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Racconti Erotici Etero

Voyer

By 10 Gennaio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Voyer

Quando avevo scoperto per la prima volta quali erano le fantasie
erotiche di Carlo, mi ero infuriata. Cresciuta in un clima bigotto in
cui al sesso non bisognava nemmeno pensarci, mi vergognavo di stare con
una persona che giudicavo così perversa e sporca.
Il sesso’per me era sempre stato legato all’idea della
procreazione, perciò lo sentivo più come un mezzo che
come un fine. Ma la mia concezione si discostava enormemente da quella
di Carlo. Per lui il sesso era estremo, selvaggio. Ecco perchè,
dopo aver partorito il nostro secondogenito, ormai ventitre anni fa,
avevo stemperato sul nascere le sue voglie, chiarendo che non vedevo
più alcun motivo per dovermi sottoporre a qualcosa di
‘così sconcio.
Quasi mi vergogno a ripensare a com’ero all’ora, con una
mentalità così chiusa, immersa in un’ignoranza
ingiustificabile.
Quel giorno volevo riordinare la cantina. Avevo detto mille volte a
Carlo di farlo, perchè era in condizioni pietose, ma ogni volta
lui tergiversava, diceva che aveva altre cose da fare. Dunque mi ero
decisa a fare da me.
Scesi le scale del pianterreno e aprii la porta. C’era un forte odore
di umidità, il pavimento era sporco e agli angoli delle pareti
c’erano numerose ragnatele. La stanza era piena di sactole impilate
l’una sopra l’altra. Insomma, era il caos più assoluto. Mi tirai
su le maniche e cominciai a spazzare e a ripulire.
Dopo due ore ero stremata, ma finalmente tutto era un po’ più
pulito. Decisi di riprendere fiato e mi sedetti su una vecchia sedia
che avevamo portato lì sotto. Nel frattempo avrei esaminato il
contenuto delle scatole e avrei deciso cosa bisognava tenere e cosa
invece andava buttato. Cominciai da quella che mi sembrava più
facile da fare. Era semiaperta, senza lo scotch ed era proprio
lì a portata di mano. Me la misi davanti ai piedi e la aprii.
C’erano tantissime videocassette, tutte senza etichette. Vidi che sotto
le cassette c’erano dei giornali e così li presi. Ne rimasi
scoinvolta. Erano tutte riviste pornografiche, piene di fotografie
ritraenti donne ammiccanti e procaci, che esponevano i loro corpi nudi
senza riserve. Fotoromanzi dove i personaggi erano in preda alle loro
più perverse fantasie, dove venivano ritratte orge e amplessi
nei loro minimi particolari. Ero sconcertata ma, mio malgrado, mi
accorsi di provare anche una forte eccitazione. Sentivo un calore
fortissimo e irresistibile in mezzo alle gambe. Ripensai a Carlo, a
tutte le volte che si era rintanato qui sotto con la scusa che doveva
cercare cacciaviti e quant’altro per riparare ogni volta qualche nuovo,
fantomatico guasto. Mi alzai e guardai la sedia, immaginandomi che
fosse proprio lì che si sedeva mentre guardava quelle riviste.
E, infatti, il tessuto macchiato in più parti di inequivocabili
macchie biancastre me lo confermò. Mi sentii tradita, colpita
nel mio amor proprio, perchè, come tutte le donne, ero
abbastanza narcisista da pensare di essere l’unica donna a cui mio
marito pensasse quando aveva voglia. E invece ora scoprivo che si
sgrillettava pensando a quella sciaquette. Presi la scatola, che per
fortuna non era pesante, e risalii le scale, portandola nel salotto,
con tutto il suo contenuto.
Nella mia mente continuavo a pensare: “Perché? Sono ancora una
donna desiderabile, ho un corpo invidiabile nonostante abbia ormai
quarantacinque anni.”
Ero furiosa. Presi a caso una delle cassette e la misi nel
videoregistratore, sperando che fosse vuota o che ci fossero vecchi
film che non vedevamo più da anni. Sullo schermo apparve una
donna. La riconobbi, era una vicina di casa. Abitava al terzo piano
della palazzina accanto. Era sul balcone, impegnata a stendere ad
asciugare i panni appena lavati. Era bella, giovane, aveva appena
ventisei anni. Indossava un top scollato, che metteva in evidenza le
sue forme. Mandai avanti. Mio marito l’aveva ripresa più volte,
in occasioni diverse.
Feci uscire la cassetta e ne misi un’altra e la scena si ripeté,
ma questa volta con un soggetto diverso. Visionai a poco a poco tutte
quante le cassette, e il risultato non cambiava. Mio marito aveva
ripreso tante donne. Belle, eccezionalmente belle. Le aveva riprese
appena aveva potuto. Ad una l’aveva ripresa mentre faceva il bagno in
piscina, in topless.
Quasi riuscivo ad immaginarlo, mentre la riprendeva. La telecamera in
una mano, l’occhio attento che la seguiva in’ogni gesto, il
respiro ansante, l’erezione che cresceva dentro il tessuto dei
pantaloni. Il desiderio accompagnato alla frustrazione.
Sì, me lo immaginavo e mi rendevo conto che era colpa mia se lui
era dovuto andare a trovare uno sfogo da qualche altra parte. E,
immaginandolmelo così, lo desideravo. Volevo dimostrargli che
ero la donna vogliosa che voleva possedere.
E lì mi venne un’idea. Facevo ancora fatica ad abbondonare la
concezione che il sesso fosse sbagliato, peccaminoso. Ma rivolevo mio
marito e sapevo che era la cosa giusta da’fare. E poi l’idea, in
fondo, mi piaceva.

Carlo quella sera rientrò all’orario di sempre, stanco dal
lavoro. Si tolse la giacca con un sospiro, contento di potersi
finalmente rilassare sul divano. Le luci erano tutte spente.
Pensò che sua moglie fosse a letto per colpa dell’emicrania di
cui soffriva e non volle disturbarla. Andò in salotto e accese
la piantana, che emise una luce soffusa ed elegante. Prese il
telecomando e stava per sedersi sul divano quando vide una scatola che
per lui era molto familiare. E subito sbiancò. Oh, no. Non
poteva averlo scoperto. La paura si impossessò di lui. Si
precipitò verso la scatola e la aprì, realizzando che
purtroppo le sue paure erano fondate. Appoggiata sopra la pila di
videocassette ce n’era una con sopra un bigliettino attaccato con lo
scotch. C’era scritto semplicemente: “Guardala”.
Carlo la prese e la mise nel videoregistratore. Subito il nastro
partì. All’inizio non capiva bene che cosa ci fosse registrato,
l’immagine era sfocata, ma poi la persona che era stata ripresa
armeggiò con la telecamera e aggiustò tutto. Poi si
allontanò dall’obbiettivo e ci si sedette davanti. Era Elena,
sua moglie. Con addosso solo la sottoveste nera che tanto gli piaceva.
L’aveva indossata la loro notte di nozze. Elena si muoveva in modo
diverso, più languido, anche se raffinato ed elegante, come era
sempre lei.
Guardò nella telecamera, verso di lui, e cominciò a
parlare. Carlo temeva che fosse un messaggio d’addio. E invece si
sbagliava.
‘Con voce suadente, Elena disse lentamente:
– Carlo, come vedi ho scoperto tutto. Ho scoperto cosa facevi in
cantina. Ho visto le cassette, ho visto come riprendevi quella donne.
Ho scoperto che ti piace guardarle mentre si spogliano, mentre si
toccano, mentre si fanno scopare selvaggiamente dai loro uomini in
posti in cui sanno che potrebbero essere scoperte. Si sa, la
trasgressione da’ un tocco in più. Mi hai avuta per tutti questi
anni sotto ai tuoi occhi, ma io ti ho sempre rifiutato. Questa notte
voglio ricominciare tutto. Voglio essere la compagna che’hai
sempre desiderato. Forse non sono bella come loro, ma sai anche tu che
le mie capacità non sono da niente. Ti aspetto al Royal Hotel,
in centro. Credo tu sappia dov’è. A presto.
Poi la cassetta si interrompeva. Dio, sentiva già l’eccitazione
premergli prepotentemente contro il tessuto dei boxer. Quella era
davvero sua moglie?

Il telefono della stanza squillò e io risposi prontamente. Il
ragazzo alla receptionist mi informava che mio marito era finalmente
arrivato e che lo stavano accompagnando alla stanza che gli era stata
riservata. Finalmente! Ero elettrizzata, nervosa e anche un po’
insicura. E se non gli fosse piaciuto come mi muovevo, come mi
atteggiavo? Scossi la testa e cercai di tranquillizzarmi.
Sistemai per bene la telecamera, accertandomi che la messa a fuoco
fosse giusta. Mi riguardai allo specchio per vedere in che stato fosse
il trucco, sorridendo a me stessa, trovandomi più che piacente.
Mio marito era nella stanza accanto e il suo computer era impostato in
modo che lui potesse vedermi in diretta tramite la telecamera. In
compenso io non potevo vedere lui. Il pensiero mi eccitava e speravo
che questo lo ripagasse un po’ di tutto il tempo che non gli avevo
concesso.
Il rumore della porta che si chiudeva al di là della parete era
il segno che aspettavo. Lui era arrivato. Era lì per me, per
guardare solo me.
La telecamera era messa in una posizione in cui poteva riprendermi in
qualsiasi angolo della stanza in cui fossi andata. Così avrebbe
potuto sempre vedermi.
Mi sedetti davanti allo specchio. Indossavo la sottoveste che mi ero
già messa per la cassetta in cui lo invitavo all’hotel. Mi ero
messa anche un bustino che mi era stato regalato da una mia vecchia
amica, il reggicalze, un tanga semitrasparente, calze velatissime e i
tacchi alti. Ero sexy. E sapevo che gli sarei piaciuta.
Lentamente mi spruzzai del profumo sul collo, sui polsi e, in ultimo,
nell’insenatura tra i miei seni. Passai del rossetto sulle labbra,
consapevole che lui mi stava già guardando e che quei
preparativi gli sarebbero piaciuti. Nonostante avessi scoperto qualcosa
di nuovo su di lui quel giorno, conoscevo abbastanza bene i suoi gusti
e sapevo di essere impeccabile in quel momento. Mi alzai lentamente
dalla sedia e mi diressi verso il grande letto a due piazze che c’era
nella stanza, presi l’orlo della sottoveste e lo tirai all’insu,
togliendomela di dosso. Ero a seno nudo, solo la parte inferiore del
mio corpo era coperta. Questo produceva un contrasto che sapevo
l’avrebbe eccitato. Presi una crema e me la spalmai sui seni, con
movimenti lenti e circolari, inturgidendomi i capezzoli, che divennero
dritti e duri, pronti per essere succhiati e mordicchiati dalla sua
bocca.
Mi passai le mani sul collo e ancora sui seni, ripetutamente. Volevo
che durasse il più a lungo possibile, volevo che fremesse dalla
voglia di possedermi.
Poi presi il tanga e lo tirai giù, lasciando scoperta la mia
intimità. Mi ero depilata con cura, non avevo lasciato un solo
pelo su quelle labbra morbide da cui sentivo sottopelle un dolce
pulsare dovuto all’eccitazione. Le mie gambe erano ancora coperte dalle
calze, il reggicalze mi fasciava il bassoventre con il pizzo.
Mi passai della crema anche lì in mezzo alle gambe, aprendo le
cosce per bene, in modo che lui avesse una visuale completa. Le mie
mani scorrevano lungo le cose, per poi risalire sulla pelle candida e
bianca del bassoventre. Pensavo a lui, a come mi avrebbe guardata,
desiderata. A come sicuramente la sua eccitazione fosse ormai quasi
insopportabile.
Decisi di dargli il colpo di grazia. Mi succhiai l’indice e poi lo
infilai dentro la mia fighetta, fradicia di umori caldi e vischiosi.
Facevo entrare e uscire ritmicamente il dito, per poi aggiungerne un
altro. Andavo prima veloce, poi lenta, poi di nuovo veloce, in un
continuo crescendo. Mi toccavo i seni alti, i capezzoli. Intanto
pensavo a lui, alla sua virilità. Lo volevo dentro di me, volevo
che mi prendesse in modo violento, primitivo.
Mi stesi sul letto, a gambe spalancate. Feci entrare un altro dito,
spingendo sempre più forte e più velocemente,
finchè non fui scossa da un fremito fortissimo e venni. Davanti
a lui.
Feci uscire le dita e presi diversi respiri profondi, estasiata da
quella mia performance. Dopo solo qualche secondo, sapendo che dovevo
battere il ferro finchè era caldo, andai proprio davanti alla
telecamera, esponendogli i miei seni e gli dissi: -Vieni qui.
Sentii chiaramente il rumore di una sedia che veniva spostata in modo
impaziente e dei passi avvicinarsi. E poi la porta si aprì.
Il suo sguardo mi spaventò e mi eccitò nello stesso momento. Mi voleva in modo prepotente, con furia.
Decisi di giocare ancora un po’ con lui. Volevo che d’ora in poi
pensasse che solo io potevo soddisfare appieno le sue voglie, che
prendesse coscienza del fatto che quelle sgualdrine delle riviste e le
donne che riprendeva non gli sarebbero mai più bastate.
Con un gesto studiato ed elegante battei la mano sulla coperta, per
dirgli di sedersi lì. Lui si avvicinò. Sapevo che presto
non sarebbe più riuscito a controllarsi, ma non volevo che
venisse prima del tempo, quindi sapevo che non dovevo tirare troppo la
corda, ma neanche far finire tutto subito.
Si sedette e io mi misi davanti a lui. Avevo il più totale
controllo, sapevo che era in mio potere, che mi desiderava
disperatamente. Mi mise le mani sui fianchi. Io non opposi alcuna
obbiezione. Perciò lui si fece più audace, anche se
continuava a guardarmi, quasi chiedendomi il permesso. Mi
avvicinò un po’ più a sé e cominciò a
baciarmi. Mi piaceva come mi baciava, con voglia, con gusto, quasi
volesse mangiarmi, cibarsi di me, voleva possedermi completamente,
voleva ogni parte di me. Io gli misi le mani sulla nuca e lo premetti
sulla mia pelle, incentivandolo a continuare, a fare ciò che
voleva.
Le sue mani mi palpavano, scorrevano ovunque, quasi non credesse di poter soddisfare la sua voglia, finalmente.
Il suo viso si abbassò, andò sempre più
giù, fino alla fighetta. Aprì la bocca e cominciò
a darmi dei veloci colpi di lingua. La faceva guizzare, non voleva
darmi una totale soddisfazione, mi voleva dare un po’ di frustrazione,
farmi desiderare di più. E così mi resi conto che i ruoli
si erano invertiti. Ora era lui ad avermi in suo potere. Ma volevo
essere io a condurre il gioco. Mi ritrassi lentamente da lui, non
volevo che pensasse che non mi piacesse più. Ma non volevo
neppure perdere il controllo. Volevo essere io ad avere le briglie in
mano. Gli intimai di stendersi, in modo perentorio. Adesso lo avrei
stuzzicato fino all’esasperazione.
Salii sul letto in piedi, con i tacchi. L’equilibrio era un po’
precario, ma feci attenzione. Mi misi in modo che la mia fighetta fosse
proprio davanti a lui.
Lo guardai, sfidandolo.
– La vuoi? – chiesi, con voce bassa e invitante.
Lui fece cenno di sì con la testa.
Io allora mi appollai sulle ginocchia, davanti al suo viso. In questo
modo ero scomodissima, ma la mia fighetta era proprio lì davanti
a lui. Sentivo il suo respiro accarezzarla. Lui riprese a leccarmi con
la lingua, questa volta più avidamente. Si vedeva che stava
diventando difficile per lui. Ogni tanto io mi sottraevo per gioco ai
suoi colpi, invitandolo a sforzarsi di più.
– Avanti, vieni a prendertela. Prendila, forza!
Lui continuava a colpire il clitoride con la punta della lingua. Stanca
di quella posizione, con le gambe un po’ doloranti, decisi di dare a
lui e a me stessa un po’ più di soddisfazione.
– Entrami dentro con la lingua, mettimela dentro.
Lui non se lo fece ripetere e cominciò a leccarmi come se da
questo dipendesse da tutta la sua vita, con passione, con frenesia.
Io mi sedetti letteralmente su di lui, portandomi indietro col bacino
abbastanza da poter toccare la sua asta. Facevo scorrere le mie mani
lungo quel duro pezzo di carne e l’impedimento del tessuto non faceva
altro che fare aumentare la mia voglia. Volevo prenderlo in mano,
volevo guardarlo. Adoravo il pene di mio marito, nonostante per anni mi
fossi sentita in colpa per il naturale desiderio che avevo per lui. Lo
adoravo e lo volevo. Volevo toccarlo, vederlo, sentirne l’odore,
gustarlo, sentirlo fremere nella mia bocca, pulsare.
Intanto lui mi penetrava con la bocca, facendomi godere da impazzire. I miei umori colavano lungo il suo viso, la sua pelle.
Mi alzai lentamente, dicendogli di stendersi per bene. Lui si mise
dritto sul letto, con la testa sul cuscino. Mi tolsi le calze di nylon
e gli legai i polsi alla testiera del letto. Questo era sempre stato un
mio desiderio, che per tanti anni avevo cercato di cancellare dalla
mente. Ma ora avevo l’occasione per metterlo in pratica e non volevo
farmela scappare.
Mi accertai che i nodi fossero abbastanza stretti ma non troppo. Tanto
sapevo che, anche se lo avessi legato di più, in preda alla
frenesia di possedermi, lui le avrebbe sapute rompere, quindi non
sarebbe servito a nulla.
Gli aprii la cerniera dei pantaloni. Sotto il tessuto vedevo spuntare
un meraviglioso bozzo promettente. Era eccitato all’ estremo. Era ora
di concedere a tutt’e due il perfetto epilogo di quel filmino.
Gli sfilai i calzoni. Passai le mani lentamente sui boxer, lungo
l’interno coscia. Lui gemeva a quel contatto. Non gli toccavo mai
direttamente l’asta, ci andavo solamente vicino e questo desiderio
costantemente inappagato lo faceva impazzire ancora di più dalla
voglia. Presi l’elastico dei boxer e tirai verso il basso. Lui si
inarcò un po’ per facilitarmi le cose. La sua asta si ergeva
dritta. La toccai. Era durissima. Istintivamente abbandonai ogni
inibizione. Cominciai a passarmi il suo pene sulla pelle, lo misi
nell’incavo dei seni e glielo massaggiai, mentre gli facevo passare
sopra la punta della lingua. Aveva un forte odore di maschio, ma sapeva
anche di pulito, il che mi piaceva. Mi misi in modo che il pene
puntasse dritto verso la mia fighetta. Cominciai a dondolare il bacino
in modo che sulla punta della sua asta lui potesse sentire i miei umori
ma non riuscisse ad avere di più. Mi divertivo a stuzzicarlo. Il
suo respiro ansante riecheggiava nella stanza.
Poi glielo presi di nuovo in mano e lo feci penetrare dentro di me.
Riuscivo a sentirlo tutto. Continuai a muovere il bacino, alzandomi ed
abbassandomi su di lui, aumentando e rallentando il ritmo come
più mi piaceva. Però non mi bastava. Volevo sentire le
sue mani su di me, così lo slegai. Finalmente libero, lui mi
prese dai fianchi, mi rovesciò di lato e si mise sopra di me. Mi
piaceva sentirlo su di me, sentire il suo corpo che spingeva. Ben
presto il suo ritmo accelerò e più andava veloce
più mi faceva eccitare. Cominciai a urlare dal piacere,
fregandomene che dalle altra stanze mi si potesse sentire o no. Sentivo
la sua virilità affondarmi dentro in modo sempre più
prepotente e incontrollato. A un certo punto lo sentii chiaramente
fremere. Lui estrasse velocemente il suo pene da me. Vedendo la sua
asta dura lì davanti, la presi e cominciai a leccarla
avidamente, sentendo il sapore dei miei umori sopra la sua pelle. Lui
fremette di nuovo e allora un violento e caldo fiotto di sperma mi
invase la bocca, fuoriuscendo dalla labbra e riversandosi sul corpo. Io
lo ingoiai e leccai ancora per bene la sua meravigliosa asta, che
andava rilassandosi.
Spossati e sereni, ci stendemmo sul letto e ci addormentammo.
La mattina dopo lui mi svegliò con un bacio, cosa che non succedeva dai primi tempi in cui eravamo stati sposati.
Sorridendogli, gli chiesi con ironia: – Piaciuta questa nuova esperienza?
Lui assentì, con uno sgurado negli occhi che indicava che la voglia stava di nuovo prendendo possesso di lui.
– Potremmo ripeterla – dissi.
– No – rispose lui – la prossima volta che lo faremo dovrà essere ancora meglio.

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