Skip to main content
Racconti Gay

L’avventura nel canneto

By 7 Febbraio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Quest’avventura risale alla scorsa estate. Me ne stavo seduto a leggere sotto un albero, in un parco vicino casa. Faceva molto caldo. A un certo punto mi sentii osservato. Sollevai lo sguardo. Un tipo continuava a fissarmi e, visto che mi ero accorto di lui, si mosse per abbordarmi. Si sedette sulla mia stessa panchina. Cominciammo a parlare. Ero in pantaloncini e maglietta, e non ci volle molto perché lui arrivasse a carezzarmi le cosce glabre. “Sei un bel morbidone” disse. “E tu sei un bel maschione” io replicai, ma dentro di me pensavo che dovevo esser prudente. Non mi erano mancate disavventure, e ciò mi consigliava maggior cautela di quella che, per una certa ingenuità di fondo, ero solito mettere in campo. Comunque, infine accettai il suo invito a seguirlo.

La macchina era un vecchio cassone, un modello davvero antiquato, di quelli con la guida a destra e la leva del cambio al volante, lo specchietto retrovisore piazzato sul cruscotto. Aveva detto di chiamarsi Salim, o Selim, qualcosa di simile. Doveva essere un nordafricano. Era più basso di me, ma assai più robusto. Parlava un italiano discreto e doveva esser vero che si trovava, come mi assicurò, a Roma da parecchi anni. “Dove mi porti?” gli domandai. A casa sua, rispose. Disse di abitare vicino all’aeroporto. Parcheggiò sul margine di un canneto. Udivasi il rombo quasi continuo dei velivoli. Mi sospinse per un angusto sentiero. Arrivammo a una sorta di piccola radura ove si ergeva una struttura in pietra sottratta al degrado. Udivasi uno squittio di marmocchi altercare con l’ammonitrice timbro di una matrona. Alla costruzione principale era attaccata un’altra assai più piccola, forse una legnaia, o un deposito. Qui mi fece entrare. C’erano delle casse accatastate contro una parete. All’altro lato stava un giaciglio. Fece per riuscire ma disse di spogliarmi, nel frattempo. Obbedii. Lo sentii parlare con quelli di casa. Tornò reggendo un lenzuolo che distese sommariamente sul lettino. Serrò alla meglio la porta. Io deposi i pantaloncini, gli slip e la t-shirt su una cassa, scossi le infradito e mi coricai. Lo scrutai mentre pure lui si toglieva le braghe. Il suo cazzo ballonzolò minacciosamente a mezz’aria. “Fammi vedere il culo” disse. Obbedii e, prono, con il capo girato di lato lo osservai mentre si avvicinava. Cominciò a palparmi. Montò e mi forzò ad aprire le gambe. Lo sentii pronunciare qualche cosa nella sua lingua, in affanno per l’eccitazione. “Non farmi male” gli dissi. Trasse da sotto il letto una latta parzialmente scoperchiata. Ci scorsi una sostanza gelatinosa e biancastra. Ne raccolse un po’ con l’indice e il medio della sinistra e me ne spalmò tra le natiche, nel foro, forzandolo. “Si” mormorai. Aprii le gambe, offrendomi. Il giaciglio gemette quando pure lui ci montò sopra. Restò un poco ritto sulle ginocchia, tra le mie gambe. Con una mano continuò a prepararmi il culo, con l’altra a menarsi il cazzo. Nettò le dita unte sulla mia schiena. Lo sentii farsi più minaccioso. Si lasciò cadere sopra me. Avvertii il suo alito raggiungermi in viso, la barba di diversi giorni grattarmi il collo, le spalle. Sentii il cazzo duro farsi strada, premere. “Si’ Amore’ Prendimi” dissi. Spinse con più energia e mi venne tutto dentro, strappandomi un’esclamazione di dolore, ma ancor più di piacere. Era molto lungo. Lo sentii avanzare più che potette e procurarmi, per questo, un più intenso godimento. “Amore’ Che bello” dissi. Cominciò a muoversi. Mentre si teneva su un gomito, con l’altro braccio mi cinse sotto, premendo con la mano il ventre come per farmi sollevare un poco il bacino. Aprii meglio le gambe. Le sue palle battevano freneticamente contro le mie mentre con crescente vigore mi scuoteva. Infine lo sentii irrigidirsi e sborrare. Il caldo nettare mi raggiunse con successivi spruzzi. Venni anch’io, bagnandomi la pancia, e il lenzuolo di sotto.

Rimanemmo a lungo così. Io con tutto lui di sopra. Mantenendo il cazzo fra le mie chiappe, cominciò a carezzarmi. “Sei bello” disse, “non sembri più tanto giovane, ma hai un didietro arrapante da morire” “Amore’ Sei tanto caro’ Grazie” gli dissi io. Poi lui si sollevò. Si sdraiò supino accanto a me, nel poco spazio. Mi cinse il capo con un braccio e cercò la mia bocca con la sua. Le nostre lingue giocarono e i nostri respiri si mischiarono. Quindi mi domandò se mi andava di succhiarglielo. “Certamente si” risposi. Sorridendogli maliziosamente mi sistemai tra le sue gambe. Bastò il contatto con le mie dita perché il cazzo principiasse a inturgidire di nuovo. Glielo scappellai per bene. Notai qualche striatura lasciata dalle mie feci, ma mi inebriò l’odore residuo del suo sperma. Cominciai a lavorarlo con la lingua e con le labbra. Continuai finché un copioso spruzzo mi raggiunse in gola. Sussultava, scaricandosi, ed io degluttivo tutto il prezioso grumo, ogni goccia che sentivo.

Leave a Reply