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Piero camminava a testa bassa, le mani dietro la schiena, guardandosi le punte delle scarpe con le quali di proposito sollevava la ghiaia che ricopriva il vialetto. Il parco era quasi deserto, solo in lontananza si udivano le grida di un gruppo di bambini che giocava a pallone. Gli piaceva ritagliarsi quello spazio tutto per sé durante la giornata. Un momento solo suo in cui abbandonarsi ai propri pensieri lontano dalla confusione del mondo. L’ombra dei platani sopra di lui in quel punto era talmente fitta che neanche si vedevano a terra dei tratti illuminati dal sole. Improvvisamente, Piero alzò lo sguardo e si rese conto di aver superato da un pezzo il viale coi platani. Non c’era alcun albero a fargli ombra: il cielo, fino a poco prima azzurro, si era tinto d’un grigio scuro e minaccioso. Sentì una goccia di pioggia cadergli sul braccio nudo, non fece in tempo a guardarsi intorno per cercare un qualche luogo coperto dove ripararsi che subito un tuono squarciò il silenzio di quel pomeriggio e un muro d’acqua gli impedì di vedere a un palmo dal proprio naso. Zigzagando fra le pozzanghere che si erano già venute a creare, corse ormai zuppo verso il bar del parco. La pioggia fuori continuava a scrosciare senza dare accenno a voler smettere e i vetri appannati tremavano ad ogni tuono annunciato da un fulmine sempre più vicino. Mai vista tanta acqua venir giù tutta insieme! Si guardò intorno convinto di scorgere molte altre persone che come lui avevano trovato riparo all’interno del bar e fu molto sorpreso nel constatare che non c’era anima viva. La ragazza dietro il bancone lo guardò a sua volta stupita, come se non si aspettasse di veder comparire qualcuno. A quel punto Piero realizzò che probabilmente il cielo doveva essersi annuvolato da un pezzo prima che lui se ne accorgesse e questo aveva dato la possibilità a tutti gli altri frequentatori abituali del parco di allontanarsi in tutta fretta ed evitare quello spiacevole acquazzone. Ecco a cos’era dovuto il silenzio che aveva tanto apprezzato! Si sedette ad uno dei tavolini in fondo al locale e attese di essere servito asciugandosi gli occhiali rotondi con la montatura dorata all’unico angolo ancora asciutto della maglietta.

“Che cosa ti porto?”

Piero alzò gli occhi e – che spettacolo! – non riuscì a trattenersi dall’aprire la bocca per la sorpresa. Si rimise in fretta gli occhiali. Non aveva mai visto una ragazza così bella! Alta, un vitino sottile e un seno perfetto, lunghe braccia magre, capelli castani chiari tagliati cortissimi e occhi verde marino che sembravano dipinti con un acquerello. Prese mentalmente nota di dedicarle una poesia non appena fosse tornato a casa. Il suo abbigliamento pareva uscito da un telefilm degli anni ’50: il vestitino bianco da cameriera comprendeva cuffietta e nome ricamato di giallo sopra la tasca destra, “Eva”.

“Un cappuccino e una fetta di… no, solo un cappuccino.”, si corresse Piero ricordando di avere con sé ben pochi spiccioli.

“Eva” si allontanò lasciando intravedere un sedere magnifico: sodo e rotondo. Piero distolse a fatica gli occhi da quella meraviglia e la sua attenzione fu attratta da un libro abbandonato sul tavolino davanti al suo. Incuriosito, si spostò. Il libro in questione sembrava anch’esso esser stato vittima di un acquazzone: le pagine erano tutte piegate e alla copertina non cartonata mancava la metà superiore. Si poteva leggere il titolo, ma non l’autore: “Sette storie erotiche”. Piero lo aprì e iniziò a sfogliarlo. Ogni storia era corredata da alcune immagini in bianco e nero che sembravano riprodurre vecchie incisioni, per quanto fosse evidente che erano di recente fattura. Una in particolare catturò il suo interesse: ritraeva una ragazza nuda in piedi al centro di una stanza, bendata, sullo sfondo un letto a baldacchino. Dalle sue forme e da alcuni dettagli dell’arredamento si intuiva che la storia in questione doveva essere ambientata nel 1800. Per un attimo l’immagine prese vita nella sua testa, come se si fosse trattato del fotogramma di un film, come se la ragazza fosse stata in carne e ossa e lui, nella stanza con lei, avesse potuto toccarle la pelle fredda come il marmo. Una vampata di calore avvolse Piero che sentì il sangue defluirgli dal cervello al cavallo dei pantaloni. Risalì alla prima pagina della storia, intitolata “Vino”, e iniziò a leggere, senza neanche accorgersi di “Eva” che gli portava il cappuccino e che allontanandosi sorrideva tra sé e sé.

“Il barone Von Donnersmarck camminava stretto nel suo pastrano sotto la pioggia battente. I marciapiedi di Parigi sembravano tanti serpenti grigi, sinuosi e lucenti. A pochi passi di distanza, qualcuno lo seguiva senza perderlo d’occhio un istante. Il buio della sera e un mantello scuro impedivano di dire se si trattasse di un uomo o di una donna. Un colpo di tosse suggerì al barone che la misteriosa figura doveva essere quella di una donna.”

Piero saltò qualche pagina, impaziente di arrivare a quello che immaginava essere il momento clou della narrazione: l’incontro tra i due.

“Charlotte si sfilò il mantello, i suoi capelli ricci erano bagnati e le ricadavano scompostamente sulle spalle. Il barone la invitò a sedersi e osservò gli occhi lucidi e le labbra tumide che la facevano somigliare a una bambina. Quanti anni poteva avere? Le allungò il calice nel quale aveva versato il vino e le sue mani tremanti ne fecero cadere alcune gocce mentre se lo portava alla bocca. Bevve anche lui, senza smettere di guardarla un solo istante.”

Impaziente, Piero scorse con gli occhi diverse pagine, fin quando una frase attirò la sua attenzione.

“…gli strati di vesti le caddero ai piedi docilmente, la sottoveste di seta nera le scivolò dalle spalle non appena le mani del barone la sfiorarono e il corpetto non venne slacciato con foga ma con gesti lenti e calmi, come se ad essere spogliata dovesse essere una bambola. Rimasta nuda, il corpo bianco di Charlotte fu illuminato dai guizzi fugaci del fuoco che ardeva nel caminetto e i capelli neri sembravano carbone nella luce aranciata. Le labbra rosse serrate facevano presagire il timore che nutriva per ciò che sarebbe accaduto ma il suo sguardo era fermo e quasi spazientito per quell’attesa. Il barone si diresse verso una cassapanca appoggiata ad una delle pareti della stanza e ne estrasse delle corde di tela e un drappo di seta nera.”

Piero si inumidì le labbra. Percepiva l’eccitazione che si stava facendo strada nel suo corpo, un sudore freddo lo pervadeva.

“…nera. Si avvicinò alla ragazza e le bendò gli occhi con il drappo di seta. Lo legò stretto dietro la sua testa, poi la fece accostare al baldacchino. Le intimò di sdraiarsi e lei obbedì docilmente. Con una corda sottile le legò le braccia dietro la schiena, dopo averla fatta stendere su un fianco. Poi si allontanò di qualche passo e si sedette sulla poltrona. Si versò dell’altro vino e rimase lì a guardarla, immobile. Attese che la ragazza parlasse ma lei rimase in silenzio e la cosa contribuì ad eccitare il barone. Allora si alzò e le prese le gambe, legandone con le restanti corde ciascuna ad un’asta del baldacchino.”

L’erezione di Piero era ormai evidente, il cappuccino freddo e dimenticato.

“…baldacchino. Charlotte lo lasciò fare, senza dare segno di scomporsi o spaventarsi. Dalla solita cassapanca il barone estrasse una candela di cera rossa che accese nel caminetto. Ne fece colare alcune gocce sul ventre e sul pube di Charlotte, che rabbrividì leggermente per la sensazione inattesa ma non emise alcun grido di dolore. Il barone prese a massaggiarle il clitoride e non appena sentì le sue dita umide le inserì nella vagina la candela ancora accesa, poco alla volta fino a che non fu entrata del tutto. Lei si contorceva debolmente e ad ogni cambio di posizione lui ne approfittava per penetrarla più a fondo, con sempre maggior decisione. Sfilatale la candela che nel frattempo si era spenta dal corpo, si sbottonò i pantaloni e avvicinò il suo membro non ancora eretto alla bocca di lei. Gliela aprì di forza e glielo fece scivolare dentro. Dal momento che lei restava immobile, senza dire una parola le prese la testa e iniziò a muoverla ritmicamente. Quando si accorse che gli era venuto duro, la lasciò cadere e prese a masturbarsi. Venne in breve tempo, poche gocce caddero sul seno di Charlotte prima che lui le cacciasse l’uccello in gola e la obbligasse a bere il suo sperma.”

Piero accarezzò per un attimo l’idea di correre in bagno a toccarsi ma poi decise di lasciar perdere.

“…sperma. Tornò nuovamente al tavolinetto davanti al camino e bevve dell’altro vino. Prese poi il bicchiere di Charlotte e le versò in faccia quello che ancora conteneva. La schiaffeggiò ripetutamente. La ragazza non reagiva. In breve tempo il barone era nuovamente eccitato. Cominciò ad accarezzarle le cosce, risalendo a poco a poco verso il punto nevralgico del suo piacere. Le passava le dita sulle grandi labbra, sul buco del culo, sul monte di venere. Charlotte non poteva nascondere di star provando piacere. Le mise un dito nella fica, poi due, poi tre, fino a quando lei non emise un gemito strozzato e scoprì i denti. Allora le estrasse e gliele fece leccare, poi la baciò e le morse il labbro inferiore guardando il sangue scorrerle lungo il mento. Il suo pene era ormai dritto e rigido come le aste del baldacchino a cui erano ancorate le caviglie di lei. Sollevandosi sulle braccia, il barone si accostò al bacino della ragazza e con un colpo secco e violento agganciò il suo corpo al proprio.”

Un mugolio sommesso accompagnò il gesto di Piero di girare la penultima pagina del racconto.

“…proprio. A Charlotte parve di essere penetrata da delle lingue di fuoco e sentiva il cazzo duro del barone scoparla fino a raggiungere il collo dell’utero. Una smorfia si dipinse sul suo volto accompagnando il secondo orgasmo del barone, il quale stavolta le venne dentro, infiammandole ogni singola viscera con i fiotti caldi del proprio liquido seminale.”

Il racconto continuava ma a Piero non interessava sapere come si sarebbe concluso. Aveva già incamerato materiale sufficiente per molte fantasie. Era ancora eccitatissimo e dovette aspettare qualche minuto prima che l’erezione calasse del tutto. Nel frattempo, bevve tutto d’un fiato il cappuccino ormai freddo. Alzandosi, prese il libro con sé.

“Quanto ti devo?”, domandò avvicinandosi alla cassa.

“Offre la casa.”, rispose “Eva” scherzosa.

“Senti, sai chi ha lasciato questo libro?”

“No, non direi.”

“Ti spiace se lo tengo io?”

“Ma no, figurati.”

“Grazie allora, e a presto!”

Piero si allontanò senza neanche aspettare una risposta, un arcobaleno sanciva la fine dell’acquazzone e il parco già si stava ripopolando di mamme che spingevano carrozzine, anziani a passeggio, innamorati pronti a tentare assalti frugali nelle zone meno frequentate. Quanto tempo era rimasto dentro il bar? Non avrebbe saputo dirlo. “Eva” lo guardò sparire oltre le siepi, uno sorriso soddisfatto sul viso e la metà superiore della copertina di un libro con sopra scritto il suo nome accartocciata nella tasca del grembiule.

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