, ma è stato qui anche ieri sera? Giusto?”
“Si esatto” (almeno credo zuccherino)
“Allora…guardi…provo a guardare se abbiamo ancora la birra che ha chiesto”
“D’accordo grazie”
“Per che ora?”
“Per le sette?”
“Sì, va bene…senta…quando viene per le pizze…faccia il giro nel cortile…le apro la porta sul retro…così diamo un’occhiata per quelle birre, forse ne abbiamo ancora qualcuna”
Come on Keep it on the side With a ride On a record on the top If you’re gonna be a bad boy
“Perfetto, grazie mille”
“Buona serata, a dopo”.
Non sapevo neanche io il motivo, ma mi sentivo veramente di buon umore.
Am I evil? Yes I am. (what is it man?)
Formosa non era la parola più esatta. Il grembiule della pizzeria copriva i jeans scoloriti quasi fino al ginocchio. I capelli biondo cenere legati e raccolti sopra la testa. Una camicetta viola molto leggera. In carne. Forse era questa l’espressione giusta. Il viso era molto grazioso. Formosa o in carne, di certo aveva delle belle curve. Il cazzo mi è diventato incredibilmente duro appena l’ho vista sul cancello del cortile.
“Ha voglia di aiutarmi a spostare queste casse mentre aspetta le pizze? Lì dietro dovrebbero esserci delle bottiglie sparse”
“Certo, arrivo”
“Anche ieri sera abbiamo dovuto cercare un po’ prima di trovare la birra che ha chiesto”
“Davvero?”
“Ma si non si ricorda?”
Si è chinata in avanti per cercare dietro a un mucchio di cassette di plastica gialle accatastate una sull’altra. Mi sono fermato a guardarle le tette ondeggiare sopra le casse. Ero in piedi davanti a lei, ne tenevo in mano due in modo da alleggerire il carico. Si è voltata verso di me ancora piegata in avanti. Non era possibile che non si fosse accorta della mia erezione sotto i jeans, la sua faccia era solo a qualche centimetro dal mio cazzo. Sul suo viso grazioso si è allargato un sorriso innocente e perverso allo stesso tempo.
“Eccole qui”. Mi ha allungato due bottiglie di Brewdog, continuando a tenere gli occhi all’altezza del cazzo. Ho posato lentamente le casse, ma invece di prendere le birre le ho infilato le mani sotto la camicetta. Aveva delle tette fantastiche, enormi e sode. Ha iniziato ad arretrare, il sorriso sul suo viso si è spento, la bocca è rimasta socchiusa, mi guardava dritto negli occhi. Camminava all’indietro emettendo profondi sospiri ogni volta che le stringevo i capezzoli tra le dita. Si è fermata con le spalle al muro di fianco alla porta del magazzino, le birre le sono scivolate a terra. Una è rimbalzata lontano, l’altra è andata in pezzi sul pavimento di cemento. Una chiazza di birra e schiuma si stava allargando a terra facendo salire verso l’alto l’odore pungente di alcool.
Le mani finalmente libere si sono avventate sui miei jeans, mi ha tirato fuori il cazzo e ha cominciato a spompinarmi senza dire niente. Le ho messo una mano sulla testa per accompagnarne il movimento, sentivo la sua lingua calda lavorarsi il cazzo con una certa esperienza, quasi non sono riuscito a trattenermi dal venirle subito in bocca. L’ho sollevata mettendole una mano sotto l’ascella una frazione di secondo prima di raggiungere l’orgasmo. Si è voltata di spalle sbottonandosi nervosamente i jeans. La stavo scopando contro il muro stringendole il seno, la fica le stava letteralmente gocciolando, mi schizzava addosso ogni volta che lo spingevo fino in fondo. Ha emesso un gemito profondo appoggiando le braccia alla parete di fronte a lei, sollevandole sopra la testa, i palmi delle mani aperti. Non appena la fica si è contratta per l’orgasmo mi sono messo scoparla sempre più velocemente. Ha quasi urlato per il piacere. Poi l’ho tirato fuori e l’ho spinto in culo. Ha inarcato la schiena appoggiando il suo corpo contro il mio e si è messa a bestemmiare tra un gemito e l’altro. I gemiti si alternavano alle oscenità di quella poesia blasfema come un intercalare. Quando ho raggiunto l’orgasmo, il serpente che avevo tatuato sul collo ha cominciato a bruciare come se fosse stato appena impresso sulla pelle con un marchio a fuoco. Ha preso vita mentre le venivo dentro facendole colare lo sperma tra le gambe ed è passato sulle sue spalle scendendo verso la fica. Sapevo che si sarebbe fermato con la testa sulla pancia e avrebbe ripreso a muoversi tra le gambe per poi tornare su e avvolgerle il collo. Lei ha spalancato di colpo gli occhi.
“Che cazzo è questa roba?”
“Una vipera del deserto zuccherino. Ostile e vendicativa fin da quando viene al mondo”
“Cazzo…”
La bocca del serpente si è spalancata e le ha affondato i denti nel collo. Quando il sangue ha inzuppato i vestiti avvolgendola in un velo rosso caldo e appiccicoso, è venuta di nuovo.

“Secondo te abbiamo fatto bene a lasciarlo solo in quelle condizioni?”
“Che palle, lo sapevo…”
“Ma no, niente. Potevamo almeno aspettare che si svegliasse per salutarlo”
“Sì, lo conosco il modo in cui avresti voluto salutarlo. Bella mia, ma lo vedi dove siamo? Pensa a lui mentre sgomma col suo ferrovecchio sull’asfalto ghiacciato piuttosto”
“Nel pomeriggio perché non restiamo in albergo a fare l’amore? Sono stufa di stare in spiaggia tutto il giorno. E poi non mi è mai piaciuto avere la pelle troppo abbronzata”
“Piccolina, così ti passa la nostalgia di quel coglione. Se ti manca tanto perché non prendi l’aereo e troni a casa. Se parti questa sera, domani pomeriggio sei di nuovo con lui e le sue stronzate filosofiche”
“Ma no, no. Restiamo ancora. Avevamo detto una settimana giusto?”
“Oh cazzo, sei patetica. Senti, gli hai chiesto di parlarmi? Che cosa ti ha detto?”
“Ma niente, che gli dispiace. L’amore è come la guerra, sai…le solite cose che dice sempre lui in questi casi”
“Quello che dice lui? Guarda che secondo me ha fatto l’abbonamento all’enciclopedia per corrispondenza. Ancora non so perché non lo chiamano su wikipedia”
“E’ vero, è proprio uno stronzo quando si mette. Vieni qui hai bisogno di qualcuno che ti lecchi la passera tesoro”
“Ah sì? E perché adesso ti viene voglia di fare l’amore?”
“Lo sai perché. Sembrate due adolescenti al primo litigio”
“Vaffanculo. Ma poi senti, tu avresti mai detto che era stato insieme a quella tipa per quasi vent’anni?”
“No su quello hai ragione. Ha sorpreso anche me”
“Davvero ti ha detto che l’amore è come la guerra?”
“Mmm? Come?”
“Dai! Non fare la stronza! Dimmi se è vero!”
“Ma sì, sì. Più o meno…come la guerra e la malattia, e poi non so cos’altro…”
“Ah! Ah! Ah! Che coglione”
“Ha detto che secondo lui hai preso la mononucleosi…”
“Cosa?”

Il giorno dopo, sono passato in macchina di fronte alla pizzeria. Era praticamente sulla strada che facevo di solito per andare da “O”. Di sfuggita ho visto la ragazza bionda sulla porta d’ingresso, stava fumando una sigaretta durante una pausa. Non ho potuto fare a meno di notare come il suo aspetto fosse profondamente cambiato. Completamente vestita di nero, pantaloni di velluto e una dolcevita sotto la camicetta. I bellissimi capelli biondi sciolti sulla schiena, occhiali da sole e rossetto scuro. Non ha alzato lo sguardo quando le sono passato davanti con il Patrol, ma con la coda dell’occhio ho fatto in tempo ad accorgermi del suo sorrisetto stampato sul viso mentre la superavo. Un’immagine mi ha attraversato la mente, come una scarica elettrica. Per poco non sono finito contromano nella corsia opposta. La bionda camminava nuda in un prato di margherite. I fiori si muovevano dolcemente sotto una brezza leggera. Sul limite del prato scendeva una scogliera ripida e altissima. Si è appoggiata ad un albero proprio sul ciglio e ha fissato il mare per qualche secondo. Subito dopo la sua mano accarezzava la corteccia liscia della quercia, le unghie coperte di smalto nero brillavano sotto il sole.
Bellissima femmina
Ho ripreso il controllo del Patrol e ho acceso un sigaro alla menta. Una volta tornato all’appartamento di Jenny mi sono messo al computer per guardare gli annunci, ero di nuovo di buon umore per i tizi che avevo visto nel pomeriggio. Una vera casa vintage con la facciata verde e le strutture in cemento armato. Sagome come quelle si vedevano solo negli anni ’80. Tapparelle di metallo e un vialetto di ciottolato romano. I balconi disegnavano una specie di zig-zag con le loro sporgenze triangolari. Nel salotto avevano ancora l’arredamento del periodo in cui era stata costruita la casa, plastica rossa e arancione ovunque. Dovevano essere stati tutti quegli allucinogeni che andavano di moda all’epoca ad aver influenzato in quel modo i gusti della gente. Ero rimasto a tirarla per le lunghe parlando con i proprietari del lavoro, soltanto per passare un po’ di tempo a immaginare qualche scena di vita quotidiana degli anni ’80 in quella casa. Quando mi avevano portato nel garage mi era quasi venuto un colpo. Il proprietario, un tizio sulla trentina, aveva alzato il portone basculante e nell’ombra della rimessa mi era apparsa davanti agli occhi una splendida FIAT 128 rosso fuoco, colore pastello. Stavo per commuovermi, dopo qualche secondo ha acceso la luce, una lampadina a basso voltaggio dal bagliore giallastro ha fatto risplendere la carrozzeria perfetta di quel gioiellino.
“Era qui dentro quando abbiamo comprato la casa, i precedenti proprietari non sapevano come disfarsene. E poi guardi questa”.
Di fianco alla 128 c’era un’altra macchina parcheggiata nel senso opposto alla FIAT, coperta da un telo grigio consumato. Quando ha sollevato il telo stavo per piangere: Alfa Sud, anche questa perfetta, anche questa rosso fuoco. Tappezzeria marroncina, cerchi originali, gomme Pirelli nuove.
“Avete già provato a vedere se funzionano ancora?”
“Abbiamo firmato l’atto della casa da tre giorni…”
“Chiavi?”
“Credo siano nel quadro, gli sportelli comunque sono aperti”
“Libretti?”
“Erano insieme ai documenti che ci hanno lasciato in agenzia”
Lo sguardo del proprietario si è fatto più serio.
“Per l’Alfa vi faccio il 50% di sconto sui lavori. Un giro appena possibile”
“Ma…addirittura il 50% solo per un giro”
“Senta un po’, lei si rende conto di cosa vuol dire un motore Alfa Romeo come quello sui tornanti qui sotto?”
“Non immaginavo che fosse così appassionato. Comunque, senza assicurazione non credo che sia fattibile”
“Targa prova, mio caro, targa prova”.

Mentre guardavo le previsioni meteo per programmare il mio giro sull’ Alfa è arrivato un messaggio di Jenny.

– Ciao Capitan Cazzone, come te la passi in mezzo ai pinguini? Pasticcina –
– Siete due stronze. Perché mi avete lasciato così senza dire niente? C. A. –
– Che cosa fai? Pasticcina –
– Ignora tranquillamente le mie domande. Che vuoi che faccia da solo? C. A. –

Come risposta è arrivata una sua foto mentre prendeva il sole nuda, sdraiata su un lettino di fianco ad una piscina. L’acqua era talmente azzurra da sembrare un fotomontaggio. Palme e tavolini di un bar. Una rivista di moda le copriva il viso. Male. Moda maschile ovviamente.

– Potreste almeno spedirmi un regalo. C. A. –

Come seconda risposta è arrivata una foto di C_Ca. Era in piedi di fianco ad una Palma. Completamente nuda a parte le scarpe nere con i tacchi, la pelle leggermente abbronzata. Teneva le mani sul culo, allargandosi la passera. I suoi splendidi capelli biondi pettinati da una parte le coprivano leggermente il viso, lasciando scorgere le labbra rosse e sensuali. Una carica di C4 è esplosa senza preavviso tra le tempie. Per rincuorarmi sono andato a cercarmi qualcosa da mangiare in cucina. Ho aperto il frigo, dentro c’era solo un wurstel gigante grigliato, abbandonato sul ripiano vuoto di fianco ad una bottiglia di Dom Pérignon. Ho richiuso lo sportello cercando di concentrarmi sulla foto di C_Ca per non pensare alla fame. Il potere della mente. Poi sono tornato al computer: sole fino all’otto dicembre. Una settimana perfetta. Come al solito pensare all’otto di dicembre mi ha fatto innervosire, ogni anno quando si avvicina quella data divento intrattabile. Ormai ci ho fatto l’abitudine per cui cerco sempre di starmene per i fatti miei finché non è passata la tormenta.

Vedila così questa volta non ti dovrai sforzare più di tanto

Mi sono addormentato sul divano sperando di conservare un po’ di buon umore per il giro in macchina, ma appena ho preso sonno mi sono ritrovato in un incubo surreale. Prendevo l’Alfa Sud per arrivare in tempo al matrimonio di C_Ca e interrompere la cerimonia prima che fosse troppo tardi.

The horror

Ho aperto un occhio prima di riprendere sonno.
“Possibile che in questa casa ci siano solo film sul Vietnam?”.
Ho agguantato gli occhiali da sole e me li sono messi cercando di riaddormentarmi.

“Così va decisamente meglio”.
Il sogno del liceo è ricominciato subito.
“Accompagnami alla fermata del trentasei, fa un freddo cane”
“Ok, arriva fino a Saigon?”
“Io mi siedo sempre dietro, ci vuole circa mezz’ora. Tieni questo è l’ultimo che hanno fatto, subito dopo che è morto Cliff Burton”
“Ma li hai mai visti dal vivo?”
“No, magari e come facevo, si sono quasi sciolti”
“E questa?”
“Spleen, è una poesia. L’ho copiata ieri sera”
“Ieri sono andato al negozio di dischi, ne ho preso uno degli Iron. Non ti piacciono?”
“Ma sì. Che cretino che sei. Quelli li ascoltano tutti all’inizio. Io ascolto solo trash”
“Cos’era quella che hai messo alla fine l’altra volta?”
“In my darkest hour, è la mia preferita dei Megadeth. Ti piace?”
“Si, un casino”
“Parla di uno che sta crepando e la tipa fa la stronza con lui. Ma poi hai visto? Megadeth, si dovrebbe scrivere death. Invece loro scrivono deth, Megadeth”
“Si, è vero”
“Megadeth, hai capito? Invece che death…sai cos’è il numero dodici? Un bel dodici insieme? Che ne dici?”
“Cioè? Non ho capito”
“Sei proprio carino. Vieni ti faccio vedere”

Sono arrivato alla casa vintage di buonora. Avevo le chiavi da qualche giorno, era davvero una bella casa, il mio obbiettivo però era il garage. Ho alzato il portone e mi sono girato a guardare la luce invernale del sole farsi strada attraverso i rami degli alberi ormai quasi spogli tirando di tanto in tanto qualche boccata dal sigaro alla menta che stringevo tra le labbra. Ho continuato a fumare senza staccare le mani dai fianchi, mi faceva rilassare stare in quella posizione. Una splendida mattinata invernale. Libera dal telo grigio l’Alfa scintillava in tutto il suo splendore. La targa prova era appesa al tergicristallo posteriore. Sedili con l’imbottitura di spugna morbidissima. Quando ho fatto girare la chiave d’avviamento ho sentito qualcosa muoversi in mezzo alle gambe. Marmitta intatta senza silenziatore. Il motore benzina si stava scaldando salendo lentamente di giri, ogni tanto davo qualche colpetto con l’acceleratore. La miscela che avevo fatto con l’additivo per arricchire gli ottani era la fine del mondo. Sono sceso lungo il vialetto di ciottolato romano lasciandola andare in prima. Mi sono fermato all’imbocco della provinciale e ho aspettato qualche secondo. Quella strada era sempre deserta a quell’ora e poi in quel periodo dell’anno non la faceva più nessuno, solo qualche ciclista ogni tanto. Frizione e acceleratore e sono salito dolcemente fino alla terza. Ho tirato la marcia fino in fondo prima di passare in quarta. Ormai era decisamente diventato duro, approfittando di un tratto rettilineo mi sono messo la mano sul cazzo staccandola dalla leva del cambio. Tenevo il volante con due dita, il gomito appoggiato al finestrino completamente abbassato.

Amore a prima vista

“Pensi che il pupo se la caverà senza le nostre passere per trovare il senso della vita?”
“Intanto vieni qui. Fammi dare un’occhiata”

Prima di imboccare la galleria della pedemontana ho lasciato raffreddare il motore, facendolo scivolare via in discesa senza accelerare. Sul sedile del passeggero avevo allacciato la cintura al portatile. La sound-bar e l’inverter erano appoggiati a terra, dietro lo schienale. Track 1 Bad Medicine. Ho acceso gli abbaglianti e i fendinebbia gialli, poi ho inserito la quarta e ho tirato il motore fino a cento Km/h. Appena sono entrato in galleria sono passato alla quinta, lo spostamento d’aria rimbalzava sul parabrezza. Ho spinto il pedale dell’acceleratore gradualmente per non ingolfare il carburatore, 130 Km/h, il motore millesette cantava a pieni giri. Gli ingegneri che avevano progettato l’Alfa Sud avevano uno strano concetto dell’aerodinamica, in compenso sapevano come cavare 100 cavalli dalla miscela aria/benzina. Ormai mi sentivo come Sonny Crocket a bordo della sua Ferrari Daytona decapottabile. Stavo scannando il motore ipnotizzato dalla striscia di mezzeria che scorreva sotto la scocca. Cazzo durissimo. La mano si è di nuovo staccata dal pomello di resina trasparente del cambio e due dita si sono intrufolate tra i bottoni dei jeans. Con un gesto li ho sbottonati e l’ho stretto, la pelle del guanto Guardian scorreva liscia come una piuma. All’uscita della galleria ho scalato le marce fino alla terza per affrontare il tornante a gomito, pendenza all’interno, sull’asfalto asciutto le gomme Pirelli hanno spostato il peso della macchina su un fianco restando incollate a terra come una monorotaia. Il motore ha ululato di piacere quando ho di nuovo pestato il pedale fino in fondo. Mi stavo massaggiando il cazzo rapito da quella musica celestiale, quando mi sono trovato di fronte a una pattuglia ferma nella piazzola subito dopo la curva. Ho visto la paletta rossa in traiettoria con il parabrezza appena in tempo: CARABINIERI.

OOOPSS!

Dopo aver accostato sono rimasto ad ascoltare il ticchettio intermittente degli strumenti, senza pensare a nulla, nemmeno ai jeans sbottonati. Un agente donna si è avvicinata al finestrino aperto dopo qualche secondo.
“Sa quant’è il limite su questa strada? A quanto stava andando?”
“Non saprei, a cinquanta, cinquantacinque?”
“Ha i documenti della macchina e i suoi?”
“Sì, certo”
“E la targa prova?”
“Eccoli, qui c’è tutto”
“Come mai? Non è lei il proprietario del mezzo?”
Aveva la divisa almeno una taglia più stretta di quella del reggiseno. Cercavo di non pensare ai jeans sbottonati, ma lei continuava a sbattermi in faccia le sue tette enormi attraverso il finestrino. Immaginavo di stringerle tra le mani, i capezzoli traboccavano attraverso le dita.
“No, la sto provando prima di un raduno per il proprietario”
“Attenda qui”
“Certo”
Si è voltata verso la volante dove il suo collega la aspettava con un portatile appoggiato sulle gambe.

Certo che hai anche un gran culo, bella mia.

Dopo qualche interminabile minuto è tornata con i documenti in mano e li ha sporti verso di me bruscamente.
“Cerchi di essere prudente. Quanti chilometri segna il quadro?”
Non so perché esattamente, ma spesso procurarmi dei guai mi trasmette una sensazione di piacere incondizionato, è più forte di me. La maggior parte delle volte sono perfettamente consapevole delle conseguenze, soltanto: non me ne frega nulla.
“…sessantanove…”
“Come?”
“Aspetti, centosessantanovemilatrecentotrentaquattro. Ha già fatto un bel po’ di strada, però le assicuro che i pistoni scorrono ancora dentro le canne a meraviglia”.
La sua espressione è cambiata improvvisamente. Si è concessa qualche secondo per lasciare il tempo al suo lato razionale di confrontarsi con quello più istintivo e deliberare una risposta all’altezza della situazione. A un certo punto mi è sembrata quasi compiaciuta. Poi si è diretta di nuovo verso la pattuglia e si è messa trafficare sul sedile posteriore. Pensavo tornasse con un verbale, invece si è avvicinata al finestrino con gli altri documenti.
“Questi sono quelli della targa prova. Buona giornata, e faccia più attenzione la prossima volta”.
Freccia a sinistra. Sono ripartito facendo slittare le gomme di proposito. Dopo qualche centinaio di metri ho lanciato un’occhiata al sedile del passeggero dove avevo appoggiato i documenti, dal libretto spuntava un postit giallo. L’ho staccato per leggerlo meglio, sopra c’era scritto un numero di telefono, niente altro.

Wow! L’affare si ingrossa!

E in effetti si era davvero ingrossato, ormai ero vicino all’orgasmo, stavo per venirmi nei jeans. Ho di nuovo accostato in una piazzola e sono sceso per farmi finalmente una sega. Mi sono lasciato andare appoggiato allo sportello dell’Alfa. Dopo essere venuto sono rimasto ancora un po’ con il cazzo di fuori e ho acceso un sigaro. Aspiravo il fumo profumato di menta guardandomi intorno. Appena oltre il ciglio della strada si vedeva una villetta isolata, con il bucato steso sul balcone. Una donna mi fissava da chissà quanto tempo, si era bloccata con il bucato in mano raccogliendo i panni. Era lì immobile già da qualche minuto probabilmente. Ho rimesso dentro il cazzo, ho buttato quello che restava del sigaro e sono risalito. Non prima di averle rivolto un saluto però. Ho piegato le dita facendo il segno tre poi ho alzato la mano verso di lei.
Hasta la vista baby!

La statale che avevo imboccato si snodava ancora per qualche decina di chilometri tra le colline. Ero deciso a percorrerla tutta restando sulla cresta, senza passare nei paesi a valle. Verso sera sarei rientrato alla casa vintage sperimentando le prestazioni dell’Alfa con la guida notturna.

Oooh she’s a killing machine She’s got everything Like a moving mouth body control And everything!

“Senti, ma cosa ti ha detto di me quando ti ha parlato di quella storia?”
“Niente di speciale…”
“Adesso che siamo qui, capisci? Nell’intimità…voglio dire ormai possiamo anche confidarci…”
“mmm…mi piace quella cosa che fai con la lingua…”
“Certo zuccherino, ma non ti distrarre. Lo vedi anche tu che con me è diverso. Tu sei la sua preferita, con me non è mai così affettuoso. Per te ha perso la testa”
“…continua…non ti fermare proprio adesso…”
“Con lui l’hai mai fatto questo?”
“…siii…no. Ancora, sto per venire”
“Ci sarà un motivo per cui con me è diverso…”
“…no…no…non saprei…”
“Mi rispondi? Allora?”
“…mmm…ma non lo so, dovresti chiederlo a lui. Ho bisogno di bere qualcosa. Scendiamo al bar?”
“Prima rispondi”
“Senti. Adesso chi è quella patetica? Volevi parlare sempre di lui? Per questo siamo qui?”
“…ma no, no. Adesso andiamo. Però rispondi”
“Senti adesso cerco le mutandine e poi scendo. Tu fa come vuoi”

Verso ora di pranzo ho imboccato la strada per salire in montagna, Valle Cervo. Un angolo di natura incontaminata. Speravo di riuscire a raggiungere la Panoramica, 11 Km di salite e curve a gomito su una carreggiata larga circa due metri scarsi. Al bivio per passare dalla statale 100 alla Panoramica mi sono trovato davanti il cartello di divieto di accesso. Chiusa per neve fino ad aprile. L’Alfa Sud si era scolata già mezzo serbatoio, di lì a poco sarei dovuto rientrare. Ah! Ah! Ah! Disse sua Grazia, Eh! Eh! Eh! Replicò il diavolo! Alla prima piazzola ho accostato per fare inversione.

“Senti ci sarà un motivo…qualcosa che ha detto. Oppure non so qualcosa che sai tu…”
“Oh…ma non è possibile, senti perché non ti prendi il tuo bicchiere di rhum e la fai finita. Come facevo a sapere di quella storia se lo conosco da meno tempo di te. Piuttosto perché non pensiamo a cosa fare questa sera?”
“Aspetta ho un’idea: mandiamogli un messaggio per un appuntamento. Poi ne mandiamo uno anche a quella e li facciamo incontrare da qualche parte. Dovrà pur succedere qualcosa se si rivedono dopo tanto tempo. E smettila di tenere il naso infilato nel bicchiere, tanto si vede benissimo che non stai bevendo”
“Mi sembra proprio un’idea del cazzo”
“Aspetta ci penso io”
“A parte un omicidio cosa ti aspetti che succeda esattamente?”
“Dici che la odia così tanto?”
“Io intendevo il tuo”.

Avevo trovato la mia velocità di crociera intorno ai 75. Coccolando il volante di pura bachelite con le dita, pensavo a come Michael Cimino fosse riuscito con Il Cacciatore a costruire un’immagine inequivocabile della sua repulsione per la società americana. Meglio la roulette russa che farne parte. La sviolinata sulla bellezza della natura incontaminata come con consolazione per la disillusione era un po’ accademica, un classico letterario, ma in quel contesto non riuscivo a non trovarmi d’accordo. Avevo appena superato una curva a gomito quando mi sono accorto di una leonessa seduta sul ciglio della strada. La playlist è saltata su Alice Cooper.

Your poison running through my veins!

Si è alzata in piedi al passaggio della Alfa Sud per ruggire.

“Cazzo no di nuovo queste”.

Ho accelerato e sono passato oltre suonando ripetutamente il clacson.
“Fanculo, sono in vacanza!”.

– Ciao bel cazzone. Il mio culo è pronto per te. Perché non ci vediamo? XXXDevil666 –
– Perché no. Vuoi scopare? C. A. –
– Ho passato ore a cercare un bel maschione come te. Quando ho visto il tuo profilo non ho saputo resistere. XXXDevil666 –
– Ma se sul mio profilo non c’è scritto niente, c’è solo una foto. C. A. –
– Però so che non sei uno da tastiera, sei uno autentico. XXXDevil666 –
– Pasticcina vai a fare inculo. C. A. –

“Allora che cosa ti ha risposto?”
“Ma niente, conosciamoci meglio. Sai le solite cose…”
“Mi prendi per il culo. Fammi vedere…lo sapevo. Te l’avevo detto che non eri capace…”
“E allora provaci tu”
“Non mi va è una stronzata”
“Dai, dai. Fallo per me. Dopo mi faccio perdonare”
“Sei una gran rottura. Va bene ci provo”.

Tanto per cambiare le previsioni meteo non ci avevano azzeccato manco per il cazzo. Sono arrivato nella rimessa quando stava già nevicando. La strada era ancora abbastanza pulita. Che cazzo di macchina, incollata a terra anche sulla neve. Ho lasciato il motore acceso ancora per qualche secondo prima di scendere e rimettere il telo. Ho dato un’occhiata alla FIAT e poi mi sono diretto verso il Patrol parcheggiato in giardino, con la barra per la musica sotto il braccio e i documenti della targa prova nell’altra mano. Sistemando l’inverter al suo posto mi sono ricordato del postit giallo infilato nella carta di circolazione. Il telefono era sul sedile.

– Ti sei deciso finalmente. A_A –
– Che significa il tuo numero infilato di nascosto nei documenti? C. A. –
– Pensavi che non mi fossi accorta del tuo cazzo duro che sbucava dai jeans? A_A –
– Vuoi la verità? Io speravo di sì, soltanto non mi aspettavo finisse in questo modo. C. A. –
– E adesso? Come andiamo avanti? A_A –
– Non saprei, lo dico sempre, il bello della fortuna è proprio questo: è imprevedibile. C. A. –
– Perché non ci vediamo? Le sorprese non sono ancora finite. A_A –
– Ok arrivo. Dimmi dove. C. A. –

Ci ho messo quasi due ore con il Patrol a raggiungere l’indirizzo che mi aveva lasciato. Con le ridotte inserite non potevo certo pretendere la stessa velocità dell’Alfa Sud. La trazione integrale sulla neve però era un altro pianeta: surf su quattro ruote motrici. La casa era una bella villetta indipendente, poco fuori del paese, appartata dietro un boschetto, dalla strada si vedeva appena, anche se aveva il suo accesso privato proprio sulla statale. Mi sono fermato davanti al cancello automatico e le ho mandato un messaggio.

– Sono davanti a casa tua. C. A. –
– Ti apro. Fai il giro della casa con la macchina. Sul retro c’è una rimessa ti aspetto lì. A_A –
– Ok. C. A. –

Ho fermato il Patrol davanti al portone della rimessa spalancato e sono sceso.
“Vieni dentro con la macchina”
“Cazzo, ma tu hai una vera e propria officina qui dietro”
“Vieni ti faccio vedere. Che ne dici di questa?”
“Volkswagen…Typ 1…Beetle…bianca…cabrio. ’68?”
“No, questa è più recente: prima immatricolazione 1977. Sto smontando i cilindri per rifare le fasce”
“Vernice originale? Sembra appena uscita dalla fabbrica”
“Stuccata in più punti, ma assolutamente originale. Guarda qui…subwoofer da 230 watt, incorporato nello schienale”
“Lo stereo d’epoca avrebbe fatto un altro effetto”
“Dici? Mi ci vedi con un mangiacassette?”
“Conosco una tipa con uno stereo d’epoca più preciso di un lettore laser…”
“Davvero? Non ti piace allora?”
“Spettacolo. Sono comodi i sedili dietro?”
“Meglio di un letto a due piazze…”
“E le sospensioni?”
Ha richiuso il portone e si è fermata alle mie spalle. Ho sentito la lampo della tuta da meccanico che si abbassava lentamente. Mi ha afferrato il polso e mi ha girato il braccio dietro la schiena. Poi ha spinto la mano contro la passera.
“Questa è resistenza a pubblico ufficiale. Dovrei arrestarti”
“Hai ragione, merito una punizione esemplare”
“Hai indovinato”. Mi ha spinto in avanti e siamo entrati in casa.
“Non vorrai usare la manichetta antincendio per darmi una lezione?”
“No, tranquillo. Mi accontento di un bagno bollente”
“Posso tenere il giubbotto di pelle e gli occhiali da sole?”
“Vieni, spiritosone. Avevo voglia di scoparti da quando ti ho visto su quell’ Alfa”
“Dico sul seriiooahaia! Non storcermi il braccio in quel modo, piano, vengo…”.

Non sono riuscito a spuntarla sul giubbotto di pelle, ma almeno gli occhiali li ho tenuti. I suoi capelli sciolti si allargavano sulla superficie dell’acqua perdendosi nella schiuma profumata. Gli occhi verdi come smeraldi. I seni enormi e sodi erano quasi completamente nascosti dalle bollicine. Sentivo la sua pelle morbida contro la mia. Ha disteso una gamba passandomi la pianta del piede sul petto e si è fermata sopra la spalla.
“Come te la cavi a leccare? Forse potrei dimenticarmi di quel verbale di ‘sta mattina”
“Mi hai fatto il verbale? Pensavo avessi chiuso un occhio”
“Forse. C’è solo un modo per saperlo”
“La vuoi solo nella passera o anche in culo?”
“Ah! Cosa? Sei un porco! Faresti davvero una cosa del genere?”

Le vipere del deserto le stavano avvolgendo il corpo passando le loro spire in mezzo alle gambe. Era immobilizzata alla quercia in cima alla scogliera. Gli occhi chiusi vibravano di piacere davanti alla visione perversa in cui era stata imprigionata la sua mente. Dalla passera il nettare degli Dei gocciolava in un calice d’argento. Era quasi pieno fino all’orlo. Aveva completamente perso il controllo del corpo, se i serpenti non l’avessero tenuta immobilizzata all’albero sarebbe certamente precipitata nel vuoto. La scarica di piacere che attraversava i suoi neuroni la spingeva a passarsi continuamente la lingua sulle labbra, mimando quello che le stavo facendo.

“Hai scritto il messaggio?”
“Ma sì, sì”
“E ha risposto?”
“Offline”
“Che porco, se ne strafrega di noi”
“Ma che ne sai. Magari sta solo dormendo”
“Che ore sono lì da lui?”
“Non saprei di preciso. Nemmeno mezzanotte credo. No, probabilmente non sta dormendo”
“Figurati se dorme”

Ci siamo addormentati ascoltando i Velvet Underground. Non appena la musica si è interrotta siamo sprofondati in un sonno ancora più profondo.

“Ma tu avresti mai immaginato che si è passato vent’anni con la sua prima fidanzata del liceo?”
“No di nuovo…senti non mi avrai ammanettata al letto soltanto per rompermi le palle con questa storia?”
“Ma senti, è pazzesco non ti sembra?”
“Ma, basta. Io ho voglia di scopare”
“Ma sì, lo so”
“Fammi di nuovo quella cosa con la lingua…dai…”
”Secondo te, era offline perché stava con qualcuno?”
“Non lo so, adesso qui ci siamo solo noi due…”
“Lo so è che…”<
“Mi arrendo, hai vinto. Gli mando un altro messaggio. Adesso è sveglio, di sicuro”

Non era ancora mattino quando ho riaperto gli occhi, fuori della finestra era buio pesto. Dormiva rannicchiata contro il mio petto, sentivo il calore del suo corpo salire vertiginosamente. L’ho abbracciata passandole una mano sulla schiena e si è svegliata. Scopare appena svegli è una sensazione indescrivibile, i freni inibitori sono ancora abbassati, persi nel sub-conscio. Può succedere di tutto quando i sensi si incontrano in questa terra di confine. Sono sceso con le mani sul culo e tra le gambe. La fica era bollente e fradicia. L’ho girata al contrario tenendole la testa sotto le lenzuola con una mano e le ho fatto mettere il culo sopra il cuscino. Con l’altra mano le ho accarezzato le gambe. Le ho spinte per fargliele aprire. Continuavo a pomparla velocemente tenendomi sollevato sopra di lei con un braccio. Sul cuscino una chiazza scura si stava allargando intorno alla fica. All’inizio era ancora troppo assonnata per seguire il ritmo, poi si è messa a succhiarlo velocemente, pensavo che le gambe del letto fossero sul punto di cedere. Non l’ho tirato fuori neanche per venire, ha buttato giù tutto senza fare una piega. Dopo si è messa a pecorina ed è rimasta ad aspettare.
“Non l’ho mai fatto, fai piano”
Mi sono preso qualche secondo per rilassarmi, ma non mi sono fatto pregare di certo. Un corpo bellissimo e una schiena incredibilmente sensuale. Sono entrato un po’ alla volta, andando sempre più veloce.
“Cazzo!”
“Hai un culo strettissimo”
Lei si è presa la testa tra le mani piegandola in avanti. Dopo il sesso ci siamo riaddormentati, la luce del mattino si rifletteva sulla neve aumentando l’intensità azzurra dell’alba.

“Ciao, vieni. Stavo facendo greco”
“Ma non hai ancora finito di studiare?”
“Finisco dopo. Andiamo in camera mia. I miei non ci sono per tutto il fine settimana”
“Guarda: l’ho preso oggi pomeriggio, bracciale borchiato”
“Vieni un po’ qui, lo sai cosa vorrei fare adesso?”
“Sì, è tutto il giorno che ci penso”
“Come sei dolce”
“Anche tu”
“Io? Ma che dici…killing is my businessss”
“…and the…business is good”

Lo sapevo, l’otto dicembre mi fa sempre uno strano effetto.

Questa volta mi sono alzato dal letto appena sveglio. Lei stava dormendo a pancia sotto. Ho cercato i vestiti facendo attenzione a non svegliarla e sono andato in bagno.
“mmm…chiamami appena puoi. Non fare il bastardo”
“Ok, ci facciamo un giro sul Patrol”
“Il cancello si apre con il pulsante di fianco alla porta d’ingresso. Ciao”
Quando sono uscito ho alzato la cerniera fino al colletto, fuori faceva un freddo cane. Ho acceso il Patrol per farlo scaldare, era completamente coperto di neve. Appena la lancetta della temperatura è salita sono tornato dentro per aprire il cancello. Prima di andarmene le ho dato un bacio sulla testa.
“Ciao Natasha”
“…ciao…mmm…ma chi cazzo è Natasha?”

Come dico sempre i motori diesel con la turbina a inserimento meccanico sono un’altra cosa. Ho sondato il terreno senza le ridotte, ma sembrava ancora troppo scivoloso. Una volta sull’asfalto ho di nuovo inserito la leva della trazione integrale. Lo spazzaneve non era passato neanche una volta. Ho premuto play sullo stereo e dalla barra dietro i sedili i Sonico Youth si sono messi a cantare un vecchio pezzo degli anni ’80.

– Ciao, ti piace giocare con il fuoco? Sono stufa di starmene da sola. Femina Ridens –
– Sì, ma non mi piace scottarmi. C. A. –
– Sai come succede sempre, arrivano le feste e tutti spariscono. Per cui mi ritrovo ogni volta a girare per la città da sola. Tu come te la passi? F. R. –
– Come si dice: tutte le cose hanno un prezzo. Si vede che il prezzo per l’indipendenza è questo. C. A. –
– Sono stata per tanto tempo con la stessa persona. Poi è finita senza che quasi me ne rendessi conto. Ancora non riesco ad abituarmici. F. R. –
– Davvero? Stavate insieme da tanto? C. A. –
– Ci siamo conosciuti alle superiori, al liceo. F. R. –
– …davvero? C. A. –

Ho lasciato la dashboard aperta ancora per qualche minuto. Non sembrava intenzionata a continuare la conversazione e per un po’ ho persino pensato che si trattasse di nuovo di Jenny, anche se non era decisamente il suo genere. Non aveva ancora menzionato cazzi enormi infilati su per il culo. C_Ca non mi avrebbe mai fatto uno scherzo come quello. Stavo per chiudere e mettermi comodo davanti ad Apocalypse Now per l’ennesima volta, quando è arrivata un’altra risposta.

– Si, davvero. Sai cosa mi fa incazzare? Non è nemmeno il sesso che mi manca veramente, è qualcos’altro che non riesco a capire nemmeno io. F. R –
– Che vuoi che ti dica, bella mia. L’amore è un fattore completamente aleatorio nella nostra vita. In duemila anni di storia del genere umano non c’è ancora nessuno che abbia capito cosa sia veramente. C. A. –
Il giorno dopo sono rimasto tappato in casa. Non avevo nessuna voglia di uscire. Mi capita spesso quando sono particolarmente stanco. Non riuscivo nemmeno a pensare all’esistenza di un mondo all’esterno dell’appartamento di Jenny. Verso sera ho messo una playlist di Blondie nello stereo e sono uscito a fumare sul balcone dopo aver alzato il volume al massimo. Stavo degenerando verso l’ameba, guardavo la gente in strada passeggiare a braccetto sfilando davanti alle vetrine. Sono tornato dentro e ho fatto lo slalom tra le bottiglie di birra vuote e i cartoni della pizza prima di raggiungere il portatile. Sullo schermo c’era un messaggio in attesa di essere letto.

– Sai ho pensato a quello che mi dicevi. Penso tu abbia ragione. Il fatto è che non mi piace far finta di essere qualcun altro. Preferisco essere me stessa piuttosto che scendere a compromessi per far piacere agli altri. F. R. –
– Credo di avere il tuo stesso problema. Preferirei giocare alla roulette russa piuttosto che passare per qualcun altro. C. A. –

“Cazzo! Ha abboccato. Non si è accorto di nulla. E adesso? Come facciamo con la tipa?”
“Ma tesoro è semplicissimo. Le diamo un appuntamento, lo diciamo anche a lui e Cupido farà il resto”
“Sei sicura? Come si chiama lei?”
“Ecco…”
“Che cazzo significa, ecco?”
“Ma niente, aspetta…dammi solo il tempo di pensare…”
“Senti lo sai come cazzo si chiama sta tipa o no?”
“Ma sì, sì, mi hai preso per una cretina?”
“E allora perché non mi dici come contattarla?”
“Io pensavo che avresti potuto chiederlo a lui…”
“E secondo te lei gli dà un appuntamento senza conoscere la propria identità? Ma che cazzo hai nel cervello?”
“Ma scusa, non ci avevo pensato. Con questa storia non ci sto capendo più niente!”
“E adesso chi ci mandiamo all’appuntamento? Me lo spieghi?”

Uh!Uh!Uh! Ammore chiamami! When you’re ready we can share a wine

Per ingannare il tempo in attesa della risposta mi sono messo a curiosare nei cassetti di Jenny, più tardi avrei mandato un messaggio alle stronze.

Uh! Uh! Mutandine pulite. Ci ho spruzzato sopra un po’ del suo profumo e le ho portate con me sul divano. Kurtz stava spiegando come la guerra del Vietnam fosse la storia di una clamorosa sconfitta sociale, con l’audio azzerato. Cazzo avrei potuto recitare le battute a memoria ormai. Mi sono alzato di nuovo per raggiungere il frigorifero. Ho intercettato il wurstel gigante appena in tempo, prima che facesse le valige per raggiungere quelle due ai tropici e l’ho spedito nella spazzatura. Poi ho preso la bottiglia di Dom Pérignon per accompagnare un avanzo di pizza alla diavola del giorno prima. Arrivato a quel punto, se mi avessero fatto l’esame del sangue avrebbero trovato tante piccolissime pizze alla diavola a nuotare nel plasma al posto dei globuli rossi. Ho usato le mutandine di Jenny come tovagliolo per asciugarmi l’olio della pizza e ho stappato la bottiglia. Thelma e Louise erano stranamente tranquille ultimamente. Finito il film ho mandato un messaggio a Jenny prima che il dvd ripartisse da capo.

– Non vi si sono ancora scaricate le batterie dei vibratori? C. A. –
– Guarda che noi c’è la stiamo spassando, mio caro. Piuttosto come va il tuo incendio a forza di farti seghe ti avrà preso fuoco ormai. Pasticcina –

Qualcosa è scattato in una zona remota del cervello.

Fuoco? Incendio? Chi mi ha parlato di incendi di recente?

“Cretina così ti fai beccare”
“Scusa, noooo, cazzo mi è scappato”
“E adesso?”

– Ho capito, avete deciso di restare lì fino al sei gennaio? C. A. –
– E perché proprio fino al sei gennaio? Pasticcina –
– Prova ad arrivarci da sola, ciaoo. C. A. –

“Tranquilla, scampato pericolo è il solito stronzo”
“Aspetta un po’, adesso lo sistemo io”

– Senti, lo so che ti sembra assurdo. Forse non sei mai stato a lungo con la stessa persona, per cui magari non riesci a capirmi. Ma quello che hai detto sull’amore…penso la stessa cosa anch’io. Quando riesci finalmente a lasciarti andare e ad essere te stessa, ti accorgi che la persona con cui sei stata fino a quel momento ha di te un’opinione completamente diversa. F. R –
– Ma è proprio così. Lo capisco cosa vuoi dire. Ho passato vent’anni con la stessa donna, poi un giorno mi sono accorto che avevo di fronte una perfetta sconosciuta, è stato come se mi avessero rubato vent’anni di vita. Voglio dire avrei potuto incontrare qualcun altro se mi fossi svegliato in tempo. C. A. –
– E non ti manca neanche un po’. Non dico lei in particolare, ma qualcuno con cui ti senti perfettamente a tuo agio. Con cui passare il resto della tua vita, intendo…F. R. –
– Sai una cosa? Neanche un po’. Voglio dire: hai presente Papillon quando si lancia dalla scogliera alla fine del film? C. A. –
– Per me è diverso. Ho bisogno di stare con qualcuno. F. R. –
– Ti va una passeggiata a braccetto sotto la neve? Mercoledì finisco di lavorare presto. Nel pomeriggio mi fermo in centro prima di tornare .
Sai dove c’è la statua dell’angelo, in Piazza Statuto? Ti aspetto lì. C. A. –
– Non lo so se sono pronta. So solo che sono stufa di starmene da sola. Ci vediamo lì. F. R. –
– Lo sai mi ricordi una persona, è una strana sensazione, mi sembra di conoscerti anche se so che non è possibile. Ci vediamo mercoledì, allora. Se si mette a nevicare ci baciamo sotto il vischio, chi sa che non ci porti davvero fortuna. C. A. –

Atomic!

“Guarda questo cosa scrive. Si è squagliato come un cubetto di ghiaccio al sole, è completamente partito!”
“E adesso gli diamo buca, così impara a fare lo spiritoso”
“mmm…non lo so…dici? Forse mi sono lasciata trascinare troppo. Gli diamo buca dici?”
“Ma certo scusa…se lo merita”
“No dai…non lo so…e Cupido? Non dovevamo consolarlo? Così gli diamo il colpo di grazia…Jenny che cazzo mi hai fatto fare?”
“Non lo so. E adesso?”
“E adesso te lo dico io cosa succede…”
“Te la lecco di nuovo…”
“La nostra vacanza è finita, questo succede. Prepariamo i bagagli…”

Mancava ancora qualche giorno alle vacanze. Sarei dovuto anche tornare alla casa vintage per prepararmi il lavoro. In effetti ci ho fatto un salto in mattinata, ma non ho concluso niente. Continuavo a pensare alla tipa conosciuta su internet. Non riuscivo decisamente a concentrarmi. Sono tornato in città prima di pranzo passando dalla statale. Doveva essere una specie di scherzo dell’inconscio, ma tra la gente a passeggio per strada riuscivo a notare soltanto le coppiette. Ho parcheggiato in centro per andare in libreria. Prima di scendere dalla macchina ho preso il portatile, volevo mandare un messaggio a C_Ca. Non sapevo ancora esattamente cosa scriverle, avevo solo voglia di parlare con lei. Mi sono grattato a lungo la testa con entrambe le mani mentre spiavo due ragazzini intenti a baciarsi appoggiati alla pensilina di un autobus. Non appena si sono staccati uno dall’altra per guardarsi intorno mi sono voltato dall’altro lato. Un’altra coppia condivideva lo schermo di uno smartphone ridacchiando su una panchina.

Denis, Denis, oh with your eyes so blue Denis, Denis, I've got a crush on you

Stavo per iniziare a scrivere qualcosa quando è arrivato un messaggio.
– Senti, ho pensato al nostro appuntamento, non penso sia una buona idea. F. R. –
– Perché? Che ti prende adesso? Hai paura? C. A. –
– No, non è niente del genere. Solo mi sembra strano. Se mi conoscessi veramente non avresti tanta voglia di vedermi. Succede sempre così. F. R. –
– Non capisco di cosa parli. A me sembra semplicemente che tu te la stia facendo sotto dalla paura. Facciamo soltanto una passeggiata. Perché non dovrebbe piacermi come sei? C. A. –
– Nessuno mi trova mai interessante o attraente. E poi ci sono cose che non sai di me. F. R. –
– Quanto la fai lunga. Per questo voglio vederti. Perché non parli chiaro? C. A. –
– Se sapessi il lavoro che faccio, di me non vorresti saperne. Ci scommetto quello che vuoi. F. R. –
– Sentiamo, a me non frega nulla di come ti guadagni da vivere. Perché che lavoro fai? C. A. –
– Non mi va di dirtelo, rovinerebbe tutto. Mi piace poter parlare con te in questo modo. Poi tu ti offendi e di me non ne vuoi più sapere. Succede sempre con tutti. F. R. –
– Ma smettila hai solo paura. Tutti abbiamo paura quando dobbiamo calare la maschera. Non sempre troviamo la persona giusta per farlo, infatti. C. A. –
– Ma no, non è una maschera. A me piace il lavoro che faccio. Senti, lasciami perdere, restiamo così ok? F. R. –
– Non esiste dimmi che lavoro fai. Adesso voglio saperlo. C. A. –
– Lavoro in un club. Faccio la puttana, contento? Adesso mandami al diavolo come fanno tutti. Lo so cosa pensi. Però che ci posso fare? Non mi va di continuare a prenderti in giro. F. R. –
– Sai cosa ti dico? Non sei diversa da tutte le altre ragazze, tutte le ragazze hanno paura di essere giudicate quando c’è di mezzo il sesso. Anzi mi ricordi una persona te l’ho già detto. Chi ti dice che io sia tanto meglio? C. A. –
– Senti va bene. Facciamo come vuoi. Non prendertela con me poi. F. R. –
– A me non frega nulla di quello che fai.
Tanto le persone ti giudicano sempre e comunque. Se non è per un motivo è per un altro. Per cui a che serve preoccuparsene? A me va di vederti. Fine. C. A. –
– Ok, però adesso lasciami in pace. Sono sempre più confusa. F. R. –
“Stai scherzando vero? Stai cercando di convincerlo a lasciar perdere, giusto?”
“No…non lo so più quello che sta succedendo. Forse no. Tutta colpa tua e delle tue idee del cazzo”
“Piccolina…”
“Vaffanculo!”

– Stronzate. Te la fai sotto. Chi ti dice che non sia il tuo principe azzurro? C. A. –

In libreria sono andato dritto verso il bancone e ho chiesto il director’s cut di Apocalypse Now. Ho cercato anche un libro per C_Ca. Con Pasticcina sarebbe stato tempo perso. Da quando la conoscevo non le avevo mai visto un libro in mano. Al massimo qualche rivista di moda e a pensarci bene in tutto l’appartamento non avevo mai trovato un solo libro in giro. Sono tornato da “O” con le pizze ancora calde. Ho buttato la busta della libreria in un angolo e ho premuto play sul lettore. Il giorno dopo sarei andato all’appuntamento con la misteriosa femmina conosciuta in chat, Pretty Woman. Guardavo per l’ennesima volta Marlon Brando sproloquiare sulla guerra, intanto sentivo una strana fitta sempre più intensa sotto il diaframma. Le palpebre sono diventate sempre più pesanti.

“Senti tanto adesso abbiamo tutto il tempo prima di tornare a casa. Mi vuoi spiegare che ti sta succedendo?”
“Ma niente e poi sei tu che hai montato tutta questa storia. Se gli avessi parlato non sarebbe successo niente”
“Sì, però guarda che tu ormai sei incurabile. Non ci vai all’appuntamento giusto?”
“No, non penso. Come cazzo faccio?”

Apro lentamente gli occhi ancora sdraiato sul divano, la musica di Blondie mi aveva seguito anche nel mondo dei sogni, good boys never win, diceva. Jenny si avvicina lentamente entrando nella stanza. Ha indosso un costumino da Babbo Natale. Sotto, le calze di nylon e i tacchi. Si passa le unghie tra i bottoni facendoli saltare via, uno ad uno. Quando è sopra di me apre la giacca rossa e si passa lentamente la mano sul corpo.
“Visto che sei stato un bravo bambino ti ho portato il tuo regalo”
Poi mi sbottona i jeans e lo prende in bocca tenendolo con due dita. Appena diventa di suo gusto, sale sopra di me strappandosi i collant sulla fica e mi scopa guardandomi negli occhi, non dice altro.

Mi ha svegliato il rumore della porta d’ingresso. L’ho sentita richiudersi di scatto, i tacchi sul pavimento del corridoio. I soliti occhiali a specchio e una giacca a vento rosa con il cappuccio. Leggins neri e stivaletti leopardati. Ha posato le buste che teneva in mano in un angolo.
“Ma che cazzo è questo porcile?”
“Senti avrei voluto vedere te da sola qui dentro. Non ho avuto tempo. Il mio regalo?”
“Ma sparati”
“Niente? Che stronza! Neanche al duty free?”
“Ma per chi mi hai preso? Per la fatina del cazzo?”
“E…?”
“Non c’è. Tieni, rompipalle”.
Mi ha lanciato un pacchettino centrandomi in pieno petto.
“Ha detto che andava via per un po’”
“Via? Dove via?”
“Ma che ne so? Da un suo amico credo”
“Da un suo amico?”
“La solitudine ti ha trasformato in un pappagallo? Non lo so, sai queste persone normali, ancora credono nei rapporti sociali. Senti io ho bisogno di una doccia, vieni con me Papageno?”
“No, non mi va, ma senti…”
“Il solito frocio…le mie valige sono di sotto zuccherino”
“E questa che roba sarebbe comunque?”
“Hai visto com’è carino? Un dente di squalo. Quando l’ho visto in vetrina con il bordo tutto seghettato ho pensato subito a te”.
Si è spogliata dirigendosi verso la doccia, per fortuna non aveva ancora visto le sue mutandine verdi sporche di olio della pizza. Mi sono tirato su la maglietta e ho fatto passare il dente di squalo nel cinghietto della croce rovesciata che portavo al collo. Stavo cercando con lo sguardo gli anfibi, ero sicuro di averli abbandonati lì intorno prima di sprofondare nel sogno con Jenny. A pensarci bene una doccia prima di andare all’appuntamento mi avrebbe fatto bene, erano almeno tre giorni che portavo sempre la stessa maglietta.

“Caro Clark Kent, forse è arrivato il momento di tornare su Krypton”.
Ho raggiunto Jenny in bagno, si stava massaggiando il collo tenendo gli occhi chiusi. Il suo splendido corpo era velato dal vapore della doccia. Sullo sportello di cristallo aveva disegnato un cuoricino con la condensa.
“Come facevi a sapere che avrei cambiato idea?”
“Mi sei mancato”.

8 dicembre, nebbia e nevischio. Se solo quel giorno mi fossi incrinato due costole, cadendo dallo schienale della sedia mentre cercavo il CD dei Metallica invece di procurarmi soltanto un livido, la mia vita sarebbe stata completamente diversa.

Sono uscito in strada con il libro che avevo comprato per C_Ca ancora nella tasca interna del giubbotto.
Da un amico? Senza neanche passare a salutarmi? Uno stormo di Canadair stava sorvolando a bassa quota il mio cervello. Ho fatto partire il Patrol e mi sono diretto verso il centro. Non sono riuscito a trovare parcheggio lì vicino, così ho dovuto fare almeno dieci minuti a piedi prima di arrivare sotto l’angelo. I portici erano invasi da persone intente a cercare regali. Dietro la vetrina di un negozio di spezie e oggetti orientali ho intravisto Lucy. Dalla porta socchiusa del negozio proveniva un profumo dolcissimo d’incenso. Ho sentito i suoi occhi trafiggermi come dardi oltrepassando la scritta ANTICHITA dipinta sul vetro. Non capiva cosa mi stesse succedendo, si limitava ad esplorare i miei pensieri restando a guardare.

Io non ti ho visto invece

Mi sono fermato sotto i portici per un po’ a guardare la neve e le luci che si accendevano una dopo l’altra in strada. Stava iniziando a nevicare sempre più forte. Come era prevedibile non era venuta. Mi sono appoggiato ad una colonna a fumare un sigaro alla menta. Non capivo nemmeno io cosa mi fosse preso, in fondo era una come tante altre, se l’era fatta sotto per la storia del suo lavoro, di cui tra l’altro a me non fregava un cazzo. Se solo mi avesse conosciuto si sarebbe resa conto da sola di quanto fosse assurda la situazione. Forse è proprio questo il punto: riuscire a far capire agli altri come siamo fatti veramente.

– Perché non sei venuta? Potevamo baciarci sotto la neve.
Sarebbe stato molto romantico. C. A. –
– Però tanto noi ci intendiamo comunque giusto? F. R –
– Certo, soltanto non capisco perché hai così paura di fare una cosa, se è quello che vuoi. C. A. –
– Perché non mi piace passare per un’altra persona. F. R –
– Non ti capisco. Forse perché non sarei mai capace di essere nessun altro. C. A. –
– Senti c’è un’altra cosa che devo dirti. Non ti arrabbi vero? F. R. –
– Che c’è? Che ti prende? C. A. –
– Senti, non so se sia la cosa giusta da fare, ma ti devo chiedere una cosa. F. R. –
– Cosa? Sentiamo, sputa il rospo. C. A. –
– E’ tua quella manica di pelle che spunta da dietro la colonna? F. R. –

Sull’altro lato della colonna ho visto sbucare il faccino da angelo di C_Ca. Era imbacuccata in un giaccone di lana con una berretta peruviana sulla testa, intenta a scrivere messaggi sul telefono.
“Ciiaoo. Avevi detto che non ti saresti arrabbiato, ricordi?”
“Che stronze! E quell’altra che prima di farmi venire qui mi ha…senti: mi avete rotto! Non ho capito che vi è preso da quando vi ho detto di quella storia, ma mi avete proprio rotto! E poi, voglio dire, sono passati più di quattro anni da quando è finita”. L’ho lasciata lì e sono andato a sedermi su una panchina sotto la neve.
“Che stronze! Non riesco crederci”.
Dopo un po’ mi ha raggiunto sulla panchina, con l’aria da cane bastonato.
“Senti…non è come pensi, sai quando vuoi fare una cosa e per qualche motivo succede una cosa completamente diversa?”
“Non riuscirei mai a farmi passare per un’altra? Io so solo che mi avete rotto. Ok? E pensare che stavo quasi per crederci. Ma poi, hai capito, tutta quella storia sul tuo lavoro, ti rendi conto?”
“Lo so, però è stato bello sentirti dire quelle cose pensando che fossi un’altra. A volte non mi sembra vero che ti piaccio per quello che sono, è solo per questo che non sono riuscita a dirtelo prima”
“Ah, è stato bello? Per te è stato bello”
“Dai non ti incazzare”
“No certo figurati”
“Ma dai, in fondo sono sempre io, non raccontavo cazzate quando ti ho parlato in quel modo, è davvero così che mi sento”
“Si certo”
“Dai, facciamo pace. Perché non ci baciamo come dicevi tu”
“Perché adesso non mi va più e poi Jenny sicuramente ti avrà attaccato la mononucleosi. Lo fai solo per farmi stare buono”
“Ma no, ho voglia davvero di baciarti. Perché non mi dici cosa avresti voluto regalarmi, dai”
“E’ questo il tuo regalo. Tieni”.
Ho preso il libro dalla tasca e le ho fatto leggere una pagina che avevo segnato a matita.
“Non si capisce l’amore, se non se ne comprende la strana analogia con la malattia e la guerra. Questo è quello che mi avevi detto. Mi è piaciuto tantissimo quando l’hai detto la prima volta. Anche per te è così?”
“Adesso l’hai letto, no?”
“Si è molto bello”
“Eccì”.

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