Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

A Fairy Tale

By 9 Settembre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Da tanto tempo non vedevo la mia sorellina. Diversi anni prima si era trasferita all’estero, per studiare e poi lavorare, e una serie di coincidenze ci aveva sempre tenuti lontani. La ricordavo come molti anni prima: dolce e acerba, così gentile nella sua timidezza da scatenare tumulti di tenerezza nel profondo del mio cuore; bella, come la creatura fatata di un bosco incantato. Ora era cresciuta, e una pausa nel suo lavoro le aveva permesso di invitarmi da lei, durante le mie ferie, per trascorrere qualche giorno di riposo insieme. E così, tanto desideroso di vederla quanto agitato (dopotutto erano anni che non ci incontravamo di persona) quel giorno scesi dall’aereo chiedendomi se ancora l’avrei riconosciuta. Capii subito che era impossibile non notarla: credo non avesse nulla a che fare con le altre persone in attesa all’uscita dell’aeroporto. Nulla a che fare con gli esseri umani. Mi ricordava le storie di fate di quand’ero bambino. Che le creature del bosco avessero davvero sostituito la mia vera sorellina con questa incantevole creatura? Sì, ne ero proprio ammaliato! Con quel suo modo di vestire veli leggeri, tanto da sembrare ricoperta di foglie e sottili fili d’erba, si muoveva agile tra le persone, come uno spirito fatto di aria e sogni. Vedevo la gente che si voltava a guardarla, ma lei, col suo sorriso simile ad una stella cadente, si avvicinò decisa a me gridando “fratellone!”, mi guardò per un istante che bastò a farmi innamorare e poi mi strinse, in un abbraccio che mi sciolse: era effimera, sottile e incorporea, eppure così calda, viva. Che tutto sparisse ora, non avrei mai più voluto aprire gli occhi e sciogliermi da quell’incanto. Quando si scostò il suo viso rimase per un secondo a pochi centimetri dal mio e sognai di un fugace bacio sulle sue labbra: sottili e rosee, un cuoricino che piegava ai lati prima verso il basso e poi su, verso quegli occhi intelligenti e furbetti, sottili e di poco allungati, che suggerivano origini vagammente orientali, su di un viso abbronzato, ma dal sole delle montagne avresti detto, costellato di minuscole lentiggini, all’ombra di una lunghissima chioma liscia, che sfumava dal colore delle nocciole fino a un biondo vivissimo, appena sotto i suoi fianchi. Questa era la mia sorellina. E in nulla era cambiata. Era stata fortunata anche nel lavoro: la residenza in cui arrivammo sembrava un acquario! Una villetta di discrete dimensioni la cui caratteristica principale erano le pareti: non spessi muri di mattoni o legno, ma gigantesche vetrate, spesso anche due interi piani, mostravano perfettamente l’interno della casa, che sembrava fosse stata costruita proprio tenendo conto del cammino del sole nel cielo. Le chiesi: “sorellina, ma non hai paura che ti guardino in casa?” e lei, sorridendo, mi rispose misteriosa “no fratellone, qui intorno non c’&egrave nessuno”. Ci misi un po’ a capire che quel meraviglioso bosco che avevamo attraversato a piedi (non possedeva infatti un’automobile), lungo un sentierino tutto fiori e torrentelli d’acqua, altro non era se non il giardino della mia sorellina, la cui casa era dunque ben isolata da tutto il resto del mondo civile. “Non preoccuparti” mi disse “allìinizio farai un po’ di fatica ad addormentarti, ti sentirai… osservato… ma poi ti sembrerà la cosa più naturale del mondo!” e scoppiò a ridere stringendomi le spalle. Aveva ragione: la prima fu una notte da incubo. Grilli e cicale mi strillavano nelle orecchie, mentre sguardo paranoico i miei occhi spalancati scrutavano il bosco cercando di capire cosa fossero quelle minacciose ombre che si muovevano tra gli alberi. Una civetta rimase tutta la notte ad osservarmi sul ramo di una grosso frassino, con la testa leggermente inclinata. Quando mi vide la mattina dopo, la mia sorellina scoppiò a ridere (rideva sempre, come una cascata argentina, ed era questo che la rendeva così bella). “Visto, che ti avevo detto?” e mi scoccò un dolcissimo bacio sulla fronte. “Ti preparo la colazione, poi ti lascio solo, ho un paio di faccende da sbrigare”. Non feci quasi caso a quello che diceva: non potevo staccarle gli occhi di dosso. I suoi piedini erano scalzi e teneri come un orsetto di peluche; indossava una lunga veste bianca, che le arrivava alle caviglie, abbastanza stretta da farmi capire che non portasse altro sotto e i suoi capelli, raccolti in trecce lunghe, di forme e dimensioni diverse, inghirlandati con un fiorellino bianco sopra l’orecchio sinistro… Quello era un sogno. Mi salutò mentre ero ancora imbambolato a guardarla. Passai il resto della giornata un po’ a pisolare in giardino e un po’ a girovagare per il boschetto, nelle vicinanze della casa. Senza alcuna ombra di dubbio la mia sorellina aveva fatto le cose in grande: la disposizione delle piante, delle aiuole e dei numerosi corsi d’acqua era stata profondamente pensata e pianificata tanto da suggerirmi che il bosco, visto dall’alto, potesse rivelare un disegno di senso compiuto. E poi gli animali: sembrava quasi una riserva. Scorsi per un istante anche la mia vecchia amica civetta, compagna della notte, che mi seguiva attenta. Giunsi infine nei pressi di un piccolo lago dalle acque verdi, costellato dei fiori candidi delle ninfee (mi ricordarono la mia sorellina, quella mattina). Era circondato lungo il suo perimetro dai tronchi larghi delle querce e alla fine del sentiero, dal quale ero arrivato, poco prima dell’acqua si apriva tra le piante un praticello, dall’erba sottile e morbida. Ero stanco e accaldato e, senza quasi pensarci (ero solo lì, dopotutto), mi tolsi prima le scarpe per assaporare la carezza dell’erba, mentre mi avvicinavo all’acqua e poi, uno ad uno, i pochi indumenti che indossavo, per immergermi nelle acque rilassanti di quel lago. Lontano il richiamo della civetta. Mi risvegliai dolcemente sul divano del salotto della mia sorellina, ancora un po’ intontito, ma fresco. Sorrisi mentre la scorsi per un attimo in cucina, intenta a preparare la cena, vestita come al mattino. Chissà come non mi chiesi nemmeno come avevo fatto a tornare lì, dal lago. ‘Ecco il fratellone di ritorno dall’abbraccio di Morfeo!’ mi disse, svegliandomi del tutto con un caldo bacione. ‘Allora, come si sta in vacanza?’. ‘Qui da te meravigliosamente bene!’ le risposi guardandola sognante. Poi, mentre lei correva da una parte all’altra della cucina, e io seduto sgranocchiavo pezzettini di verdure, le raccontai di ciò che avevo fatto nel pomeriggio. ‘Sai, l’ho fatto anch’io qualche volta. E’ così rinfrescante!’ mi disse e poi scoppiò a ridere mentre arrossiva leggermente. La immaginai mentre arrivava alla riva del lago, con quel suo incedere maestoso e dolce, per poi camminare lentamente, senza nemmeno togliersi la sua veste bianca, fino ad immergersi in quelle fresche acque verdi. ‘Vedrai’ poi disse ‘questa notte dormirai come un sasso!’. E quella notte sognai, di come, dalle rive del lago, ero tornato a casa, dalla mia sorellina. Sentivo l’acqua scorrermi sulla pelle e rinfrescarmi. Intorno a me il gracidare di qualche rana e il richiamo degli uccelli sugli alberi. Nuotavo lento, quasi tenendo gli occhi chiusi. Sentivo l’odore dell’acqua e delle piante intorno. Con lente e svogliate bracciate nuotai fino al centro del lago, dove mi distesi qualche minuto, beandomi della pace di quel luogo. Poi – non avrei saputo dire se fossero passati minuti, ore o giorni: quel luogo era così strano e misterioso che mi sarebbe potuta scorrere davanti l’intera eternità senza che me ne accorgessi – all’improvviso accadde. Sentii come una scossa, nel momento preciso in cui mi accorsi che un’altra presenza, oltre la mia, si era materializzata a perturbare le onde lisce del lago. Non la percepii come estranea, anzi: più di me parte del bosco faceva esercitava sulle cose intorno lo stesso effetto del vento, quasi le piante si piegassero per farla passare. Era la mia sorellina. Mi accorsi di lei solo quando il suo corpo stava ormai per sparire tra le acque. Vidi le spalle nude e poi il suo sorriso ammaliante. Scorsi appena la sua veste bianca abbandonata sulla riva – mi parve quasi che due uccellini scendessero e coi loro becchi la ripiegassero su un ramo basso. Mi si avvicinò tranquilla, come un candido cigno che nuoti teneramente dai suoi pulcini. Avevo dimenticato la mia nudità, in quel luogo selvaggio, ma quando la mia sorellina giunse infine da me e sorridendomi mi abbracciò stretto nell’acqua sussurando ‘fratellone, sono felice che anche a te piaccia il mio lago’, non potei frenarmi dall’opporre un minimo di resistenza e cercare di allontanarmi da lei. Se non altro per rispetto nei confronti di quella meravigliosa creatura che mi trovavo davanti. La sua pelle nuda, calda, a stretto contatto con la mia, provocava tumulti in tutto il mio essere, amplificati dalla improbabile situazione di galleggiare completamente nudi in un lago di fate. Non capivo nemmeno come, abbracciati, potessimo continuare a galleggiare. La mia sorellina nel frattempo, sempre stretta a me, aveva reclinato la testa sulla mia spalla – i suoi lunghissimi capelli sembravano i rami di un salice piangente abbandonato alle acque che increspasse l’acqua sul mio addome, ne sentivo la carezza – e sembrava fosse addormentata. ‘Ma… G.’ la chiamai per nome agitato e un po’ impacciato. Non la chiamavo mai per nome, usando sempre il vezzeggiativo di ‘sorellina mia’ e forse fu questo che la ridestò all’improvviso. ‘Qualcosa non va fratellone?’ mi chiese turbata, velata in viso. ‘No &egrave che io… insomma noi… ecco scusami se mi sono permesso di rimanere senza vestiti e poi… non sono più abituato a vederti nuda, come quando eravamo bambini! La cosa… ecco… mi sembra un poco strana’. Lei tornò a sorridere timida mettendomi un dito sulle labbra. ‘Zitto’ mi sussurrò ‘sono sempre la tua sorellina e ci siamo sempre voluti un bene vero, un amore vero e non sarà certo la totale sincerità dei nostri corpi a cambiare le cose. Vieni, torniamo a riva. Ho bisogno di parlarti’. Si avviò veloce e io titubante dietro, ancora timido e pudico, intimorito dalle sue e dalle mie nudità. Lei uscì dall’acqua, veloce e sicura, come fosse stata sola, su quella riva, e prima di levare dall’acqua anche il secondo piede si voltò verso di me, inclinando leggermente il viso sopra la spalla e mi sorrise. In quel momento mi ricordò un cerbiatto.

Leave a Reply