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Racconti erotici sull'Incesto

Chiroterapia

By 5 Settembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando mi informò che sarebbe andato in USA, nello Iowa, a Davenport, al ‘The Palmer College of Chiropratic’, ci rimasi male. Devo confessarlo. Mi spiegò che avrebbe conseguito un ‘degree’ come DC, Dottore Chiropratico, che aveva già fatto tutto ed anche ottenuta una ottima borsa di studio, che, in fondo, si trattava al massimo di quattro anni, che sarebbe tornato spesso a trovarmi, che’
Insomma, una montagna di ‘che’, un insieme di nomi: avrebbe appreso il Rolfing, il Reiki, oltre, logicamente la chiropratica. Non mi ci raccapezzavo. Inoltre, quel titolo, DC, valido in USA, non serviva in Italia per la professione medica. Al massimo, mi sembra, poteva fare il ‘paramedico’, il chiropratico!!!
Bel risultato!
Non &egrave facile per una giovane ragazza madre, studiare, trovarsi un posto, tirare avanti nella vita, allevare un figlio, vederlo crescere, essere orgogliosa di lui, sotto tutti i punti di vista: era un bel ragazzo, simpatico, socievole, allegro; aveva riportato ottimi risultati scolastici; era alla vigilia della ‘maturità’, e certamente col massimo dei voti; era un buon sportivo; aveva appreso molto bene l’inglese’ Mi era stato sempre vicino’ Io vivevo solo per lui’ Spesso uscivo con lui, andavamo in viaggio insieme, in villeggiatura’ era tutto per me’ ed ora si sarebbe allontanato, in USA, per quattro anni.
Quando ne parlai in ufficio, mi fecero coraggio, il ‘capo’ mi disse che poteva anche capitarmi, qualche volta, di essere comandata presso la nostra Casa Madre, in USA, proprio a Davenport, sul Mississippi.
Alzavo le spalle, scetticamente.
Ed eccomi qui.
Mi guardo allo specchio, sento di avere mille anni, non 39.
Mi devo tener su per lui, per l’ufficio, per mia stessa dignità. Non devo lasciarmi andare. Ma il risultato &egrave questo: Ciro mi lascia, per almeno quattro anni. Salvo che non decida di restare in USA. In questo caso, però, non so come farò, ma lo raggiungerò!
Ero proprio di fronte allo specchio della toilette, nella mia camera, immersa in queste sconsolate considerazioni, quando alle spalle giunse lui, Ciro, mi abbracciò stretta, mi baciò sul collo.
‘La mia bellissima mammina. Mi inviti a fare una pizza?’
Lo carezzai sul volto.
‘Il mio Ciro!’
Lui sapeva benissimo cosa volesse dire quella mia espressione.
Lo avevo chiamato Ciro, dall’antico persiano, poi divenuto il Greco kirie (signore, padrone), e il latino Cyrus, senza perdere il significato primitivo: Signore! Ed anche ‘che ha forza’.
Era lui, infatti, il mio Signore, e da lui traevo la forza di vivere.
Non triste la mia vita, ma troppo solitaria, da un certo punto di vista, per una giovane donna, sana e vitale.
Meno male che poter accudire a Ciro, vederlo crescere così attraente nel fisico e nello spirito, compensava quelle che, tutto sommato, non potevo chiamare ‘rinunce’.
Andammo alla solita pizzeria, lui era allegro, come al solito, e io cercai di apparire tale. Non potevo farlo partire trasmettendogli lo strappo doloroso della lontananza.
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Adesso, a fianco al portone dov’&egrave il nostro appartamento, c’&egrave una lucida targa d’ottone: ‘Ciro DeRosa, DC del Palmer College of Chiropratic, USA’, più in piccolo una targa anche sulla porta centrale del pianterreno.
Un po’ col mio contributo, e con la partecipazione di un Istituto Chiropratico USA, &egrave stato allestito un attrezzatissimo studio, non solo per la chiropratica ma anche per altre ‘manovre’ che hanno stranissimi nomi. Tutto perfetto, applicando sperimentate organizzazioni statunitensi. Non immaginavo che all’inaugurazione ci fosse tanta gente, anche venuta da Davenport. Moltissimi stranieri, specie nordamericani. Prima della chiusura di tale serata c’erano prenotazioni per almeno un mese. Ciro non era solo, c’erano altri operatori sanitari del settore, anche italiani. Il ‘luminare’ dello Iowa, però, aveva presentato Ciro, di poco più di ventidue anni, come il capo di quel centro, brillante DC, di sicuro avvenire, rammaricandosi che la legge italiana non gli consentisse di chiamarsi medico.
Erano trascorsi abbastanza velocemente quei quattro anni. Con frequenti sue ‘scappatine’ a casa, e mie visite a Davenport, grazie anche alla generosa comprensione della Società USA dalla quale dipendevo.
Anche ‘operatrici’ di sesso femminile, e la segretaria sapeva bene cosa fare. Era già competente del settore avendo fatto pratica nel Centro C. di New York per circa un anno.
Insomma, tutto si presentava con lusinghiere prospettive.
Chiesi a Ciro se, qualche, volta, potessi aiutare anche io, in studio.
Mi disse che sarei stata la benvenuta, specie per qualche appuntamento dopo il regolare orario, quando la segretaria era andata via. Sarei stata preziosa.
Ero curiosa di vedere queste ‘manipolazioni’ e come se la cavava il mio bambino.
La cabine, in ognuna delle quali c’era il necessario lettino, il tavolino con le creme, il posto per eventuali apparecchi, e, dietro a un paravento l’attaccapanni, le cabine, dicevo, erano separate da doppi vetri entro i quali scorrevano delle tende veneziane per garantire la necessaria privacy.
Quando vidi entrare quella imponente ‘stanga’ di almeno un metro e ottanta senza tacchi, e tutto in proporzione, con la lunga coda di cavallo bionda, mi chiesi di cosa mai potesse avere bisogno. Aveva chiesto di poter essere ricevuta sul tardi, dopo il suo turno di lavoro in ambasciata.
Era rimasto solo Ciro, bellissimo. Pantaloni bianchi, zoccoli di riposo, quelli speciali, una tunica con maniche corte.
Ero andata a piazzarmi nella cabina adiacente ed avevo sistemato la ‘veneziana’ in modo che potessi agevolmente vedere, appunto, in cosa effettivamente consisteva questa ‘chiropratica’.
Ciro la salutò cordialmente, in inglese, e capii che si chiamava Eileen.
‘Ciao ma’, se vuoi andare via, io ci metterò circa un’ora.’
‘Posso restare?’
‘Certo, anzi, mi fai piacere. Dopo una doccia possiamo andare fuori a cena.’
Eilenn intanto, era andata nella cabina indicatale. Ciro la raggiunse subito e quando io sbirciai, dalla mia postazione, quel gran pezzo di ragazza stava stesa, a pancia sotto, con un lenzuolino sul sedere, schiena e gambe scoperte. Era veramente una bella figliola.
Le mani di Ciro si muovevamo come quelle di un prestigiatore, con velocità e precisione, e dall’espressione del volto di Eileen si notava che la cosa era piacevole. Poi il lenzuolino fu spostato sulla schiena, verso l’alto, e comparve un sedere splendido, una sfericità statuaria. Il lavoro sulle natiche fu lungo e accurato. Ciro si fermò un istante, la guardò.
Lei si voltò, supina.
Che tette, signore. Ma quella era veramente una ragazza eccezionale. E prima ancora che coprisse il suo pube col lenzuolo, riuscii a notare un ventre piatto, bellissimo, e un triangolo color dell’oro antico che, al muoversi delle gambe, svelò il rosa del suo sesso.
Ma come faceva Ciro a’
Povero figlio mio. Certo che era bello impastare con le mani un corpo come quello, ma era certamente una tortura. Avrei trovato il modo per cercare di saperlo.
Incantevole visione quando si alzò, prima di ritirarsi dietro il paravento. Il lenzuolino era rimasto sul lettino.
Ciro l’aveva salutata, e stava uscendo.
Mi precipitai a tornare al posto della segretaria.
Mi sorrise.
‘Dieci minuti, ma’, e andiamo.’
Poco dopo, allegra e sorridente, apparve Eileen. Salutò. Se ne andò.
Cominciai a girare per vedere se era tutto in regola. Finestre chiuse, luci spente, allarmi inseriti.
Ecco Ciro.
Pizzeria. La nostra pizzeria.
Mangiammo con gusto, e bevemmo dell’ottima birra alla spina.
Ci avviammo verso casa, a piedi.
Mi venne da rivolgergli una domanda.
‘Ho visto, Ciro, che quella ragazzona, quella Eileen, &egrave uscita tutta pimpante. Ma fa veramente bene questa chiroterapia? Anche alla mia età?’
Si fermo un momento, mi guardò sorridendo, tra il divertito e il provocatorio.
‘Che domande fai, ma’, non vedi che siamo sempre pieni di gente, che guadagniamo benino? Ti sembra che la gente tornerebbe se non trovasse vantaggio? E poi, che vuoi dire con quel ‘alla mia età’? Tu sei giovanissima, una bambina. La mia bambina.’
Mi strinse a sé, e mi baciò sul collo.
‘Un’altra cosa, Ciro. Ma a voi uomini, specie a te, così giovane’ non fa effetto a vedere una donna, magari anche bella e attraente, così spogliata, distesa’ toccarla, doverla’ palpeggiare”
‘Nella nostra professione ci sono pazienti, e non ‘donne’ e ‘uomini’. Pazienti, solo pazienti. I loro corpi necessitano le nostre cure. Li rispettiamo. Totalmente. Certo, comunque, che non si &egrave del tutto insensibili”
‘E, scusa sa, ma io sono curiosa. E non ti capita’ in quei momenti’ di farci un pensierino?’
‘C’&egrave tanta roba fuori da studio’ perché dovrei trascurarla?’
Seguitammo a camminare in silenzio, e lui aveva messo la sua mano sulla mia spalla.
‘Chissà se i miei doloretti cervicali’.’
‘A parte che prima di parlare di doloretti cervicali bisogna accertare dove effettivamente siano e le cause, ad esempio una radiografia, in ogni caso la chiropratica in molti casi &egrave un vero e proprio toccasana. Sai cosa devi fare? Vieni domani sera, all’orario di chiusura, c’&egrave anche il radiologo. Vediamo e poi decidiamo. OK?’
Sollevai il capo per sorridergli.
‘OK, caro.’
Si chinò e mi baciò sulla fronte.
‘La mia bella mammina!’
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Prima che Ciro uscisse, dopo colazione, come al solito, gli dissi che sarei andata da lui, all’ora di chiusura, per la radiografia, e gli chiesi come dovessi vestirmi. Mi disse che dopo potevamo andare a cena fuori.
‘Benissimo per la cena, che questa volta offro io. Devi vestirti come al solito: reggiseno, mutandine.’
‘Dovrò togliere tutto?’
‘Ma, non credo necessario’ ad ogni modo lo vedremo dalla nitidezza delle immagini.’
E fu così che andai a trovarlo. Puntualissima. Stava uscendo l’ultimo paziente. Altri terapisti erano già andati via. Era restato solo il Dottor Maurelli, radiologo, e Ciro. Maurelli già lo conoscevo, dal primo giorno di apertura dello studio. Era giovane, simpatico, cordiale.
Mi salutò calorosamente.
‘Allora, signora, anche lei viene a finire sotto le nostre mani, eh? Vediamo di cosa si tratta, ma qualunque cosa sia ‘Ciro lo stregone’ risolverà tutto! Prego, tolga il vestito e, se usa indossarla, la sottoveste. Vada pure lì, dietro il paravento.
Quando tornai in reggiseno e slip, c’era anche Ciro.
Maurelli, galantemente, si rivolse a Ciro.
‘Ma sai che hai veramente una bella mammina? Credo che le farò la corte.’
‘Niente da fare, Paolo, &egrave già impegnata.’
‘E con chi, posso saperlo?’
‘Con me. Quindi, niente da fare. La sai la canzone? ‘Maria &egrave roba mia, solo io sono il padrone’? Alla larga, ti ho avvisato.’
Io, intanto, sentivo di essere diventata rossa, così, seminuda, dinanzi a mio figlio.
Maurelli si avvicinò, toccò le vertebre cervicali, mi fece muovere la testa. Scese con le mani ungo la spina dorsale, fino quasi al coccige. Palpando, soffermandosi qua e là. Mi disse di flettermi, gambe tese, fino a toccare con le dita la punta del piede. Mentre stavo in quella posizione cercai di vedere il suo volto, l’espressione del suo volto esprimeva visibile compiacimento. Ciro gli fece scherzosamente cenno che gli avrebbe dato un manrovescio. Io, intanto, restavo così, e per come lo slip s’era infilato tra le natiche, sentivo che i miei glutei erano in piena esposizione.
‘Ferma un momento così, signora.’
Si avvicinò e palpò profondamente i glutei, cercando l’articolazione.
‘Faccio male?’
‘Non molto.’
‘Si alzi, ora.’
Mi alzai.
Premette sui fianchi, all’altezza del femore.
‘Sente qualche doloretto all’inguine, qualche volta, irradiarsi dalle articolazioni?’
‘Non ci ho fatto molto caso.’
‘Vediamo, lei resti ferma, con le gambe un po’ divaricate.’
Si inginocchiò dinanzi a me, infilò i pollici nello slip e premette la parte interna dell’inguine.
Si alzò.
‘Facciamo qualche lastra, in piedi e sdraiata.’
Mi fece andare dietro lo schermo della macchina.
‘Va bene così?’
‘Benissimo, ma se ha un fermaglio metallico nel reggiseno, come mi pare, deve toglierlo.’
Ciro si avvicinò.
‘Da a me, mamma.’
Ma come, a petto nudo davanti a mio figlio? Non credo che mi abbia visto così da quando lo allattavo. O, forse, qualche volta, casualmente, di sfuggita. Ma adesso era li, con la mano tesa per prendere il reggipetto. Comunque, lo sganciai e glielo diedi.
Maurelli andò nel box dei comandi.
‘Vieni, Ciro, facciamo le prime proiezioni.’
Di fronte, di dietro, lateralmente, in più riprese, dalla testa al bacino. E poi, mi disse di stendermi sul lettino, a pancia sotto. Uscii da dietro la macchina cercando di nascondere le mie povere ed espostissime tette. Maurelli sorrise.
‘Sono tutt’altro che da nascondere, signora. Se la vedessero le giovinette moderne la invidierebbero. Si sdrai.’
E così, prima sul dorso, poi sulla pancia, altro strazio.
‘Ora può vestirsi, Ciro ed io andiamo a vedere come sono venute. Ci aspetti nel mio studio, per favore.’
Mi rivestii e andai dove mi aveva detto.
Mi raggiunsero poco dopo, con le lastre che mise sul diafanoscopio. Mi mostrò alcuni punti.
‘C’&egrave un po’ artrosi, diffusa, dalle cervicali alle lombari. Qualche ‘fans’ per combattere l’infiammazione, e le mani dello stregone. Vedrà che poi potrà fare a meno delle pillole, ma non di Ciro.’
Ciro mi sorrise.
Maurelli mi dette delle pillole, raccomandandomi di prenderne una la mattina, per cinque giorni e poi affidarmi a Ciro.
Mentre ci avviavamo al ristorante, non alla solita pizzeria, in auto, dissi a Ciro che ero morta di vergogna nel mostrarmi a lui, così, spogliata.
Allungò una mano, prese la mia.
‘Non fare la sciocchina, sei la mia mammina, io ho avuto la conferma di quanto tu sia bella. Immensamente bella. Più di quello che immaginavo. Hai sentito Maurelli? Ha detto che voleva corteggiarti.’
‘Ed ho anche sentito la tua risposta, come quando eri bambino: ‘Questa &egrave mamma mia, mia, mia!”
Mi strinse la mano.
E trascorsero i giorni della terapia orale, era giunto il momento di affidarmi alle mani dello ‘stregone’.
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Sabato lo studio di ero era chiuso.
Le donne della pulizia alle nove del mattino avevano già fatto il loro servizio.
Ciro, la sera precedente, mi aveva suggerito di fare una prima ‘manipolazione’, come le chiamava lui, verso le nove e trenta, e da come avrei reagito avrebbe stabilito la durata della seduta.
Non dovevamo che scendere due piani. Potevo scendere in vestaglia. Avevo indossato, come lui mi aveva detto, lo stretto indispensabile, reggiseno e slip.
Eravamo solo noi, logicamente, ed aprimmo soltanto alcune serrande. Mi disse di andare nel camerino, mi avrebbe raggiunto subito.
Quando entrò, nella sua tenuta da lavoro, ero in piedi, vicino al lettino, vestita.
‘Mamma, sei ancora cosi?’
‘Veramente, Ciro, trovo un certo imbarazzo a spogliarmi davanti a mio figlio, a rimanere’ quasi nuda.’
‘Dai, mamma, proprio perché sono tuo figlio dovresti sentirti a tuo agio. Io ritengo che sia più seccante esibirsi a un estraneo. Forse siamo schiavi di qualche deformazione di pensiero che neppure sappiamo spiegarci. Dai, togli la vestaglia, sdraiati a pancia sotto, slaccia il reggiseno.’
Lo guardai sorridendo, un po’ pensosamente. Feci come mi disse lui.
Sentii le sue mani scorrere sulla mia schiena, con delicatezza. Dal collo al bacino. Risalire, soffermarsi sulle prime vertebre, carezzarle, poi scendere lentamente.
Dopo un po’ provai un piacevole senso di rilassamento, di distensione. Andò avanti così per qualche minuto. Sentivo che mi invadeva un gradevole languore. Quella specie di carezza si diffondeva in me, beneficamente, mi pareva quasi che mi staccassi dal suolo. Era bellissimo. Mi accorsi, a un tratto, che stavo involontariamente muovendo il bacino, e il premere del grembo sul lettino aumentava quel desiderio di abbandono. Le mie grandi labbra strofinavano sul lettino, ed era come se fossero deliziosamente carezzate.
Chissà se Ciro se ne era accorto.
Avevo gli occhi chiusi, li riaprii, alzai la testa per vederlo. Era tutto intento al suo lavoro, ora stava abbassandomi lo slip.
Lo sapevo che sarei rimasta così, dinanzi a lui.
Era proprio questo che non volevo!
Le sue mani dapprima sfiorarono i miei glutei, come a saggiarne la consistenza, li carezzarono, li impastarono, premevano ritmicamente, e questo faceva aumentare lo strofinio del mio sesso sul lettino, con sommo mio piacere. Mi accorgevo che c’era un certo coinvolgimento erotico nel mio fisico. Forse perché non ricordavo più quando un uomo aveva carezzato così quella mia parte del corpo.
Ciro premeva ai lati, cercando di coinvolgere l’articolazione.
Mi disse di voltarmi sulla schiena. Dovette ripetermelo due volte. Mi sembrava di vivere un mondo tutto mio.
Mi voltai.
‘Scusa, ma’, devi sfilare del tutto lo slip. Devo farti muovere le gambe.’
Pure questo, ora sarei stata nuda e a gambe larghe di fronte a mio figlio, col mio sesso spalancato, come una’ Mi trattenni in tempo. Finii il pensiero: ‘come una paziente qualunque!
Ciro rimase per qualche attimo a guardarmi.
‘Però, ma’, non ti facevo così bella e fresca. ‘Rosa aulente’, recitava la poesia romanza. Sei veramente una visione che incanta. Ha ragione Maurelli!’
Credo che arrossii violentemente, e non seppi cosa rispondere.
Mi fece poggiare coi talloni sul lettino. Prese una gamba, l’alzò, posò il piede sulla sua spalla e cominciò a massaggiare lentamente, sempre più su, fino all’inguine, nell’interno della coscia, impastando e spingendo. La sua mano sfiorava le grandi labbra, sentivo che s’erano inturgidite, che i peli s’erano arruffati, ed anche il clitoride era eccitato. Chissà se lui lo vedeva. Socchiusi gli occhi. Sbirciai. Lui massaggiava ma teneva lo sguardo fisso tra le mie gambe. Prese entrambe le gambe e, aritmicamente, le apriva e chiudeva. Lentamente. Poi le poneva sulle sue spalle e massaggiava la coscia, gli inguini. Entrambi. Le grandi labbra erano pienamente coinvolte in quel massaggio che avrei voluto non finisse mai. Anzi, no. Doveva finire, perché io stavo sempre più evidentemente avviandomi a un vero e proprio godimento sessuale. All’orgasmo. Percepivo il caldo del mio grembo, l’umido della mia vagina, e certamente qualche goccia della mia secrezione poteva anche fuoriuscire’
Per fortuna Ciro terminò. Di colpo.
‘Per oggi basta così, mammina, puoi vestirti.’
Credo che avessi occhi lucidi e nari frementi quando lo guardai’ e l’occhio cadde subito sulla evidenza della sua erezione. Si voltò e uscì dalla cabina.
Forse quei massaggi dovevano finire qui. Oggi stesso.
Dovevo tornare a casa, sentivo il bisogno di una doccia. Lo dissi a Ciro, che era seduto dietro la sua scrivania. Mi rispose che sarebbe salito pure lui, e che se non avevo altri programmi, potevamo andare a pranzare fuori, magari in un posto tranquillo.
Gli risposi che ero d’accordo. Sarei stata pronta in mezz’ora.
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Quando andai nel soggiorno Ciro era lì, col giornale. Lo sfogliava. Si alzò in piedi, allorché entrai. Mi guardò attentamente, i suoi occhi mi percorsero dalla testa ai piedi, e viceversa. Più volte. Lui, il bel ragazzo di sempre, era in pantaloni color coloniale, di canapa, e una delle tante camiciole che aveva nel suo armadio. Mocassini, senza calze, una specie di sahariana senza maniche sul braccio, nella quale, evidentemente, conservava documenti e chiavi. Gli occhiali da sole erano sul tavolino.
Io avevo indossato, sulla mia solita biancheria intima, un vestito sportivo, aperto davanti, di color nocciola. Un foulard marrone scuro, sandali, la mia borsa preferita, in tela grezza, dove tenevo un po’ di tutto, oltre il portafoglio.
Mi sorrise, ma senza la sua solita aria monella e un po’ provocatoria.
‘Allora, signora De Rosa, dove desidera festeggiare i suoi trent’anni?’
Ero sorpresa.
‘Che vuoi dire, Ciro?’
‘Voglio dire che chi di dà più di trent’anni non capisce niente”
Cercai di stare al giuoco.
‘Non ti sembra che hai fatto uno sconto eccessivo?’
‘Direi proprio di no. Sono pratico, ormai da anni, del fisico delle persone, specie delle donne. Di tutte le età. So quello che dico, e non mi fa velo l’essere tuo figlio. E’ un parere obiettivo e professionale.’
‘OK, quando hai finito di prendermi in giro, mi dici dove siamo diretti?’
‘Dove vuoi tu, bella signora. Io comincerei ad avviarmi lungo la Via dei Laghi.’
‘Aggiudicato.’
Scendemmo nell’autorimessa, salimmo in auto, si avviò per imboccare l’Appia.
Guardava la strada, con un’attenzione che tradiva un suo pensare interno. Non certo era preso dalla guida, né da incertezze sul percorso da seguire. Lo conosco bene, il mio bambino. Pensava.
Forse per quell’impalpabile filo che unisce madre e figlio, mi misi anche io a rimuginare, cercando di non far trapelare dall’espressione del volto ciò che andavo arzigogolando.
Avevamo imboccato la via che conduce ai laghi.
Non moltissima gente. Guida non affrettata, del resto non avevamo impegni.
Mi accorsi che stavo annuendo, con le labbra strette. Sì, era così, dovevo dirglielo.
‘Cosa ne pensi, Ciro, di affidarmi a un terapista dello studio per le altre manipolazioni?’
Frenò di colpo. Inchiodò l’auto, spostandosi sulla destra. Per fortuna non ci seguiva nessuno troppo vicino.
Mi fulminò con lo sguardo. Duro, freddo. Strinse il volante.
‘Non ci penso proprio. Ma come ti passano per la testa certe idee. Sono il più preparato dello studio, il più bravo, lo dicono tutti, e dovrei mettere la mia mamma nelle mani di un altro? Non ci penso nemmeno!’
Lo aveva quasi gridato, con calore.
Gli posai la mia mano sulla sua. Era rigida, fredda. Gli sorrisi. Non mi aspettavo quella sua reazione, e nel mio subconscio ne ero felice, orgogliosa. Mi sentivo protetta da lui, difesa. Gli carezzai il volto, teneramente.
‘Tesoro, ma era solo per non rubare delle ore al tuo lavoro!’
Cercò di riacquistare il controllo di sé.
‘Mamma, io sono giunto dove sono solo grazie a te, e tu parli che rubi delle ore al mio lavoro? Ma ti rendi conto di quello che dici? Mi dici che ti dovrei affidare a un altro. Sì, proprio dopo quella stupida battuta di Maurelli!’
‘Pace, bambino mio?’
Mi guardò sorridendo.
‘Sempre pace tra noi, mamma.’
Mi sollevai un po’ per baciarlo sulla guancia, Si voltò, le nostre labbra si sfiorarono.
Ripartì. Piano.
Ora, invece di avere idee più chiare, ero ancor più confusa.
Stavo collegando alcuni particolari, soprattutto il riferimento alla ‘battuta’ di Maurelli. Alla sua risposta: ‘&egrave mia’ mia”. Mi tornava agli occhi la sua evidente eccitazione, dopo il massaggio, il suo essere letteralmente ‘scappato’ nel suo studio’ Mi stavo chiedendo il perché mi avesse fatto sfilare lo slip, quando avrebbe potuto eseguire ogni manipolazione anche se lo indossavo. Gli inguini erano praticamente scoperti! Avvertivo anche, nuovamente il piacere che mi dava il contatto con le sue mani, e ne ero turbata. Un piacere sensuale’ sessuale’ impudico’ voluttuoso’ ma tanto bello, al limite del godimento orgasmico. Era naturale, la reazione del suo sesso. In fondo, sono una femmina, e lui un maschio.
Scossi la testa, per scacciare queste ubbie, e feci un profondo sospiro.
Ciro stava entrando nel piazzale del ristorante, da dove si dominava la non lontana città da una parte, e fino al mare dall’altra. Mi aprì lo sportello, mi dette la mano, consegnò le chiavi al ragazzo che ci era venuto incontro.
Ci avvicinammo alla balaustrata del belvedere. Mi poggiai su essa. Ciro mi era vicino, Mi pose una mano sulla spalla, poi la fece scendere al fianco, carezzandomi.
Aveva ripreso il volto di sempre.
Mi sorrise deliziosamente.
‘Sento il tuo tepore. E’ sottilissimo questo vestito.’
Lo guardai quasi con civetteria.
‘A parte la biancheria intima, indosso solo questo.’
‘Fai benissimo.’
Andammo al ristorante. Un tavolo vicino la veranda, con lo splendido panorama della valle.
Ordinammo le solite cose della ‘casa’, e pochissimo vino.
Parlammo del tempo, dell’andamento dei suoi affari, del mio lavoro. Sfuggì abilmente la mia curiosità sulla sua vita sentimentale. Mi carezzava la mano, mi fissava con infinita dolcezza.
Poco lontano era il bosco, ben tenuto, con qualche panchina.
Ci avviammo nel viottolo, più oltre c’era uno spazio, sedemmo.
‘Ti ricordi, ma’, quando venimmo qui? E’ trascorso tanto tempo. Mi sembra che sia la stessa panchina. Io posai la testa sulle tue gambe e mi addormentai.’
‘Vuoi fare lo stesso?’
‘Certo!’
Mi feci un po’ da parte in modo che lui potesse sdraiarsi. Mise la testa sulle mie gambe, col volto rivolto al grembo. Gli carezzavo i capelli. Un quadro ‘quasi’ idilliaco. ‘Quasi’, sì, perché sentivo il suo respiro caldo, e mi sembrava che la sua bocca premesse’ proprio là’ O era solo la mia impressione. Comunque, che dovetti deglutire più volte. Io sentivo chiaramente se qualcosa mi agitava, specie quando si trattava della mia sfera sessuale. Mi ero autonominata una ‘vergine’ di ritorno. Perché dopo il padre di Ciro non avevo avuto altri uomini. Ma la lunghissima, penosa, castità non aveva soffocato le naturali sensazioni di un fisico sano e non ancora vecchio.
Sembrava essersi addormentato.
La mia mano seguitava a carezzarli i capelli, lui mosse la testa, la spinse verso me. Sentivo le sue labbra calde, il suo respiro, superare il vestito, lo slip’ eccitarmi. Deliziosamente. E mi accorsi che nel carezzarlo io lo avvicinavo al mio corpo, ritmicamente. Avrei voluto che non si fosse svegliato, se non dopo tanto tempo. Non riuscivo a tenere ferme le gambe, sentivo che il grembo sussultava’ che sensazione meravigliosa.
Seguita a carezzarlo.
^^^
Era la sera che avevamo fissato per la successiva seduta chiropratica.
Dopo la gita al belvedere, il nostro rapporto era divenuto più confidenziale, più tenero. Ci scambiavano qualche carezza. Sul divano eravamo più vicini. Insomma, il contatto fisico ci attraeva, e noi non lo sfuggivamo.
Ciro mi sorrideva spesso.
Cominciò anche questa volta dalle cervicali.
Quando mi disse di ‘togliere tutto’, gli chiesi se fosse proprio indispensabile. Annuì, senza parlare.
Orai ‘pensai- il mio corpo non aveva nessun segreto per lui!
Questa volta l’impastamento dei glutei fu più lungo e accurato. E’ il suo pollice s’infilata tra le natiche e spingeva il perineo, si soffermava sul mio buchetto, e quel toccamento si ripercuoteva anche davanti!
Quel massaggio perineale, era veramente incantevole, ma che c’entrava con la chiropratica? Comunque mi piaceva.
Quando mi disse di voltarmi, vidi che era rosso in volto, e la sua patta sembrava scoppiare, tanto che la zip era quasi del tutto abbassata.
Mi fece sedere sulla parte inferiore del lettino, con le gambe pendenti.
Io ero giù. Le mani dietro la testa.
Ora stava massaggiando le tette. Seguitavo a chiedermi quale connessione avessero con vertebre e articolazioni, ma le sue mani erano veramente stregate, e quei piccoli pizzichi ai capezzoli mi stavano facendo impazzire per il piacere.
Era sceso all’addome, al pube’ tra le gambe’ e quello, mi sembrava, non era il massaggio d’un chiropratico, ma un carezzare volutamente provocatorio ed eccitante’
Dovevo chiedergli cosa stesse facendo?
Che glielo chiedevo a fare. Si capiva perfettamente!
E non avevo finito di fare questa considerazione, quando sentii che le mie grandi labbra venivano dischiuse e’. e quella era la sua lingua che mi leccava e titillava’
Dovevo alzarmi di scatto e fuggire’
Perché? Era così bello’ dolcissimo’ incantevole’
Quella era lingua di Ciro. Stava entrando in me, come una calda saetta, stava girando in me, intorno intorno all’interno della mia vagina ormai incontrollabile, e il mio grembo sobbalzava, le mie cosce si muovevano, gli stringevano la testa, la attiravano, e sentii sfuggirmi un lungo lacerante e liberatorio gemito di piacere, mentre venivo travolta, sconvolta, da un orgasmo che non avrei mai immaginato.
Un lunghissimo profondo respiro, cercando di contenere il mio tremito.
Lui prese le gambe sotto braccio, le tirò vero sé, e sentii che ora a premere l’ingresso del mio sesso non era la lingua, ma un imponente e impaziente scettro di carne fremente. La mia vagina abbastanza stretta, ma la sua dolce insistenza vinse tutto, ed entrò in me come un trionfatore.
Alzai un po’ il volto, lo guardai.
Era bellissimo, il mio Ciro, splendido. Il nume dell’Amore, del Sesso, della Passione.
Aveva gli occhi fiammeggianti.
Sembrò un grido di aiuto.
‘Mamma!’
‘Si, bambino mio’!’
E cominciò ad entrare ed uscire da me con tenerezza, ma sentivo la sua passione, la sua eccitazione crescere a mano a mano che si avvicinava l’acme del suo piacere’ ma anche del mio’ perché avevo un arretrato di decenni, una bramosia indescrivibile. Lo volevo in me, per me, tutto’
Mi dimenavo forsennatamente, l’orgasmo mi aveva invasa, stavo cercando di rilassarmi, ma proprio in quel momento sentii le sue forti, imperative spinte, che precedettero un torrente impetuoso e caldo, che m’invase, si sparse voluttuosamente in me e mi dette un senso di profondo appagamento e di pace!
Ma non solo io avevo appetiti arretrati, perché Ciro sembrava più pronto che mai, e, letto negli occhi anche il mio desiderio, rinnovò con maggior foga il suo assalto, che mi portò ancora nell’empireo della sensualità e del piacere.
Poi, una volta che si decise, con mio sommo rammarico, a sgusciare da me, mi alzai. Mi abbracciò, mi baciò sulla bocca, cercandomi avidamente, mi baciò il seno, mi succhiò i capezzoli, e se fosse stato per lui avrebbe ancora rinnovato le sue gesta.
Lo carezzai teneramente,
‘Ciro, bambino mio, non credi che a casa potremmo seguitare la terapia con maggior comodità?’
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“re padrone”.

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