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Racconti erotici sull'Incesto

Confidenze

By 16 Dicembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Non posso fare a meno di parlarne. Devo dirlo a qualcuno, ma desidero solo raccontare. Non desidero ascoltare opinioni, pareri, consigli, e tantomeno rimproveri, richiami a certi concetti, dogmi!
E’ come scrivere una pagina di diario.
Poi devo distruggerla subito, perché non deve rimanerne traccia.
Mi piace rivivere tutto, senza rimorsi. Amo ricordare ciò che non potrò mai cancellare dalla mia mente. E non voglio dimenticare!
Di cosa parlo?
Più esatto dire di ‘chi’ parlo.
Parlo di un nume, del mio idolo. Di Piero, mio figlio.
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Non &egrave stato un colpo di fulmine, e tanto meno l’improvvisa attrazione per quello che viene considerato ‘tabù’, desiderio di assaggiare il frutto proibito.
Qualcuno dirà che ho un particolare modo di pensare, di vivere, forse &egrave così, ma non faccio male a nessuno.
Io sono arrivata vergine al matrimonio, con Arturo, a ventuno anni. E non l’ho mai tradito, mai! Per me il tradimento nel matrimonio &egrave avere un amore illecito; illecito significa contrario alla morale, alla legge.
Ma quale legge dell’uomo e quale morale possono mutare la normalità della natura per cui si nasce, si vive, si procrea?
Tutto qui.
Quindi ‘e mi rivolgo principalmente alle donne, anzi alle femmine- vi sembra che dopo averlo portato per nove mesi in grembo, avergli dato la vita, si possa accettare una separazione ‘definitiva’ da quell’essere che, tra l’altro &egrave stato strappato da noi con un trauma, sì una vera e propria ferita, il taglio che ha reciso il cordone che ci univa? E’ un vero e proprio trauma, oltre che fisico, anche psicologico, e ci accompagna per tutta la vita, a meno che’
Come sono giunta ad ‘almeno che”?
Non &egrave facile dirlo.
Io l’ho sempre considerato la ragione della mia vita, amato in un modo che non so definire, ammirato, seguito minuto per minuto, e non so descrivere quel misto di amore, di attrattiva, quasi di mistica dedizione, completa consacrazione a lui, e per lui mi sarei immolata. In fondo, però, prevaleva sempre il prepotente e irrefrenabile desiderio di ‘riaverlo’. Comunque.
Ciò aumentò in modo esponenziale, e divenne ossessione quando divenne uomo, un giovane uomo di diciotto anni. Magnifico. Lo avevo fatto io, quindi era mio. Ma non completamente. Il desiderio, divenne brama, struggimento, frenesia, cupidigia, si trasformò in passione, concupiscenza, fregola, e urgeva impazientemente in ogni mia fibra, soprattutto nel vuoto che la sua separazione da me aveva lasciato.
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Quel sabato mattina tornò a casa, dopo l’allenamento di rugby nel piccolo improvvisato campo, proprio dietro casa, ed era infangato, sudato.
Mi salutò con una bacio di sfuggita, e andò nel bagno, direttamente.
Lo seguii, per farmi dare quanto avrei dovuto mettere nella lavatrice, per una pulizia particolare e approfondita. Non &egrave facile togliere dalla stoffa fango e sudore.
Lui era in piedi, ancora tutto vestito, di fronte al lavandino, guardandosi nello specchio, sorridendo., Nell’angolo del garage che usava come ripostiglio, aveva tolto protezioni e scarpine, adesso era in maglia, pantaloncini, calzettoni.
‘Sono buffo, eh, ma’?’
‘Sei il solito bambinone che si inzacchera tutto, come quando eri piccino. Sembra che ti sia rotolato nel fango.’
‘Proprio così. Terreno fangoso, e mischie impetuose. Ora mi spoglio e ti do’ tutto.’
‘Dai, che ti aiuto a togliere questa roba sporca. Siedi sullo sgabello, altrimenti non posso aiutarti.’
Sedette. Alzò le braccia, gli sfilai il maglione che, tra fango e sudore, sembrava di cartone. Rimase a torso nudo. Veramente bello, il mio ragazzo. Lo guardai incantato. Era opera mia. E dire che quel figliolone, che ora mi sovrastava di quasi un palmo, era stato in me, era cresciuto in me, era nato da me.
Aveva il capo leggermente chinato. Lo ammiravo, incantata, con un sentimento che non so descrivere. Anzi, che non voglio descrivere, perché era profondamente traboccante di qualcosa di estremamente carnale. Desideravo toccarlo, carezzarlo’ ed altro!
Il mio grembo sembrava impazzito, tumultuava, sentivo che i capezzoli, irrigiditi, premevano contro la stoffa della mia vestaglia, unica cosa che indossavo, oltre le mutandine.
Mi chinai a togliergli i calzettoni.
‘Entra nel box della doccia, l’apro piano e ti aiuto a staccarti da dosso polvere e sudore.’
‘Ma così ti bagnerai, ma’!’
Aprirò poco, e poi se mi bagnerò mi cambierò. Via”
Entrò sotto la doccia. Regolai il miscelatore, aprii appena l’acqua. Presi la spugna, la bagnai, vi versai il bagnoschiuma, cominciai a insaponargli le spalle.
No, era la mano che volevo passare sulla sua pelle. Come facevo quando era ancora un fanciullino.
Lo insaponavo, ma era soprattutto una carezza.
Mi chiese lo shampoo per i capelli.
Ci pensai io. Era bellissimo tuffare le mani tra i suoi riccioli neri.
Già, riccioli neri, certo come gli altri che aveva’. O quelli erano più crespi?
‘Piero, togli i calzoncini, via tutto”
‘Ma così rimango nudo, ma’!’
‘Già, una novita per me, vero, per tua madre? Non fare lo sciocco, fatti lavare!’
Con un certo disagio, lasciò cadere calzoncini e slip. Li raccolsi, li misi accanto a maglia e calzettoni.
Mi vennero in mente le statue classiche della mascolinità: Davide di Donatello, Ercole Farnese, i Bronzi di Riace. Piero era più bello di loro.
E poi, era vivo, caldo, palpitante, lo potevo toccare, carezzare. Era lì, vicino a me, come lo avevo pensato, sognato infinite volte. Ed ogni volta mi svegliavo con uno strano turbamento, un desiderio incontenibile e inspiegabile.
Nel sogno mi avvicinavo ad Arturo, mio marito, senza aprire gli occhi, lo carezzavo. Sapevo che non era ‘lui’ ma mi sforzavo ad immaginare che lo fosse. Lo percorrevo con la mano, mi soffermavo sul suo sesso, lo sentivo crescere. L’uomo svegliava lentamente, diveniva sempre più voglioso, eccitato, e con dolce prepotenza, si metteva su me, tra le mie gambe, portava il glande al rorido ingresso della mia vagina, ed entrava in me, con sapiente voluttà. Lo sentivo, certo, e la mia fantasia volava lontano, cercavo di pensare che fosse ‘lui’, mi abbandonavo, partecipavo. Arturo era bravissimo, scopava da dio, conosceva ogni segreto per farmi godere, ma non poteva comprendere quello che accadeva in me, che non stavo godendo mio marito, ma un altro. Attendeva il mio orgasmo sconvolgente, il mio fremito e’ si ritirava. Sì, si ritirava. Il supplizio di Tantalo, per me. Nel momento che, affamata, stavo per cogliere il frutto desiderato, esso si allontanava’
Mi svegliavo, e giacevo, delusa, insoddisfatta, depressa.
Ora ‘lui’, frutto prelibato e proibito (perché?) era di fronte a me, le mie mani lo sfioravano, indugiavano su lui, insaponandolo, lavandolo’
Fianchi bellissimi, natiche sode, ben modellate. E sorridevo tra me e me, pensando che aveva preso da me, a tal proposito, perché anche le mie non erano da buttar via, neppure nei miei ‘anta’.
Era logico che la mano, piena di schiuma, sfiorasse il pube, i riccioli e, conseguentemente, incontrasse il suo sesso. Sentii che si muoveva, sostai un momento. Sì, stava gonfiandosi. Con naturalezza lo afferrai, seguitai a lavarlo, abbassai la pelle del glande. Ormai era completamente, magnificamente eretto. Non alzai lo sguardo su di lui. Mi inginocchiai, raccolsi dell’acqua che scendeva, lenta, dalla cipolla della doccia, e tolsi il sapone. Fu istintivo sfiorarlo con le labbra, baciarlo. Ma non era più un neonato, Piero, era un ragazzone di oltre 180 centimetri. E sentivo che la sua reazione non era quella di un figlio, ma di un uomo, di un maschio. Si avvicinò a me, quando sentì le mie labbra, e spinse, come se mi invitasse a’
Le mie narici fremevano, mi sentivo invasa da un vero e proprio scompiglio che mi confondeva le idee. Dovevo alzarmi, mi alzai. La vestaglia, intanto, s’era aperta quasi del tutto, le mie mammelle erano pressoché completamente scoperte. Piero le vide, mi guardò con occhi che mi dicevano, insieme, tanta dolcezza ma anche qualcosa d’altro.
Mise le mani sulle mie spalle.
‘Da quanto tempo, ma’, non bacio il tuo seno.’
Si chinò, lo baciò. Indugiò con la bocca su un capezzolo, turgido e fremente, lo prese tra le labbra, e cominciò a ciucciarlo con avidità, come quando poppava da me l’alimento per la sua vita. Gli carezzavo la testa, e sentivo che il suo fallo, eretto, premeva sulla mia pancia, e lui, Piero, che non stava fermo, si strofinava, mentre quel succhiare diveniva impetuoso, eccitato.
Quanto fu difficile allontanarmi da lui, prendere il lenzuolino di spugna e cominciare ad asciugarlo. Dovunque. Senza, però, chiudere la mia vestaglia.
‘Ora, Piero, se vuoi posso farti un massaggio con un po’ di talco.’
Annuì, senza parlare.
Col piccolo lenzuolo sui fianchi, a piedi nudi, si avviò nella sua camera. Si distese sul letto, a pancia sotto, il sedere appena coperto dal lenzuolino.
Avevo preso il talco, ne sparsi un po’ sulla schiena, cominciai a massaggiare lentamente. Non avrei voluto smettere mai. Era meraviglioso.
Ero con ‘lui’, realmente, non nel sogno.
Ero sveglia, e non era Arturo che potevo toccare, era ‘lui’.
Sentii che la mia voce era roca quando gli dissi di girarsi.
Talco sul petto, massaggio sul petto.
Stavo sudando. Le mammelle ancora abbastanza sode e rigogliose dondolavano fuori dalla vestaglia, Piero le guardava fissamente. Alzò una mano, le sfiorò. Sentii mancarmi, sedetti sul letto, confusa, annebbiata, smarrita.
Piero saltò giù dal letto e mi aiutò a sdraiarmi un po’. Mise il cuscino dietro la mia testa. Le gambe rimasero penzoloni, coi talloni che sfioravano il tappeto.
Dagli occhi semichiusi vidi chiaramente Piero, nella sua splendida nudità, e la forte evidenza della sua virilità.
Si chinò su me, per carezzarmi il volto, baciarmi, sulle gote, sulle labbra. Le sue mani mi sfioravano, erano sulle mie tette. Sentivo tutto, ma non potevo reagire, ero come paralizzata, ipnotizzata, in trance, dominata.
‘Lui’ si inginocchiò sul tappeto, mi guardò fissamente, infilò le mani nelle mie mutandine e, lentamente ma decisamente, le tirò giù, le sfilò del tutto.
Non volevo’ non volevo’ ma sentivo che stava facendo qualcosa che desideravo follemente, furiosamente. Ma cosa faceva?
La sua testa s’era infilata tra le mie gambe.
Ma no, avrei voluto dire, no’ sono bagnata, lo so’ forse il mio odore ti disgusta’
Mi baciava, la sua lingua mi cercava, mi lambiva, s’intrufolava.
Abbassai la mano sul suo capo.
La sua testa era lì, proprio da dove diciotto anni prima era uscita.
E non stava fermo, mi baciava’ sentivo che la sua lingua insisteva nell’entrare e uscire da me, e mi dava sensazioni sconosciute.
Era quello che più o meno inconsciamente desideravo da sempre, e che ora’
Ora stavano elevandomi ad altezze sconosciute della voluttà, dovevo trattenermi, controllarmi, non potevo lasciarmi travolgere da un orgasmo del genere di fronte al mio bambino’
Dovevo’. Dovevo’ non vi riuscii’
Sentii il gemito crescere dalle mie labbra, il grembo sussultare, le gambe stringersi dietro la nuca di Piero, le mie mani accompagnare i suoi movimenti.
Certamente urlai, strinsi, forsennatamente, e fu come un’esplosione nel mio cervello, nel mio ventre, e’ per un po’ non ricordai nulla.
Quando Piero riuscì a liberarsi dalla mia stretta, mi mossi per sdraiarmi meglio, per lungo.
‘Lui’ era lì, e seguitava a fissarmi, col fallo eretto.
Gli tesi la mano, lo attirai a me, lo feci sdraiare vicino a me.
Avevo deciso.
Aprii le gambe, sollevai le ginocchia.
Mi guardò, incredulo.
Gli feci cenno di sì, col capo, lo aiutai a mettersi tra le mie gambe, presi il suo possente fallo e lo avvicinai alla mia vagina, bagnata e palpitante.
Piero mi guardò ancora, sorpreso, sbalordito. Alzai il bacino, intrecciai le gambe sul suo dorso.
Entrò in me, completamente.
Finalmente!
Sembrava esitante, timoroso, all’inizio, ma quando sentì come il mio grembo lo mungeva, avidamente, bramosamente, quando alle sue orecchie giunse il gemito di piacere che non riuscivo a trattenere, la sua giovane e possente virilità prese il sopravvento e lo sentii impegnato in una deliziosa e appassionata performance che diveniva sempre più voluttuosa, inebriante. Non avrei mai immaginato di provare sensazioni del genere, un misto meraviglioso di donarsi e pretendere, di godere e far godere, perché io lo volevo, sì, lo volevo qual ragazzo splendido, ma desideravo anche che lui non potesse mai dimenticare cosa stava accadendo.
Del resto, non può esserci, fisicamente e psichicamente, un’intesa maggiore di quella che intercorre tra due esseri uno originato dall’altro e che sono stati a lungo l’uno nell’altro.
Era bellissimo sentirlo in me, esaltante, addirittura glorificante, mitizzante, qualcosa da osannare, magnificare, un’offerta rituale al proprio nume. Ed era Piero il mio solo e unico dio. Specie in quegli attimi.
Sentivo che la ferita della separazione, del taglio del cordone, avvenuta più di diciotto anni prima, stava rimarginandosi, forse per sparire. Nel contempo di chiedevo, nella egoistica brama di lui, se, purtroppo, quella sarebbe stata la ‘unica volta’. Dopo aver conosciuto ciò che stavo provando, come avrei potuto rinunciare a lui? Come avrei potuto vivere solo nel ricordo di ciò?
Sulla ferita rimarginata, improvvisamente, dopo un colpo più energico degli altri, ora stava spargendosi un balsamo meraviglioso, che si andava estendendo dappertutto. Un lenimento per ogni spasmo, un meraviglioso compenso per l’aridità del passato.
Lo strinsi forte a me, freneticamente, lo tenevo imprigionato, temevo perderlo.
Era su me, maestoso, alzò il capo, sudato, coi riccioli scomposti, uno sguardo di fiamma. Mi guardò intensamente.
‘Sei stato bellissimo, bambino mio, bellissimo.’
‘Non sei arrabbiata con me, ma’?’
‘Lo sarei, tesoro, se tu mi dicessi che non vuoi rifarlo più.’
Mi sorrise incantevolmente, sentii il suo sesso agitarsi in me.
‘Allora sta tranquilla, mamma, sta tranquilla!’
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