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Racconti Erotici Etero

Vittoria

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Camminava in fretta, con sottobraccio una busta di pelle nera, una di quelle che servono a custodire i documenti. I tacchi battevano ritmicamente il pavimento del porticato. Incedere fiero, un po’ spavaldo, testa eretta, guardava diritto, dinanzi a sé, sculettando con grazia, forse con civetteria. Molti si voltavano a guardarla, qualcuno si fermava, specie i meno giovani, con espressione ammirata, e qualche commento bisbigliato a fior di labbra. Giacca di taglio perfetto, grigio scuro, appena rigato, minigonna vertiginosa e aderentissima, della stessa stoffa.

Si fermò di colpo, davanti alla vetrina dov’erano esposte delle giacche sportive, nere, di pelle lucida. Il cristallo ne rifletté la figura, elegantissima, deliziosamente modellata, con seno e fianchi scultorei e di perfette proporzioni.

Aveva certamente notato lui, che s’era arrestato, con fare indifferente, poco distante, sotto l’arco, fingendo di telefonare, col cellulare.

Ne scrutò attentamente ogni particolare che la vetrina specchiava. Niente male, per la verità. Che faceva, a quell’ora del mattino, sotto i portici, un tipo del genere?

Riprese la strada, sempre col suo particolare modo di camminare, ma più lentamente. Giunta in piazza, entrò nel Gran Caff&egrave, e s’avviò alla cassa.

L’uomo fu più svelto, ed era già lì quando lei stava per ordinare. Le sorrise appena. La voce era calda, gentile ma di tono deciso.

‘Perché non andiamo a sederci, comodamente, al tavolo?’

Lei lo guardò, sorpresa.

‘Ce l’ha con me?’

‘Mi scusi. Ho bisogno di bere qualcosa, e da solo é molto triste.’

Gli occhi, neri e splendenti, di Vittoria ebbero un guizzo di irritazione, ma si rasserenarono subito.

‘Sa che lei é un bel tipo. Entro al bar, e uno sconosciuto, anche se in modo gentile, mi abborda e m’invita al tavolo.’

‘Mi auguro di non averla offesa.’

‘Offesa, no, certo, ma mi consentirà di essere sorpresa.’

‘E’ nel suo diritto. Vedo che porta una cartella tipicamente da legale. Avvocato?’

‘Per ora semplice praticante.’

‘Ad majora.’

‘Grazie. Lei, é avvocato?’

‘Sono magistrato. Ma, la prego, mi regali qualche minuto del suo tempo, venga a prendere un aperitivo.’

Vittoria sembrò esitare, poi decise.

‘Grazie, ma posso restare solo poco tempo. Ho un impegno.’

Andarono nella sala attigua. Sedettero ad un tavolino, poco distante dalla porta.

‘Sono Piero Farini.’

‘Io, Vittoria Accolti.’

‘Cosa gradisce?’

‘Un aperitivo, grazie.’

Piero chiamò il cameriere, con un cenno e ordinò due aperitivi. Il cameriere chiese se desiderassero quello della casa. Piero guardò Vittoria, che assentì col capo.

‘Della casa, grazie.’

‘Lei, signorina, mi ha fatto un grosso regalo. Stare da solo é una cosa tristissima. Al caff&egrave, poi, fa tanto ‘ pensionato.’

‘Non ha amici?’

‘In genere colleghi, e allora si finisce col parlare sempre e solo di… bottega.’

‘Lei, invece, di cosa vuol parlare?’

‘Intanto, sono curioso di sapere qualcosa di lei.’

‘Una specie d’invito alla confessione. GIP?’

‘Indovinato. Allora?’

Erano stati portati gli aperitivi.

‘Allora… ho già detto le mie generalità. Anni, venticinque. Nata a Torino, da padre siculo e madre piemontese. Figlia unica, collaboratrice nello studio Rossi & Santi. Adesso, caro giudice, sa tutto di me e io niente di lei.’

‘Non ho molto da confessare. Nato a Novara, da genitori novaresi, anch’io figlio unico. Anni trentacinque, celibe e libero. Non credo che ci sia altro da dire.’

‘A completamento della precedente dichiarazione, caro GIP, aggiungo che sono nubile e senza vincoli sentimentali. Posso andare? Posso considerarmi libera?’

Piero sorrise, allegro.

‘Lei, oltre ad essere molto bella é anche spiritosa e simpatica.’

‘Grazie.’

‘E’ una constatazione, non un complimento. Certo che é libera, ma le chiedo, per favore, di non andar via. Non sono di quelli che ci provano sempre. Mi piace veramente, parlare con lei. Forse non é un caso che ci siamo incontrati.’

‘Fatalista?’

‘Non ironizzi, la prego. Non accetto passivamente le cose. Questa mattina, sono uscito dal tribunale perché sentivo la necessità d’allontanarmi per un po’ da quell’ambiente. Guardavo quelli che passavano, belli e brutti, soprattutto le belle. Lei mi ha sorpassato e, con la massima naturalezza, ho accelerato il passo e l’ho seguita. Ho avuto l’impulso adolescenziale di fermarla, con una scusa qualunque. Quando si é fermata da Nice, ho fatto finta di telefonare, per riflettere. Come potevo fare per parlarle? Il suo entrare nel Bar mi ha illuminato, mi ha reso audace. Tutto qui.’

Vittoria lo guardava osservandolo, ma aveva abbandonato l’aria scanzonata, ed era divenuta seria. Sedeva quasi di fronte a lui, un po’ di lato, con le gambe accavallate e la minigonna che copriva poco o nulla. Gambe bellissime, snelle ma non magre, disegnate deliziosamente da madre natura. Cercò di sviare il discorso.

‘Quando rientrerà in ufficio?’

‘Non prima di domani. E lei?’

‘Devo portare subito alcuni documenti allo studio.’

‘Poi?’

‘In effetti, non ho impegni, per oggi.’

‘Possiamo pranzare insieme?’

‘Uh, come corre!’

Piero la guardò fissamente negli occhi, nerissimi, splendenti.

‘Perché non pranzare insieme?’

‘Per iniziare?’

‘Per iniziare.’

Vittoria, restò qualche istante, pensierosa.

‘Bene. Ora, però, devo andare a studio, due portoni da qui. Telefono a casa, e ci rivediamo. Dove?’

‘Ti aspetto qui.’

‘Già al tu?’

‘Credo che tra noi, giovani, sia il minimo.’

Lei sospirò profondamente. Si alzò, cercò di tirare giù la mini, prese la cartella.

‘Va bene. Aspettami qui, torno tra un quarto d’ora.’

Gli fece un gesto di saluto con la mano, e uscì.

Piero strinse le labbra, dubbioso. Gli sembrava che tutto, improvvisamente, era divenuto troppo facile. Che non ci fosse un interesse professionale?

Vittoria fu puntualissima. Aveva lasciato la cartella portadocumenti e aveva una borsetta di pelle nera, semilucida, con un lungo manico, a cinta, che le poggiava sulla spalla. Sedette con disinvoltura.

‘Cosa hai fatto, durante la mia assenza?’

‘Ho pensato a te.’

Lo guardò, inarcando le sopracciglia.

‘E poi, affermi che non ci provi.’

‘Esaminiamo i fatti. Io ho veramente pensato a te. In quanto a provare, che cosa dovrei provare? Mi hai fatto dono della tua compagnia, qui, al caff&egrave, hai accettato di venire a pranzo con me. Che altro posso aspettarmi?’

Gli occhi nerissimi di lei sembravano volerlo trafiggere. Le labbra vermiglie si assottigliarono.

‘Non desideri altro?’

‘In quanto al desiderare é tutta un’altra cosa. Come si può fare ad ammirarti, ad esserti vicino, e non desiderare?’

‘Mi sembra tutto più chiaro, anche se sono sempre del parere che tu voglia bruciare i tempi.’

‘La luce, meravigliosa, ci fornisce un’idea della velocità. La luce c’illumina. Perché restare nelle tenebre, spesso ipocritamente, quando possiamo godere la luce?’

‘Ci sai fare, giudice, bravo!’

‘Sei perspicace, avvocato, complimenti. A proposito, sei civilista o penalista?’

‘Civilista. Ti sembra che se fossi penalista sarei tornata qui, dal GIP?’

‘Sempre più in gamba. Io, in ogni caso, sarei stato dispostissimo a cambiare incarico, pur di non rinunciare a te.’

Vittoria assunse un’espressione incredula.

‘Un po’ esagerato. Ma se non mi conosci per niente.’

‘Quando hai accettato di sedere qui, con me, ho deciso che avrei fatto tutto, pur di rivederti, per conoscerti.’

‘Giudice, sei proprio un bel tipo. Usciamo?’

Si alzarono. Piero lasciò l’importo della consumazione sul tavolino. Uscirono. Si avviarono verso Nice.

Vittoria lo squadrò da capo a piedi. Non molto alto, snello, elegante, vestito con molta cura, capelli castani, occhi marrone, volto regolare e simpatico.

Gli camminava a fianco, soffermandosi a guardare le vetrine. Davanti a Nice, Piero le propose di provare una delle giacche esposte. Lei gli chiese se gli piacessero.

‘Si, sono belle, e sono sicuro che ti starebbero benissimo, specie se indossate su quella mini pelle, quella esposta. Entriamo.’

La prese per il braccio e la condusse nel negozio.

La commessa fu gentilissima, fece vedere quanto Piero aveva indicato e invitò Vittoria a provare i capi scelti.

Piero sorrise alla ragazza.

‘Provali, ti aspetto qui.’

‘Vieni anche tu, mi consiglierai.’

Nel camerino, Vittoria tolse la giacca che indossava e mise quella di pelle. Si girò dinanzi agli specchi, e sembrò compiaciuta.

Piero la invitò a indossare anche la mini.

Lei, disinvoltamente, lasciò cadere la minuscola gonna di stoffa, mostrando anche quel poco di gambe che il piccolo indumento copriva, e infilò la gonna di pelle.

L’uomo la guardò, ammirato e compiaciuto.

‘Ti sta benissimo.’

Si volse alla commessa.

‘Li prendiamo.’

Vittoria lo guardò imbarazzata. Tolse quegli abiti e indossò quelli con i quali era entrata. Si avvicinò a Piero, che era rimasto seduto in poltrona, si chinò su di lui, e gli dette un pizzico sulla guancia.

‘Giudice, mi ci vogliono tre mesi di stipendio. Inoltre, non ho con me né assegni né carta di credito.’

‘Benissimo, di questo parleremo dopo. Adesso compriamo. Anzi, fa mettere in busta quello che hai addosso e vesti le cose nuove.’

‘Sempre e tutto con la velocità della luce, eh?’

‘Fiat lux!’

Vittoria andò nel camerino, si cambiò, tornò con la busta dove aveva infilato i capi tolti.

Lui pagò e incaricò la commessa di far recapitare il vecchio abito all’indirizzo che la signorina le avrebbe dato.

Quando uscirono dal negozio, la gente si voltava a guardare, incantata, l’affascinante eleganza di Vittoria.

Lei gli si appoggiò al braccio.

‘Adesso, per favore, mi dici come ti rimborso?. In un’unica soluzione, o a rate?’

‘Vediamo come stanno le cose. Chi ha manifestato la volontà di acquistare il vestito?’

‘Tu.’

‘Chi ha perfezionato il contratto, pagandone il corrispettivo?’

‘Tu.’

‘Quindi, in quel momento, di chi era la proprietà del vestito?’

‘Tua.’

‘Io, come proprietario del vestito, cosa ti ho detto?’

‘Indossalo.’

‘Tu, indossandolo, ne hai il possesso in buona fede e, trattandosi di cosa mobile, la proprietà. Se ne sei proprietaria, a chi e perché dovresti pagarlo?’

‘Tu, però….’

‘Ti ho detto che te lo prestavo, noleggiavo, cedevo provvisoriamente, vendevo con pagamento differito, o altra cosa del genere?’

‘No.’

‘Ne consegue che tu non hai obbligazione alcuna nei miei confronti.’

‘I soliti giuochi di parole dei magistrati, quando emettono sentenze del cavolo.’

‘Questo é vilipendio. I magistrati non emettono sentenze del cavolo, per cui non fanno giuochi di parole. Durerà molto questo dibattimento, o andiamo a pranzo?’

‘Pranzo, ma della somma che hai anticipato, ne riparleremo. Dove andiamo?’

‘Premesso che non ho anticipato nulla, perché nulla mi é stato chiesto in proposito, preferisci Villa Sassi o Avigliana?’

‘Avigliana.’

‘Allora, dietro front, la mia auto é nella piazza.’

La prese sottobraccio, allegramente, e si diressero a San Carlo.

L’auto era nuovissima, sportiva, uno degli ultimi modelli, molto comoda.

Piero aprì lo sportello, Vittoria ringraziò con un sorriso luminoso, e si accomodò sul basso e ampio sedile. Lui girò intorno e si mise al posto guida.

‘Cinture, prego, altrimenti non si mette in moto.’

Indossarono le cinture.

‘Molto bella quest’auto, costa molto?’

‘Abbastanza.’

‘Guadagnano bene i magistrati.’

‘Specie i figli unici di genitori benestanti.’

Piero pagò il custode del parcheggio e s’avviò, silenziosamente, verso Corso Francia. Guidava con molta calma, senza fretta.

Abbassò lo sguardo sulle gambe di Vittoria.

‘E’ un vero peccato che debba guardare la strada, con quello che posso ammirare vicino a me.’

Lei non rispose nulla, seguitando a fissare la via.

Piero pose la mano sul cambio, la lasciò scivolare sulla coscia di Vittoria.

La ragazza non si mosse.

‘Non perdiamo tempo, vero giudice? Tutto secondo copione.’

Lui ritirò la mano.

‘Mi piaci da morire, Vittoria, sono irresistibilmente attratto e affascinato da te. Non posso negarlo. Ma non desidero una squallida avventura d’un pomeriggio. E non mi sembra che tu sia il tipo per una cosa del genere. Come vedi, sono sincero, ma non voglio essere scortese, e tanto meno offensivo. Mi piaci. Desidero carezzarti…’

Lei lo guardò freddamente, duramente.

‘Insomma, vuoi dire che l’abito che hai pagato non dovrebbe essere solo per una ciulada e via.’

‘Non l’ho mai pensato.’

‘Allora, per quante?’

Lui rallentò, mentre entravano a Rivoli.

‘Vuoi che torniamo? Che ti accompagni a casa?’

‘No, voglio proseguire, voglio andare ad Avigliana. Ho fame.’

Le linee del volto le si ammorbidirono, lo sguardo divenne dolce, quasi sognante.

Gli prese la mano e la portò sulla sua coscia.

‘Sono stizzita, non offesa. Irritata verso me stessa. Perché non voglio confessare che mi piace stare con te, che sono felice per il tuo invito che, devo essere sincera, ho sperato fin da quando ti ho intravisto, rispecchiato, nei cristalli di Nice.’

La carezzò teneramente, facendo salire la mano sotto la mini, mentre lei spingeva in avanti il grembo, languidamente.

‘Piero.’

‘Si.’

‘Sono combattuta.’

‘Da che?’

‘Mi sto comportando come una puttana. Cara, per giunta.’

Stavano entrando nel parcheggio di un famoso ristorante, sul lago.

‘Non ti capisco, Vittoria. Due persone s’incontrano, sentono che stanno bene insieme. Percepiscono una reciproca attrazione. Sono golose, l’una dell’altra, convinte di una conturbante intesa sessuale. Si piacciono, si concupiscono. Quando ti ho carezzato, ho sentito palpitare il tuo grembo. A me sembrava già di essere in te. Ti turba che abbiamo compreso questo richiamo violento al primo incrociarsi dei nostri occhi?’

‘Non credi che sia un po’ animale? Inoltre, perché voler comprare quest’abito, per me?’

‘Istintivo, vuoi dire. Cio&egrave, mosso da pulsioni naturali e non da freddo ragionamento. Perché no? Perché non riconoscere e soddisfare lo stimolo che ci provoca una visione, un incontro?

Incontri un esemplare dell’altro sesso. Ti attrae, ti eccita, ti accende. Desideri di vivere insieme i momenti voluttuosi d’un amplesso, che sarà sconvolgente, totalmente appagante. Perché rinunciarvi, se non coinvolgi altri, se non s’infrangono falsi tabù? Perché appellarsi all’ipocrisia del ci conosciamo appena? Facciamolo subito, allora, servirà a conoscerci meglio. Sono cinico?’

‘Sei travolgente. I tuoi perché, mi sconvolgono, m’infuocano, mi rendono impaziente, attizzano il fuoco che divampa in me, che implora d’essere domato. Ho fame di te, adesso, subito.’

‘Il pranzo?’

‘Dopo, se sopravviverò.’

Il Ristorante disponeva di camere, e di alcune romantiche suite, con vista sul lago. Col vecchio ascensore, lucido d’ottone, salirono al terzo piano. L’addetto, che li accompagnò, aprì l’uscio al centro del corridoio, e li introdusse nel grazioso salotto, che uno scorrevole separava dalla civettuola e galeotta camera da letto.

Piero era sdraiato sul letto, parzialmente coperto col leggero lenzuolo.

Vittoria apparve sulla porta della sala da bagno, completamente nuda. Gli occhi sfavillanti, seno sodo, capezzoli spasmodicamente eretti, capelli sciolti, sulle spalle, fianchi accoglienti, glutei gagliardi, il pube oscurato da una corvina e serica villosità, eccezionalmente esuberante.

Piero s’appoggiò sul gomito, per guardarla meglio.

Andò verso di lui.

‘Non mi sono mai depilata, tra le gambe. Sono una selvaggia. Amo la natura, così com’é.’

Salì sul letto, con movenze feline.

Nella camera, fu tutto un risuonare di gemiti, sospiri, invocazioni, incitamenti. Per lungo tempo.

Si adagiò su di lui, infine, esausta, disfatta, sfinita, ansante.

‘Sono insaziabile, Piero, ma non ce la faccio più. Devo riprendere le forze. Forse é il caso di farci portare qualcosa da mangiare.’

Lui allungò la mano verso il telefono, alzò la cornetta, attese la risposta.

‘Per favore, ostriche, caviale, champagne, supreme di pollo, dessert… si, va bene, profiteroles.’

Si alzò, andò nel bagno. Uscì poco dopo, indossando un accappatoio blu.

Vittoria giaceva al centro del lenzuolo, capelli sparsi, occhi fissi al soffitto. Nuda,

Piero si fermò ai piedi del letto.

‘Màs guapa que Maya desnuda!’

‘Besame, querido.’

Cominciò dalla punta dei piedini.

Lei gli sussurrò, roca.

‘Remonta a los origines de la vida. Te suplico.’

Bussarono alla porta.

Piero, uscendo dalla camera, chiuse la coulisse. Aprì la porta al cameriere.

‘Buon pomeriggio, signore, apparecchio la tavola?’

‘Si, grazie.’

Andò nella camera da letto, prese il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, e rientrò nel salotto, con una banconota che dette al cameriere.

‘Grazie, signore.’

‘Quando ha terminato, vada pure, Grazie.’

Tornò in camera. Vittoria, seduta, sempre nel centro del letto, col capo appoggiato sulle ginocchia, lo guardò di sottecchi.

‘E’ tutto in tavola, bella.’

‘Posso venire così?’

‘Certo, se ti piace. Per me sarà uno spettacolo eccitante. Spero di resistere.’

‘Non reprimerti troppo, però. Del resto, sarebbe contro il tuo principio di assecondare le pulsioni.’

Entrarono nel salotto, Piero scostò la sedia dal tavolo, per farla sedere.

‘No. Voglio stare sulle tue ginocchia, mi devi imboccare.’

Piero le sorrise, e si sistemò sulla sedia. Lei gli schiuse l’accappatoio e gli si accomodò in grembo, percorsa da un fremito al contatto con le gambe nude di lui.

Prese una fettina di pane tostato, l’imburrò, l’arricchì generosamente con del caviale, la portò alle labbra di Vittoria. Lei ne spezzò parte e fece segno a Piero di mangiare il resto.

Le chiese, con premurosa dolcezza.

‘Ostrica?’

Vittoria annuì.

Prese un’ostrica, la staccò dal guscio, con la particolare posata, la mise nell’apposito cucchiaio, e vi strizzò del limone. La porse alla ragazza, ma questa gli fece cenno di attendere. Si alzò piano, si voltò verso di lui, gli si mise a cavalcioni. Aprì la bocca. Lui vi depose il prelibato boccone. Lei abbracciò Piero e, baciandolo appassionatamente, gli fece scivolare l’ostrica tra le labbra. E così fu ancora, scambievolmente, fin quando caviale ed ostriche finirono, innaffiati da generosi sorsi di champagne, anch’essi vicendevolmente trasfusi da una bocca all’altra.

‘Piero, non voglio il pollo. Dammi solo un po’ di dessert.’

Addentò il piccolo bign&egrave che Piero le aveva accostato alle labbra, lasciando cadere della crema sul petto, sul capezzolo.

Protese il seno verso lui.

‘Mangia la crema.’

Lui la sfiorò delicatamente, prese il capezzolo tra le labbra, lo lambì, lo serrò teneramente, suggendolo come un bambino goloso e affamato.

Vittoria s’inarcò, e s’accostò a lui, ancor più, ne percepì l’aggressiva, prepotente eccitazione, si sollevò sulla punta dei piedi e, abilmente valendosi delle sue dita sottili, lo accolse in sé, fremente, e gli s’abbandonò, estatica, ancor una volta.

Tornavano, lentamente, in città. Lui le teneva la mano sulla gamba.

‘E’ stato meraviglioso, bambina. Quando ci rivediamo?’

Lo guardò, maliziosa.

‘Domani é troppo tardi?’

‘Lo lascio giudicare a te.’

‘Forse é meglio un intervallo, non troppo lungo, però. Anche per… riprendere fiato. Dove abiti?’

‘Alla Crocetta, e tu?’

‘In corso d’Azeglio.’

‘Ti accompagno a casa?’

‘Si, grazie.’

Il volto di Vittoria era l’espressione della beatitudine, del benessere.

‘Piero, non ti ho detto tutta la verità. Devo farti una confessione.’

La guardò interrogativamente.

‘Ho un fidanzato ufficiale.’

Frenò di colpo, incurante di chi lo seguiva.

‘Come?’

‘Si, sono fidanzata ufficialmente, e mi sposerò con lui.’

Piero era attonito. Non sapeva cosa dire. Gli venne in mente una domanda, senza saperne la ragione.

‘Ci vai a letto regolarmente?’

Lei s’irrigidì. La voce divenne aspra.

‘Non gliel’ho fatta neanche toccare.’

‘Incredibile a credere, data la tua esuberante passionalità.’

‘Non essere offensivo e volgare.’

‘Una semplice considerazione.’

‘Adesso sarò io volgare. Tu m’hai attirato dal primo momento. Sono andata improvvisamente e irresistibilmente in fregola. Dovevo farlo subito. Pentito?’

‘Felicissimo per quanto é accaduto, ma dolorosamente disilluso perché, immagino, non vorrai più rivedermi.’

Si sporse verso lui, lo baciò.

‘Sciocco, ti desidero ancora, follemente. Vivi solo o in famiglia?’

‘Solo.’

‘Domani verrò a casa tua, posso?’

‘Quando?’

‘Domani sera, starò con te tutta la notte.’

‘Cosa dirai a casa? Al tuo fidanzato?’

‘A casa dirò che vado fuori per motivi professionali. Lui &egrave a Cagliari, associato di filosofia del diritto. Torna di quando in quando.’

‘E se ti telefona?’

‘Chiama solo sul mio cellulare, e l’avrò con me.’

‘E se telefona mentre…’

‘Gli farò ascoltare i miei rantoli di voluttà. Te l’ho detto che sono puttana.’

‘Che parola sciocca. Sei un’amante insuperabile. Ma, mi chiedo, se non hai rapporti, diciamo così, concreti con lui, non puoi lasciarlo?’

‘Per unirmi a te?’

‘Forse… anche per sposarmi.’

‘No, con un tipo come te, sarei infelice tutta la vita. Mi chiederei in continuazione con chi mi stai tradendo, con chi stai scopando, se lei é più brava di me. Sarebbe un tormento, un inferno insopportabile. Roba da morirne.’

‘Non temi che la nostra relazione sia scoperta?’

‘Vale la pena correre il rischio. Non é detto, inoltre, che mi lascerebbe.’

‘Infatuazione d’un momento. Ci conosciamo solo da qualche ora.’

‘Forse per te si tratta d’infatuazione. Anzi, neppure di quella. Sono una femmina con la quale, a quanto constatato, ti trovi bene a letto.’

‘Anche sulla sedia…’

‘Non essere sarcastico. E’ vero, però, che stiamo bene dovunque. Potremmo farlo anche qui, in auto, adesso. O sul prato, o appoggiati ad un albero. In terra, in cielo, in mare. In ogni luogo.’

Piero aveva ripreso la marcia. Erano sotto l’abitazione di Vittoria. Scese dall’auto e andò ad aprire lo sportello, per farla scendere. Gli si attaccò al collo, baciandolo.

‘Mi fai venire da te, … con te, domani sera?’

‘Ti attendo.’

Piero e Vittoria, stavano insieme non appena potevano. S’incontravano per andare al cine, al ristorante, in gita. Soprattutto a letto. Vittoria era insaziabile, instancabile. La giovane età di Piero gli consentiva di far fronte all’avidità della giovane, alle sue fantasie, ai suoi capricci erotici.

Erano trascorsi lunghi mesi, da quella prima volta, ad Avigliana.

La loro intesa era andata sempre più affinandosi.

Vittoria, però, era sempre contrariata allorché lui le faceva un regalo, non sempre modesto.

‘Perché questi doni?’

‘Perché ti voglio bene, per la felicità che mi dai.’

‘Allora, io dovrei regalarti una montagna di pietre preziose.’

‘Nulla é più prezioso di quello che ricevo da te.’

Giacevano, felicemente soddisfatti, sul letto, a casa di Piero. Lui le carezzava, piano, il seno.

‘Non ti fa male a prendere, in continuazione, la pillola?’

‘E’ da parecchio che non la prendo.’

Piero balzò a sedere.

‘Come?’

‘Non la prendo. E sento che é più bello, senza la pillola.’

‘Si, l’ho anche percepito, ma…’

‘Ma… così é figlio tuo. Si, é tuo figlio, ne sono certa da qualche giorno. Il test me lo ha confermato.’

‘Allora, mi sposi.’

‘Mi sposo, ma non con te. Giovedì prossimo sposerò Carlo, il professore.’

‘Scherzi?’

‘Mai stata più seria.’

‘All’improvviso?’

‘Più o meno. Deve andare un anno negli Stati Uniti, come visiting professor. Io non voglio e non posso andare con lui, dovrei lasciare te e distruggere la mia carriera professionale. Carlo, allora, vuole sposarsi per garantirsi di trovarmi al suo ritorno.’

‘Giovedì lo sposi? Cioé fra tre giorni.’

‘Si. Giovedì mattino nozze, poi saluto agli amici, e dovrai esserci anche tu, a mezzogiorno, a Villa Sassi. Quindi, partenza per Milano, e prima notte al Gallia. L’indomani Guido parte per Los Angeles, dalla Malpensa, ed io torno a Torino. Venerdì mattina mi preparo, e nel pomeriggio andiamo ad Avigliana per il fine settimana. Che ne dici?’

‘Sbalorditivo.’

‘Non dimenticare caviale, ostriche e champagne. Questa volta voglio anche aragoste.

Non vedo l’ora di fare una scorpacciata.

Di tutto.’

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