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Racconti di DominazioneRacconti Gay

I suoi piedi

By 22 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

I SUOI PIEDI

Era un ragazzo veramente a modo, di animo gentile, e dote rara, sapeva veramente ascoltare le altre persone. Quando lo vidi per la prima volta mi trovavo in un bar del centro di Milano, dove si stava celebrando la festa di laurea della mia cara amica Marta. Il giovane attrasse la mia attenzione, doveva a vere all’incirca 22, 23 anni, ma mi affascinarono immediatamente la delicatezza quasi femminile dei suoi lineamenti, il modo discreto con cui riusciva a dialogare con più persone contemporaneamente, con garbo inusuale per un ragazzo tanto giovane. Sembrava evidente, o poteva essere solo un’impressione che tutto ciò derivasse da una qualche esperienza lavorativa o da chissà quale educazione ricevuta. Più lo osservavo e maggiore diventava l’attrazione che provavo nei suoi confronti. Certamente non era un gay. Eppure una forte femminilità trapelava da ogni suo atto. Mai prima di allora mi ero sentito tanto attratto da una persona appartenente al mio medesimo sesso, era la prima volta e questo mi turbava. Marta mi toccò una mano > Quella domanda aggiunse un ulteriore carico di disagio alla mia già precaria situazione, se Marta si era accorta del mio interesse per il giovane, probabilmente molte altre persone presenti nel locale avevano notato il medesimo particolare. > Questo particolare mi incuriosì e mentre continuavo ad osservare il ragazzo chiesi: > Marta sorrideva mentre io parlavo, l’avevo notato perché la smania di sapere mi aveva spinto a volgere lo sguardo verso di lei. Finalmente rispose e già i suoi occhi esprimevano tutto: Giocando sulla comune conoscenza, convinsi il commesso a seguirmi in un bar della vicina piazza Diaz che ricordavo essere dotato di tavoli con separ&egrave, garanzia di una discreta intimità. Parlando di Marta l’ora di pausa passò in fretta. Io da parte mia, rimarcai come la donna avesse una sessualità molto marcata, tacendo la sua reale depravazione. In realtà Marta era una laida usa ad accoppiarsi con tre maschi per volta che paradossalmente non erano sufficienti a soddisfarla, cosa che peraltro io non mi sentivo di condannare. Ma quando Luca candidamente mi disse che dai piedi della donna si comprendeva tutta la profonda sensualità che la pervadeva, non fui più in grado di controllarmi. Sfilai il piede destro dalla Barrows di cuoio grasso, doveva essere veramente caldo e umido e lo spinsi sotto il tavolo in direzione del pube del ragazzo. Luca non mostrò stupore e nemmeno tentò di ritrarsi, come avevo temuto, ma anzi allargò ancor più le gambe come gesto di assenso e infine un sorriso compiaciuto percorse il suo bel viso. Lo riaccompagnai a lavoro ma ci demmo appuntamento per l’indomani al suo appartamento, un monolocale di corso Garibaldi.



Ormai era pomeriggio, mia moglie era partita per il weekend in compagnia delle sue amiche, un’accozzaglia di zitelle frigide. Andavano spesso a San Remo in Liguria, a casa di una di loro, credo che si chiamasse Luisa, una ex indossatrice che ora si occupava di gatti randagi. Io da parte mia preferivo così. Il sabato pomeriggio la casa dei miei genitori che si trovava dalle parti di piazzale Lagosta al quartiere Isola, era occupata unicamente dalla domestica di colore al servizio della mia famiglia da più di trenta anni. I miei tutti i fini settimana, si trasferivano a Monticello in un altro appartamento situato all’interno di un villaggio controllato da guardie armate per motivi di sicurezza. In realtà si trattava di un club per golfisti. Le ville sorgevano direttamente sui campi da golf. Quando ero ragazzo odiavo quel posto, era come essere prigionieri dei propri stessi soldi. Michelle, la domestica cinquantenne di origine nigeriane, era entrata nella nostra casa poco più che ragazzina, e devo ammetterlo, poche donne mi avevano fatto godere come lei, certamente non mia moglie. Quando sedicenne vidi cosa era in grado di fare con quei suoi piedi color ebano, la mia vita subì una trasformazione totale. Mio padre, che era un famoso giornalista più volte direttore di importanti testate, se la teneva ben stretta anche adesso che attempata, aveva un po perso le fantastiche doti da contorsionista che naturalmente possedeva. La chiamai e le ordinai di preparasi al mio arrivo, anche quel sabato il suo grosso culo si sarebbe seduto sulla mia faccia, mentre i suoi piedi prensili avrebbero cinto d’assedio il mio imperiale membro. Impazzivo per quei forti odori acri che le sue parti intime sprigionavano. I piedi realmente prensili e caldissimi, avrebbero eccitato un morto. Non usava mai le mani, non glielo permettevo. Il suo grosso sedere nero sembrava poter contenere l’intera Africa ed io ero felice di poterlo penetrare. Infine rimanendo inginocchiata e facendo unicamente uso della sua larga lingua rosa, lavava via dal mio corpo ogni umore aggiunto. Il corpo color ebano, liscio e levigato di Michelle, era una delle cose più naturali e sane di cui in vita mia avessi fatto uso. Anche mia madre l’adorava, di certo sapeva che il marito se la faceva con regolarità da più di trent’anni, ma del resto lei era consapevole di non essere in grado di produrre lo stesso servizio che esplicava la domestica. Mi addormentai come un bambino sul seno caldo, sodo e prosperoso della donna. Quella notte sognai di baciare i piedi di Luca che mi sorrideva languidamente sdraiato su un divanetto dalla foggia antica. Lo sognai agghindato come una dama del settecento e solo i piedi me li ricordo nudi e bianchissimi.



Quando giunsi al numero civico indicatomi da Luca una crescente eccitazione cominciò a salire dal mio basso ventre, dovevo controllarmi, assolutamente frenare le basse pulsioni che tanto danno mi avevano prodotto in passato. La voce di Luca, filtrata dal citofono, mi invitò a salire al primo piano, dove avrei trovato la porta socchiusa. Il cuore mi batteva forte, non avevo mai provato queste sensazioni neppure da adolescente, non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. Si sentiva musica provenire dall’appartamento, la riconobbi immediatamente, del resto ero un critico musicale professionista, si trattava dei Joy Division. Aprii piano la porta, Luca era disteso sul letto, indossava unicamente dei calzoncini da calcio marca Umbro di raso azzurro e mi osservava con quel suo sguardo da cerbiatto indifeso, praticamente irresistibile. I piedi come le mani, lunghi e affusolati, di una sacralità inviolabile. Intanto dagli altoparlanti la voce di Ian Curtis cantava L’amore ci dividerà, e i poster dei cantanti dark appesi alle pareti rotolavano dai miei occhi lungo tutte le membra fino a distendersi davanti ai miei piedi. Luca mi invitò a sedermi sul letto e io lo feci. Non osavo toccare quei piedi che ormai ritenevo sacri, ma fu lui ad appoggiarli sulle mie cosce. Vinsi ogni remora e timidamente li toccai. Una vampata di calore mi invase il viso, mi alzai in piedi super eccitato, lasciai cadere sul pavimento il costoso cappotto loden che indossavo e, molto lentamente, quasi a ritmo della musica, cominciai a spogliarmi capo per capo fino a rimanere completamente nudo al centro della stanza. Sapevo di avere un bel fisico, muscoloso quanto basta, quasi da scultura classica, come una donna, di cui non ricordo il nome, aveva affermato in passato. Luca visibilmente eccitato si sfilò i calzoncini e allungò le sue lunghe e sottili gambe verso di me. Le piante dei piedi bianchissime riflettevano la luce delle lampade al neon che illuminavano tutta la stanza. Davanti ai miei occhi uno spettacolo di gambe fini come braccia e piedi come mani, le dita in perenne movimento sembravano essere dotate di vita propria, ne potevo comprenderne il differente carattere. Lo sguardo salì a un pube con radi peli e un minuscolo, quanto romantico pene arricchito da un paio di minuti testicoli. Le tempie mi pulsavano, nulla poteva più trattenermi, mi lanciai verso di lui, o meglio, verso quei piedi che tanto bramavo. Li baciai, li strofinai sulla faccia e poi su tutto il resto del corpo. Luca mi abbraccio le spalle standomi dietro e spingendo le sue splendide e affusolate gambe, cominciò a masturbarmi con ambedue i piedi. Afferrai quelle sue fresche e depilate cosce che in quel preciso istante, mentre fissavo rapito il mio cazzo avvolto in quei due prodigi naturali, sentivo quasi di mia proprietà, come il loden che giaceva sul pavimento lastricato di linoleum. Le sue mani sui miei pettorali avevano cominciato a stuzzicarmi i capezzoli e la mia erezione era diventata imponente. Contemporaneamente mi mordicchiava le orecchie, talvolta sussurrandomi le particolari sensazioni che sentiva affluire attraverso i suoi piedi. Non passò molto tempo che venni in maniera esagerata come da molto tempo non mi succedeva più. Inondai i piedi del giovane di grasso sperma densissimo e cremoso. Luca era estasiato e felice, portò uno alla volta i suoi piedi leggiadri alla bocca e, con molta lentezza, raccolse con la lingua ogni goccia del mio seme bianco. Lo baciai senza remore, l’acre sapore dello sperma si mischiava al sapore acerbo della sua saliva acida e impastata dall’eccitazione. In tutta questa situazione mai Luca aveva toccato il mio cazzo neppure con un dito della mano e questo mi aveva reso felice. Quel giorno fu l’inizio del periodo più bello della mia vita, dove Luca ai miei occhi era diventato ‘Duchessa’, così lo chiamavo nell’intimità. Era la mia bambola in carne e ossa volontariamente sottomessa alle mie voglie. Compravo per lui raffinati completi di intimo femminile, calze in nylon e scarpe di ogni foggia. Parrucche differenti ogni settimana servivano a stimolare la mia fantasia malata sempre alla ricerca di nuove emozioni. Un sogno, un sogno che sembrava realtà. Tutto tra noi passava attraverso i piedi. Normalmente ci sdraiavamo sul letto uno in fronte all’altro e in quella posizione ci masturbavamo a vicenda, lui usando ambedue i suoi deliziosi piedi mentre io afferravo il suo minuscolo membro tra l’alluce e il dito successivo del piede destro, mentre con l’alluce del sinistro spingevo sull’ano, talvolta penetrandolo. Godevo nel vedere quella schiuma bianca tracimare da quel cazzo più simile a un grosso clitoride che a un vero fallo. Ormai consideravo il ragazzo un’entità asessuata di mia proprietà, e purtroppo sempre più cupamente emergeva il lato oscuro, quella voglia che temevo di confessare: Volevo penetrare ‘Duchessa’, dovevo penetrarla. Feci l’errore di non parlarne, e intanto, il desiderio continuava a crescere. Un sabato pomeriggio avevo ordinato a Luca di indossare una splendida guepierre bordeaux orlata di pizzo che io stesso avevo acquistato da Luti in corso Buenos Aires. Sdraiato sul letto sbandierava quelle sue splendide gambe fasciate di nylon nero e mi sorrideva di sbieco con gli occhi ridotti a due fessure azzurre. La parrucca bionda riccia e lo sguardo languido mi riportavano alla mente vecchie fotografie che avevo visto in passato di Marlene Detrich, la diva tedesca. Quei piedi che svolazzavano a pochi centimetri dal mio naso, capite, &egrave stato troppo. Mi alzai dal bordo del letto dove ero seduto e Luca poté vedere, ammirato, l’eccezionale erezione a cui il mio cazzo era soggetto. Avvicinai l’asta turgida al suo volto cosicché potesse aspirarne gli effluvi che emanava. ‘Duchessa’ chiuse gli occhi trasognata, e il confine tacitamente condiviso, svanì come neve al sole. Il demone che periodicamente emerge in me, prese il sopravvento. Il demone mi ordina: Cerca e distruggi! Io non posso che eseguire. In un batter di ciglia gli fui addosso, lo immobilizzai, tenendogli le braccia bloccate dietro alla schiena e immediatamente senza riguardo alcuno puntai il mio grosso membro turgido sull’ano di quel disgraziato. Lui piangeva, si dimenava, implorava. Ma nulla ormai mi avrebbe potuto fermare, continuavo a spingere il fallo tra quelle piccole chiappe tremolanti e bianchissime. Un rivolo di sangue cominciò a scorrere lungo la coscia destra, ma neppure quella vista bastò a placare il demone, perché sia chiaro, non ero io che violentava ‘Duchessa’! Quando finalmente eiaculai fu come se mi fossi risvegliato da un incubo, Luca si era strappato la parrucca e si era accovacciato nell’angolo più lontano dal letto che la stanza potesse fornire. Singhiozzava e il suo esile corpo era tutto preda di sussulti nervosi. Ancora del sangue fuoriusciva da quell’ano che avevo maldestramente violato. Mi avvicinai, mi rendevo conto che qualsiasi scusa in quel momento non sarebbe stata presa in considerazione, ma provai ugualmente. Luca comincio a imprecare contro di me: > I suoi occhi avevano solo odio per me:

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