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Racconti Gay

una sera qualunque

By 15 Settembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Una sera qualunque
Stavo conducendo una vita noiosa, malgrado io sia in pensione; in pensione uno dovrebbe anche divertirsi, no? Io invece mi stavo annoiando: tra lo scrivere tutto il giorno, che è stancante, non essendo uno scrittore, le frasi devo pensarle una decina di volte prima che siano in modo quasi perfetto e pensare stanca che che se ne dica e fare il moderatore in una chat che, si, mi tiene compagnia, ma non riempie la vita di un uomo che, beh, diciamolo pure e senza vantarmi, è ancora arzillo e in grado di fare ginnastica.
Comunque, tra chat e messenger, mi cliccavano per sesso reale o virtuale; le domande erano sempre le stesse e anche le risposte: ‘No, non faccio sesso virtuale! Si, faccio sesso reale! Di dove sei? Troppo lontano!’ E finiva li.
Se qualcuno mi avesse chiesto:’Senti, ti dispiace andare a vedere fuori se c’è la luna.’ Lo avrei fatto volentieri e lo avrei anche ringraziato, almeno sarebbe stato un diversivo a quella noia mortale.
Quella sera si prospettava come tutte le altre; noiosa e pesante, quando in messenger entra un mio amico con cui avevo fatto ginnastica, a volte: si dice che non si fa ginnastica con un amico, mi sono sempre chiesto il perché. Se si è consenzienti tutti e due, perché non farlo? Comunque, questo è quello che penso io e non conta su ciò che pensano gli altri.
Altre sere mi aveva detto di aver trovato una sauna, che ci si trovava bene e che si poteva trovare anche sesso facil-mente e se qualche volta ci volevo andare.
‘No!’, gli dico:’Lo sai che non vengo in certi posti e non cerco più sesso facile e se vuoi saperla tutta, non farò più sesso nemmeno con te, ora sto cercando altro’.
‘Si!’, mi dice ridendo, sarcastico:’L’amore!’
‘Non so se si chiama amore, ma cerco qualcuno che mi capisca, qualcuno che mi ascolti, qualcuno che sappia to-gliermi da questa sedia e portarmi da qualunque parte. Se questo si chiama amore, allora sto cercando l’amore’.
Il mio amico è molto insistente, non si arrende facilmente se si tratta di sesso e quella sera me lo ha chiesto di nuovo e con insistenza:’Allora vieni alla sauna? Ci andiamo mercoledì, c’è anche un mio amico. Dai accontentami una volta!’
Volevo dirgli di no; certi posti non mi sono mai piaciuti non so perché, forse perché li immaginavo sporchi, sporchi nel senso sessuale. Ci andavi ne prendevi uno a caso e se ci stava, -il mio amico diceva che ci stavano tutti:’Basta toc-cargli le parti intime’-, facevi quel che dovevi fare e poi te ne andavi, il che, nella mia mente, era peggio che andare a casa di un uomo e farci ciò che dovevi, almeno, lo avevi conosciuto un po’ prima.
Non fu per accontentare lui, ma piuttosto per alzarmi da quella sedia e spezzare quel senso di noia che avevo; noia e solitudine è più giusto dire:’E va bene, ma solo per stavolta!’. Gli dissi senza starci più a pensare
Il mercoledì venne a prendermi con la sua nuova Panda nera, musica a tutto volume, con una maglietta a maniche corte beige e pantaloni chiari. Salii in macchina e ci salutammo con un bacio. Cominciò a parlare, com’era suo solito, ma io con quel volume così alto non lo capivo, così parlai anch’io , ma sottovoce in modo che non mi capisse nemmeno lui:’Abbassa sta musica’.
Continuando a tenere il volume alto, mi disse, alzando la voce:’Che hai detto?’
E io, sempre sottovoce:’Se vuoi parlare, abbassa sta musica’.
‘Cosa?’. Urlò di nuovo.
Io incazzato, urlai a mia volta:’Abbassa sta cazzo di musicaaaaaaaaaaaa!’ Abbassò il volume e continuai, più pia-no:’Tranquillo, tutta la zona ti ha sentito che sei arrivato, ora puoi anche tenere basso il volume’.
Sorrise e ricominciò a parlare, non ricordo nemmeno di cosa, mi ero messo a guardare fuori dal finestrino, un po’ preoccupato da quella serata che stava per cominciare e, devo essere sincero, avevo anche un po’ di paura per il fatto che era la prima volta che mi sarei trovato in mezzo a tanta gente e oltre tutto gay e io ho sempre avuto un po’ di timore con tanta gente intorno a me. Non lo ascoltavo, coglievo qualche frase qua e la e tra quelle frasi raccolsi:’Il mio amico è solo attivo’
Quella frase mi lasciò un po’ perplesso, perché, da quando mi sono accorto di essere gay, il passivo l’ho fatto solo due volte: la prima volta fu perché era la mia prima esperienza da gay ed ero partito per fare l’attivo, ma si sa che la prima volta è sempre traumatica e, insomma, feci cilecca e quindi finii per fare il passivo. La seconda volta lo feci per-ché mi era piaciuta la prima volta. Da allora, però, ho sempre fatto l’attivo, non per mia scelta, ma perché avevo fatto l’errore di mettere la mia merce in esposizione e tutti (non è un vanto) la cercavano, perché si sa che la pubblicità è l’anima del commercio, quindi la merce esposta appaga l’occhio ed è più facile che si venda.
Fu per questo che quella frase mi aveva colto impreparato e incerto. Il mio amico mi disse:’Beh! Non me lo hai detto tu che a volte volevi fare il passivo? Sembra che ti dispiaccia’.
‘Da cosa lo vedi che mi dispiace?’.
‘Dalla faccia che hai fatto’.
‘Ma sei scemo?’ dissi sorridendo:’Tu guardi la mia faccia invece di guardare davanti, che da come guidi sarebbe meglio che tenessi gli occhi attaccati al parabrezza senza distrarti?’
‘E’ stato uno sguardo fugace’.
‘Fugace tua sorella! Guarda la strada. Perché non me lo hai detto prima?’
‘Volevo farti una sorpresa’
‘Te l’ho già detto, falle a tua sorella le sorprese’.
‘Senti,’ disse lui scherzando:’Lascia stare mia sorella!’
‘Perché, ti offendi se ti tocco tua sorella?’
‘No!’
‘E allora perché non posso toccartela?’
‘Perché non ne ho sorelle’ Replicò, ridendo.
Anch’io risi e questo sciolse un po’ della mia tensione. Cominciavo a rilassarmi e a pensare che, in fondo, peggio di quella noia, la serata non poteva essere.
Arrivammo davanti a un cancello chiuso. Il mio amico suonò a un campanello, che ci venne aperto ed entrammo, mentre ci avviavamo verso una porta, questa si aprì e sulla soglia si affacciò un uomo alto circa cinque centimetri più alto di me. Non vedevo il suo viso, perché era in contro luce, si spostò di lato per farci entrare e quando fummo dentro, che lo vedevo bene, qualcosa accadde dentro di me. Era un dolore fisico che sentivo. Lo stomaco mi si chiuse come in una morsa, mi sembrava che il sangue si fosse fermato, come l’acqua imprigionata in una diga, il cuore mi balzò in pet-to aumentando i suoi battiti, come se avessi fatto i cento metri battendo il record mondiale, le gambe mi tremavano. Imputai questo mio stato a un malessere passeggero o l’Alzhaimer:’Cazzo!’ Dissi tra me:’Che mi sta succedendo?’
Il mio amico che da ora in poi chiamerò F. e il nuovo amico, si salutarono baciandosi, non da amici; con la lingua e tutto il resto e, il nuovo amico, aveva gli occhi aperti, che fissavano me:’Umh!’ Dissi scherzando, tra me, per allentare la presa che quel malore mi aveva messo dentro:’Vuoi vedere che questo vuole fottermi?’
Quando finirono di baciarsi, finalmente F. ci presentò, gli porsi la mano da stringere che lui prese e al contatto di quella mano un brivido mi percorse la schiena, volevo dirgli il mio nome, ma sapevo che se avessi parlato, lo avrei far-fugliato, mi venne in aiuto F., che indicandomi, disse:’Lui si chiama Nicola’.
Il nuovo amico, disse:’Piacere! Gianni!’
Io balbettai qualcosa’ , a dire la verità, non so nemmeno se dissi qualcosa, il mio cervello non percepì nessun suono, ma devo per forza aver parlato; incontrando gente nuova ci si presenta, quindi si parla, solo per questo sono convinto di aver parlato.
Il mio amico mi guardava negli occhi come a dirmi:’Ma che ti sta succedendo?’ I miei occhi gli rispondevano:’Fatti i cazzi tuoi!’, ma le mie labbra restavano inchiavardate e chiuse, come una cassaforte di cui ci si è dimenticato il numero di combinazione.
F., dopo aver fatto parlare i suoi occhi interrogandomi, fece parlare la sua bocca:’Ma dai, è così che si salutano gli amici? Baciatevi, no?’
Non so se arrossii a quella frase, non arrossivo più dall’età di 18 anni, quello che so è che mi sentivo infuocato, mi partiva dalla punta dei piedi e saliva su su fino ai capelli, passando per’ bhe, si, la strada per venire fino ai capelli era quella, non poteva mica saltare quel punto. Sentivo qualcosa muoversi negli slip, come se fosse un serpente che si era svegliato. Volevo saltare addosso a F. e massacrarlo di pugni, pestarlo, squartarlo, farlo a pezzi e magari mangiarne qualche pezzo se avevo fame, non si sa mai che i pezzi si ricomponessero e tornasse a dir cazzate. Mi aveva messo in così tale imbarazzo, che credevo che i miei vestiti dovessero andare a fuoco da un momento all’altro, ma fu un attimo solo, perché Gianni’ -cazzo avevo capito il suo nome! Era la prima volta che accadeva (nelle presentazioni di solito non si capisce mai il nome), di ricordare il nome- mi attirò a se’ -il serpente si stava incazzando- e mi sfiorò le labbra con le sue, un bacio dolce e delicato, come un petalo di rose che si posava sulle labbra’ -il serpente s’incazzava sem-pre di più cercando di liberarsi dalla morsa degli slip- sentii un brivido attraversarmi tutta la schiena, le gambe mi tre-mavano e non riuscivo a liberare la passione che ci metto di solito in queste cose. Mi sentivo perso e non riuscivo a ri-trovarmi, di solito ero io a prendere l’iniziativa ‘molti timidi erano passati tra le mie mani- facendo sciogliere chi incon-travo, ma questa volta non fu così.
Gianni staccò le sue labbra, mi guardò negli occhi, (non riuscivo a stabilire che espressioni avessero. Non riuscivo a stabilire se ero vivo o morto, se era un sogno o la realtà, avrei potuto stabilire l’espressione di quegli occhi?), mi tirò di nuovo a se stringendomi con forza e mi baciò, questa volta quasi con violenza, spingendo la lingua nella mia bocca e, finalmente, mi sciolsi da quel torpore che mi aveva preso da quando ero arrivato. Lo abbracciai anch’io, rispondendo con passione a quel bacio, sentivo il serpente che si era liberato e aveva tirato fuori la testa dagli slip, perché era dritto sulla mia pancia, ben nascosto dai pantaloni, per fortuna.
Il mio cervello cominciò a funzionare normalmente, ma il cuore mi batteva ancora forte, le gambe continuavano a tremarmi, ora sapevo; quell’uomo mi stava facendo provare ciò che non avevo più provato da più di trent’anni, cioè da quando conobbi mia moglie.
Finito i convenevoli, (chiamali convenevoli), salimmo in macchina e andammo allo 011, una sauna di Torino. Non avevo più nessuna paura, lui era li.
F. e Gianni erano seduti davanti e stavano parlando, non capivo nemmeno di cosa e io dietro che rimuginavo la situazione. Due vocine, una sicura di se e l’altra titubante, che discutevano dentro di me. Vocina titubante:’Ma dai, possibile che voglia te? Ma ti sei visto? Ormai con l’età che hai chi vuoi che ti voglia?’
Vocina sicura:’Certo che vuole te, non hai visto il suo sguardo prima di baciarti?’
Vocina titubante:’Gli sguardi non significano niente. Dagli sguardi uno interpreta quello che gli fa comodo e a me faceva comodo pensare che lui volesse me’
Vocina sicura:’Ma non hai visto con quanta passione ti ha baciato? Non ha baciato in quel modo il tuo amico e quello che ha dato a te era più lungo, come se non volesse separarsi’.
Vocina titubante:’Ma va! Con F. ci ha messo mezz’ora!’
Vocina sicura:’Come cazzo calcoli il tempo tu? Mezz’ora!’
Vocina titubante:’Va be’, mezz’ora per modo di dire’.
Vocina sicura:’Modo di dire ste palle! Si dice che l’uomo abbia una specie di orologio nel cervello, tu invece hai l’orologio a cucu di tua nonna, che andava quando si ricordava’.
Dai miei pensieri, mi scosse Giani toccandomi su una mano e quel tocco mi fece di nuovo venire i brividi lungo la schiena e al serpente che, mi pareva troppo all’erta, e mi chiamò:’Nicola!’
Il mio nome detto da lui mi sembrava una sinfonia di Chopin. Ma che Chopin, è troppo triste, mi sembrava l’eroica di Beethoven, marziale, ma romantica. Io risposi:’Si? Scusa ero distratto’.
‘Siamo arrivati’.
Scendemmo dalla macchina e ci ritrovammo davanti a una porta antipanico, oltre questa ce n’era un’altra che Gianni aprì e scendemmo le scale che c’erano oltre la seconda porta. Mentre scendevamo, vocina sicura disse:’Senti vocina stronza, finiscila di rompere le palle! Non si può vivere solo di pessimismo, io per questa sera m’illudo, poi si vedrà’. Con questa risposta a vocina insicura, mi sentii più tranquillo.
Dopo esserci iscritti, ci consegnarono un asciugamano e delle ciabatte in plastica, andammo a spogliarci, non cercai di guardare Gianni mentre si spogliava, perché per vederlo avrei dovuto girarmi e se mi giravo si sarebbe visto il mio serpente, attraverso gli slip incazzato talmente tanto, che avevo male al basso ventre. Mi tolsi gli slip e il serpente venne fuori in tutto il suo splendore, cercai di nasconderlo il più in fretta possibile, ma il mio amico lo vide e stava per parlare, quando lo fulminai con gli occhi:’Se dici una sola parola sul serpente ti uccido, giuro!’, si vede che i miei occhi furono molto eloquenti, che tacque. Mi misi l’accappatoio, ma anche così si vedeva, ‘un serpente incazzato vuol mettersi in mostra a tutti i costi- volevo cercare di nascondere il gonfiore, ma come potevo fare? Non potevo certo andare con le mani sul serpente per nasconderlo, non si può andare per strada con le mani la sopra, figuriamoci in una sauna gay che è quello che vogliono vedere, allora dissi a tutti e due:’Andate avanti voi che sapete cosa fare’.
Tutto questo timore di non far vedere il serpente incazzato, non era dovuto al fatto che mi avrebbero visto tutti nella sauna, li potevo anche girarci nudo senza nessuna paura, ma mi sentivo in imbarazzo farlo vedere a Gianni e non riuscivo a capire il perché.
Con gli accappatoi alla vita, entrammo in un ampio salone, sulla sinistra c’era un banco bar, con degli alti sgabelli, intorno c’erano dei tavolini con della sedie, di fronte uno schermo che oltre le immagini. mandava musica a tutto spia-no, sembrava di stare nella panda di F. Comunque è inutile che io stia qui a descrivere com’era fatta la sauna, gli esperti sanno già com’è e per gl’inesperti, consiglio di andarci, ma solo per vedere come è fatta.
Appena entrati nel salone, sulla destra c’erano dei gradini, che salimmo e ci trovammo nella doccia, ci togliemmo gli accappatoi e ci infilammo sotto la doccia tiepida. Io abbassai la temperatura per raffreddare il serpente che non si dava per vinto e quando l’acqua fredda spense i suoi bollenti spiriti, rigirandomi per lavarmi, finalmente vidi Gianni nella sua nudità: la schiena e il’ beh non potevo pensare a quello, visto che F. mi aveva detto che Gianni era solo attivo, però era bello. Mi spostai per cercare di vedere il suo di serpente e lo vidi, era incazzato nero. Dritto e, immaginai, così duro che se si fosse avvicinato alla parete avrebbe potuto farci un buco, spingendo. Stavo per avvicinarmi a lui per poterlo vedere meglio, ma lui uscì da sotto l’acqua e si asciugò, lo stesso facemmo io e F., ci asciugammo, arrotolammo l’asciugamano attorno alla vita e andammo nella sauna, togliendoci ancora una volta l’asciugamano e appendendolo appena fuori dalla porta, ed entrammo; nebbia in Val Padana, con quel vapore si vedeva poco, ma quanto bastava per accorgerci che eravamo soli. Mi sembrava di soffocare, respiravo a fatica e feci una battuta scema, perché in quel momento mi sentivo scemo, anzi, mi sentivo debilitato, rivolto a F:’Ma ti sembra che io abbia bisogno di dimagrire? Se resto qua dentro va a finire che a casa devi portare solo Gianni’.
‘Ma no!’, disse Gianni sorridendo:’Qui ti depuri la pelle, per dimagrire devi andare al bagno turco, ma li ci staremo poco, solo il tempo di asciugarci’
Ci sedemmo su delle panche in legno, F. sul lato sinistro di Gianni e io sul destro, un po’ scostato da lui. Avevo una voglia di toccarlo e sentire quei brividi piacevoli dietro la schiena, ma non trovavo il coraggio, avevo paura di un ‘vaf-fanculo! Cazzo tocchi?’. La mente umana è complessa, ma stupida, aver paura di un rifiuto è assurdo, un no non ha mai ucciso nessuno, eppure è così che mi stavo comportando. Cercavo di avvicinare la mia gamba alla sua, ma ci rinunciavo, c’era sempre quella maledetta paura che mi fotteva. Paura di rovinare tutto quello che non era nemmeno cominciato. Paura di distruggere le mie illusioni che, almeno per quella sera, volevo tenermi.
F. prendendolo per la mano, lo invitò ad alzarsi e si baciarono. Io rimasi seduto di fianco a loro e in quella posizione non vedevo il serpente di Gianni, perché nascosto dalla pressione dell’abbraccio, ma vedevo quello del mio amico e una voglia pazzesca di prendere il suo ciondolo e tirarlo fino ad allungarglielo, legarglielo alla caviglia, in modo che ad ogni passo che faceva si ricordasse che Gianni era zona proibita, mi assalì, ma rimanevo fermo su quella maledetta panca come un ebete, fu Gianni a prendermi la mano e a farmi alzare, mi sentivo in paradiso, dopotutto, forse, le mie non erano solo illusioni.
Spiegare quell’abbraccio in tre’ beh, mi ci proverò; Gianni aveva il suo braccio destro sotto il mio braccio sinistro e mi tirava a se dalla vita e il suo braccio sinistro alla vita di F.. Io avevo il mio braccio sinistro alla vita di Gianni e il mio braccio destro incastrato tra il mio e il corpo di F. e non potevo muoverlo, mentre lui poteva muovere il suo e, infatti lo stava muovendo, ma muoveva sopratutto la mano e si dava da fare.
Gianni mi baciava e in quel momento non pensavo ai brividi lungo la schiena che, comunque sentivo, ma cercanvo un modo per allontanare quella cazzo di mano di F. dal serpente e lo trovai. A fatica, passai il mio braccio in mezzo a noi tre e lo alzai in alto per liberarlo completamente, misi il gomito tra la testa di F. e la testa di Gianni, costringendo il mio amico a staccarsi e a lasciare, quello che non gli apparteneva, presi dalla nuca la testa di Gianni e la tirai a me, ba-ciandolo con quanta passione avevo dentro, ma feci appena in tempo a toccargli le labbra, che un rumore ci fece staccare e ci risedemmo, infatti poco dopo entrò un ragazzo che si sedette dall’altra parte della stanza.
Uscimmo dalla sauna, tanto non si poteva fare più niente, quando scendemmo gli scalini, sulla destra c’era una porta, vi entrammo: era il bagno turco, una stanzetta con delle panchine in legno e dei ripiani, più in alto, che fungevano anche da schienale, sempre in legno, che dovevano servire per sdraiarsi. Rimanemmo la dentro il tempo necessario per asciugarci, ma già troppo per me, che cominciavo a stufarmi, oltre tutto il serpente non mi lasciava in pace. Uscimmo di la e ci dirigemmo, in fila indiana, di fronte alle scale della doccia, a un’entrata chiusa solo da una tendina.
F. davanti, Gianni dopo di lui e io per ultimo, mi sembrava di essere in una processione e la feci la battuta:’Abbiamo finito di portare la madonna in tutte le chiese?’
Per fortuna Gianni non la sentì, ma nemmeno F.. Che non l’avesse sentita F., me ne sarei fregato, ma che non l’avesse sentita Gianni fu una fortuna, il perché lo si capirà dopo.
Entrammo in quel meandro. Sulla sinistra c’erano delle stanzette senza porte e con dentro un separè, di cui era immaginabile la sua funzione e se non si capiva, bastava guardare F. per capirlo. Sbirciava in tutte le stanzette e perfino dietro ai separè, per vedere se trovava qualcosa da mettere sotto i denti’ Ehm! Non proprio sotto i denti. Se prendeva quello che cercava, sicuro, non avrebbe usato i denti, lo avrebbe tenuto in bocca come il tenente Kojak teneva il suo ciupa ciupa. Noi lo seguivamo, io di malavoglia, avevo fretta di sapere se la mia illusione sarebbe rimasta tale e credo che anche Gianni lo seguisse di malavoglia, dal modo che aveva di trascinare i suoi piedi.
Nel meandro F. non trovò nessun ciupa ciupa e quando uscimmo disse:’Andiamo al cinema?’
‘Ma che sei scemo?’, replicai io che vedevo la prospettiva delle mie illusioni infrangersi:’Siamo appena arrivati e tu vuoi andar via per andare al cinema?’
Tutti e due risero e si avviarono verso un’altra stanza sulla sin’ Beh mi sono rotto di scrivere sulla destra, sulla sini-stra, al centro, chi vuol sapere l’ubicazione di tutte ste stanze, che non ci capivo più niente, ci vada e lo vede, posso dar-vi anche l’indirizzo.
Nella stanza c’era uno schermo e di fronte un palco a scalini imbottiti su cui ci si sedeva per guardare il film, ma non crediate che proiettavano Via col vento o La furia di Chen, la prima immagine che vidi fu un uccello in un nido. In-somma, era uno dei soliti filmetti in cui si sentiva solo aaah! (sospiro di’ doveva essere di piacere, ma sembrava più il lamento di un gatto, che non trova la sua lettiera per pisciare), Yes! Yes! Yes! E Good! Good!Good! Cerchiamo di capi-re le parole non confondiamo le cose, good non è la parola tronca di godo in inglese, ma di buono o bello, fate voi. Era uno di quei film porno americani in cui la trama è senza fantasia, sempre uccelli nei nidi, da F. non c’era da aspet-tarsi cultura diversa, non che non abbia cultura, ma per lui è un chiodo fisso.
La sala era vuota a dimostrazione che il film aveva successo
Ci sedemmo e questa volta non feci l’errore di tenermi lontano, mi sedetti attaccato a lui che sembravamo due fratelli siamesi incollati per le cosce. Il contatto della sua coscia contro la mia, mi faceva impazzire, il sangue mi batteva alle tempie e il serpente, se prima si stava addormentando, annoiandosi, con tutti quei yes yes e good, good, ora stava balzando di nuovo in alto. Da dietro la schiena di Gianni, con gli occhi, lanciavo coltelli alla volta di F., per fargli dire finalmente quel che volevo:’Andiamo via di qui, che mi sto rompendo’, ma lui niente, aspettava di eccitarsi. Io ero eccitato, non per il film, e si vedeva attraverso l’asciugamano. Gianni era eccitato, ma se aspettavo di vedere l’eccitazione di F. dal suo serpente, stavamo freschi. Mi accingevo ad alzarmi e dire di andarcene, quando si alzò Gianni, doveva avermi letto nel pensiero e disse:’Andiamo!’. Lui fu perentorio, io avrei fatto solo la domanda:’Andiamo?’ e quella sua perentorietà mi fece felice, segno che si era rotto anche lui di sentire Yes, yes.
Ci alzammo e, sempre in fila indiana, c’incamminammo fuori dal cinema.
Questa volta era Gianni a condurre la processione, io dietro di lui e F. dietro di me. In quel frangente era meglio che lui mi stesse dietro che troppo vicino a Gianni. Entrammo di nuovo nel dedalo delle stanzette, prima non mi ero accorto che in quel dedalo c’erano due stanze con delle porte e fu in una di queste che si diresse Gianni.
Era una piccola stanza in cui c’era un lettino, alla parete un distributore di carta e per terra un cestino per la carta straccia.
Chiuse la porta con un gancio. F. si tolse subito l’asciugamano, scoprendo così il suo serpente che era come morto stecchito e senza dare il tempo a Gianni di togliersi il suo, si butto al collo e lo baciò.
Io ero immobile che friggevo e che mi rodevo dalla ge’ ecco, lo stavo pensando, si, gelosia. Mi stava rodendo la ge-losia, come se Gianni fosse già mio. Deciso a fare qualcosa: misi il mio braccio tra la testa di F. e quella di Gianni e spinsi in giù per fargli staccare quella ventosa che aveva al posto della bocca, spinsi piano perché non s’accorgesse che lo respingevo per non fargli baciare Gianni, quando finalmente la ventosa si staccò, riuscii ad abbracciare Gianni e lo baciai. Lui, allontanandomi con dolcezza, mi disse con altrettanta dolcezza:. Si tolse l’asciugamano e anch’io tolsi il mio e li stendemmo sul lettino, dove già F. aveva disteso il suo.
Gianni si mise dietro di me appoggiando il suo corpo al mio, baciandomi sul collo, stringendomi, accarezzandomi, mi sentivo fuori dal mondo. Ero felice e non me ne fregava niente del ruolo. In quel momento sentivo di amarlo e tutto il resto spariva. Avrei fatto tutto quello che mi chiedeva, pur di averlo e non solo per quella sera.
Sentivo il suo pene premere contro la mia schiena; avrei voluto che quell’attimo non finisse mai, ma c’era Kojak da-vanti a me col suo chupa chupa, a dire la verità non era il suo ma mio. Gianni spinse in avanti le mie spalle ad indicarmi che dovevo piegarmi, lo feci, ma F. mi dava fastidio là sotto, anche perché non ci stava tra me piegato e il lettino, si alzò e si sdraiò con la sua parte addormentata verso la mia bocca, non solo dovevo farlo godere, ma dovevo anche svegliarlo il suo serpente. F. stava diventando ingombrante e di troppo. Volevo che sparisse. Non poteva venirgli una diarrea? Non grave, ma quanto bastava a tenerlo lontano da noi due. Cominciai a svegliarlo con la mano e con la bocca, mentre Gianni mi lubrificava con la saliva, appoggiò il suo pene al mio ano e spinse, sentii un dolore atroce, come mi stessero squartando. Volevo urlare, ma se lo avessi fatto si sarebbe sentito in tutta la sauna. Volevo stringere i denti ( stringere i denti aiuta a sopportare il dolore), ma feci in tempo a realizzare quello che avevo in bocca; se avessi stretto i denti, F. si sarebbe ritrovato con la testa del suo serpente mozzata. Non gli mozzai la testa, ma in compenso, però, glielo strizzai con la mano. Lui si lamentò e piano disse:’Ahi! Fa piano mi fai male’. Non sapeva il rischio che aveva corso.
Il dolore mi faceva mancare il respiro, le mie mani posate sul materasso si strinsero tanto che le nocche mi facevano male. Non pensavo più a F., avevo troppo da pensare a me così, sentendosi messo da parte, si alzò e se ne andò a cercare altro.
Gianni si fermò, nel sentire i mie lamenti a denti stretti, si chinò su di me e mi chiese, sottovoce:’Ti faccio male?’.
Lo chiese con voce afflitta, sembrava quasi che fosse lui a sentire dolore, almeno così mi sembrava e questo mi dava la speranza, che anche per lui ero importante. Con voce stentorea e con una smorfia di dolore sul viso, risposi, piano:’Si!’
Non sono mai stato masochista, anzi il dolore fisico non l’ho mai sopportato, ma non volevo che si staccasse da me,
con lui avrei potuto sopportarlo il dolore, ma fu quello che fece.
Si staccò da me e mi disse:’Stenditi sul lettino’.
Feci una smorfia di disappunto, che per fortuna lui non vide, perché si era staccato da me e malgrado il dolore, non volevo, ma feci quello che mi disse, mi misi supino e lui si sdraiò su di me con tutto il suo peso.
Sentivo il suo pene schiacciato sulla mia pancia ed era inebriante. Avevo perso la testa e tutto il suo contenuto. Non più inibizioni o paura del ‘che cazzo tocchi’. Non più domande se mi volesse o meno. Non più dubbi o illusioni. Attra-verso il suo corpo, sentivo che era me che voleva e, attraverso il suo corpo, capii che anche lui voleva che F. ci lasciasse soli e questo mi dava la certezza che non erano più illusioni.
I suoi baci erano irruenti, le sue carezze facevano fremere tutte le mie membra ed io rispondevo con altrettanta dol-cezza e irruenza.
Quando mi sentì pronto, tirò su le mie gambe portandosele sulle spalle e’ Il dolore tornò ad essere insopportabile, ma non volevo che si staccasse di nuovo e per esserne sicuro, portai le mie mani sulle sue natiche, tirandolo verso di me.
Finalmente, il cordone ombelicale ci univa, formando un corpo solo. Fuori da quella stanza non esisteva più niente. Il mio mondo era lì, in quella stanza, due metri per un metro e mezzo, c’era l’universo intero e io, in quell’universo viag-giavo tenendo per mano Gianni, passando su pianeti lussureggianti, su aridi satelliti, su immense galassie, toccando le stelle più lontane. Fredde, in confronto al calore che emanava il suo corpo. Squallide, in confronto al suo corpo lussu-reggiante. Buie in confronto alla luce che emanavamo assieme mentre, mano nella mano, attraversavamo quell’universo immenso, come immenso era il mio amore. Con lui vedevo ciò che quella stanzetta non poteva contenere: cieli azzurri, oceani immensi e canti di megattere, che ci accompagnavano nel nostro viaggio, come un coro angelico
Ero felice! Non sentivo più dolore, il mio corpo, forse, si era abituato a lui o, forse, lo avevo rimosso dalla mia mente, non lo so, quello che so è che incitavo e aiutavo Gianni, nel suo movimento.
Godemmo tutti e due nello stesso momento. Sentii il suo calore dentro di me e sentii il suo gemito di piacere e ne fui felice.
Rimanemmo li, abbracciati e ansimanti, per non so quanto tempo, poi anche Gianni si mise supino. Io con gli occhi chiusi felice e appagato, non solo sessualmente, ma anche spiritualmente. Nessuno parlò per un po’ di tempo come se non volessimo turbare quel silenzio che regnava nel nostro universo. Fu Gianni a rompere per primo quel silen-zio:’Credi che F, si sia offeso?’
Io, continuando a tenere gli occhi chiusi, risposi:’Sai una cosa, Gianni? Io volevo che se ne andasse e comunque non lo so. Se si è offeso gli chiederò scusa’.
Rimanemmo ancora il silenzio per un po’ di tempo: io con un sorriso ebete stampato sul viso ‘tutti quelli che sono felici hanno un sorriso ebete- e gli occhi chiusi, gli cercai la mano e la strinsi, con quel gesto gli stavo dicendo tutto quello che sentivo per lui.
Dopo non so quanto tempo, fu di nuovo lui a rompere il silenzio:’Sai una cosa , Nicola? Io ho sempre cercato giova-ni”
Il cuore mi balzò in gola, perdendo il mio sorriso ebete e tornando di colpo alla realtà:’Ecco ci siamo!’ Pensai
‘e questa sera non volevo venire, è stato F. a convincermi”
Sentivo la paura che mi mordeva a piccoli morsi lo stomaco e avevo un nodo in gola. Volevo parlare, ma non ci riu-scivo. Riuscivo solo a realizzare le sue parole che significavano la fine; le illusioni tornavano a essere quelle che erano: pure illusioni. Ero rimasto nella stessa posizione di quando avevo il sorriso ebete, lo ascoltavo impassibile, non volevo far vedere il dolore che piano piano stava crescendo dentro di me.
‘F. mi aveva parlato della tua età,”
Ecco, l’età! Maledetta età!
‘ma poi mi son detto, ma si! Per una sera posso anche andare. Ci divertiamo un po”
Già! Lui si è divertito! E io? Io sanguinavo, non so da dove, dal cuore o dal cervello e lui si era divertito. Io mi ero illuso dal suo comportamento e lui si era divertito. Io stavo facendo sforzi sovrumani per non piangere e lui si era diver-tito.
‘Ma quando ti ho visto”
I miei occhi si spalancarono
‘Beh! Sono felice di esserci venuto’.
Balzai a sedermi sul lettino ed esclamai:’Oh, mamma!’
‘Cosa c’è?’ mi chiese lui meravigliato.
‘Oh, niente d’importante! Mi stavi solo facendo venire un colpo’.
‘Perché?’
‘Niente! Niente!’ Mi affrettai a dire e continuai, per non lasciargli il tempo di fare altre domande:’Anch’io non vole-vo venirci’.
‘Ah, si? Allora meno male che sei venuto’
Avevamo ancora voglia di amarci, ma decidemmo di andare a cercare F., avremmo avuto tempo in seguito. Ora sa-pevo, che ci sarebbe stato un seguito.
Dovrei mettere la parola fine al racconto, anche perché, seduto su questa sedia, mi sta venendo il culo quadrato, ma devo spiegare perché è stata una fortuna che Gianni non avesse sentito la frase sulla processione.
Trovammo F. seduto a un tavolino e aveva un’espressione soddisfatta, segno che un chupa chupa lo aveva trovato, gli si leggeva sempre in viso, quando aveva fatto sesso. Ne fui contento per lui.
Prendemmo da bere e loro due si misero a parlare. Si conoscevano da molto tempo e quindi ne avevano di cose da dirsi e raccontarsi. Sentii che parlavano di Pro Loco e preti e siccome io è dall’età di quattordici anni che non vado d’accordo con loro, ascoltavo svogliatamente, mentre mi bevevo il mio succo di frutta. In mezzo a tutte quelle parole, raccolsi una frase di F.:’Quando dicevi messa tu”
‘Perché, sei un prete?’ Dissi rivolto a Gianni.
‘Un mezzo prete’ mi disse sorridendo
‘Che significa mezzo prete?’
Fu F. ad intervenire:’E’ un diacono. Diciamo che è un aiuto prete’ Poi vidi che si era messo a pensare, si fece i suoi conti, aveva capito quello che era nato tra me e Gianni e sbottò, sorridendo:’Il diavolo e l’acqua santa’
Li per li non capii che stesse dicendo e stavo chiedendogli che voleva dire, ma poi capii e scoppiai in una fragorosa risata e mentre io ridevo, F. spiegava a Gianni la frase: quello che c’era ora tra me e Gianni, io ateo convinto (il diavolo) e Gianni diacono (l’acqua santa) e anche lui rise.
Ps: Non aspettatevi un seguito al racconto, non verrò mica a raccontare nei particolari quel che facciamo dopo. Il dopo è mio e di nessun altro.

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