Era una splendida giornata d’inverno e la regina era seduta a cucire quando si punse il dito con l’ago e caddero tre gocce di sangue sulla neve. Essa n rimase così colpita che espresse il desiderio di avere un figlio o una figlia con i capelli neri come l’ebano, le labbra rosse come il sangue e la pelle bianca come la neve. Qualche mese dopo fu accontentata e nacque un bimbo bellissimo proprio con queste cartteristiche e gli fu dato un nome insolito per un maschio ma rispecchava pienamente le sue peculiarità fisiche ‘Bianconeve’ perché la sua pelle era bianca come la neve, le sue labbra carnose e rosse, i suoi capelli neri.
Ma la gioia di un figlio, il primo, venne presto soffocata dal dolore per la morte del re avvvenuta in battaglia. La regina doveva trovare presto un nuovo compagno perché il rischio che il vasto territorio fosse oggetto di saccheggi e assalti era molto alto sapendo che al governo c’era solo una donna, per quanto valida e capace. Fu così che essa scelse il male minore, un nobile un po’ povero che non poteva rifiutarsi e dire no, ma che era sufficientemente intelligente da lasciare il governo del regno a chi ne era capace ossia la regina. Passati alcuni anni di fedeltà sessuale piena alla regina, anni in cui egli si dedicava a infilzarla ogni sera con il suo notevole batacchio procurando ad entrambi piacere reciproco, il menàge portò i due protagonisti a raggiungere la pace dei sensi. L’una si stancò dell’irruenza del marito, che comunque restava un buzzurro, preferendo un po’ alla volta la quieta compagnia delle sue ancelle che le procuravano orgasmi non meno violenti di quelli ottenuti con il consorte. L’altro invece si stancò della figa e, poiché la regina rifiutava di concedergli il secondo orifizio, il suo desiderio si concentrò verso l’appagamento di questo desiderio. Fu così che il patrigno di Bianconeve, Grimildo, si dedicò a godere dei piaceri che la posizione gli offriva, assecondando le spinte che la sua natura brutale e godereccia gli dettavano.
La sua perversione cresceva con il tempo e trovò un alleato inatteso in uno specchio magico che egli un giornò rinvenne in una soffita dimenticata nel castello. Questo prezioso strumento gli permetteva di individuare con precisione le vittime della sua libidine sfrenata. Oramai, come già detto, la passione gli aveva fatto distogliere gli occhi dal popolo muliebre e si era invece concentrato nel piacere di dominare i migliori rappresentanti del suo stesso sesso. E pertanto quando lui sentiva il bisogno di un nuovo piacere raffinato la domanda che poneva allo specchio era ‘Specchio delle mie brame, chi ha il più bel culetto del reame?’ La sua immagine allora scompariva e, mentre lo specchio gli parlava illustrando le capacità del ‘miglior culetto del reame’, gli appariva l’effige del suo nuovo obiettivo. Chiamava allora un bracconiere fidato che pagava profumatamente e si faceva condurre a castello la sua vittima. Qui la rinchiudeva in una zona del castello non usata e per giorni si dedicava a godere del giovane bocciolo che lo specchio gli aveva siggerito. Spesso si faceva aiutare nelle sue bisogna dal bracconiere e comunque, quando il desiderio era scemato, l’avventura terminava sempre nello stesso modo, ossia il malcapitato veniva strangolato mentre la verga possente di Grimildo gli squassava le viscere ottenendo così due effetti: un orgasmo violentissimo per il principe consorte e la morte in preda alle convulsioni frenetiche per l’amante oramai da gettare. Il principe consorte, attratto dalla scoperta dello specchio magico cominciò a dedicarsi allo studio e alla applicazione della magia nera dove cominciò ad acquisire una certa dimestichezza.
Gli anni erano passati e Bianconeve era crescito facendo risaltare tutta la bellezza che sua madre aveva auspicato. Non era una bellezza tipicamente mascolina, si può dire che egli assomigliava più ad una acerba fanciulla che ad un maschio che si stava formando. Questo era acuito dal suo gusto per tenere i capelli, neri come l’ebano, lunghi fino alle spalle, dal contrasto tra il colore di essi e la sua pelle bianchissima e delicata che trovava nella bocca piena e carnosa, rossa come il sangue vermiglio, il complemento, quasi fosse una cigliegia su una torta di panna e cioccolato.
Bianconeve avvertiva le pulsioni che gli ormoni della crescita gli lanciavano in maniera sempre più potente, ma, forse per il suo carattere timido, non aveva il coraggio di confidarsi con i tanti armigeri che lo circondavano e questi, a disagio con una bellezza che dava alla testa, evitavano qualsiasi contatto al di fuori degli obblighi istituzionali. Fu così che egli, quando non doveva studiare, frequentò l’entourage muliebre della madre e si scoprì a proprio agio nell’ascoltare i loro discorsi e nel partecipare alle discussioni. Il suo precettore era un uomo anziano, che oramai quasi del tutto si era dimenticato le pulsioni che avevano attraversato il suo corpo in gioventù, che incuteva terrore e non indulgeva alla confidenza. La sua educazione sentimentale era tutta racchiusa nelle confidenze che riusciva a carpire quando le cuoche o le cameriere si confidavano sui loro affari di cuore e di sesso.
Sentire parlare continuamente di essere riempiti dall’uccello del proprio uomo e del piacere che esso procurava lo stava lentamente portando ad immedesimersi con questo tipo di piacere e non a quello che più naturalemnte lo doveva portare a desiderare di essere lui l’infilzatore. Una sera d’autunno il languore, che sempre più spesso lo coglieva e che poi lo faceva ritrovare il mattino seguente tutto bagnato con un liquido biancastro e appiccicoso di cui non osava chiedere a nessuno, lo spinse ad aggirarsi per il castello avvolto nell’oscurità. Raggiunse così le cucine dove lavoravano di giorno le donne che frequentava e percepì alcuni rumori sommessi provenire da una dispensa. La luce tremolante di una candela filtrava da uno spiraglio della porta. Si accostò con il cuore in gola e rimase allibito davante allo spettacolo che gli si offrì davanti agli occhi: finalmente potè vedere effettivamente come avveniva quello di cui aveva tanto sentito parlare e che aveva sognato nelle notti turbate dagli ormoni della crescita. Giovanna, la cuoca era prona sul tavolo con le gonne sollevate ed uno sguardo sognante sul viso mentre uno dei giardinieri le tastava a piene mani le tette denudate e intanto le infliggeva dei colpi con il bacino. Giovanna sembrava gradire molto questi colpi tanto che sospirava ogni volta che l’uomo si accostava alle sue terga e finalmente Bianconeve capì.
Tutto quadrò nella sua testa e i vari spezzoni di discorsi andarono a posto come un puzzle che lo aveva ossessionato a lungo ma che poi gli si offriva con la chiave di soluzione giusta. La mano gli corse naturalmente a ghermire il suo membro che si ergeva duro da fargli male, strinse la base e cominciò a muovere i fianchi con il ritmo con il quale il giardiniere infiocinava la cuoca. Questa oramai stava urlando e sbottò ‘Dai spaccami il culo!’ L’altro ribadì ‘Sì baldracca che non sei altro, adesso ti rompo proprio il culo!’. Bianconeve sentì le ginocchia che gli venivano a mancare dalla violenta scossa che queste parole avevano prodotto nel suo cervello e avvertì un caldo languore salirgli dal basso ventre e cominciò ad eruttare il liquido bianco come la sua pelle che insozzò la superficie della porta. Spaventato il principe corse alla sua stanza e, affannato, vi si rinchiuse dentro ad aspettare che le emozioni che lo avevano scosso si placassero. L’indomani ronzò come un’ape paziente vicino a Giovanna per cercare di cogliere alcuni commenti su quanto aveva visto di persona e finalmente la sua pazienza ebbe ragione. Più tardi si avvicinò alla cuoca Carla, una delle dame di compagnia della madre che accostandosi ad essa le chiese ‘Allora come è andata stanotte con Marcello?’ ‘Ah mia cara quest’uomo ha proprio un bell’uccello: prima mi ha fatto diventare liquida infilandomelo nella figa, poi, quando è stato bello umido me lo ha schiaffato nel culo e allora non ci ho più visto dal piacere, sono venuta come la più lurida delle bagasce!’ ‘Ma davvero è così bravo?’ ‘Oh te lo garantisco io! Se una delle prossime sere non sei impegnata cerca di farti fare compagnia perché quando ti senti ravanare le viscere da quel bel pestello dimentichi tutto!’ Carla era turbata dal racconto e Bianconeve notò che si era accostata allo spigolo di un tavolo e muoveva il bacino impercettibilmente ma sistematicamente nell’ascoltare il racconto dell’amica cuoca.
Quindi era questo che si provava a fare sesso? Nella sua ingenuità ed ignoranza delle cose della vita Bianconeve sentiva però impellente il bisogno di sanare queste lacune. Cominciò allora a girare di notte per le stanze del castello alla ricerca di amplessi e del proprio solitario piacere. Rimase stupito di quante donne amavano prendere le mazze dei maschi nel loro orifizio posteriore. Scoprì i vari modi di dare e darsi piacere. Una sera vide una aiutante di cucina, oramai in là con gli anni e quindi poco ambita dai maschi del castello, che si stantuffava un candelotto nella passera, poi dopo avere profanato la propria figa con quella nerchia improvvisata, passò a roteare il moccolo all’imboccatura del culone prima di infilarselo anche nell’entrata di servizio. Ma una notte fece una scoperta ancora più sconvolgente. Attirato da un rumore di sospiri che oramai aveva imparato a riconoscere si avvicinò ad una porta solo accostata. Gli si presentò davanti lo spettacolo dell’uomo che Giovanna aveva chiamato Marcello, che stava infilzando un giovane garzone piegato su alcuni sacchi di farina e che porgeva i propri fianchi denudati all’irruenza dell’invasore. Ma questa intrusione non trovava il giovane dispiaciuto anzi chi urlava di più il suo godimento era proprio lui che implorava il defloratore a spingersi più a fondo e a riempirlo del tutto.
Era uno spettacolo troppo forte e inatteso e Bianconeve si ritirò nella sua stanza senza aver concluso con il suo solitario godimento. Si stese sul letto e cercò di calmarsi, poi fu preso da una illuminazione improvvisa. Afferrò la candela spenta sul tavolino a fianco del letto e la puntò all’ingresso del proprio ano. Provò a spingere ma sentiva gli sfinteri che opponevano resistenza. Ricordò quello che aveva visto fare una sera e si infilò la candela in bocca per inumidirla quindi la fece roteare sulla rosetta che racchiudeva l’entrata al suo paradiso intimo e poi provò a spingere di nuovo. Questa volta essa entrò di un paio di centimetri. Senti i muscoli stringere per ricacciare l’intruso ma aspettò che gli spasmi terminassero per procedere con la propria deflorazione anale. Piano piano essa si completò e, giunto che fu alla fine ritirò fuori il moccolo. Avvertì un improvviso vuoto nelle sue viscere e corse a sanarlo. E così infilando e togliendo sentì che il fastidio dell’intrusione lasciava posto ad un piacere sconosciuto cui si abbandò con naturale spontaneità. Quando ci fu il coronamento del lento lavorio egli venne scosso da un orgasmo che mai prima di allora avava conosciuto e lasciò che esso lo travolgesse come un fiume in piena.
Da quella sera le sue ricerche notturne si intensificarono e, quando non trovava niente che lo sollecitasse a placare il desiderio del suo uccello con la mano, si ritirava nella propria stanza e si consolava con un bel candelotto, lubrificato con olio, stantuffato nel proprio bel sedere. Crescendo le sue forme avevano acquistato una certa rotondità proprio lì dietro dove il suo culetto prendeva forma e cominciava a costituire una attrattiva allo sguardo libidinoso delle guardie e di tutti i maschi del castello. Di questo era ignaro perché concentrato sulle proprie pulsioni anteriori e posteriori. La sua vita però prese una piega che l’avrebbe cambiata per sempre quando, nel corso del suo girovagare notturno non raggiunse le stanze dove Grimildo teneva imprigionate le suoe vittime e dove ne abusava. Seguì al solito la direzione da dove proveniva una luce di torcia e rimase stupito di trovare stanze che erano ripostigli o cucine o camere da letto, ma prigioni con la porta robusta e una finestra con le sbarre per osservare il prigioniero. E proprio dalla finestra egli gettò lo sguardo nella stanza e si sentì agghiacciare da quanto vide. Un giovane nudo era steso piegato su un tavolo con le braccia incatenate e le terga protese all’infuori. Il bracconiere, che Bianconeve non conosceva, si stava facendo fare un bocchino tirando per i capelli il malcapitato mentre Grimildo con una spaventosa nerchia si stava appropinquando ai fianchi dello stesso. Un secondo poi il colpo per infilarsi prepotentemente nel culo impreparato. Nonostante la bocca fosse impegnata, un urlo di dolore proruppe dalle corde vocali del giovane ed andò ad agghiacciare il cuore di Bianconeve. Il principe assistette così alla brutale violenza con cui il patrigno cercava di placare la libidine perversa che lo possedeva incurante del dolore che scuoteva la giovane vittima.
Scappò inorridito di fronte a tanta brutalità e, da quella sera evitò accuratamente di aggirarsi di notte per il castello. Ma le sue pulsioni crescevano perché oramai aveva quasi raggiunto il traguardo dei 18 anni e la natura richiedeva il suo giusto pagamento. Si fece allora coraggio e avvicinò il giovane garzone, Pierino, che aveva visto infilzato da Marcello e cercò di superare la barriera che negli anni si era venuta a creare tra lui e la popolazione maschile del castello. Volle che fosse Pierino a sellare il suo cavallo quando andava di pomeriggio a galoppare, e che fosse lui ad accudirlo quando tornava. Si fermava allora a parlare con il giovane per cercare di capire quanto si poteva spingere avanti nella sua disperata ricerca di sesso. L’occasione venne quasi spontanea un giorno d’estate quando si fece accompagnare in una passeggiata nelle campagne circostanti al castello, oltre un bassa collinetta ricoperta da cumuli di erba tagliata. Il profumo del fieno che si stava formando era inebriante e Bianconeve trovò naturale gettarsi su uno di queste cataste e rotolarsi nel foraggio. Pierino ridendo gli disse ‘Stia attento principe che ci sono anche spighe che si infilano e poi camminano lungo il corpo!’ Colpito da improvvisa illuminazione Bianconeve esclamò allora ‘Ah è vero! Una è entrata nei calzoni. Dai aiutami a cercarla perché mi da fastidio’ E così dicendo tirò giù i pantaloni. Pierino prudentemente si avvicinò al principe deglutendo a fatica di fronte allo splendido spettacolo del corpo così tenero ed appetitoso. ‘Dov’è signor principe?’ ‘Deve essere qui’ rispose il figlio della sovrana indicando il proprio uccello che cominciava a svettare. Pierino era giovane ma non stupido e capì che il suo compito era di dare sollievo al principe ma non trovò affatto disdicevole dedicarsi a questo compito che rappresentava anzi il coronamento di un suo desiderio.
Afferrò così con la bocca quella verga prorompente e perfetta che svettava da un boschetto di peli neri come l’ebano e brillava come una torre di ghiaccio tanto era candida la pelle anche lì. Leccò a lungo l’asta e le palle e per farlo meglio si posizionò a cavalcioni sopra il principe e rimase un attimo sorpreso quando sentì le mani del nobile tirargli giù le braghe e cominciare a carezzarlo nelle intimità. Fu così che il giovane principe sperimentò il primo sessantanove e potè gustare il succo del suo partner già avezzo a giochi del genere. Soddisfatti si diedero appuntamento per il giorno dopo nella stalla ad un’ora in cui non erano presenti stallieri. E fu lì che il principe potè assaggiare il piacere sublime di intingere il suo augusto biscotto nel culetto morbido e accogliente di Pierino spargendo il suo seme nelle viscere del giovane partner. L’indomani fu la volta di Pierino di soddisfare l’altro desiderio del principe e quando finalmente la sua mazza fu dentro completamente alle nobili terga, Bianconeve si sentì realizzato e riempito come tante volte aveva sentito dire dal popolo muliebre. Godette come mai la candela aveva potuto fare e si lasciò andare ai vigorosi colpi che Pierino infliggeva al suo ancora poco avezzo culetto. Quando infine il suo condotto venne invaso dal caldo e appiccicoso fluido biancastro sentì prorompere dai propri lombi il caldo appagamento di un orgasmo squassante. Fu un’estate nella quale il più esperto Pierino potè insegnare al suo signore tutte le cose che aveva imparato e renderlo avezzo ai piaceri dell’amore tra maschi.
Un giorno si trovavano distesi nudi e placati dai loro ardori su un cumulo di fieno quando Pierino gli parlò di un bracconiere che ogni tanto si faceva vedere nei dintorni e che da qualche giorno lo stava osservando con attenzione. Bianconeve se lo fece descrivere e vi riconobbe l’immagine dello spregevole partner di perversione del proprio patrigno. L’immagine angosciosa ricomparve alla sua mente e fu naturale per lui dire all’amico ‘Stati attento perché è pericoloso!’ Pierino annuì. Fu con una certa sorpresa e profondo disappunto che il principe scoprì che l’amico l’indomani era sparito. ‘Senza dirmi niente! Come è possibile?’ Si chiedeva. Si interrogava inoltre sulla propria capacità di riconoscere le persone e i sentimenti e gli sembrava di non aver colto alcun segnale di questa imminente scortesia. Passarono alcuni giorni in cui cercò di avere discretamente notizie del garzone fino a che gli tornò alla mente il racconto del bracconiere che aveva ‘adocchiato’ il suo amico. Una fitta di paura abissale attreversò il suo cuore e tutto il corpo, ma essa non potè impedirgli di prendere la decisione di recarsi nottetempo nelle stanze dove Grimildo compiva le sue inenarrabili nefandezze.
Quando le guardie si ritirarono, uscì cautamente dalla propria camera e ripercorse il tragitto da lui fatto solo una volta fino a che, con angoscia, scorse la torcia brillare nella stanza delle torture. Si avvicinò alla inferriata che consentiva la vista dell’interno e, atterrito guardò. Era proprio Pierino il giovane che si trovava nudo incatenato sul tavolo a porgere il deretano alle violazioni del patrigno di Bianconeve. Lo sentì supplicare ‘Anche stasera no! Ti prego. Dimmi cosa devo fare perché non mi massacri il culo anche stasera?’ ‘Non temere giovanotto domani non avrai più di questi problemi e vedrai che stanotte godrai come non pensavi. Perché sotto sotto tu sei una lurida bagascia’. Comparve il bracconiere con in mano uno strano arnese che somigliava ad un cazzo di metallo ma di dimensioni superiori a quelle di Pierino e Bianconeve. Lo strumento venne intinto in un liquido oleoso e poi infilato senza pietà nelle terga del garzone. Un urlo che spezzava il cuore gli uscì di bocca ma questo non fermò Grimildo che anzi continuò ad andare su e giù con il dildo metallico. ‘Voglio che stasera tu sia bello accogliente!’ Fu la spiegazione cui seguì una risata sardonica.
Ancora pochi minuti di preparazione poi il consorte della regina si denudò rivelando una nerchia di notevolissime dimensioni come mai era capitato di vedere al giovane Bianconeve. Era turgida e bitorzoluta con la cappella paonazza ed enorme. Alla sua vista il principe tremò ma al tempo stesso ne fu affascinato per la potenza che emanava e, solo per un attimo, accarezzò il pensiero di ricevere un tal dono di Dio nel proprio culetto. Fremette ma scacciò il pensiero perché ora la ‘fortuna’ toccava al suo amico. Il dildo metallico venne sostituito dalla clava di carne dura di Grimildo e fu comunque un momento di sofferenza per il povero Pierino che si ritrovo riempito in ogni angolo da quello strumento di piacere e tortura. Ma il perverso regnante voleva far durare a lungo il proprio piacere e attese fino a che i tessuti del giovine garzone si adattarono all’ospite mastodontico. Allora cominciò a percuotere le terga con possenti colpi del suo randello con una violenza tale da far tremare il tavolo cui era incatenato lo sventurato. Bianconeve soffriva ad ogni colpo ma, con il passare dei minuti avvertì nelle urla di Pierino un cambio di tono, come quando giocavano assieme e si stava avvicinando al piacere. Si chiese come fosse possibile che un dolore così intenso potesse portare alla goduria e all’appagamento profondo. Ma fu con orrore che vide Grimildo arrotolare un laccio attorno al collo del suo amico. Cominciò a stringere e negli occhi di Pierino, dove prima stava cominciando a comparire l’immagine del piacere apparve lo spettro del terrore. Adesso ad ogni colpo inferto Grimildo stringeva impercettibilmente il laccio attorno al collo dello sventurato. Quando infine la vita abbandonò il povero Pierino le su viscere si contrassero provocando l’orgasmo intenso che il perverso principe consorte aveva cercato.
Ancora sbigottito Bianconeve vide il patrigno ritirare il suo maestoso uccello che cominciava a perdere consistenza e ordinare al bracconiere ‘Fai sparire il corpo. Ti chiamo tra un mese. Tieni!’ e dicendo così gli lanciò un sacchetto tintinnante di monete. Il principe capì che era il momento di ritirarsi e, anche se sconvolto dalla crudeltà dello spettacolo, si chiuse nella propria stanza a piangere la scomparsa dell’amico. Ebbe notti popolate di incubi dove rivedeva uno ad uno i particolari di quella tragica notte. Ma non poteva fermare la forza della natura e della vita e i suoi pensieri si concentrarono con il passare delle notti sempre più sui dettagli eccitanti e non su quelli che gli portavano angoscia e, fra le immagini che lo ossessionavano maggiormente era il randello possente di Grimildo. Fu così che riprese il gioco solitario della candela per placare il bruciore che avvertiva all’ingresso del suo posteriore. Ma egli non sapeva che si stava avvicinando lo scadere del mese che il principe consorte si concedeva tra un giovine ed un altro.
Fu così che una sera Grimildo salì nella soffitta dove si trovava lo specchio magico e pronunciò la solita importante domanda ‘Specchio delle mie brame, chi ha il più bel culetto del reame?’ e fu con sorpresa che vide l’immagine del proprio figliastro infilarsi una candela nel culo. Il cazzo gli venne duro all’improvviso e si rammentò della figura cui non aveva mai dato più di tanto occhiate perché non era mai stato sfiorato neanche per un istante dal pensiero di poter insidiare il figlio della sua moglie, che, tanto cara si, ma anche spietata e decisa. Sentiva crescere il desiderio di godere di quel corpo delicato e succoso ma al tempo stesso sentiva che era pericoloso e non poteva permettersi di commettere un qualsiasi errore. La scelta era una sola: o tutto filava liscio oppure era meglio uccidere il principe per impedirgli di raccontare qualsiasi cosa. Chiamò il bracconiere e si raccomandò il suo silenzio con una paga tripla del solito e gli spiegò in dettaglio cosa voleva. Se il tentativo falliva più di una volta bisognava uccidere il giovane principe e lui doveva portargli il suo cuore per essere sicuro che questo era avvenuto. Solo allora, alla consegna o del principe in carne ed ossa o del suo cuore, avrebbe ricevuto altrettanto denaro da quanto ricevuto.
Anche il bracconiere capì la delicatezza di quanto stavano per fare ma i soldi era veramente molti e, forse, avrebbe potuto con la fortuna accumulata, sparire e liberarsi dell’ingrato compito che cominciava a pesargli. Fu per questo motivo che, un paio di giorni appresso, Bianconeve vide in lontananza, mentre stava passeggiando a cavallo, un cavaliere avvicinarsi proveniendo dal bosco. Aguzzò la vista e, non appena fu sicuro di aver intravisto il volto del bracconiere, si lanciò verso il castello inseguito per un pezzo dal brigante. Arrivato in salvo corse dalle guardie al ponte levatoio intimando di andare a caccia dell’uomo che lo aveva seguito ma rimase sorpreso quando esse obiettarono che non si vedeva nessuno in lontananza. Era vero. Il bracconiere, capita la mala parata, si era dileguato guadagnando l’omertà della boscaglia. Il giovane principe era preoccupato ma non osava recarsi dalla madre a svelare il suo segreto. Era in fondo la sua parola contro quella del patrigno e la madre, per salvaguardare l’equilibrio all’interno del regno, forse avrebbe preferito non prendere alcuna decisione. Si ripromise di stare all’erta e, se si fosse verificato un altro episodio, di andare dalla regina.
Il giorno seguente cavalcò prudentemente rimanendo alla vista del castello e osservando continuamente la direzione dove era apparso il bracconiere il giorno precedente. Non si accorse perciò che l’uomo aveva furbescamente previsto il suo comportamento e aveva scelto di attaccarlo tagliandogli la strada verso il castello e spingendolo verso il bosco. E questa fu la scelta che Bianconeve dovette prendere per cercare di tenere a distanza il malvagio. Si infilò al galoppo nell’inviluppo di rami, frasche e cespugli e, con il viso e il corpo frustati dagli arbusti, continuò a scappare addentrandosi sempre più a fondo nel bosco. Ma purtroppo il suo cavallo si ritrovò all’improvviso un grande albero abbattuto di fronte e pensò bene di bloccarsi immediatamente e lo scagliò violentemente oltre al tronco. Così disarcionato il puledro si lanciò senza guida a raggiungere la pace della stalla lasciando il suo cavaliere a piedi e indifeso. E fu così che lo trovò il bracconiere giunto poco dopo, ancora disteso a terra, gli abiti stracciati, i grandi occhioni neri attraversati da una paura devastante. L’uomo scese davanti a lui con il pugnale in mano e rimase a guardarlo per bene alcuni minuti senza proferire parola. Prese allora coraggio il giovine principe e implorò ‘Ti prego, non portarmi al castello da Grimildo. Per quanti peccati io abbia potuto commettere non merito di certo di finire ucciso per il bieco piacere del mio patrigno!’ Una ridda di pensieri attraversavano la mente dell’uomo mentre si faceva tutti gli scenari possibili nel proprio cervello cercando di trovare la soluzione migliore in quella situazione estremamente pericolosa. Nel fare questo il suo sguardo percorreva il corpo del giovane a terra e, con una frequenza sempre maggiore, si soffermava sulle rotondità posteriori e questo iniziava a procurargli un certo rimestolio nel basso ventre.
Bianconeve se ne accorse e, preso dalla disperazione, si offrì all’uomo implorando pietà. Il bracconiero si rese conto che, se avesse goduto del tenero culetto principesco, non avrebbe mai potuto poi consegnare il giovane al patrigno perché egli avrebbe potuto rivelare il segreto. La soluzione gli apparve allora chiara e precisa. Cominciò a slacciarsi la cintura ‘Se desideri la vita salva devi rinunciare a tornare nel castello. Lo vuoi?’ ‘Sì farò quello che mi chiederai’ ‘Dopo che avremo fatto sesso, prenderai e andrai sempre dritto nel bosco, passerai i sette fiumi e i sette monti e lì potrai cercare qualche contadino che ti possa accogliere e resterai nascosto fino a che non Ti giungerà la notizia che tuo patrigno è morto. Se ti farai vedere prima, tornerò, Ti cercherò e ti ammazzerò come un cane!’ Dicendo lo afferrò con la mano possente alla gola cominciando a stringere. Il principe non comprese che la posizione si sarebbe fatta difficile anche per l’uomo ma, atterrito promise solennemente con un giuramento.
Un sorriso laido attraversò il volto del cacciatore di frodo che si potè tranquillamente dedicare a gustare l’augusto pasto. Strappò con violenza gli abiti al principe e, quando se lo ritrovò nudo di fronte, restò abbagliato dalla bellezza del corpo, dal colore della carne, dei capelli e della bocca. Si spogliò completamente e volle godere di ogni centimetro di carne che il destino gli aveva portato su un vassoio d’argento. Bianconeve, che vedeva allontanarsi lo spettro di una morte prematura, sentì scendere la tensione e contemporaneamente principiò ad avvertire le sensazioni che il suo corpo gli ritornava a seguito delle laide attenzioni dell’uomo. Questi leccò ogni centimetro della candida pelle, morse i capezzoli, gustò il biscotto regale, si perse nell’afrore delle chiappe tonde, leccò la rosellina posta a baluardo estremo delle intimità, la forzò prima con un dito, poi con altre due avvertendo il cedimento delle barriere. Il principe oramai ansimava pregustando la sensazione imminente di essere penetrato e, quando questo avvenne, si lasciò abbandonare tra le possenti braccia del bracconiere inebriato anche dall’odore di maschio che proveniva dal vigoroso corpo.
E fu così che i due uomini trovarono l’uno nell’altro, non un avversario, ma un compagno, e si accompagnarono insieme a cogliere un piacere inedito. Mai al bracconiere era capitato di poter godere di un corpo così piacevole, né al principe, nella sua pur breve esperienza sessuale, era successo di essere posseduto con sapienza da un uomo maturo, energico e ben dotato. Si abbandonarono per lunghi minuti ad assaporare l’uno il piacere di essere accolto nell’antro umido e ancora inesperto del principe, all’altro di venire riempito da un bastone pulsante di carne calda che occupava qualsiasi meandro delle sue viscere. Quando infine la natura fece il suo corso e il frutto del piacere di entrambi proruppe violentemente, fu come se una dolce sensazione di pace invadesse le membra dei due maschi quasi fosse pace dopo la tempesta dei sensi. L’uomo si rialzò e, vestendosi, ricordò a Bianconeve il giuramento. Si fece dare i pantaloni del principe perché li voleva portare come prova della morte assieme al cuore che avrebbe strappato ad un cerbiatto e lo lasciò nella profondità della foresta mentre il buio della notte stava per principiare.
A castello Grimildo accolse il ritorno ed il racconto del complice con dispiacere per il mancato godimento ma con sollievo perché così un pericoloso testimone era stato eliminato. Pagò come promesso l’uomo e rimasero d’accordo nel rivedersi di lì ad un mese. Non sapeva il consorte della regina che quella sera stessa il bracconiere raccolse tutti i suoi averi e si avviò di nascosto verso il regno vicino. Come d’altra parte il bracconiere non poteva sapere che sarebbe stato derubato ed ucciso appena lasciata la prima locanda dove aveva soggiornato e così il frutto di tanta malvagia disponibilità finì nelle tasche di una banda di briganti da strada. Nel maniero era giunto il cavallo disarcionato del principe e per molti giorni vennero lanciate le ricerche ma del giovane non fu trovata traccia. Questo rasserenò enormemente grimaldo ma addolorò profondamente la regina perché aveva perso sia il figlio adorato ma anche l’erede designato al trono da lei occupato. Questo fatto doveva cambiare le prospettive di alleanze con i regni vicini.
Intanto Bianconeve si addentrava sempre più nel bosco seguendo la direzione indicata dall’uomo che, in fondo, gli aveva salvato la vita. Attraversò un fiume ed un monte poi, stanco, raccolse alcune foglie come giaciglio e vi si gettò a riposare incurante dei rumori inquietanti della notte nella foresta. Ma non sapeva che gli animali avevano capito che lui era un essere umano buono e così decisero di lasciarlo dormire in pace. Il giorno dopo proseguì il suo viaggio cibandosi di bacche e frutti. Camminò per giorni, contò sette fiumi e sette monti e si ritrovò in una foresta ancora più fitta di tutte quelle che aveva percorso e capì doveva aver luogo la sua vita d’ora in poi. Era stanco e, anche se era mattina, non vedeva l’ora di cercare un posto dove riposare. Quando scorse una piccola casetta pensò che poteva andare. Bussò chiamando i padroni di casa ma nessuno rispose. Ritenne allora che fossero fuori perché andati al lavoro e provò a spingere il battente che si aprì rivelando quella che sembrava una casa in miniatura con sette sedie piccole poste attorno ad un tavolo basso, sette letti affiancati uno all’altro lunghi quanto un letto singolo normale. Non resistette e vi si gettò sopra addormentandosi sul colpo. Non lo sapeva ma quella era la casa dove abitavano sette nani che lavoravano scavando diamanti in una miniera sconosciuta ai più.
Quella sera quando i sette tornarono a casa rimasero sorpresi di trovare l’uscio spalancato, le sedie in disordine e un rumore di sospiro profondo provenire dalla stanza da letto. Guardinghi entrarono della camera e rimasero attoniti davanti alla vista dello splendido corpo del principe. Girarono attorno guardando la giacchetta strappata che a malapena copriva le spalle e l’addome del giovane. Ammirarono le gambe slanciate e quasi senza peli, la dolce rotondità del posteriore, il bosco nero che fungeva da base ad un uccello regolare, le labbra rosse e piene, la pelle candida come la neve. Non sapevano cosa fare davanti a questo miracolo della natura, poi alla fine uno si decise e allungò la mano a carezzare una coscia. Il piacere che il contatto con la pelle serica del principe procurò al nano fu tale da fargli spuntare un sorriso di beatitudine sul volto. Allora tutti e sette si gettarono con delicatezza sul giovane corpo, chi leccandone le ferite, chi carezzando le superfici scoperte, Linguolo cominciò a leccare l’asta candida e Succhiolo si immerse nelle chiappe leccando l’apertura dell’orifizio. I mugolii che dalla profondità del sonno risalivano sulle labbra del regale ragazzo furono come un segnale per i nani che lo interpretarono come un invito a continuare. La tensione faceva crescere e indurire le alabarde che albergavano all’interno dei pantaloni e quindi, uno alla volta, se ne liberarono in modo da consentire al fiero scettro di ergersi in tutta la sua maestosità. Bitorzolo scostò Succhiolo , si nominò primus inter pares e posizionò la sua turgida cappella all’ingresso del paradiso spingendo poi lentamente l’attrezzo nel canale lubrificato dalla saliva del compare. Burrolo e Linguolo si passavano di bocca l’uccello regale che oramai splendeva in tutta la sua maestosità, Mazzolo, Tappolo, Succhiolo e Trombolo, mentre con una mano si menavano la verga tesa e dura, con l’altra palpavano chi le rotondità del culetto, chi il petto, chi una coscia.
Bitorzolo spingeva avanti e indietro la sua mazza nell’anfratto principesco con forza e delicatezza al tempo stesso quasi volesse impedire al giovane di svegliarsi dal piacevole sogno testimoniato dal crescendo dei sospiri. Quando però venne il momento, non potè trattenere un mugugno prima di scaricare il suo sperma nelle viscere di Bianconeve. Fu il segnale e in rapida successione gli schizzi degli altri andarono a ricoprire il corpo del giovane mentre il frutto del lavorio di Burrolo e Linguolo fu diviso equamente tra i due. Il principe si stiracchiò beato e contento e aprì gli occhi sbarrandoli un istante dopo alla vista dei nani con l’arma ormai scarica ancora in mano e gli altri due nani con la bocca sporca del suo bianco nettare. Avvertì il defilarsi di Bitorzolo dal suo deretano che cominciava a sgocciolare l’oramai consueto liquido. ‘Ma chi siete!’ ‘Ma dovremmo essere noi a chiedere chi sei tu che sei entrato nella nostra casa e ti sei steso sui nostri letti!’ rispose Tappolo. ‘Avete ragione. Mi chiamo Bianconeve e sono il figlio della regina del regno di Mazzete che si trova al di là dei sette fiumi e dei sette monti’ e iniziò a narrare il motivo per cui si trovava in quelle lande, per sfuggire alla laida bramosia di un patrigno che lo voleva poi morto.
I nani rimasero colpiti dal racconto e senza neanche bisogno di consultarsi gli offrirono ospitalità nella loro modesta dimora. Si presentarono uno ad uno e il principe cercò di ricordarsi i nomi di tutti e questo originò un simpatico gioco. Si ricordarono poi tutti di avere una fame tremenda e quindi andarono a preparare la cena. Bianconeve cercava di aiutare e la sua collaborazione fu ben accolta. La piacevole novità eccitava i sette nani che non erano abituati ad avere ospiti ed erano colpiti dalla bellezza ma al tempo stesso dalla delcatezza del giovane. Dopo cena apprestarono un giaciglio di fortuna in una stanza adibita di norma a salotto ripromettendosi alla prima occasione di costruire un letto adatto al principe.
Cominciò un periodo che fu meraviglioso per tutti gli otto abitanti della casa dei nani. Bianconeve, quando loro erano a lavoro, andava a raccogliere legna, cucinava (non piatti complicati), lavava i panni sporchi e cuciva gli strappi ricordandosi di quanto aveva visto e provato nel gineceo di casa. I piccoli uomini erano contentissimi di avere chi accudiva alle loro esigenze materiali ma soprattutto potevano liberarsi dal noioso tran tran sessuale che aveva oramai esaurito qualsiasi lampo di fantasia. A turno di notte si recavano a fare compagnia al giovane principe che gradiva queste attenzioni anche perché come ricordiamo era soggetto alle pulsioni dell’età e tutte le occasioni per sfogare la sana libidine erano ben accette. Se Burrolo amava accogliere nelle sue tenere terga la mazza regale, Linguolo invece consumava la passione del principe in raffinati ma anche scomodi sessantanove. Gli altri preferivano far assaggiare la consistenza dei loro arnesi e la loro abilità nell’introdursi nel posteriore procurando piacevoli sensazioni e causando orgasmi l’un l’altro.
Dopo una settimana i nani cominciarono a frequentare in due o tre il letto del principe procurandogli e procurandosi piacevoli godimenti. Il massimo della libidine venne raggiunta una notte in cui Bianconeve nel mentre penetrava Burrolo, offriva le sue terga all’ingresso di Tappolo e al contempo succhiava l’arnese di Succhiolo e faceva una sega a Mazzolo e Bitorzolo. Inutile dire che nell’altra stanza Trombolo e Linguolo completavano il concerto di sospiri, mugugni e rantolii dandosi reciprocamente piacere. Si può dire che dopo pochi giorni tutti e sette i nani si erano segretamente innamorati del principe e non solo per il piacere che procurava o per i lavori domestici che sbrigava ma per la delicatessa della persona e la signorilità d’animo. Erano consci che la loro passione non aveva un futuro ma ogni giorno che veniva rappresentava un regalo inaspettato.
Bianconeve si abituò al piacevole andazzo, la mattina colazione, poi consegna del pasto del giorno ad ognuno in cambio di un bacione affettuoso e della raccomandazione di stare attento mentre erano via, quindi i mestieri e la preparazione della casa e del cibo per la sera e infine la notte che riservava sempre piacevoli sorprese. Le settimane che seguirono servirono a cementare il rapporto tra gli otto abitanti della casetta nel profondo della foresta ma una tempesta si stava avvicinando sulle loro teste.
Ettoreschi@yahoo.it Lontano da lì, nel castello del regno di Mazzete, il tremendo Grimildo non riusciva più a resistere dalla pulsione di soddisfare il suo perverso vizio e mandò a chiamare il bracconiere rimanendo stupito del suo mancato arrivo. Lo fece cercare in lungo e largo ed apprese così che era stato ucciso in una bettola lontano da lì. ‘Come mai si era allontanato così tanto?’ era un quesito che aleggiava nella testa del regale consorte. Salì allora in soffitta, appese il suo specchio magico e gli pose la tradizionale domanda ‘Specchio delle mie brave chi ha il culetto più bello del reame’ Fu con profonda sorpresa che davanti a lui apparvero le immagini di Bianconeve vivo e gaudente con i nani del bosco. ‘E’ vivo! Ecco perché il maledetto bracconiere è scappato!’ Comprese immediatamente che tale fatto costituiva un pericolo mortale per lui e non poteva permetterselo. ‘Dove si trova il principe?’ Chiese Grimildo. ‘Al di là dei sette fiumi e dei sette monti, nel profondo della foresta, dove però non lo potrai raggiungere perché circondato da amore ..’ Lo specchio magico non potè terminare la frase che venne scaraventato a terra dalla rabbia del consorte regale e si ruppe in mille pezzi.
Grimildo andò su e giù per la stanza fino a consumarne le lastre di pietra che ne costituivano il pavimento. Alla fine cominciò a formarsi nella sua testa un disegno che si poteva realizzare e che avrebbe significato la sua salvezza ma anche il proprio godimento. Si ritirò allora nelle stanze dove sperimentava la magia e cominciò a scartabellare i libroni polverosi alla ricerca delle due ricette che gli servivano. Le trovò infine e cominciò la lenta preparazione che durava una intera luna. Al termine aveva le due fialette in mano: quella che gli avrebbe consentito di assumere sembianze diverse dalla propria per poter superare la ‘barriera d’amore’ che circondava il principe e quella che avrebbe inferto una inedita morte al suo avversario mortale.
Lasciò detto al castello che sarebbe stato via qualche giorno per andare a caccia e, con questa scusa, si avviò verso il bosco e verso la sua lunga ricerca. Ma anche un altro cavaliere stava avviandosi verso la foresta profonda anche se spinto da altre esigenze. Si chiamava Vilfredo ed era il principe ereditario del regno di Chiappete, confinante con quello di Mazzete. Aveva ricevuto il delicato incarico di prendere contatto con la regina per stringere un patto di alleanza, ma doveva seguire strade nascoste e pericolose perché gli avversari del vicino ducato di Katz En Koul volevano impedire questa unione di forse e approfittarne per assalire il regno del principe. Questi era un giovanotto robusto, avezzo a combattere, con un viso franco ed aperto, coperto da una soffice barba castana. Anche se oramai viaggiava verso i ventisei anni non aveva ancora impalmato nessuna fanciulla con grande dispiacere del re suo padre. Purtroppo, o per fortuna, Vilfredo aveva preso quelle abitudini sessuali che si diffondono nelle persone che vivono a lungo in ambienti frequentati da maschi. Era per questo che preferiva, alle grazie muliebri, i fianchi robusti dei giovanotti, che aveva impalato con il suo oramai famoso uccello, e che di queste attenzioni avevano goduto intensamente.
Grimildo attraversò i sette fiumi e scalò i sette monti, poi ritenne più prudente cessare con le proprie sembianze e, dopo aver pronunciato le formule adatte, ingoiò il contenuto delle fialette, prima quella che rendeva il frutto del suo batacchio velenoso fino alla morte, poi trasformandosi in un tenero fanciullo biondo. Questa trasformazione aveva mutato l’aspetto esteriore ma la forza muscolare e la perversione dell’animo erano immutate. Perciò accompagnato dall’una e guidato dall’altra proseguì all’interno della foresta. Quando gli capitava di incontrare dei cacciatori o dei carbonai chiedeva loro se avevano notizia di un gruppo di nani. Fu proprio un carbonaio che lo indirizzò alla piccola casa nella foresta che era distante non più di mezza giornata di viaggio. Per la preziosa informazione però costui chiese in cambio di poter gustare la profondità delle terga del bel giovinotto biondo e Grimildo fu costretto, per mantenere la propria copertura, ad assaggiare la consistenza del nodoso randello dell’uomo che l’aveva ragguagliato così dettagliatamente. Poiché era da parecchio tempo che il carbonaio non intingeva il biscotto, l’assaggio durò a lungo, talmente a lungo da cominciare a piacere anche al principe consorte. Pertanto quando, dopo aver percorso un buon tratto di strada in comune e giunto il momento di separarsi, l’uomo con la pelle resa nera dal proprio lavoro, chiese il bis al principe consorte, questi prima tentennò un po’ per salvare la faccia, poi si lasciò impalare ricavandone il giusto godimento.
Era giunta la notte e non potè proseguire molto dopo che si era lasciato con il carbonaio. Si costruì un giaciglio di fortuna quindi si addormentò pregustando l’imminenza del suo trionfo e del proprio godimento. L’indomani all’alba si alzò e corse diretto verso la casa dei nani per poter osservare come era la situazione. Assistette quindi alla colazione abbondante da parte degli abitante della graziosa abitazione (in effetti Bianconeve aveva buon gusto e molto tempo a disposizione per cui anche l’esterno della casupola era molto migliorato), quindi al rituale saluto e alle raccomandazioni da parte dei nani che partivano verso la miniera segreta. Aspettò una mezz’ora circa per essere sicuro che essi si fossero allontanati a sufficienza da non poter rappresentare disturbo alcuno al suo perverso disegno quindi diede il via al teatro che aveva preparato. Cominciò ad urlare ‘Aiuto, aiuto!’ con voce sempre più forte poi cominciò a correre verso casa continuando a chiedere soccorso. Bianconeve, incurante delle raccomandazioni dei suoi amici, si affacciò attirato dall’angoscia della voce e vide giungere verso la casa di corsa un ragazzo biondo con abiti discinti e strappati in più punti. ‘Aiuto! Per favore, salvatemi. Un bracconiere feroce mi sta cercando per catturarmi!’ Immediatamente Bianconeve cadde nell’equivoco abilmente studiato e aprì la porta accogliendo così chi lui riteneva essere suo compagno di sventura ma che in realtà era il suo nemico mortale.
Nel frattempo il caso volle che i sette nani, camminando verso la miniera, finirono per incontrare casualmente il carbonaio che aveva dato le indicazioni al principe consorte. Questi chiese loro se era giunto un ragazzo biondo fatto così e colà che girava la foresta in cerca di loro. Dopo un breve attimo di smarrimento essi furono attraversati contemporaneamente dallo stesso oscuro presentimento di morte e si slanciarono verso casa lasciando così di stucco l’incolpevole carbonaio. Ma mentre loro cercavano di guadagnare in fretta, nonostante le corte gambette, la magione non presidiata, nel frattempo si stava consumando la tragedia. Grimildo, contando sulla solidarietà di Bianconeve, era entrato e, recitando abilmente, lo abbracciò per ringraziarlo ‘Oh grazie! Mi hai salvato. Sicuramente quel bruto mi voleva rapire, ma i miei non hanno soldi e quindi mi avrebbe ucciso ..’ Rimasero abbracciati un po’ troppo a lungo e, senza slacciarsi dal caldo contatto, il tentatore allungò una mano ad accarezzare delicatamente il viso del principe ‘Ma sei bellissimo!’ E non recitava dicendo queste parole, Bianconeve abbassò i suoi occhioni neri e arrossì violentemente, anche perché il dolce contatto stava fancendo crescere nei due qualcosa che era impossibile nascondere.
Per questo quando il giovane biondo accostò le sue labbra a quelle turgide del giovane moro essi si lasciarono andare ad un languido ed eccitante bacio. A questo ne seguirono altri, poi altri ancora, quindi passarono frenetici a spogliarsi l’un l’altro e a coprirsi di baci su tutto il corpo. Grimildo aveva un’erezione quasi dolorosa accecato com’era dalla bellezza del maschio che stava per uccidere e si avviò quindi a goderne appieno. Dopo aver succhiato e violato di lingua il tenero bocciolo tra le candide chiappe quasi del tutto prive di peli, prese il principe, lo girò a pecora appoggiandolo al tavolo, quindì spinse lentamente il suo uccello nel tenero riparo. Ora la stregoneria che aveva fatto aveva sì trasformato esteriormente il batacchio tra le sue gambe ma ne aveva lasciata inalterata la possanza. E quindi per Bianconeve fu una piacevole sorpresa sentire scorrere nelle sue interiora quella clava possente e bitorzoluta che sembrava ben più grande di quanto aveva prima succhiato e ammirato. Cercò allora di rilassare i muscoli tesi dallo sforzo di contenere l’invasore e lasciò che il lento dondolio iniziale lasciasse posto ad una galoppata più generosa e intensa. Ogni colpo per lui rappresentava la sommità di una cima stupenda e l’abisso più profondo del dolore, ma ora le sue carni stavano accettando l’intruso apprezzandone gli effetti positivi della sua forza. Grimildo stava godendo come non mai nel possedere quel giovane corpo così perfetto e lo esprimeva con rantoli sempre più frequenti e intensi. Ma fu proprio il variare della sua voce che ricordò al principe il patrigno e lo fece irrigidire. Ma non poteva egli togliersi dall’infernale abbraccio perché il malvagio si rilevò e lo schiacciò contro il tavolo, continuando al contempo a spingere avanti e indietro nel condotto stremato e indifeso.
Giungevano in lontananza voci preoccupate: erano i nani che tornavano preoccupati verso casa, allora Grimildo diede i suoi ultimi poderosi colpi prima di venire e la sua possanza fu tale che Bianconeve, nonostante l’angoscia cominciò ad eruttare il proprio piacere mentre al contempo le sue viscere venivano allagate da un liquido nerastro. E fu così che in un baleno il nostro principe passò dalla sommità del piacere alla buia profondità di un sonno mortale e il suo corpo si afflosciò come una bambola di pezza per terra. Il perfido regnante guadgnò l’uscita senza nemmeno ricomporsi e prese a fuggire proprio nel momento in cui i piccoli uomini arrivavano nello spiazzo della casa. Cosa fu non si sa ma la natura, forse rattristata dalla incauta morte del bel principe, trasformò il suo umore e diede il via al più violento temporale che si fosse mai sviluppato negli ultimi cento anni tra quelle terre. Alcuni nani comprendendo la gravità dell’accaduto presero ad inseguire il fuggitivo mentre i meno aggressivi corsero a dare il loro aiuto al loro amico. Lo trovarono riverso per terra, nudo ed esanime con un rigagnolo di sperma nero che fuoriusciva da quello che una volta era stato un tenero ed elastico bocciolo di rosa. Subito Burrolo, Linguolo e Succhiolo ripulirono il condotto il più accuratamente possibile perché ne avevano compreso la natura velenosa ma il principe non dava alcun segno di risveglio. Intanto fuori nella foresta, sotto una piggia torrenziale, continuava l’inseguimento tra i quattro agguerriti nani e il malvagio Grimildo. I piccoli uomini incrociarono ad un certo punto un cavaliere sconosciuto, era il principer Vilfredo che, avvolto nel suo mantello, affrontava il nubifragio. ‘Presto c’è un assassino che scappa’ gli urlarono i nani e il principe, scorgendo in lontanza una figura che si allontanava correndo, spronò il cavallo e partì all’inseguimento gridando ‘Fermati fellone!’ Grimildo si volse spaventato dall’improvviso apparire di un cavaliere armato e con il quale avrebbe avuto probabilmente la peggio essendo privo di spada e allora si gettò lungo un sentiero scosceso dove sperava che il cavallo non si sarebbe recato. Ma la foga è cattiva consigliera e mise un piede in fallo scivolando e battendo violentemente il capo contro un masso sporgente.
Fu in questo modo inglorioso che il malvagio Grimildo lasciò l’umano consesso senza che ci fosse alcun rimpianto. Davanti agli occhi degli inseguitori che ne circondavano le spoglie, apparve lo spettacolo di un corpo che lentamente riacquistava le sembianze originali svelando così la natura stregonesca del cambio di aspetto. Angosciati i nani tornaro verso casa seguiti anche da Vilfredo che era curioso di vedere il cadavere dell’uomo ucciso dall’assassino che aveva inseguito e contribuito a far morire. Entrati nella stanza trovarono i tre nani singhiozzanti attorno al povero Bianconeve. Era la prima volta che Vilfredo vedeva il corpo del giovane e ne rimase profondamente colpito per l’armonia delle forme oltre che per i colori che abbiamo spesso rammentato al lettore e questo nonostante gli occhi chiusi dal sonno mortale che lo aveva colpito. Trovò naturale accostarsi al cadavere e carezzare dolcemente i capelli neri come l’ebano, le labbra ancora rosse e la guancia candida. Pose il suo orecchio sul cuore e cercò di avvertire anche il minimo fremito di un battito per quanto debole. Pur non conoscendo il giovane trovava profondamente ingiusto che una simile bellezza avesse trovato una morte crudele.
Chiese allora ragguagli ai nani ed essi narrarono la triste storia di Bianconeve e del suo vano fuggire dal perverso patrigno. Vilfredo rimase colpito perché si trattava proprio del figlio della regina con cui doveva cercare di stringere un’alleanza, il figlio del quale aveva appreso, prima di partire, la strana scomparsa. Ed ora se lo ritrovava qui ma non poteva fare nulla. Si sentiva impotente e, da uomo d’azione quale era, non stette fermo. Sollevò il corpo e lo portò esangue verso il letto ‘Non possiamo lasciarlo qui’ I nani lo accompagnarono guidando i suoi passi nella piccola casa che aveva vissuto giorni così piacevoli e che ora ospitava un dolore senza confine. Lo posò delicatamente sulle coltri e, chinandosi, volle accostare le labbra a quello splendido bocciolo rosso, ora esangue. Avvertì come un fremito non appena le sue labbra incontrarono la fresca fragranza di quelle del giovane e trovò naturale baciarle come un maschio bacia una donna. Abbiamo già detto che Vilfredo non era insensibile alle grazie virili ma mai aveva avuto un impulso così potente verso il corpo di un altro maschio tanto da dimenticare che colui che stava baciando era morto. Ma stranamente la lingua del baciato rispondeva rilassata agli stimoli dell’ospite e allora il principe Vilfredo continuò a baciare con maggior trasporto portando anche una mano a reggere la nuca circondata dalla nera chioma. Nessuno dei presenti lo sapeva ma stava per scoprire che le doti dello stregone Grimildo non erano così perfezionate nel lanciarsi in complicati incantesimi. Difatti si era dimenticato di leggere le avvertenze altrimenti avrebbe saputo che, seppur era vero che la vittima moriva, in realtà non era morte definitiva ma un sonno simile alla morte che però poteva essere spezzato solo con un bacio d’amore.
Proprio quello che Vilfredo stava dando a Bianconeve che prima iniziò a sbattere le ciglia, poi ad aprire lentamente gli occhi e, non appena vide la maschia e piacente presenza dell’uomo che lo aveva strappato alle tenebre eterne, si abbandonò vieppiù al piacere di quel caldo bacio. I nani, accorgendosi del miracolo, iniziarono a saltare per la gioia e a cercare di abbracciare il redivivo principe e così facendo finirono con il separare i due. Le ore successive furono un tripudio dove ogni nano raccontava agli altri astanti quanto di eroico aveva fatto e quanto aveva sofferto. Alla fine Bianconeve porse la mano a Vilfredo e chiese ‘Voi conoscete tutto di noi e sapete che anche che vi saremo eternamente debitori per la vita, ma non conosciamo niente di ciò che siete, da dove venite, dove vi state recando, per quale fortunato caso vi siete trovato a passare per queste lande’. Vilfredo allora, anche perché sapeva che l’interlocutore davanti a lui era un alleato che ora gli era anche debitore, si confidò pienamente spiegando le sue ragioni e la sua missione. ‘Dunque dobbiamo entrambi raggiungere mia madre! Possiamo fare il viaggio assieme e darci conforto e sostegno’ ‘Certamente principe Bianconeve, però dobbiamo essere prudenti perché il percorso sarà sorvegliato dagli emissari del regno di Katz En Koul che non vogliono che i nostri due regni si alleino per difendersi meglio’ ‘Lo faremo domani perché ora sono stanco e stremato dalle avventure di questo giorno, quindi propongo a tutti una bella cena poi ‘ potrei ospitare nel mio letto il mio salvatore perché non potrei permettere che egli dorma questa notte per terra!’. I nani capirono e comunque, felici perché il loro amico era vivo, prepararono una cena squisita e lasciarono i due principi perché potessero dormire quanto prima.
‘Spero che non vi disturbi, ma io sono avezzo a dormire nudo’ disse Vilfredo da pratico uomo d’arme ‘Oh non temete apprezzo anch’io riposare senza alcun orpello!’ fu la pronta risposta di Bianconeve che non vedeva l’ora di poter ammirare il corpo dell’uomo che lo aveva salvato. Trovava bello il volto circondato dai capelli e dalla barba castani, ma rimase ammirato a vedere il torace robusto e muscoloso, le cosce tornite, il bel randello che penzolava sotto un bel bosco di peli castani che risalivano con una sottile striscia verso l’ombelico. Questo sì che era un uomo! Provò il desiderio di baciarlo tutto e non sapeva che questa era la medesima smania che attanagliava il cuore del suo salvatore. Ma erano giovani educati e riservati e temevano, con un gesto inconsulto, di rovinare il lor rapporto appena nato ma che, per tante ragioni di stato e di riconscenza, non doveva finire. Si stesero allora nel letto lìuno accanto all’altro ma, per fortuna, i nani non avevano abbondato in legname quando avevano preparato il giaciglio di Bianconeve e fu così che si ritrovarono stretti l’un l’altro. Questa vicinanza trasmetteva calore da un corpo all’altro e il coronamento di questo intenso scambio termico fu che i loro due uccelli svettarono presto verso l’alto. Ognuno si accorse allora del della bramosia dell’altro e fu dolce assecondare i propri e l’altrui desio.
Si baciarono a lungo, poi leccarono ogni centimetro del corpo dell’altro, assaggiarono l’asta poi si prepararono a concludere questo piacevole primo incontro con la preparazione dell’orifizio di Bianconeve. Quando infine, dopo un lento incedere, l’uno si sentì completamente pieno del desiderio dell’altro e l’altro sentì di possedere completamente il meraviglioso corpo del primo, si lasciarono entrambi trascinare verso le vette inusitate di un orgasmo che li scosse profondamente e li lasciò stremati l’uno sull’altro. Per Bianconeve questo era l’uomo che inconsciamente aveva sognato nelle lunghe notti passate a castello alla ricerca del personale piacere. Per Vilfredo si trattava della piacevole scoperta di una creatura che non aveva nulla della volgare durezza dei maschi che finora aveva posseduto e che gli conferiva una serenità e un appagamento che mai aveva pensato di poter raggiungere. Si amarono ancora altre due volte, con tenerezza e perseveranza, poi spossati caddero nelle braccia di Morfeo per un giusto sonno ristoratore. Furono lasciati dormire a lungo quella mattina e, una volta svegliati e resisi conto di essere l’uno accanto all’altro vollero ancora una volta donarsi reciprocamente il piacere che ognuno desiderava.
Il resto della mattinata pasò nel preparare i bagagli e le provviste per il viaggio e nel salutare i commossi nani. Si ripromisero di vedersi una volta che Bianconeve fosse riuscito a giungere sano e salvo a casa. Tutti e sette si raccomandarono con Vilfredo perché proteggesse chi aveva portato per un periodo la gioia nella loro casa. Infine salirono entrambi sul cavallo del principe di Chiappete e partirono. La dolce intimità della notte appena trascorsa li spinse a confidarsi l’un l’altro e fu così si rivelarono fatti e pensieri che mai avevano osato confessare ad alcuno. E ogni parola che l’altro pronunciava confermava nell’ascoltatore la certezza che quella era la persona con cui volevano passare il resto del tempo. Quando fu notte cercarono un anfratto protetto e, dopo una frugale cena, si spogliarono e si strinsero l’un l’altro sotto il pesante mantello di Vilfredo. Ancora una volta la passione li travolse e regalò ad entrambi il coronamento di una sfrenata cavalcata dove però questa volta il cavallo era Bianconeve e non il nero purosangue di Vilfredo.
Il giorno dopo e quello dopo ancora proseguirono il viaggio parlando di se e ascoltando l’altro raccontarsi. Poi un bel momento Bianconeve sbottò ‘Vilfredo io credo di amarti e vorrei tanto che smettessimo di parlare di quello che abbiamo fatto, ma affrontassimo il nostro futuro. Cosa ne sarà di noi perché è inutile nasconderci dietro il fatto che sia tu che io siamo due principi ereditari e, anche se stringeremo un patto di alleanza, tu sarai nel tuo castello ed io nel mio e, dopo aver assaggiato la tua verga, non voglio farne a meno nemmeno una notte’ Vilfredo rimase muto per qualche istante poi rispose all’accorato appello ‘E’ vero Bianconeve, anch’io desidero passare il resto dei miei giorni accanto a te ma credo che dovremmo parlare apertamente con tua madre per cercare una soluzione!’ Quella notte fu Vilfredo a far assaggiare a Bianconeve il piacere di introdursi nel suoi lombi. Il principe di Mazzate ne fu talmente estasiato che però non volle privarsi anche del piacere di sentirsi ravanare le viscere dal nodoso randello del suo amante.
Una volta superati i sette fiumi e i sette monti giunsero quasi al confine del bosco presso il castello dove entrambi erano diretti. Scorsero però alcuni uomini che sorvegliavano le strade per il castello e decisero prudentemente di restare al riparo. Un’ora dopo comparve dal bosco uno dei contadini che Bianconeve conosceva e sapeva essere fornitore del maniero. Lo fermò e, cercando di non farsi riconoscere, gli consegnò un breve messaggio per la madre, dandogli una moneta affinchè lo consegnasse di persona alla sovrana. Ora dovevano attendere. Se tutto fosse andato bene l’indomani sarebbero uscite le guardie a cacciare gli uomini del regno di Katz En Koul e nel frattempo si sarebbero incontrati di nascosto con la regina in un posto nascosto.
Passarono quella che temevano essere l’ultima notte assieme dando sfogo a tutti i loro desideri e trovando nell’altro un disponibile compagno di piacere. Il giorno dopo tremanti attesero gli eventi. Prima videro le guardie che uscirono a presidiare le strade costringendo gli emissari a sparire e lasciare il campo libero. Si recarono così al posto fissato per l’incontro. Bianconeve tremava tutto al pensiero di trovarsi a breve con le due persone che amava di più nella vita. E quando infine comparve la regina a cavallo fu un’emozione per entrambi e si gettarono l’una nelle braccia dell’altro scambiandosi baci e frasi senza senso. Bianconeve presentò poi il principe Vilfredo e dovette narrare alla madre la lunga storia della sua scomparsa. Fu poi la volta di Vilfredo presentarsi e narrare i motivi per cui si trovava lì. La madre intuì che il legame tra i due uomini fosse più profondo di quanto le loro parole rivelasse e li interrogò a riguardo. Essi si confessarono e dichiararono il loro amore reciproco. Bianconeve però alla fine volle dire ‘Madre, sai quanto ti amo, sappi però che, se lo riterrai necessario per il bene del nostro regno, io rinuncerò a Vilfredo e soddisferò i miei impegni regali’ ‘Ma davvero tu ami quest’uomo così profondamente?’ chiese la genitrice ‘Oh si madre! E’ proprio l’uomo ella mia vita!’ ‘Uhm lasciatemi pensare un po” e prese a camminare su e giù per il prato. Alla fine si presentò davanti ai giovani ‘Forse c’è una soluzione che mette tutti d’accordo’ I due la fissarono pendendo letteralmente dalle sue labbra ‘Ora la mia situazione è di debolezza perché ho perso il marito, prima o poi lo verranno a sapere, e non c’è mio figlio, l’erede designato. Quindi devo avere un erede altrimenti gli avvoltoi si addenseranno sul nostro regno’ La delusione si leggeva sui volti dei giovani ascoltatori ‘Però se io facessi trapelare che, oltre ad un figlio scomparso in circostanze misteriose, ho anche una figlia gemella che ho tenuto nascosta presso un convento tutti questi anni per non creare problemi di successione, e magari essa si chiamasse Chiomanera’ dicendo questo accarezzò i lunghi capelli del figlio ‘E se questa mia figlia venisse promessa in sposa ad un giovane principe del vicino regno di chiappete, magari Vilfredo stesso otterremmo vari benefici: i due territori si unirebbero in maniera sostanziale divenendo un unico regno; nessun vicino cercherebbe quindi di attaccare una delle due parti; voi due potreste quindi coronare il vostro sogno di vivere insieme. E’ quello che volete, vero?’
I due sorridenti si guardarono negli occhi poi esclamarono contemporaneamente ‘Sì, è meraviglioso quello che avete pensato!’ La regina aggiunse ‘Certo ci sono alcuni problemi che vanno risolti, ad esempio Bianconeve dovrebbe indossare sempre abiti muliebri, imparare ad andare a cavallo come una donna, apprendere quelle che sono le principali incombenze di una moglie ” Fu interrotta dal figlio che, rivolgendosi a Vilfredo proruppe preoccupato ‘Caro, ma non potrò darti un erede!’ ‘Nessuno è perfetto’ rispose sorridendo il principe di Chiappete e la madre continuò ‘A questo c’è sempre rimedio. Una sana fattrice, dietro adeguato compenso, può farsi inseminare da Vilfredo o da Bianconeve, e poi essere anche la nutrice del figlio. Certo tu dovresti portare per nove mesi delle imbottiture sulla pancia oltre a quelle solite al seno. Ma venendo a noi adesso, devo trovare un posto dove farvi rifugiare fino a che non riusciamo a rispedire Vilfredo, con una buona scorta di guardie, a casa per chiudere l’accordo anche con suo padre. Tu invece devi cominciare a vestirti da donna e a imparare a comportarti come tale. Credo di aver trovato il posto adatto e anche le persone di fiducia che possono proteggere il nostro segreto e insegnarti quello che serve’ Fu così che essa diede indicazioni precise ai giovani affinchè l’indomani raggiungessero una fattoria non lontano dal castello dopo che le guardie avevano sgombrato il campo dagli emissari di Katz En Koul. Poi Vilfredo, adeguatamente scortato, avrebbe raggiunto il regno natio e dato avvio alla preparazione per le nozze. Bianconeve intanto si sarebbe trasformata in Chiomanera imparando quanto necessario. Mentre la madre intanto preparava la dote, dopo circa un mese avrebbe fatto il suo ritorno a castello sotto le nuove spoglie. Se non ci fosse stato alcun problema di lì a poche settimane si sarebbero celebrate gli sponsali con grande pompa.
E fu così che avvenne, Bianconeve, diventato Chiomanera, salì all’altare vestita di bianco e impalmò il suo bel Vilfredo e passarono la luna di miele nel regno di Chiappete. Qualche anno dopo ebbero prima un figlio che era il ritratto sputato del padre, poi una bimba bellissima che assomigliava invece alla ‘madre’. Dopo che salirono sui rispettivi troni, unirono i due regni in uno, e regnarono sulle terre così unificate con saggezza e misura. E non passava giorno che non combinassero cose piacevolissime in camera da letto.
Ah dimenticavo, i sette nani Burrolo, Bitorzolo, Linguolo, Mazzolo, Succhiolo, Tappolo, Trombolo furono invitati d’onore alle nozze e spesso furono ospitati nelle regge dei loro amici e vissero a lungo felici e contenti.
Ettoreschi@yahoo.it
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?