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Racconti Gay

L’estate di Florian

By 26 Agosto 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Era un estate di tanti anni fa. Una di quelle estati interminabili, passata tra le varie case di zii, cugini, nonni; sballottato tra la pianura, la campagna, il mare e il lago.
Adesso penso che fossero interminabili, visto che le vacanze durano solo pochi giorni e i pensieri le affollano più che i divertimenti, ma a quel tempo mi sembravano corte e compresse tra la fine dell’anno scolastico e l’inizio del successivo. I giorni volavano felici e spensierati mentre il mio corpo mutava e le vibrazioni che lo attraversavano si stavano amplificando.

Finita la quarta superiore mi fiondai in treno in Riviera a casa dello zio Giuseppe e della zia Ennia. Ormai ero un cliente affezionato del loro ‘hotel’ e facevo stretta comunella con Silvio, loro figlio e mio cugino. Le spiagge e i vicoli del centro ci avevano visto crescere, i commercianti ci conoscevano tutti e avevamo la nostra nutrita compagnia di vecchi amici e nuove entrate. Ogni anno qualcuno portava qualcuno e si faceva amicizia in fretta. Non era ancora l’epoca di smartphone e social network, così non sempre a fine stagione si riusciva a restare in contatto con i nuovi membri o le meteore. Ma andava bene così. Avevamo la memoria dei pesci rossi, ogni giorno quella piccola cittadina ci sembrava nuova.
Quell’anno la novità si chiamava Florian, tedesco di Essen. Figura pienamente teutonica, tipico esempio della razza ariana. Alto, biondo, viso squadrato, portamento altero e bravo in tutti gli sport da spiaggia. Peccato fosse rigido come un manico di scopa quando si trattava di ballare e parlasse come la macchietta di Sturmtruppen: ‘Uno spaghetten mit cranchio.’ diceva al cameriere.
Eravamo talmente tanti che non avevamo bisogno dell’animazione: eravamo noi l’animazione di tutta la spiaggia. A volte un po’ esagerati, spesso troppo sguaiati ma mai siamo caduti nel vandalismo. Non ci interessava ‘marcare’ il territorio con tag, incisioni o scritte varie; non ci interessava rovinare la città, perché quella città era parte di noi e noi parte di essa.
Eravamo in quell’età in cui tutto si scontra e s’incontra, in cui parli di politica e di cartoni animati, di compiti e di sesso. Il sesso, però, stava diventando l’argomento principale dei nostri discorsi, sia maschili che femminili. Sentire di nascosto quelle ragazze, che conoscevo fin da quando avevamo il ciuccio, parlare di ditalini, seghe, pompini e delle dimensioni di questo o quello, mi faceva sentire un po’ in imbarazzo.
Mio cugino Silvio, muscoli sempre ben tesi e pelle sempre abbronzata dalla vita marittima, era uno tra i più spettegolati e desiderati dalle ragazze e ragazzine, che lui prendeva e lasciava come caramelle appena assaggiate.
Ma quell’anno Florian gli stava rubando il centro del palcoscenico. Il suo fisico statuario, la sua provenienza estera, i suoi occhi tanto azzurri da essere quasi trasparenti stavano minando la mascolina strapotenza di Silvio.
Pur non essendo più il re incontrastato di quell’harem imberbe, mio cugino e Florian se la intendevano alla grande. Sembravano amici per la pelle da sempre. Avevano sempre l’idea pronta per far partire la giornata e la serata.
Io e tutti gli altri li seguivamo come fossero i nostri capi-branco.

E poi, un giorno accadde. Durante una partita a nascondino. Ci ritrovammo nello spazio tra due cabine. Florian mi fece cenno di fare silenzio con un dito sulla bocca e m’invitò a sedermi con lui. Vicino vicino a lui.
Senza dire altro mi accarezzò il petto con una mano. Lo fissai sbalordito. Avrei voluto chiedergli cosa stesse facendo ma le parole mi si smorzarono in gola. Avrei voluto ritrarmi ma c’era una forza misteriosa che mi tratteneva. Mi ero sempre reputato attratto dalle ragazze ma da quando Florian era apparso esse non avevano più quell’appeal di sempre. Una luce guizzava dietro quegli occhi chiari ed era una luce dedicata a me. E io me ne rendevo conto solo adesso.
Sentii la sua mano scendere, scostare la maglietta e accarezzarmi di nuovo il petto. Quel tocco leggero scatenò un turbine di sentimenti contrapposti dentro di me. Lo desideravo ma mi sembrava sbagliato. Volevo che continuasse e che allo stesso tempo smettesse.
Florian chiuse quella mia discussione interna appoggiando le sue labbra alle mie.
In quell’istante tutto il mondo perse importanza e io capii quello che ero e che volevo.
Florian liberò il mio uccello dal costume e iniziò a segarmi piano. Io ero eccitatissimo, me lo sentivo duro e pronto per esplodere. Il tedesco mi invitò a fare lo stesso con lui, presentandomi la sua asta puntata verso il cielo azzurro sopra di noi. Lo afferrai con timore reverenziale. Avevo paura di fargli male. Lo stringevo appena con la punta delle dita e mi muovevo con cautela, troppa cautela.
‘Forza.’ Mi disse sorridendo ‘Non si rompe anche se lo stringi di più.’
Un po’ imbarazzato, un po’ sollevato ripresi a menarglielo con maggior convinzione. Lui apprezzava perché cominciò a mugolare alcuna parole smozzicate nella sua lingua. Mentre vedevo salire la sua eccitazione sentivo la stessa crescere in me. Quando lui disse ‘Ich comme!’ e prese a schizzare, anche io lo raggiunsi nell’orgasmo.

I pomeriggi successivi passarono come se nulla fosse accaduto, salvo qualche sguardo d’intesa tra me e lui. Ci comportavamo come sempre anche se dentro di me si era risvegliata una bestia. Non ero un novellino del sesso, anche io avevo avuto storie e storielle con le ragazze della compagnia, della scuola e delle vacanze, ma quell’esperienza mi aveva cambiato. Aveva risvegliato in me una nuova consapevolezza. Molte cose mi erano diventate chiare anche se ero ben conscio che il percorso non sarebbe stato facile, né per me né per chi mi stava vicino.
‘Fieni.’ mi disse Florian un pomeriggio mentre eravamo soli al bar. ‘A casa mia non c’&egrave nessuno.’
Bastarono quelle poche parole per scatenare un nuovo maremoto dentro di me. Lo seguii con il cuore in gola, quasi di corsa, senza pensare a nulla, senza vedere nulla, con la sola idea in testa di stringermi ancora a Florian.
In camera sua ci spogliammo e ci segammo, baciandoci come amanti assetati uno dell’altro. Mi fece sdraiare sul letto e iniziò a succhiarmi. Sentivo la sua bocca stringere attorno all’asta, la sua lingua roteare sulla cappella. Era il miglior bocchino mai ricevuto. Le altre ragazze, quelle arrivate prima al mio sesso non portavano nemmeno le scarpe a quel lavoro di bocca. Lavoro che volevo assolutamente restituirgli.
Lo chiamai a me e lo feci girare nel 69. Mentre mi succhiava mi accarezzava anche il buco di culo. E io gli rendevo il piacere. Volevo farlo felice quanto lui stava facendo con me.
Si tolse e mi chiese se fossi pronto a qualcosa di più profondo. Il cuore mi si fermò.
Ero pronto? Lo volevo? Non stavamo correndo un po’ troppo? Avrebbe fatto male?
Vidi il suo viso sorridente e tutte quelle domande si sciolsero nel sì del desiderio.
‘Farò piano.’ Mi disse dopo aver preparato accuratamente il mio culetto vergine.
Fece piano ma mi sentii straziare ugualmente. Non mi ero mai nemmeno grattato il buchetto e adesso ero lì, sotto i colpi di un tedesco gay.
Mi maledissi per aver accettato quell’invito, quella sega dietro alle cabine. Mi odiai perché pensai che sarei diventato un pervertito. Uno di quelli che molesta i bambini davanti alle scuole, che gira con l’impermeabile anche d’estate, che non sarei mai più stato felice e che avrei inflitto la mia infelicità a tutti quelli attorno a me.
Ma l’odio per me stesso durò solo fin quando il dolore non lasciò il posto al piacere. Mentre Florian mi scopava con cautela imparai ad apprezzare quel godimento, ad amare quel membro che mi penetrava. E l’erezione che era sparita tornò vigorosa come mai. Presi a segarmi forsennatamente fino al momento culmine in cui il mio compagno tolse l’uccello e mi schizzò addosso tutto il suo seme. Quando sentii il caldo del suo orgasmo bagnare il mio scroto non resistetti più e venni con lui in rantoli di gioia.
Sudati e accaldati ci sdraiammo fianco a fianco guardando al soffitto e pensando a quei momenti d’intensità.
‘Florian” iniziai a dire ma lui mi mise una mano sulle labbra e fece tacere. Non si doveva rompere la magia di quell’istante.

Altri pomeriggi seguirono quel primo incontro. Imparammo a conoscerci e a conoscere i nostri corpi. Ad amare il piacere che sapevamo darci e prenderci.

Ogni cosa che inizia, però, prima o poi finisce. Florian tornò in Germania lasciandomi un meraviglioso ricordo e un indirizzo a cui scrissi tre volte senza mai ricevere risposta.
Ma ormai davanti a me vedevo la mia strada. Il cammino fu arduo e faticoso. Tante le porte chiuse in faccia. Troppe le facce ipocrite incontrate davanti mentre sorrisi e scherni si gonfiavano dietro. Ma ‘se non c’&egrave sesso senza amore’, non c’&egrave successo senza fatiche. Oggi posso guardarmi allo specchio senza temere che mi sputi in volto.

Rividi Florian molti anni dopo, ad una riunione di lavoro a Monaco di Baviera. Era ingrassato e appesantito, strizzato dentro ad un abito fuori moda; i biondi capelli che sovrastavano perfetti il suo bellissimo volto si erano ridotti a una chierica spelacchiata ma i suoi occhi erano ancora quelli intensi e acuti che avevo conosciuto quell’estate di tanti anni fa.
Sono sicuro che mi riconobbe come io riconobbi lui ma, nel momento in cui mi stavo avvicinando per salutarlo come un vecchio compagno ritrovato, lui mi voltò le spalle per raggiungere una donna poco distante. La strinse a sé e la baciò come a segnalarmi che ormai il nostro passato era morto e sepolto nella sabbia della spiaggia dell’adolescenza.
Se dicessi che non ci rimasi male, mentirei ma la vita &egrave fatta di scelte, alcune più ostiche altre più comode. Non ho mai giudicato le scelte altrui, anche quando erano diametralmente opposte alle mie o evidentemente errate. Non ho mai giudicato perché ho sempre pensato di non conoscere del tutto tutti gli elementi che hanno portato a questa scelta.
Di Florian e di quelle estati spensierate porterò con me sempre un meraviglioso ricordo e per me lui sarà sempre quel biondo statuario che ha acceso il primo faro della strada della mia vita.

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