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Racconti erotici sull'Incesto

Era scritto …

By 25 Giugno 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Eravamo a cena, come al solito.
Prima ero stato in Facoltà, per l’esercitazione. Avevo giurato a me stesso che non avrei fallito un esame ed avrei terminato senza un solo minuto di fuori corso. Era tosta, lo sapevo, ma non &egrave nel mio carattere farsi abbattere dalle difficoltà.
Poi in palestra, per un po’ di moto, di relax. Era questo l’effetto che mi faceva la palestra: mi ‘rilassava’.
Ora, con i miei, era il momento delle chiacchiere, e quando era venerdì, come oggi, una specie di riepilogo della settimana passata e programma per quella futura.
Più o meno sempre le stesse cose.
Mio padre, chiamato scherzosamente ‘the boss’, era molto spesso in giro, a motivo della sua professione, mamma, generalmente detta Juno, Giunone, non solo per la sua bellezza statuaria, ma come ‘dea suprema’, ripetevano più o meno sempre le stesse cose. Specie Juno: doveva pensare all’andamento della casa, dare le direttive a Rosetta (che poi faceva quello che voleva lei), preparare le lezioni di matematica (immaginate cosa significhi avere una madre docente di matematica!), correggere gli elaborati dei suoi allievi, e poi’ parrucchiere’palestra’.
Juno era veramente uno spettacolo, e io lo sapevo che nella sua Facoltà (e lei era capo dipartimento) non era tra pochi, soprattutto tra gli allievi (abbastanza ‘ grandicelli, perché lei insegnava al terzo e quarto anno), che si mormorava che loro l’avrebbero volentieri’. E non si trattava solo di ‘tangente’ e ‘seno’, ma di parentesi in cui farselo racchiudere, farselo elevare alla massima potenza’, ‘estrarne la radice ennesima’, e farselo, finalmente, ‘ridurre ai minimi termini’.
Come li capivo. Juno aveva superato i cinquanta, era la mia mamma, ma era pur sempre un magnifico pezzo di f’..! E certo che il ‘boss’ non doveva trascurare di ‘drillarla’ accuratamente. E chi non lo avrebbe fatto, al posto suo. Perfino io, con tutti i ‘tabù’, la interdizione sacra che vigeva in materia, ma che per me era una proibizione ingiustificata e innaturale. Se una ce l’ha, perché negarla a questo o a quello? Se la natura lo avesse voluto, avrebbe fatto in modo che in quei casi ‘lui’ non si rizzasse. Invece!!!
Quella sera, in salotto, ‘the boss’ col suo whisky. Juno con la tisana, io più scocciato del solito, non avevamo neppure acceso la TV.
‘A proposito’ ‘iniziò Juno- ‘domani arriva Carla. Il marito va per un corso che dura due settimane, a Skyfield, in USA. Lei, logicamente, non può accompagnarlo perché quel luogo &egrave off-limits, ed allora io le ho detto di venire da noi. In fondo sarà la prima volta, dopo tanti anni, che potremo averla qui, tutta per noi e per un periodo abbastanza lungo.’
Juno si rivolse a me.
‘Piero, domattina Rosetta deve rimettere al proprio posto il letto di Carla, tu, quindi, togli un po’ di roba da mezzo, nel disordine della tua camera, per fare lo spazio necessario, e lascia un po’ di posto anche nell’armadietto del bagno, che non so cosa sono tutte quelle cose che lo affollano. Lei arriverà all’aeroporto alle undici, chi va a prenderla? Io ho consiglio di Facoltà.’
Papà era visibilmente contento, ma disse che, purtroppo, a quell’ora sarebbe stato dal Presidente, proprio per il progetto che si accingeva a fare.
Juno mi guardò.
‘Quindi, Piero, vai tu a prendere tua sorella?’
‘OK!’
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Carla era la mia unica sorella, più grande di me. Per me era ‘Etta’ perché ‘così mi avevano detto- in tal modo avevo cominciato a chiamarla, sicuramente prendendo l’ultima parte di Carletta, come le si rivolgevano gli altri. E per lei ero ‘Peo’, per la stessa ragione. Era la mia prima versione di Piero.
Etta più che una sorella, era stata la mia ‘mammina’.
Dormivamo nella stessa camera, in due lettini divisi da un tavolino da notte. Lei aveva quattordici anni, quando ero venuto al mondo. Ero il suo ‘bambolotto’ e ricordo benissimo che mi viziava, coccolava, mi faceva vincere ogni capriccio, e quando studiava mi teneva sulle sue ginocchia. Se ero malato mi assisteva, apprensiva e premurosa.
Peccato che se ne era andata da casa troppo presto per me. Avevo poco più di otto anni, e mi sentii abbandonato. Dapprincipio ho odiato mio cognato Aldo, e mi auguravo che crepasse da un momento all’altro e che Etta tornasse a casa, con me.
In quei dieci anni, strano a dirsi, Etta era tornata pochissime volte a trovarci, e sempre di fretta. Lei e Aldo, l’intruso, erano spesso all’estero, e anche per lunghi periodi.
Il mio ricordo era rimasto a quando era andata via, quando aveva lasciato solo il suo bambolotto. Perché io mi sentivo tale. Un bambolotto tra le sue braccia.
Ero all’aeroporto. Grazie ai suoi piccoli maneggi, il boss disponeva di un tesserino per poter sistemare l’auto nel parcheggio riservato, ed ora lo avevo io.
Aereo con ‘soli’ venti minuti di ritardo.
Il solito andirivieni. Giornata abbastanza calda. Un pantalone di cotone e una leggera ‘Lacoste’ erano più che sufficienti. Nell’attesa, andai al bar, a bere un analcolico.
Che bello, Etta sarebbe stata con noi per qualche giorno. Il nostro sodalizio si sarebbe riformato, anche se per troppo breve tempo.
Era restata nei miei occhi la sua immagine di allora, di quando, per mano, mi conduceva alla villa comunale.
Era bella Etta, chissà se quei dieci anni l’avevano trasformata. Sì, &egrave vero, era stata da noi due anni fa, ma non me la ricordavo se non confusamente. Avevo cancellato tutto, volevo che nella mia mente fosse sempre quella che mi chiamava ‘soldo di cacio’.
Già, ero un bambino abbastanza piccolo. Nessuno poteva prevedere che sarei divenuto un ragazzone, sportivo, alto uno e ottantacinque, ma abbastanza agile.
Ecco, stavano giungendo i passeggeri.
La vidi subito. Non era cambiata. Altro che una signora di quasi trentatr&egrave anni. Quella era Etta, di sempre, di allora. Poco più che una ragazzina, Bellissima, piccolina, non superva il metro e sessanta, e tutto deliziosamente in proporzione. Quel visetto mi incantava, incorniciato dal nero lucido dei suoi capelli.
Elegante. Una gonna plissettata, una blusa leggera. Borsa da viaggio.
Aria sbarazzina, quella di allora.
‘Peo, dio mio come sei cresciuto, sei un gigante’ almeno vicino a me!’
‘Etta!’
La presi sotto le ascelle, la sollevai letteralmente da terra, mi abbracciò e mi baciò con trasporto. E la gente, intorno, ci guardava e rideva.
Si aggrappò al mio braccio, ci avviammo a ritirare il bagaglio. La solita attesa.
‘Vuoi bere qualcosa, sorellina?’
‘No, grazie, ho bevuto in aereo.’
La guardavo felice, ammirato. Com’era bella mia sorella.
‘Adesso, però, non puoi più dire che sono il tuo bambolotto’ piuttosto tu sei la mia ‘bambolina’. La strinsi affettuosamente a me, mi chinai e la baciai sui capelli.
On immaginavo che Etta destasse in me ancora tanta tenerezza. Era bello essere con lei. Adesso, però, non mi sentivo il ‘protetto’, ma il suo paladino.
Stavano giungendo i bagagli. Mi indicò il suo, un elegante e moderno trailer, e una valigetta più piccola.
Li presi, ci avviammo alla porta laterale che portava nell’area riservata.
Mettemmo tutto in auto, le aprii lo sportello.
La guardavo incantato. Che belle gambe aveva la mia sorellina, la mia bambolina. Era bella tutta! Bellissima!
A casa c’era solo Rosetta, gli altri sarebbero rientrati fra poco.
Rosetta l’abbracciò e s’incaricò lei di portare il bagaglio nella nostra camera.
Etta entrò, si guardò intorno, con gli occhi lucidi.
‘Tutto come allora, Peo. E’ meraviglioso. Ti devo chiedere tante cose. Ora, però, mi do’ una rinfrescata e metto qualcosa di ancora più pratico.’
‘OK, ti aspetto in salotto.’
^^^
Inutile descrivere l’incontro col boss e con Juno, quando rientrarono. A cena fu tutto un incrociarsi di domane e risposte. Seguivo tutto con interesse, ma con un senso di impazienza.
Impazienza? Si, senza però comprendere perché e di cosa fossi impaziente. Forse ero ansioso di fare quattro chiacchiere con Etta, come ai vecchi tempi, di sentire qualcosa della sua vita. Non certo i racconti che mi faceva prima di addormentarmi’
Finalmente, fu il boss che disse che certo era un po’ stanca, e che domani per alcuni c’era il lavoro che li attendeva.
Buona notte, e tutti a nanna.
Quando fummo nella camera, Etta mi disse, sorridendo, che, come al solito, dovevo andare io per prima, nel bagno, per prepararmi per la notte. Lei era più lenta’
Presi il mio pigiama, pantaloncini e leggera giacca a maniche corte, andai nel bagno e dopo cinque minuti ero di ritorno.
Etta era in vestaglia, non allacciata, e come camminava si vedevano le lunghe gambe, e si indovinavano lo slip e il reggiseno. Rosa, che quasi non si distinguevano dalla pelle. La guardai sorridendo. Era proprio una bambolina, così minuta, bellissima.
Mi infilai nel letto, restai a pensare, cogli occhi aperti, guardando il soffitto.
Non ci mise molto a tornare, ma a me parve una eternità.
Quando apparve, coi capelli sciolti, senza trucco, e in un strabiliante e incredibile baby-doll, tanto trasparente che sembrava non indossasse nulla. La mia espressione doveva dirle la sorpresa e’. lo choc’ perché rimase nello spazio tra i due lettini, in piedi, guardandomi.
‘Ti piace la mia mise, Peo?’
Cercai di prenderla sul tono scherzoso.
‘Perché’ indossi qualcosa?’
‘Sei diventato proprio impertinente’ non mi hai detto, però, se ti piace”
‘Non ci capisco nulla’. Sei bellissima”
‘Ma io dico il baby-doll”
‘Ah’ si’ ora lo vedo’&egrave bello anche lui!’
Sedette sul suo letto.
‘Da quanto tempo non condividiamo la camera. Ricordi? Avevi sempre una ragione per venirti a rifugiare tra le mie braccia, e solo così dormivi, avvinghiato a me, come se tu temessi che io ti lasciassi”
‘Timore fondato, bambolina. Infatti, mi hai lasciato.’
Mi guardò e scosse la testa.
‘Mi vien da ridere al pensiero che tu, ora, voglia ancora rifugiarti tra le mie braccia’ sei un ragazzone”
‘Te l’ho detto, ora sei tu la bambolina”
Annuì, guardandomi teneramente.
‘Si, sono io’ e’ fatti più in là’ vengo io adesso tra le tue braccia’ vuoi?’
Deglutii per cercare di capire se sognassi o meno.
Quella splendida donnina, così bella, così ‘nature’ col suo meraviglioso corpicino appena velato, con due tettine meravigliose e uno scuro cespuglio tra le gambe, veniva tra le mie braccia?
Sorella o non sorella, l’effetto fu quello di eccitarmi in un modo incredibile e tremendamente evidente. Una volta sotto le lenzuola come avrei potuto impedire che se ne accorgesse? Forse era meglio se le dicessi’
Le dicessi cosa?
Spostai il lenzuolo, mi spostai tutto da una parte, si infilò nel letto.
Sentivo il suo tepore, il suo profumo’ un misto di fragranza di giovinezza e di esplodente femminilità. Il profumo della femmina.
Ci mancava solo questo!
L’avevo accolta sul mio braccio. La sua testina all’altezza della mia spalla. Era voltata verso me’ una tettina strusciava sul mio petto, era di una tenerezza commovente. Alzò una gamba per poggiarla sulla mia’ solo che andò ad urtare contro quel benedetto pilone che era sgusciato fuori dai pantaloncini. Un contatto che certo non prevedeva, perché sbarrò gli occhi ed alzando il visetto verso me mi guardò sorpresa.
Cosa potevo fare! Alzai un po’ le spalle.
Lei allungò la mano, come a volersi accertare di ‘cosa’ avesse incontrato la sua bella e morbida gamba.
Lo afferrò, con decisione.
‘Oddio, Peo’ ma non &egrave più il mio passerottino spelacchiato’ &egrave un condor.. però’ sei proprio un uomo’ e che uomo”
Si soffermò per valutarne volume e consistenza, ed ero così eccitato che’
la strinsi a me, forte, e la baciai sulla bocca, con passione, desiderio.
Come avrebbe reagito? Uno schiaffo? Sarebbe uscita violentemente dal letto, offesa e irritata? Scuotevo la testa, disperato. Avevo distrutto tutto, la gioia di vivere ancora un po’ vicino a Etta, come a quei tempi. Il fatto, però, che non erano più ‘quei tempi’, e certamente emergeva dal mio profondo, quello che era rimasto a lungo soffocato. Sì, mi rifugiavo tra le braccia di Etta, e mi stringevo a lei. Il capo sul morbido e accogliente piccolo seno, il mio pisellino tra me e lei’. Meravigliosamente. Ora, però, ‘ino’ era diventato ‘one” Tutto era mutato’ Forse era stato sempre così, ma non me ne ero reso conto.
Etta non si era sottratto al bacio, avevo la sensazione che lo avesse ricambiato, ma’ il tentativo di farle dischiudere le labbra non aveva avuto esito.
Non tolse la gamba, non si allontanò da me.
Mi guardò con infinita dolcezza, mi carezzò.
‘Bambolotto mio, forse ho sbagliato a venire nel tuo letto. Dovevo capire che sei un giovane, naturalmente eccitabile’ ma io sono la tua sorellina’ la tua bambolina, come mi hai chiamata’ prova a’ ricordalo”
Tutto giusto, indubbiamente. Ma’ la bambolina non aveva lasciato la presa, ‘lo’ impugnava e sentivo che le sue piccole dita, non so se coscientemente, lo stringevano ritmicamente.
‘Sei bellissima, Etta’. Ti voglio tanto bene’ tanto’ Sei magnifica’ sì, una bambolina, ma una bambolina di carne palpitante”
Le passai la mano sulla schiena, giù, negli inconsistenti pantaloncini, afferrai una sua natica, tonda e soda, sempre più eccitato. La strinsi a me, la carezzai, insinuai le dita nel caldo solco del suo culetto, sentii il palpito del suo buchetto, e lei che strusciava al mio fianco il suo serico grembo, separato solo dal velo della leggera tunichetta. Si strusciava, muoveva il bacino, aveva chiuso gli occhi, e le mie mani la tormentavano’ con l’altra titillai un capezzolino, sempre più insistentemente’ e lei si strofinava’ si strofinava’ gemeva, piano, quasi cercando di soffocare il suo incalzante mugolio’
Non ne potevo più’ con delicatezza, ma con risolutezza, la trascinai su me. Il mio fallo, rigido e impazzito, s’infilò nella tunichetta, a contatto della sua pelle, e il suo continuo movimento, del pube villoso che seguitava a strofinarsi ora quasi sul mio scroto, mi stava facendo perdere il controllo’ Lei gemeva lascivamente, e nello stesso momento che si avvinghiò a me, conficcando le sue unghiette nella mia carne, e vibrando come una corda d’arpa, prima di abbattersi esausta, un violento irresistibile getto appiccicaticcio e caldo, si sparse tra me e lei!
Seguitavo a carezzarla.
Respirava a fatica.
La piccola, deliziosa mia bambolina, la mia sorellina.
Alzò il capo, mi guardò, con occhi sognanti.
‘Oddio, Peo, cosa abbiamo fatto’ te ne rendi conto?’
La fissavo, estasiato.
‘Non ho capito niente, tesoro”
‘Mi sono comportata come una adolescente alle prime armi’ ho goduto da matta, Peo, da matta’ con mio fratello, e solo strusciandomi a lui’ non mi era mai capitato”
‘Anche io’.’
‘Ti ho sentito, fratellino, siamo impiastricciati a dovere, tutti e due”
Si mise a cavalcioni, tolse completamente la tunichetta, riuscì a sfilarsi i pantaloncini. Adoperò il tutto per asciugarci, alla meglio. E così, era rimasta completamente nuda. Allungai la mano per carezzarle una tettina’
‘Aspetta, bambinone, aspetta’. Togliti questi shorts”
Mi aiutò a sfilarli completamente, seguitò a pulire alla meglio..
‘Etta”
‘Buono, tesoro, buono’ Vado un momento di là”
Dolcissima, tenera, ma sentivo che si era allontanata, era tutto finito’ sarebbe tornata in pigiama, sarebbe andata nel suo lettino.
Naturalissima la mia’ scarica’ ma assolutamente non appagante.
Ero rimasto supino, nudo, e visibilmente eccitato.
Rumore di acqua, piccoli silenzi. La porta si riaprì, Etta ricomparve.
Nuda. Raggiante, con occhi lampeggianti.
Ora potevo vederla bene. Quel triangolino nero e cespuglioso era una calamita per i miei occhi e un irrefrenabile stimolante’ lievito per.. il resto.
Mi guardò scuotendo la testa.
‘Sei un ragazzaccio, un magnifico ragazzaccio.’
Cosa avrebbe fatto?
Io la scrutavo, ansioso, e nel contempo paralizzato. Non avevo neppure pensato di coprirmi, di celare la mia erezione.
Come pensavo io. Era andata a sedere sulla sponda del suo lettino, aveva poggiato le mani indietro, e seguitava a fissarmi.
Venne spontaneo di sedere anche io, a mia volta, sul mio lettino. Poi mi alzai, mi misi di fronte a lei, col ‘coso’ che sembra un bompresso senza vele, la stanga di prua. Non era esibizionismo, solo che non sapevo come comportarmi.
Etta mi guardò negli occhi.
Era minuscola, in confronto alla mia stazza, ma bellissima, una statuina deliziosa.
Si rovesciò sul letto, e le gambe si dischiusero naturalmente.
Non avevo mai visto il sesso di mia sorella.
Bellissimo, disegnato, anzi scolpito, con una precisione artistica. La pelosità circostante, le grandi labbra, le piccole e rosee, il minuscolo clitoride’Fu spontaneo, attraente, affascinante, irresistibile inginocchiarmi per baciarlo, lambirlo golosamente, titillare il piccolo cicchetto rosa, intrufolare la mia lingua nel caldo tepore della sua vagina, girare con la lingua, dentro e fuori’ e lei mi carezzava i capelli, il grembo fremeva’.
‘Ora, Peo’ora”
Mi alzai, afferrai le gambe, le dilatai ancora di più, le posi sulle mie spalle, sollevai il piccolo bacino impaziente e la penetrai, lentamente, fin quando sentii che oltre non potevo procedere.
Mi fermai un momento, per assaporare le contrazioni smaniose della sua piccola, stretta vagina.
Poi il voluttuoso andirivieni del mio fallo, accolto e munto da quel piccolo tumultuoso corpicino che stava facendomi raggiungere sconosciute vette del piacere. Voltava la testa a destra e manca, una mano sulla bocca dischiusa, dalla quale usciva un gemito interrotto da sospiri. Ero intento a stringerla a me’ Intrecciò le gambe sulla mia schiena, le afferrai e tormentai le tette, i capezzoli. Sussultava sempre più fortemente, senza più controllo, ormai’ e sentii il suo orgasmo stringermi in lei, mungermi furiosamente, poi rilassarsi in attesa’ di quello che subito avvenne’ l’invasione del mio seme, che si sparse in lei, accolto come balsamo che impreziosisce il piacere. La classica ciliegina sul dolce.
‘Sei meravigliosa, Etta”
‘Mi stai facendo morire, Peo”
Il sensuale, delizioso, umido tepore che avvolgeva il mio sesso, ancora carezzato dalle sue contrazioni, che andavano lentamente attenuandosi, mi rendeva difficile, penoso, sgusciare da quel tabernacolo di voluttà, dallo scrigno in cui si beava il mio pur sempre fremente sesso.
Non fu facile, e tanto meno piacevole, scioglierci da quel nodo stupendo.
Etta giaceva, supina, sul bordo del letto, abbandonata, gli occhi socchiusi, le gambe dischiuse, una mano sul seno, l’altra quasi sul cuscino. Respirava lentamente. Rimasi a guardarla, incantato. Un piccolo rivo bianchiccio colava dalla sua vagina’ con la mano, timidamente, lo raccolsi. Come la toccai sembrò pervasa da una scarica elettrica.
Con delicatezza la misi ben distesa, nel centro del lettino, e mi chinai a ciucciarle un capezzolino che si erse subito, appena lambito dalle mie labbra. Ciucciai, golosamente, e con la mano le frugavo tra le gambe, dolcemente.
Reagiva, sì, ma con lentezza, come se fosse in un languido torpore.
Avvicinai le labbra vicino al suo orecchio.
‘Pensa, Etta, abbiamo due settimane’ tutte per noi”
Aprì gli occhi, mi sorrise, debolmente.
‘Mi farai morire molto prima, fratellino’ e morirò felice!’
‘Non si muore d’amore, bambolina bella. Si vive”
Allungò la mano, lo afferrò. Come le piaceva fare.
‘Si, bambino mio, si vive’ si vive”
Uscì lentamente dal quella specie di trance incantato.
‘Voglio tornare tra le tue braccia, Peo. Devi tenermi stretta a te.’
Mi spinse dolcemente.
Tornai sul mio letto. Accaldato. Sempre eccitato.
Venne a sdraiarsi sopra a me, come chi si distende, stanco, su un morbido letto. Per riposare.
Sentii il suo respiro divenire sempre più pesante. E poi un delicato russare, come una gattina che fa le fusa. Le carezzavo dolcemente i capelli, la schiena, l’incantevole sfericità del suo sederino.
Ed anche io fui preso dal sonno. La luce della camera era rimasta accesa.
Quanto dormimmo?
Non lo so di preciso, ma non credo per molte ore.
Fa giorno abbastanza presto, e le prime luci filtrano dalle tapparelle. E fuori era ancora buio.
Etta si muoveva un po’. Forse stanca per quella posizione. Eravamo alquanto sudati.
Alzò il visetto assonnato verso me, mi sorrise.
‘Allora, Peo, non ho sognato!’
‘No, bambolina’ &egrave tutto meravigliosamente vero.’
‘Mi vuoi bene, bambino mio?’
‘Ti adoro.’
‘Sei stanco?’
‘Senti tu!’
Mise una mano tra i nostri corpi, e si accertò che non tutte le forze erano esaurite.
‘Ingordo monellaccio, insaziabile birichino’ tentatore?’
‘E tu, sei stanca?’
Per tutta risposta, si levò diritta, poggiando sui ginocchi, col mio ‘coso’ che si stagliava sul suo pancino.
Si sollevò sulle gambe, ‘lo’ prese, lo portò all’ingresso della sua calda vagina, e quasi compiesse un rito sacro s’impalò fin quanto le fu possibile, muovendosi come se volesse ‘insaccarlo’ al massimo.
Forse era solo frutto del mio entusiasmo, ma sentivo qualcosa di speciale in Etta. Il mio sesso le ‘calzava a pennello’.
Ma se era entusiasmo, lo era per entrambi.
Mi guardò con occhi incantati, espressione estatica, le nari frementi, il grembo pulsante.
‘E’ fatto proprio per me, Peo. Credo che sia scritto così: ogni vagina ha il suo pene! E questo &egrave il mio. Lo sapevo!’
Consonanza anatomica, armonia concreta, completezza unica, che ci conduceva a piaceri che con nessun altro partner avremmo potuto raggiungere. Pienezza e perfezione insuperabili. Volavamo verso vette sconosciute. Incantevoli, inebrianti.
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No, non sarebbe una monotona ripetizione, raccontare quelle due paradisiache settimane. Nulla di monotono, e non ci sembrò mai ripetitivo, ma sempre nuovo, affascinante, meraviglioso, quel continuo riscoprire i nostri corpi, sperderci nella spirale della più travolgente delle voluttà.
Nulla di affannoso, angoscioso, ma una ‘degustazione’ golosa di noi stessi, assaporandoci con cosciente bramosia. La mente, il corpo, ci diceva che avevamo un inestinguibile arretrato da eliminare, ma noi ci tentavamo ugualmente, con diligenza e con un coinvolgimento conturbante. Sembravamo quei bambini che pur mangiando avidamente il gelato, temenono che finisca troppo presto.
Etta mi consolava.
‘Non finirà mai, tesoro, non può finire, questo era scritto, da sempre.’
Eravamo inesauribili, con nostra stessa sorpresa. Fantasiosi.
Dovunque e comunque, nei luoghi e nei modi più strani, in attesa che nella nostra camera, nel nostro covo segreto, come lo avevamo definito, si appagassero i nostri sensi.
Non riuscivamo a prendere mai sonno se non ‘dopo’ e avvinghiati l’una all’altro.
Ogni tanto, Etta, mi guardava, con i suoi occhioni fiammeggianti di passione.
‘Come farò, senza te, piccino mio!’
La stringevo a me, la carezzavo, la coccolavo, la baciavo, e la rassicuravo.
‘Attenderò sempre un tuo cenno, bambolina’ non dimenticarlo.’
E bastavano quelle parole, quelle carezze, per farci ricominciare, come se non lo facessimo da tanto.
Non sapevo che fosse possibile, e tanto meno che fosse così inebriante. Io rimanevo in lei; lei distesa su me; ed Etta, la mia meravigliosa bambola, si addormentava, tranquilla, serena Solo di quando in quando la sua calda vagina ‘lo’ stringeva amorevolmente.
Ha perfettamente ragione lei: ‘era scritto’.!
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