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Racconti Gay

L’OMBRA

By 5 Febbraio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Le valige gia pronte sull’uscio di casa, la chiave nella serratura, il profumo di caff&egrave appena uscito, mi diedero il benvenuto dal mio ritorno a casa dopo il turno notturno in ospedale. Mi chiesi cosa stesse succedendo, perché c’erano i bagagli di Stefano ed io non sapevo nulla.

Incredibile!

Io che avevo sempre saputo tutto, questa volta ignoravo il fatto compiuto. E mi precipitai subito dentro per capire qualcosa in più e al più presto.

‘Ti lascio. Sono stanco di te, delle tue frottole. Dove sei stato questa notte? Un’altra notte fuori casa, a cornificarmi, con chi sa chi. Sei patetico.’ – Mi investirono le sue accuse, facendomi sembrare il novello san Sebastiano trafitto dalle frecce della gelosia di Stefano.

Impossibile!

Io che avevo sempre la risposta pronta, questa volta non sapevo che dire, poiché venivo dal nosocomio, e lì avevo affrontato una notte difficile a motivo di un malato terminale, che prima di spegnersi ci ha fatto penare un poco. Ero frastornato, dalla notte brava in ospedale e ora si catapultavano su di me illazioni di tradimenti, mai avvenuti.

Riprende – ‘Non mi sarei mai aspettato da te una cosa del genere, sei immaturo, cosa sei andato a ricercare negli altri che a te non manca nulla.’

Vero!

Non sapevo che rispondere. Le sue parole mi portavano ad un punto di non ritorno, cio&egrave ad una posizione in cui avrei preferito non arrivarci, perché conoscendomi sarei stato una belva, che ferita nell’orgoglio agisce irrazionalmente. Speravo in un suo arresto, invece continuava con le parole, che a mio dire non erano assolutamente vere. Non riuscivo a dire che: ‘Ma io, ma io’, la iena che era in me si stava lentamente svegliando dal letargo, volevo tenerla a bada ma non ci riuscivo, come un novello Pavarotti mi uscì dalle corde vocali un bel sovra acuto ‘Fuori da casa mia!’. Lapidario come il commendatore nel Don Giovanni sentenziai il verdetto che non avrei voluto mai fare, perché me ne sarei pentito, amaramente. Da molto tempo che non enunciavo questa soperchieria, ma al momento mi sembrò la più efficace. – Mi versai del caff&egrave e iniziai a svestirmi per andarmi a fare la doccia e ripartire per un’altra giornata intensa, premetto che avrei avuto due giorni liberi dopo il turno notturno, ma dovevo accompagnare i miei per delle visite specialistiche, ed essendo io il figlio più vicino, mi spettava questo tour de force.

Stefano lasciò cadere le chiavi nella soglia di casa, e andò via sbattendo la porta.

Dentro il box doccia mi venne un nodo alla gola e un pianto irrefrenabile, del quale non era direttamente lui la causa delle lacrime, bensì il male che stava logorando giorno dopo giorno il mio babbo. – Squilla il telefonino. Mia madre. Sono le 7:50, le sembra che io dormissi ancora, la rassicurai e l’avvertii che sarei passato di lì per le 8:30. Non avrei dimenticato tanto presto Stefano, ma d’altronde non sarei stato un buon compagno di vita, egli avrebbe avuto bisogno un artista, cio&egrave uno che lo avrebbe reso un cervo perenne.

A pranzo fui dalla mia cara amica Rosy, che solo le medie ci divisero, ma che non abbiamo mai smesso di volerci bene e confidarci le cose, senza mai tradirci, anzi consigliandoci a vicenda. Da quel lauto pasto uscii molto più sereno e lucido. Mi chiamò Andr&egrave, l’amico di Stefano chiedendomi il motivo del mio comportamento, io con molta eleganza dissi: ‘Non sono fatti che ti riguardano, ognuno segua i propri problemi’.

Volevo soffrire il mio dolore da solo, non volevo che nessun altro avesse compassione di me, non ero un animale.

Il pomeriggio lo trascorsi fra il letto e la latrina, rimettevo per rabbia; sentivo dentro di me un astio, un rancore che può capirlo solo chi ha sperimentato questa circostanza e ne &egrave provato da tal genere. L’odio come l’amore &egrave un sentimento, nobile, sì perché ti spinge a provare fremiti, batticuori e cose simili. E’ la reazione opposta e contraria, che ti spinge tante volte a fare follie. L’amore invece &egrave il trascendere tutte le differenze dell’altra persona, ti fa accettare tutto incondizionatamente. Esso non si vanta, non si dispera, non si ingelosisce delle cose degli altri, si rende disponibile, non si abbellisce di vanità, non si insuperbisce. L’amore &egrave eterno, indelebile, non può essere cancellato, l’amore &egrave infinitamente grande, non avrà mai fine. L’amore &egrave la trasfigurazione di tutte le difficoltà. Anche l’amore come l’odio ti sprona a progettare pazzie.

Mi squillò il telefono, era Adriano il mio primo amore ‘serio’, non avrei voluto rispondere ma a spingermi a farlo fu il fatto che volevo parlare con qualcuno che m’avesse potuto capire. Non che altri non avrebbero saputo farlo, ma qualcuno nella tua stessa situazione, che con te c’ha vissuto per tutto il tempo dell’università fino al tirocinio, che con te ha vissuto le emozioni più forti, che di te sa anche quando la nonna aprendo la camera ti trova con l’amichetto a pomiciare, che ti ha consolato davanti all’improvvisa scomparsa di persone care.

Mi chiese se stesse disturbando, e gli risposi con un gemito da non poco, lui capì e mi domandò se sarebbe potuto venire, gli annuì, avevo bisogno di Adriano, in ogni senso. Le nostre abitazioni distano come piazza san Pietro a san Giovanni in Laterano. Suonò al campanello ed io corsi verso l’uscio ad aprire. I nostri occhi, se ben avevano smesso di frequentarsi si capirono all’istante, Adriano mi abbracciò. I nostri corpi, in quell’abbraccio, non avevano mai smesso di bramarsi. Il mio aspetto non era dei migliori, avevo gli occhi infossati, il sudore benché fosse gennaio mi irrigava il volto, facendomi apparire come colui che al Getsemani si rese incondizionatamente disponibile a tutti. Ci accomodammo nel boudoir e reclinò il capo sul mio petto, affinché potesse penetrarmi nell’intimo e comprendermi meglio, piansi di rabbia, non per il tempo trascorso con Stefano bensì per tutte quelle parole dettemi con tanta brutalità, senza curarsi dell’entità e del peso che avrebbero assunto dopo qualche tempo.

Le nostre labbra si sfiorarono come quelle di Dafne e Apollo , raggiungendo il cielo, sfiorando la santità degli angeli, indagando lo stato di grazia dei perfetti, esaminando la perfetta letizia dell’amore. I baci della passione sono i baci dell’eterno, le carezze dell’amato rassomigliano a quelle dell’infinito, oltre quella siepe ‘recanatese ‘ si rasentava l’assoluto, la finitezza del termine fisso si rendeva palpabile. Tutto si rendeva chiaro, puro come la fedina di un neonato, candido come l’anima pia, semplice come l’amore. I suoi baci dolci e soavi, mi rendevano il ragazzo più beato del mondo, solo la presenza di Stefano aveva provocato la nostra disgiunzione, ma ora che Stefano era solo un’ombra nessuno c’avrebbe più divisi, perché forte come la morte &egrave l’amore che ci legava. Come la cerva và in cerca della fonte d’acqua viva, così io andavo a ricercare Adriano, negli altri ragazzi; pensavo a lui nelle mie lunghe notti insonni, frugavo nei miei ricordi durante le lunghe veglie ospedaliere, dove fra un degente all’altro il mio pensiero correva subito a lui.
Mettimi come monile sul braccio. Innalzati o aquilone, e tu austro, vieni, soffia nel mio giardino. Si avvicini il diletto nella mia aiuola e ne mangi i suoi frutti squisiti.

Ponemmo termine alla nostra conversazione con il fare l’amore, di quello che solo i celesti sanno fare. Mi distese sulla parte restante del divano e continuammo per tutto il resto della serata fino a quando non gli squillò il cellulare, era il Sant’Andrea, mi disse che era costretto a lasciarmi perché l’avevano chiamato dal commissariato, ‘Ma non sei ispettore?’ gli chiesi con aria svigorita, rispose: ‘Mi hanno promosso a Commissario, e quindi devo’ma ti prometto che tornerò prima che tu ti possa svegliare’, prese le chiavi di casa e si avviò. Mi si aprì l’appetito, mi satollai a dovere, e ad un tratto sentì suonare il campanello, mi precipitai ad aprire e mi trovai davanti Stefano, che con quella faccia tosta che si ritrova, si &egrave presentato mettendo avanti le sue scuse e chiedendo il mio perdono, pregno di tristezza e rimpianti. Lasciandolo sull’uscio, gli esposi il mio problema e che la sua folle accusa mattutina m’aveva aiutato a capire che la storia con lui era stata solo un ripiego per l’assenza di Adriano, quindi un errore che non mi sarei potuto nuovamente permettere. Chiusi il portoncino e lui cominciò a risuonare, riaprì per non disturbare la quiete del palazzo. Aveva visto uscire Adriano, ed era sicuro di ciò che aveva detto la mattina; gli intimai di andarsene se no avrei chiamato la polizia, lui mi chiese se avessimo potuto parlare civilmente, io gli dissi che il tempo della civiltà era terminato e che stava iniziando il periodo coatto del non ritorno sui passi compiuti in precedenza.

Mi chiamò Adriano, per rassicurarmi e per dirmi che stava per ritornare, io con voce molto paralizzata gli dissi che m’aveva contattato personalmente Stefano, mi disse di non fare nulla che c’avrebbe pensato lui a risolvere il problema. Un quarto d’ora dopo sentii aprire l’uscio e feci finta che stessi dormendo, Adriano prese il mio cellulare e si diresse verso la cucina, stava chiamando al deluso amante, che gli diede non poco filo da torcere, in fine rimasero d’accordo che non avrebbe più cercato di chiamarmi.

Tornò in camera da letto e come se non fosse mai cambiato nulla, mi venne su a svegliarmi con molta tenerezza.

Lo desideravo più della mia stessa vita ciò nondimeno Adriano questo non lo sapeva, considerava il fatto che mi fossi lasciato con Stefano, ma la nostra storia (cio&egrave la convivenza mia con Adriano) che finì nel maggio dello scorso anno e che era durata sette, anni non era abolibile, si trascinava dietro con sé le stagioni più belle della nostra gioventù, dove spensierati correvamo verso un destino che ora stiamo vivendo. Che se per gli insetti siamo lentissimi e per gli elefanti piccolissimi, viviamo in un mondo reale fatto di abitudine e arretramento, ma se si vive l’amore tutti gli esseri viventi sono uguali, viviamo nel mondo del surreale dove differenze e limiti non si notano e novità e progresso prevalgono. Nei sette anni precedenti non mi ero donato abbastanza, avevamo osservato una rigorosa prescrizione, e cio&egrave quella di non praticare sesso anale, fino a quando l’amore l’uno per l’altro non ci avrebbe avvolti nel suo intramontabile fascino. C’erano stati solo baci appassionati e fellatio a volontà, nient’altro e dico il vero, non mentisco. Il giorno dopo avremmo avuto tanto tempo per recuperare gli otto mesi sciupati alla ricerca dello stesso amore e contrario, ma era giunto il momento ed era quello, in cui l’amore s’incarnava in noi, prendeva sembianze umane. Ci inabissammo nel mare dell’amore, dove c’attendevano dolci attimi dell’esistenza, ci conducevamo mano nella mano alla verità tutta intera, senza veli dove né tarlo né tigna avrebbero potuto corrodere l’autenticità degli avvenimenti.

Il giorno dopo ci alzammo di buon mattino, poiché le ore antimeridiane c’hanno l’oro in bocca, andammo nel centralissimo bar di piazza Cavour e lì consumammo la nostra colazione. Ci recammo all’immenso centro commerciale di viale DeGasperi, dove fra i tanti acquisti ci comperammo e ci scambiammo il secondo anello di fidanzamento e ci regalammo il giro di nozze in Spagna. Dove fra le gaudiane opere e le zapateriane legalità ci rendevamo liberi da ogni forma di bigottismo ed ipocrisia.

Queste sono dovute dalla fame di chiarezza, fame della bontà di una carezza, fame esigenza naturale, fame di un nutrimento per la mente detto poi anche benessere apparente, c’&egrave chi si satolla e chi digiuna, si sazia solo chi ha fortuna. Fame piatti sconditi piatti vuoti questa &egrave la mensa degli idioti, fame di veri sentimenti, ripugnanza a discorsi privi di sostanza, schifo per tutto ciò che &egrave inutile, questo ricerca l’uomo e il mondo gli offre in ricompensa odio, sofferenza, guerre fratricide, malattie.

Avevo delle ferie arretrate che dovevo assolutamente smaltire al più presto, anche Adriano ne aveva e prendemmo la decisione di prendercele; a Madrid ci divertimmo un casino fra visite culturali e convivi nei locali privati, conoscemmo fra l’altro molte persone, l’aria ispanica non l’avremmo dimenticata tanto presto; tanti ragazzi si sono strusciati fra me e Adry ma la cosa non ci infastidiva, anzi’

Al ritorno dal viaggio, a casa trovai tanta posta, un’infinità di messaggi nella segreteria e un pacchetto incartato sul tavolinetto del salotto al cui interno c’era un orologio ed un bigliettino con un messaggino: DAL NOSTRO RITORNO DAL VIAGGIO, QUANDO SONO A LAVORO MI PENSI CON QUESTO’TI AMO.

Lo aveva lasciato Adriano quando, prima di partire salì in casa per controllare se avessi chiuso tutto; dopo aver parcheggiato, salì in casa abbracciandomi da dietro mi chiese se mi fosse piaciuto. A dire la verità non mi &egrave gradito ricevere doni, perché non sono cresciuto fra gli agi e le abbondanze di quattrini, ma provengo da una famiglia dove tutto &egrave basato sul dovere, sull’obbedire e sulla sottomissione. Di ceto medio, vivevamo discretamente bene, sì da permetterci la casa a mare giù in Sicilia per tutto il mese d’agosto e le ferie in montagna per le vacanze natalizie, da mantenere all’università di medicina entrambi i figli, solo che il destino ha voluto molto più bene a mio fratello essendo divenuto primario del reparto di oncologia de Le Molinette di Torino, invece io specialista per le malattie veneree sono vice primario nel reparto di urologia di Palestrina, vicino Roma. Invece Adriano era figlio di un generale dell’esercito e di una docente di lettere presso l’università di Roma, nipote di un magistrato, come me si era addottorato con la lode ma in Lettere e Filosofia, per sentirsi indipendente aveva fatto il concorso in polizia e l’aveva vinto aggiudicandosi il posto d’ispettore presso il sant’Andrea del quartiere di Monte verde. Della mia condizione sessuale lo sapevo solo io e mia nonna che un pomeriggio d’estate all’età di quindici anni mi trovò mentre con il mio amichetto Irzio ci scambiavamo dolci effusioni d’amore sul mio talamo. Di Irzio avevo perso le tracce quando tornai dopo il dottorato nessuno lo conosceva o si ricordasse. Il mio gemello, con tendenze simili alle mie, ma con il quale mai ci siamo dichiarati forse perché dentro di noi lo sapevamo l’uno dell’altro, viveva a Torino con un collega, si erano conosciuti durante il tirocinio a Reggio Emilia e si seguirono alla mole dove l’uno aveva preso la cattedra di docente presso l’università di Asti e mio fratello, beh già lo sapete.

Riassettammo le nostre cose nei cassetti, Adriano andò a casa sua a prendere le divise che poi sistemò nell’armoire ; durante il pranzo Adriano mi propose se nel pomeriggio sarei voluto andare con lui dai suoi, così gli avrebbe detto di noi. L’imbarazzo mi fece arrossire non poco, ma poi mi chiesi se a lui avrebbe fatto piacere, compresi e risposi di si poiché ad Adriano non andava più di mentire, perché sua madre gli reclamava dei nipoti che mai sarebbero arrivati, e poi perché gli andava di condividere la sua gioia con chi voleva bene.

L’ora delle decisioni irrevocabili era arrivata, cio&egrave quella di affrontare i nostri genitori, volevo fare un buon effetto suoi genitori di Adriano, poiché non volevo arrecare problemi al mio amato. Mi vestii con cura, mettendomi le fogge migliori. Ci recammo a casa dei suoi genitori, sita vicino villa Borghese, piovigginava, e il cielo non prometteva niente di buono e mi chiedevo se fosse stato così anche dopo il colloquio con i genitori di Adriano. Sospiravo di continuo, rendendo molto più teso il tragitto, e Adriano a tranquillizzarmi dicendomi che i suoi erano moderni, di larghe vedute. Ci accolse la collaboratrice domestica accompagnandoci verso il salotto, dove c’era mamma Rosa che ci accolse con un sorriso gioviale. Ci accomodammo sui divanetti ottocenteschi, Rosa ci fece servire del the, erano le 17. Parlammo prevalentemente di me, non trascurando nessun tipo di particolare, tranne il discorso ‘x’. Dalle finestre che davano sul giardino intravedevo che un vero e proprio nubifragio stava per abbattersi su Roma, ad un tratto Adriano chiese dove fosse il padre, e gli fu rivolta la solita risposta che sentiva rivolgersi ogni volta che da ragazzino cercava il papà, cio&egrave che era nello studio. Adriano si alzò e si diresse verso l’ufficio di Antonio, lo portò per mano come si accompagnano i bambini ai primi passi e lo fece sedere vicino alla madre.

‘Papà. Mamma. Io e Lorenzo, abbiamo deciso di andare a vivere insieme, perché sentiamo l’uno verso l’altro un’attrazione particolare. Si. Ci amiamo.’

Mi sarei aspettato un urlo o qualcosa del genere, invece Antonio si diresse verso l’antico grammofono e mise su il Falstaff.

‘Se sei sicuro, di ciò che dici: per noi hai tutta la nostra approvazione. Sabato inviti i tuoi amici più cari qui in villa e faremo le formalità del caso, fedi e quant’altro. Tu Lorenzo &egrave ovvio che porterai i tuoi genitori, e i tuoi amici.’

Cenammo insieme, fu una serata bellissima, parlammo di tante altre cose. Mi promisi che il giorno dopo avrei parlato con i miei.

23,30 Drin, drin. Era l’ospedale. Il primario entro mezz’ora m’avrebbe voluto lì, un caso urgente. Si svegliò Adriano, che si allarmò ma lo rassicurai che avremmo risolto il problema entro la mattinata. Mi vestii e presi la borsa medica e andai. A quell’ora il parcheggio dell’ospedale era quasi tutto libero. Mi diressi verso il pronto soccorso e mi ritrovai davanti, sulla portantina Stefano in piena emorragia inguinale, avevano già praticato i primi medicamenti del caso. Chiesi se già avessero prelevato il campione di sangue per le necessarie analisi e disposi che fosse portato subito nel mio reparto affinché la mia equipe avrebbe potuto svolgere tutti gli interventi del caso. Mi diressi verso il laboratorio analisi e trovai il mio collega e gli chiesi che le analisi dovevano essere complete di tutto punto e dovevano essere consegnate a me personalmente. Avevo un cattivo presentimento, ma fino a quando non avevo carte alla mano non potevo proferire parola con nessuno, neanche con il primario.

Alle 02,45 arrivarono i risultati completi, la mia sensazione era esatta. Chiamai la caposala, la quale mi assicurò che sarebbe arrivata nel giro di pochi minuti. Fra lastre e referti medici, i miei sentimenti si disfecero, le lacrime erano frutto di rimorsi verso quel malato, che mi ero rifiutato di ascoltare davanti l’uscio di casa mia, possibilmente quella sera voleva dirmi proprio quello. La sorella mi trovò in uno stato al dir poco pietoso, capì chi fosse il malato e la mia affezione verso quel sofferente. Il primario elaborò la sua relazione sul caso, e mi disse che non c’erano buone speranze poiché non solo il sangue del paziente presentasse incongruenze di valori, ma si sospettava un tumore alla prostata allo stadio terminale. I valori instabili erano dovuti alla sieropositività di Stefano, il tumore l’avrei fatto esaminare da mio fratello. Nella dependance di Torino non rispose nessuno, nell’ufficio del nosocomio mi rispose il medico di turno mi informò che era in ferie e l’avrei potuto trovare solo quindici giorni dopo.

Non avevo tanto tempo da perdere, chiesi se il mattino dopo avrei potuto parlare con il sostituto del primario. Nel frattempo chiamai ad Adriano, che per la funesta parola si mise a piangere pure lui. Alle 05,40 mi venne a chiamare la caposala suor Maddalena, disse che Stefano voleva parlarmi, corsi verso la camera 7, lo trovai con in mano una mia foto e vedendomi mi guardò con i suoi occhi grandi e profondi. Mi avvicinai a lui e mi strinse la mano:

‘Perdonami, almeno in virtù per quello che c’&egrave stato fra noi.’

‘Fra me e te, oramai c’&egrave un abisso che ci divide. Da parte mia ti perdono, ma di te ora vedo solo una persona da curare, non m’importa se hai sbagliato nel giudicarmi. E ora fammi andare a trovare una soluzione per il tuo caso.’

Stefano mi strinse più forte la mano, si volse il suo volto verso la finestra e trapassò, scendendogli una lacrima dagli occhi. Ora veramente Stefano era solo l’ombra, la tenebra in cui noi non saremmo più potuti capitare involontariamente.

Chi volesse contattarmi per qualche critica o complimentarsi per il racconto, può farlo all’indirizzo mail:
aloisio_crisostomo@virgilio.it
Oppure al mio numero di cell. 3466863135

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