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Racconti erotici sull'Incesto

*GIOCASTA**

By 27 Maggio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi giro e rigiro nel letto, sono impaziente, il desiderio di lei mi tiene sveglio, i sensi allertati per sentirla arrivare.
Dalle persiane semiaperte filtra un poco di luce lunare; guardo nell’angolo della stanza, di fronte a me: sulla poltrona è seduto un uomo, mio padre.
‘Papà’mormoro e mi alzo a sedere sul letto.
Ma non può essere mio padre, mio padre è morto quattro anni fa; eppure è lui, che, sorridendo, mi dice:
‘ E’ bella la mamma,vero? la più splendida donna che si sia mai vista, non credi, Giovanni ?’
‘No, papà, aspetta, papà, non mi lasciare”
Ma non c’è nessuno seduto sulla poltrona, solo i miei orribili fantasmi, che ormai mi accompagnano sempre.

Tutto è cominciato quattro anni fa, alla morte improvvisa di mio padre.
Ci ritrovammo soli, io e mia madre, una donna di trentasette anni e un ragazzo di diciotto.
Si chiama Giocasta, un nome antico, insolito, che le si adatta perfettamente, in cui si rispecchia.
I miei amici trovavano la mamma una bellezza, così rossa naturale, alta, un corpo splendido.
Addirittura Francesco mi chiedeva se l’avevo mai vista “sotto”, con tutto quel rosso’
A disagio fingevo di arrabbiarmi e spesso finiva a botte.
Poi, quando mio padre morì, lei iniziò a starmi sempre intorno e a ripetermi :
‘ Noi dobbiamo stare insieme, Giovanni, ormai non ho più che te, non lasciarmi sola’
E mi abbracciava e mi baciava continuamente.
Io d’altra parte ero terrorizzato al pensiero che potesse risposarsi, magari con un amico di papà: mi accorgevo di come qualcuno di loro le ronzasse attorno. Pensavo che se ci avessero separato sarei morto.
Poi lei arrivò a voler dormire nel mio letto, perché il suo, così grande e desolato, le metteva paura, diceva.
E io cominciai a sentirmi oppresso, incatenato a qualche cosa di oscuro che confusamente mi terrorizzava ma a cui non sapevo dare un volto.

La mia timidezza verso l’altro sesso aumentò ancor più, se possibile.
Ero forse l’unico diciottenne del mio gruppo ancora vergine.
Ma tutto cambiò quando conobbi Giulia.
Giulia era bellissima, tutti i maschi della scuola le ronzavano intorno, ma lei mi scelse, perché, come disse in seguito, ero il più bello, il più gentile, e sicuramente il meno esperto.
Stranamente la mia goffaggine verso il gentil sesso funzionò da calamita.
Toccai il cielo con un dito, era finito il tempo del “fai da te”, ora , con un po’ di fortuna, avrei saputo che cos’era una donna, sarei entrato in lei, al solo pensiero me ne venivo nei pantaloni.

Così, dopo qualche uscita in cui ero riuscito solamente ad accarezzarle il seno e a baciarle i capezzoli, mentre lei mi portava all’orgasmo con le mani su una manciata di kleenex , un giorno mi propose di andare a casa sua; sarebbe stata sola, i suoi erano fuori per il week- end. Non me lo feci ripetere, il mio sogno si avverava.
Appena fummo in camera, dopo avermi baciato, si sfilò t-schirt e gonna, restando in slip trasparenti.
‘Toglimeli e spogliati’ disse con voce bassa, roca, che non le avevo mai sentito.
Mi avvicinai a lei tremando, ero talmente eccitato che non sapevo più neppure che cosa stessi facendo.
Quando fu nuda di fronte a me, mi strappai i vestiti di dosso… e la porta si spalancò.
La madre di Giulia cacciò un urlo, era dovuta rientrare all’improvviso e noi non l’avevamo sentita salire le scale.
Lei e suo marito vennero a parlare con mia madre; non ho mai saputo che cosa si siano detti.
Cenammo in silenzio, i capelli di mamma parevano addirittura prendere fuoco, alla luce soffusa della lampada che aveva alle spalle.

Mi ritirai in silenzio nella mia stanza, nel letto in cui così raramente mi era concesso di dormire solo.
Pensai a Giulia e l’erezione fu immediata; iniziai il solito gioco con le mani, maledicendo la sfortuna, quando la porta della camera si aprì.
Sulla soglia si stagliava la figura di mia madre, con addosso una lunga vestaglia.
Gli occhi verdi scintillanti, le gote accese, mormorò:
‘Così volevi sapere come è fatta una donna, vero Giovanni ? Bene , guarda pure’-
Con un solo gesto si sfilò la vestaglia e rimase nuda , accanto al mio letto.
Mia madre: ero inorridito, ma ancor peggio, eccitato.
Il cespuglio rosso fiammeggiava in mezzo alle cosce, non potevo distogliere gli occhi da quel ventre che mi aveva partorito.
Lei si abbassò su di me, e scostò le coperte: poi iniziò ad accarezzare la mia erezione, piano.
Ero confuso, avevo voglia di piangere e di correre via, e invece rimasi lì, quasi fossi scivolato fuori dal mio corpo e diventato uno spettatore. La vidi montarmi sopra e guidare il mio sesso nella sua calda umidità. Provai una sensazione che non si può descrivere, tanto il piacere fu intenso.

Ora non era più mia madre, ma una donna bellissima, che mi faceva oscillare davanti al viso i seni pesanti, fino a farmi prendere un capezzolo in bocca:cominciai a succhiarlo avidamente, stupito che non ne uscisse latte.
E poi seppi che stavo per venire e che sarebbe stato molto, molto più bello di tutte le altre volte anche con Giulia e i suoi kleenex. Urlai , stretto ai suoi fianchi, che aumentarono il movimento, scagliandomi fuori dalla realtà per qualche secondo che mi parve un tempo infinito.

Quando riaprii gli occhi, lei mi guardava, ancora sopra di me, mormorando, con voce avida:
‘ Ora non avrai bisogno di nessun altra, c’è tua madre, vero Giovanni?’
Mi baciò lievemente e uscì dalla stanza.
La mattina successiva fu come se niente fosse accaduto durante la notte.
Andai a scuola, dove i miei amici mi accolsero come un vincitore, Giulia aveva già raccontato la nostra storia, completandola a modo suo. Era una a cui piaceva vantarsi delle conquiste maschili e mi descrisse come un amante esperto e insaziabile.
Se solo avessero saputo quello che mi era successo veramente; al pensiero provavo un senso di nausea, ma anche di desiderio incontrollato, che mi spinse ad andare in bagno, durante la mattinata, per spegnere la mia improvvisa erezione.

E mentre mi masturbavo velocemente nei gabinetti della scuola non era a Giulia che pensavo, ma a mia madre, al suo sesso di fiamma, così caldo, accogliente, bagnato, ai suoi gemiti di piacere, che ora riconoscevo come quelli che a volte avevo sentito provenire dalla camera grande, quando era vivo mio padre.
Non vedevo l’ora di tornare a casa; nonostante il senso di nausea e di colpa che provavo il desiderio di lei era più forte di tutto.
Ma lei non c’era : trovai un biglietto in cui mi diceva che sarebbe tornata tardi, di cenare e di andare pure a dormire, di fare il bravo bambino, scrisse proprio così.
Allora seppi che non avevo scampo, ero finito in un gioco perverso in cui la mia volontà non contava nulla.
Saremmo bruciati insieme, nel fuoco dei suoi capelli e del suo sesso.
Cenai in fretta e mi rintanai a letto, sperando che arrivasse e nello stesso tempo che non tornasse più.
Sprofondai in un dormiveglia allucinato, poi seppi che era lì, era tornata.

Il suo corpo nudo aderiva al mio, alle mie spalle, il suo ventre contro le mie natiche.
Cominciò ad accarezzarmi il petto, cercando i capezzoli.
Sotto le sue dita si inturgidirono e non capii più nulla da piacere.
Poi la sua mano trovò il mio sesso eretto e iniziò a manipolarlo, su e giù, lentamente, mentre io gemevo, sempre più forte.
‘Girati, piccolo mio’ mi disse.
Le ubbidii, e il mio gemito pareva più un singhiozzo.
‘Ora vieni tra le mie braccia, sopra di me…prendi in bocca un capezzolo e succhialo forte, cerca il mio latte, cercalo, come facevi quando eri piccolo ”
E mentre io le afferravo voglioso le tette succhiando, lei continuava il lavoro con il mio sesso, premendolo contro il suo clitoride gonfio.
Quando si accorse che stavo per venire, rapidamente allargò le cosce, imprigionamdomi con le gambe, le caviglie incrociate sulla mia schiena; mi trovai così all’improvviso dentro di lei, in quell’oscuro calore che mi aveva dato la vita, e venni, venni, non so per quanto continuai a versarle dentro il mio seme.

Da allora sono passati quattro anni, ma quelle prime due notti le ricordo nei minimi particolari.
Continuiamo a far sesso quasi tutti i giorni.
Esco pochissimo, ho smesso di studiare, dopo il diploma.
Ho perso gli amici, ma non me ne importa.
Tanto non riuscirei a raccontare a nessuno quello che mi sta capitando, la paura di perderla è più forte della nausea e del senso di colpa che provo, quando sono lontano da lei.
Ecco perché dico al fantasma di mio padre, che sempre più spesso viene a trovarmi, mentre, nel buio della mia stanza, la sto aspettando, tremante:
‘ Non è colpa mia papà, te lo giuro, non volevo portartela via, è stata lei , papà, te lo giuro”
E mi viene da piangere.


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