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Racconti erotici sull'IncestoTrio

Gli amici di papà.

By 26 Gennaio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Mio padre &egrave un famoso uomo d’affari. Sposò mia madre ventidue anni fa, probabilmente e soprattutto perché lei era incinta di me. Non metto però in dubbio il loro amore, sono una coppia affiatata, si prendono i loro spazi, fanno le loro vacanze da soli. Da piccola mi lasciavano spesso con Dolores, la nostra domestica. Mi faceva le trecce e mi parlava dell’Argentina, la sua terra d’origine. All’epoca si scambiava lettere d’amore con il suo amato, un uomo di mezza età che era rimasto in Argentina per cause ignote. Nascondeva le lettere in una scatola di latta (che le avevamo regalato per Natale e che in origine era piena di dolci) posta sotto il suo letto, e quando mi annoiavo mi piaceva leggerle di nascosto. Parlavano di amore ma anche di sesso. Lui le scriveva che le mancava tantissimo possederla in mezzo alle praterie argentine. Solo loro due e la natura.
Mi piaceva ascoltarla parlare, perché non aveva mai perso la sua cadenza originaria. Dolores &egrave sempre stata più di una domestica per me, era ed &egrave una mamma ed una amica.

Suppongo che a questo punto mi debba presentare e descrivere nel dettaglio. Infondo, &egrave un diritto che vi spetta sapere; le fantasie che vi farete sul mio conto hanno il diritto di essere il più precise possibili, e non voglio certo illudere nessuno.
Mi chiamo Linda, e sono una ragazza di ventidue anni. Ho i capelli castani lunghi e mossi, con le punte che si arricciano fino a formare piccoli boccoli; ho gli occhi color nocciola, e tutte le curve che una ragazza della mia età dovrebbe avere, al posto giusto. Ho due fianchi accoglienti, che permettono agli altri di afferrarmi per bene quando ce n’&egrave bisogno. Sono sempre stata minuta, ma prorompente. Ho ereditato un seno prosperoso, una quarta coppa C che a volte straborda dalle magliette, e un sedere pieno, anche se piccolino. Le fossette di venere non mi mancano. I miei piedini sono proporzionati al mio corpo, porto un 36 di scarpe. Ho due tatuaggi, un po’ vistosi (anche se uno &egrave in un punto nascosto) che per motivi di privacy non posso descrivere e raccontare. Sono una femmina abbastanza vanitosa, mi piacciono i vestiti, e mi piace apparire innocente per poi rivelare agli uomini la mia parte completamente opposta, capace di tenerli in pugno per quanto mi pare.

La storia che sto per raccontare ebbe inizio durante una calda giornata di luglio, quando papà decise di invitare un suo socio in affari a pranzo da noi. Quella mattina mi svegliai molto tardi, feci una doccia fredda, e mi misi a gironzolare per casa avvolta in un piccolo asciugamano bianco. ‘Vestiti’ mi disse papà, ‘E’ ormai ora di pranzo e presto Pietro sarà qui’.

Pietro era un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati che gli donavano un certo fascino, e gli occhi grigi. Vestiva sempre in giacca e cravatta come papà, ed era impregnato costantemente di profumo.
Avevo già visto quell’uomo due volte, ed aveva il classico sguardo da cinquantenne porco depravato che da un lato disprezzavo, mentre dall’altro avevo voglia di stuzzicare.
Sono sempre stata una ribelle in famiglia, una bambina capricciosa che otteneva quello che voleva ad ogni costo.
Aspettai di vestirmi proprio perché volevo che mi vedesse con addosso solo il minuscolo asciugamano striminzito. Bastava che mi chinassi, e lui avrebbe visto il mio piccolo sedere che alcuni ragazzi avevano sempre definito ‘da schiaffi’.
Mentre giacevo in veranda su una sedia a dondolo, con i capelli che si stavano asciugando sinuosi al vento, Pietro arrivò. Quel giorno si era limitato ad indossare una fresca camicia azzurra, arrotolata fino ai gomiti, e sbottonata in cima, lasciando intravedere i peli sul petto.
‘Ciao Pietro’, gli dissi annoiata, accavallando le gambe, indiscreta ma maliziosa. ‘Ciao Linda’, rispose lui, togliendosi i Rayban che lo proteggevano dal sole infernale. ‘Fa caldo oggi, eh?’ aggiunse, squadrandomi da cima a fondo, e facendomi un cenno. ‘Papà &egrave nel suo studio’ dissi io, fingendo indifferenza.

Lui entrò in casa, ed io sgattaiolai di corsa nella mia camera, che stava esattamente di fronte allo studio di papà. Accostai la porta lasciando una fessura aperta, in modo che chiunque fosse passato di fianco, mi avrebbe potuta vedere. Sentii mio padre e Pietro parlare nel suo studio, ed aspettai che lui uscisse, pazientemente seduta sul letto. Appena percepii la maniglia della porta aprirsi, mi alzai e mi girai di schiena, facendo lentamente scivolare via dal mio corpo l’asciugamano, con movimenti lenti ed ampi. Maliziosa, girai il viso e vidi Pietro incredulo sostare dietro la porta con uno degli sguardi più imbambolati che io avessi mai visto. Sorrisi ed aprì il cassetto delle mutandine, scegliendone un paio bianche di cotone, e mi piegai per metterle. Sentii un sussulto provenire dalla gola dell’uomo.
Decisi che quel giorno avrei indossato una maglietta bianca dallo scollo a barca, senza mettermi il reggiseno. Indossai la maglietta ed un paio di shorts corti, mi misi delle scarpe da tennis bianche e mi girai in direzione di Pietro. Pareva imbambolato. Mi avvicinai a lui e, facendogli segno con l’indice di fare silenzio, gli chiusi la porta in faccia.
Mi lanciai sul letto, evidentemente eccitata dalla situazione. Nella mia vita ero stata a letto con varie tipologie di uomo, ma gli amici di papà era una categoria mancante. Mio padre aveva tantissimi amici che frequentavano casa nostra anche regolarmente, e che nelle mie fantasie sessuali comparivano spesso. Gli uomini maturi risvegliavano dentro me la cattiva ragazza che insorgeva ogni qual volta avevo bisogno di sentirmi desiderata da qualcuno.
Sentivo la mia vagina pulsare dentro alle mutandine di cotone.

Si sarebbe rivelato un pranzo molto interessante. A pranzo Pietro era evidentemente a disagio. Ero seduta di fronte a lui, e lo guardavo insistentemente negli occhi. La maglietta mi cadeva di lato, lasciando scoperta la mia spalla destra, e facendo intravedere vistosamente l’attaccatura del mio seno.
Mangiavo, e lo guardavo. Addentavo un boccone di pasta, e mi pulivo la bocca unta con il dorso della mano.
‘Come stanno tua moglie e i tuoi figli, Pietro?’ domandò mia madre, ‘Sono ancora in Egitto?’
‘Sì’ , rispose l’uomo, cercando di distrarsi in qualche modo, ‘Torneranno la prossima settimana. La casa &egrave vuota senza di loro, non c’&egrave più niente da fare, mi annoio molto’ , concluse, rivolgendomi un’occhiata veloce.
‘Puoi venire qui da noi quando ti pare, sei sempre il benvenuto’ , disse mio padre.
‘Già, sei il benvenuto’ , ammiccai io.
‘Devo andare un secondo in bagno’ , biascicò lui in evidente disagio. Mio padre mi rivolse un’occhiata di rimprovero, lo faceva sempre quando non approvava il mio comportamento.
‘Tirati su quella spallina, Linda’ aggiunse mia madre.
Sbuffai. Suonò il telefono. ‘Rispondo io!’ gridai, in modo che Dolores mi sentisse e non accorresse prima di me.

Andai nel corridoio, presi la cornetta del telefono e riattaccai senza neanche rispondere. Staccai la spina in modo che chi avesse chiamato non potesse rifarlo, e sgattaiolai fuori dalla porta del bagno, in cui Pietro era rinchiuso da pochi istanti. Sentii che l’acqua del lavandino scorreva fresca, probabilmente si stava rinfrescando le idee. Bussai.
‘Aprimi’ , sussurrai. ‘No’ , rispose Pietro. ‘Se non apri ti renderò questo pranzo un inferno’ .
A quel punto non resistette, e mi aprì. ‘Me lo hai già reso abbastanza difficile’ , disse, roteando gli occhi al cielo.
‘La piccola Linda vuole solo divertirsi un po” , miagolai.
‘Linda, smettila’ affermò, con insistenza. Percepivo che sotto la sua corazza di bravo marito solo si nascondevano perversioni che riguardavano anche me, e volevo tirarle fuori per goderne anche io.
‘Se no che fai? Racconti tutto a papà? Non credo che gli faccia piacere sapere che guardone che sei’ .
Arrossì visibilmente imbarazzato. Mi avvicinai e gli sorrisi, come una gatta alla ricerca di qualcosa che la sfamasse.
Lentamente sfiorai con le dita la patta dei suoi pantaloni cachi, ed inevitabilmente i suoi occhi si chiusero, mentre dalla sua bocca uscì un fievole ‘Basta, ti prego..’
Non mi fermai. Gli accarezzai la protuberanza che trovai percorrendo ogni centimetro della sua patta, e lentamente, in punta di piedi, poggiai la mia bocca sulla sua. Dopo una breve resistenza fallace, lo spinsi contro il muro del bagno, e iniziai a baciarlo con foga. La mia lingua percorreva ogni centimetro della sua bocca, gli morsi il mento e le guance, mentre gli slacciavo i pantaloni. Le sue mani mi afferrarono i glutei e li strinsero forte, spingendomi verso di lui. Sentii la sua eccitazione crescere contro il mio ventre, al punto di dover per forza slacciare i pantaloni e far uscire quello che vedevo come l’oggetto del desiderio e che bramavo dal mattino appena trascorso.
‘Non credere che io te la dia al primo incontro’ , affermai, ridendo.
‘Non mi devi dare proprio un bel niente’ , rispose lui, come se si fosse appena risvegliato da un lungo, caldo sogno.
‘Oh, beh, se proprio insisti..’ Feci come per aprire la porta del bagno ed andarmene, ma lui mi prese per un polso e mi ritrascinò a sé.
‘Oh, Linda..’ Sembrava combattuto fra la figura di uomo perfetto, e la perversione di scoparsi una ventiduenne innocente.
Mi inginocchiai, e gli presi il pene evidentemente eccitato fra le mie calde mani. Sussultò. Lo guardai, poi chiusi gli occhi ed iniziai a baciarlo per tutta la sua lunghezza, accarezzandolo fino alla base.
Iniziò a gemere. Riaprii gli occhi e gli sussurrai ‘Fai piano o i miei ci sentono’ , poi mi portai l’indice alla bocca, sorrisi, e con gli occhi spalancati che lo guardavano dritto nel viso, me lo misi in bocca ed iniziai a muovermi pianissimo, poi piano, e poi sempre più intensamente.
L’uomo mi afferrò la testa e rantolò un ‘Ferma’ , iniziando a penetrare la mia bocca e la mia gola con foga, mentre con le mani mi aggrappavo alla camicia, stropicciandola.
Non ci volle molto tempo per farlo venire. Sentii il suo liquido caldo finirmi dritto nella gola, lo ingoiai tutto, e pulii il resto che mi era colato sul mento, come solo le brave bambine sanno fare.
Mi alzai e lo baciai. Si ritrasse. Alzai gli occhi al cielo. Andai a lavarmi la bocca sciacquando via i residui di sperma, mi asciugai, e lo baciai con forza.
Poi mi chiusi la porta del bagno alle spalle, riattaccai il filo del telefono, e tornai da mamma e papà.

‘Chi era al telefono per averci messo così tanto? L’arrosto si raffredda’ , mi rimproverò mia madre.
‘Solo quei maledetti call center’ , risposi sbuffando. ‘Volevano sapere chi sono i nostri fornitori dell’acqua, luce e gas, sai come sono quando ci si mettono’ .
Nel frattempo Pietro tornò seduto al tavolo e si scusò con i miei genitori per averci messo tanto, ma la chiamata di sua moglie dall’Egitto lo aveva sorpreso in bagno e tenuto al telefono per qualche minuto di più. Che bugiardo. Abbozzai un sorriso maligno.
Le mie mutandine candide si erano macchiate della mia eccitazione e se solo avessi indossato una gonna, abbassandomi, Pietro avrebbe potuto vedere la macchiolina che mi aveva provocato fargli un pompino di nascosto.

Nel pomeriggio, mentre i miei genitori erano distratti, immersi un dito fra le mie grandi labbra impregnate di eccitazione e, passando di fianco a Pietro che se ne stava seduto a gambe larghe sulla poltrona a guardare la partita con papà, mi chinai su di lui e glielo passai sotto il naso, mentre gli morsi il lobo dell’orecchio destro. Mezzo addormentato, sobbalzò facendo quasi cadere sul pavimento la birra che teneva in mano.
Lo guardai pulirsi il naso e come una cagna scivolai via, facendogli segno con l’indice di continuare a fare silenzio.

Prima che se ne andasse, gli nascosi gli slip bagnati dentro alla tasca posteriore dei suoi pantaloni.
Lo vidi salire in macchina, e fermarsi sognante ad odorarli come un tossico sniffa l’eroina.

Ormai ce lo avevo in pugno. Il giorno seguente indossai una gonnellina leggera, una maglietta con lo scollo a V, le mie scarpe da tennis, e mi diressi verso la casa di Pietro. Avevo passato la notte precedente per la maggior parte insonne, pensando a quanto avessi voglia e bisogno di scoparmi quell’uomo. Di farlo mio. Volevo colmare la mancanza della moglie e dei figli in vacanza riempiendo tutte le sue voglie represse. Pietro aveva sempre avuto un occhio di riguardo nei miei confronti, e la mia mente perversa mi aveva spesso portato a fantasticare su noi due. Nonostante avesse il doppio dei miei anni, era un uomo molto affascinante e il suo aspetto fisico combinava alla perfezione con il suo carattere da gentiluomo. Volevo ravvivarlo un po’.
Infondo ero pur sempre una benefattrice.

Mi aprì la governante, Maria, e mi disse che il signore stava riposando. ‘Non importa Maria’, le dissi gentilmente, ‘avevamo un appuntamento. Sa, stiamo preparando una sorpresa a mio padre’ . La donna mi scortò fino alla porta della sua stanza. ‘Non preoccuparti, lo sveglio da sola’ . Bussai piano alla porta, entrai, e chiusi a chiave. Pietro sobbalzò in piedi, evidentemente provato. ‘Cosa diamine ci fai qui?’ mi domandò preoccupato. ‘Sono venuta a farti compagnia, ieri hai detto che ti annoi così tanto..’ risposi, maliziosa.
‘Linda, ascolta..’ iniziò lui, avanzando verso di me fino ad essermi di fronte. ‘Ascolta, ascolta, ascolta’ , lo canzonai io. ‘Non ho voglia di ascoltare, per una buona volta. So che mi vuoi, Pietro. Nessuno verrà a saperlo, se ti comporterai bene. Mio padre non saprà nulla. Sta tranquillo, ti fidi di me?’ Fece no con la testa.< br>
‘Rilassati, ora..’ gli sussurrai. Lo presi per la cravatta e lo spinsi fino al bordo del letto, dove si sedette e mi accarezzò le cosce con entrambe le mani, fin sotto la gonna, fino ad afferrarmi il sedere e pizzicarmelo forte.
‘Sei veramente un ragazzaccio, Pietro’ , gli dissi, spingendolo fino a farlo sdraiare. Mi misi a cavalcioni su di lui, ed iniziai a muovermi lentamente con movimenti circolatori del bacino, mentre gli slegavo la cravatta e gli sbottonavo la camicia. Le sue mani continuavano a stringermi i glutei, aiutandomi nel movimento e spingendomi forte sul suo membro che si stava pian piano svegliando.
Gli tolsi la camicia e, baciandolo in mezzo al torace, mi spostai di fianco, facendo scivolare le mani sulla sua patta dei pantaloni. Glieli slacciai mentre la sua mano si insinuava di nascosto fra le mie mutandine nere. Me le scostò di lato ed iniziò ad accarezzarmi piano, poi si portò la mano alla bocca, si leccò il palmo, e schiuse la mia piccola e rosea vagina apparentemente innocente. Ebbi un sussulto. ‘E tu sei veramente una ragazzina monella.. Se solo tuo padre sapesse cosa stiamo facendo..’ Sussurrò. ‘Cosa TU mi stai facendo’ , gemetti io. Le sue mani mature ma curate mi percorrevano dal monte di venere fino a sfiorare le pareti del mio piccolo ano, e il suo membro fece capolino dai boxer non appena gli slacciai i jeans. Mi piegai verso la cappella, e la leccai timidamente, come fossi una scolara alle prime armi. Mi sfilò le mutandine, il suo dito medio scivolò dentro al mio piccolo buco, e mi spinse con la bocca contro il suo pene in evidente erezione. Lo presi caldamente in bocca, mentre le mie piccole mani accarezzavano la base. ‘Oddio Linda mi fai impazzire’ mi disse, mentre le dita nel mio buchetto erano diventate due, e tenendole ad uncino mi muoveva a suo piacimento. ‘Stai ferma ora’ , prese l’iniziativa come il giorno precedente, bloccandomi e muovendosi dentro alla sua bocca fino ad impazzire. Lo fermai. ‘Non credere che ti lasci venire facilmente come ieri pomeriggio’ , affermai, monella come non mai.
Col cazzo in tiro mi bloccò le mani e me le mise dietro alla schiena, e in un attimo fui sdraiata a pancia in su, con le gambe divaricate, e la sua bocca fra le cosce. La sua lingua umida e calda si insinuava dentro di me, e stuzzicava ogni angolo del mio pube. Iniziai ad ansimare a volume sempre più alto, il silenzio non era mai stato il mio forte a letto. Le sue mani mi spingevano le cosce contro il ventre, e mi aiutavano a tenerle il più larghe possibile, in modo che la sua bocca potesse assaporarmi completamente.

Fra una leccata e l’altra affioravano dalla sua bocca dei ‘fai piano’ che io puntualmente ignoravo, ansimando come una cavalla al guinzaglio, stropicciando le lenzuola pulite fra le mie mani.
‘Scopami ora..’ Rantolai fra i gemiti. ‘Voglio che mi scopi forte Pietro.. Voglio sentirti dentro di me, scopami..’ . L’uomo staccò la sua bocca da me, mi guardò negli occhi e mi baciò, facendomi sentire il mio sapore, che conoscevo a memoria. Si leccò la punta delle dita e se le passò sulla cappella liscia, poi fece scorrere il suo membro su tutta la fessura della mia bagnatissima vagina, e piano, pianissimo, entrò dentro di me. Sentirlo entrare provocò in me un’eccitazione tale da farmi inarcare la schiena e gemere fino a che un sorriso spuntò spontaneo sul mio viso.
‘Cazzo Linda, mi stai facendo impazzire..’ mi sussurrò, mentre si insinuava sempre più profondamente dentro me. Iniziò a darmi piccoli colpi ma sempre più decisi, mentre alcune goccioline di sudore prodotte dal gran caldo di luglio gli cadevano dalla fronte al petto, e dal petto al mio ventre. Si chinò verso di me, mentre sentivo il suo cazzo muoversi dentro sempre più veloce. Mi baciò la fronte, le guance, il collo, ed infine mi sfilò la maglietta come se si fosse accorto improvvisamente che il mio seno non era ancora scoperto.
Indossavo un reggiseno che si sganciava sul davanti, in mezzo al solco, perciò lo tolsi da sola con estrema facilità. ‘Linda, Linda, Linda, allora non sei del tutto una bambina..’ canzonò Pietro, mente le sue mani tentarono di accogliere tutto il mio seno, riuscendoci a stento. Mi leccò i capezzoli, uno per volta, tirandoli e mordicchiandoli con i denti, poi tornò a guardarmi impazzire di piacere. I suoi occhi erano fissi sul mio viso. ‘Ti piace scoparti le ragazzine, eh..’ miagolai. Lo feci eccitare ancora di più, e quando sembrò sul punto di venire, lo feci fermare.
‘Non abbiamo ancora finito..’ incalzai. Riuscii a divincolarmi dalla sua presa, lo afferrai per le spalle e lo feci sdraiare. Mi rimisi a cavalcioni su di lui, e ripresi in mano le redini del gioco, prendendo il suo membro fra le mani, ed infilandomelo dentro piano, sempre più profondamente, fino a sentire le sue palle premere sui miei glutei. ‘Linda non so quanto riuscirò a resistere ancora..’ mi pregò. Gli premetti l’indice sulle labbra, e gli sussurrai: ‘Sssshhh..’ . Iniziai a muovermi come meglio sapevo, in modo da provocarmi più piacere possibile. Per alcuni istanti c’ero solo io. Io che mi muovevo compiendo dei piccoli cerchi col bacino, io che mi toccavo per aumentare il piacere, io che tenevo gli occhi chiusi e la fronte corrugata per il piacere perverso che stavo provando. Io che mi accarezzavo il seno, i fianchi, le cosce. Io che sentivo il clitoride pulsare sempre di più.. Ed improvvisamente venivo tenuta ferma di nuovo, di nuovo immobilizzata da quel paio di mani che mi tenevano bloccata per muoversi sempre più velocemente dentro me, e sempre più velocemente ansimare fino al punto di esplodermi dentro. ‘Lasciami andare’ , brontolai subito dopo averlo fatto venire, e continuai a masturbarmi con il suo membro dentro fino a fargli sentire le contrazioni della mia vagina venire come un fiume in piena. Facendo uscire gran parte del suo sperma che, prontamente, leccai via dal suo bacino.

Infondo ero pur sempre una ragazza di buona famiglia, educata.
Rividi Pietro altre tre volte, prima del ritorno della moglie e dei bambini dall’Egitto. Ci chiudevamo nella sua camera o nel suo studio, e scopavamo. Pietro era un uomo così facile da convincere. Avrei potuto rigirarlo come un calzino, ma non lo feci. Sia chiaro, il mio intento non era quello di sfasciare famiglie, ero più una ricercatrice, una statista. Quanti uomini maturi avrei potuto convincere a venire a letto con me? Quali sarebbero state le loro reali motivazioni per finire diritti nel mio canale vaginale? Erano così facilmente malleabile, o dietro la loro vita perfetta nascondevano un represso feticismo per le ragazzine? E io avevo così bisogno di sentirmi donna. Di sentirmi posseduta da chi non avrebbe potuto farlo, ma metteva a repentaglio la propria vita impeccabile pur di leccare un giovane e turgido clitoride.
Mi avrebbero trattato come la loro bambina, o come la loro donna? Pietro mi faceva sentire donna, durante il rapporto. Era delicato ma deciso, mi mordeva i capezzoli fino a farmi inarcare e mugolare come una cagna. Certo, mi chiamava ‘piccola Linda’, mentre gli premevo la cappella per farlo venire, ma a parte questi aggettivi bambineschi, mi faceva sentire una sporca, terribile compagna di letto.
Quando, poi, la sua coniuge ed i pargoli tornarono tutti abbronzati ed unti di olio dalla loro breve vacanza, dissi a Pietro che forse era meglio interrompere i nostri incontri. Non avevo certo intenzione di soffermarmi sul primo glande ultraquarantenne che mi capitava sotto tiro. E non mi sembrava giusto illuderlo che sarebbe potuta durare in eterno.
Lui ci rimase un po’ male. ‘Sarai sempre la mia piccola gatta’, mi disse. Certo. Avevo smesso di credere alle favole da un po’ di tempo. Il giorno dopo, probabilmente, avrebbe ripreso la sua pigra e monotona vita coniugale. Missionaria, poco rumore altrimenti i bambini avrebbero sentito, e il comunque rischioso coito interrotto.

Certo, gli concessi un ultimo divertimento. Mio padre lo aveva invitato a casa nostra per una cena di lavoro, e decisi che concedergli un ultima volta il mio fiore caldo e umido, sarebbe stato un gesto molto generoso. Dopo cena, mio padre interruppe improvvisamente la loro discussione lavorativa, a causa di una telefonata che lo tenne impegnato nel suo studio a lungo. Mia madre era fuori. Feci accomodare Pietro sul divano, quella sera indossavo un leggero e corto vestito che lasciava intravedere la cucitura delle minuscole mutandine di pizzo nero.
Pietro mi guardava muovermi di fronte a lui mentre con la mano destra si pizzicava il cazzo, che stava pian piano diventando sempre più pulsante a causa dell’allettante situazione che si era, ancora una volta, ricreata.
‘Linda, Linda, Linda, quanto mi fai impazzire..’ disse, con la mano che raspava sempre più frequentemente sulla patta.
‘Puoi aprirla se vuoi, tanto mio padre starà dentro a quello studio per un bel pezzo, mi sa. Fa sempre così’, gli sussurrai all’orecchio, piegandomi verso di lui e leccandogli la guancia.
Poi, mi sedetti di fianco a lui, mi tolsi le mutandine, allargai le gambe piegandole coi piedini sul divano, ed iniziai a toccarmi piano. Ero già umida, come sempre. Pietro si slacciò la cintura e si calò la zip, facendo uscire quel membro di cui ormai conoscevo a memoria tutte le venature. Iniziò a toccarsi guardandomi, come un leone scruta la sua preda. Poi, sentendo mio padre camminare nervosamente nel suo studio, fece un balzo sul divano, e si tirò indietro. ‘Che fai?’ domandai, maliziosa. ‘Hai paura che il mio paparino scopra che ti scopi da giorni la figlia sotto gli occhi ignari della tua inserviente?’ Mi misi l’indice in bocca, e piegai la testa sorridendo. Poi aggiuns, cambiando tono di vocii: ‘Pietro, voglio che mi lecchi qui e ora. Forza. Inginocchiati e leccami come se fossi a digiuno da anni’.
Lui mi guardò, allettato come non mai dalla mia ennesima offerta. Continuando a stare seduta e gambe larghe sul divano, mi tirai su il vestito fin sopra il sedere, aspettando che si inginocchiasse davanti a me, col cazzo tirato nuovamente fuori, e mi slinguazzasse e mordicchiasse fino a farmi scoppiare di piacere. Sentivo la sua calda lingua insinuarsi per l’ennesima volta fra le mie grandi labbra, fino a raggiungere le piccole, passare oltre, e aprirmi come un fiore in primavera. Mi baciava e mi succhiava con passione, alternando piccoli e frettolosi succhiotti, e larghe ed ampie linguate che mi bagnavano e mi facevano sentire donna come non mai. Mi prese il clitoride fra i denti, piano, e iniziò a succhiarlo velocemente, mentre l’indice e il medio si insinuavano ad uncino dentro me. Feci un sussulto, tentavo con ogni forza posseduta in corpo di non scoppiare ad urlare di estremo piacere. ‘Zitta, cazzo’, mi disse, uomo come non mai. La mano libera si segava, accompagnata da suoi impercettibili movimenti. Mi guardava, famelico, e io mi sentivo così.. Così troia. Avevo bisogno di esserlo. Più di ogni altra cosa.
Improvvisamente alzò il viso dal mio clitoride e mi disse, in estasi e coperto dalla bava mista a umori: ‘Non c’&egrave tempo per succhiarmelo, ti chiavo subito, piccola delinquente’. Si alzò, e mi penetrò. Con una mano mi teneva chiusa la bocca, o i miei gemiti avrebbero destato curiosità nelle vicinanze. ‘Zitta, zitta’, mi ripeteva, sempre più rudemente. Lo sentivo dentro me fino allo stomaco, mi sbatteva con quanta più foga aveva in corpo. Non mi aveva mai sbattuta in quel modo. Lo spinsi via da me, ebbi un sussulto quando il suo membro si sfilò da dentro la mia vagina, e lo feci sedere sul divano, col cazzo dritto come un palo.
Mi accovacciai sopra di lui, mi bagnai le dita ‘anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, la bava era ovunque-, e me lo rimisi dentro, fino in fondo, fino a sentire l’utero urlare di piacere.
Iniziai a cavalcarlo mentre mi dava piccoli schiaffi sul clitoride, fino a farlo diventare ipersensibile e rosso. ‘Toccamelo, Pietro, fammi venire’, lo incitavo. ‘Zitta!’, continuava a ripetermi lui. ‘Dove vuoi che venga?’, mi domandò, mentre mi sbatteva con una rabbia crescente. Non riuscii a rispondere. Il piacere invase ogni muscolo, ogni tendine, ed iniziai a tremare, in preda a spasmi interni. ‘In bocca’, mugugnai, rantolando. Mi spinse indietro, facendomi inginocchiare ai suoi piedi, e ordinandomi di succhiarglielo fino in gola, mentre ero ancora ubriaca dall’orgasmo ricevuto. Sentii la sua sborra calda invadermi la bocca, e fui, ancora una volta, soddisfatta.
Pochi istanti dopo, mio padre uscì dal suo studio, scusandosi con Pietro, e chiedendogli se andava tutto bene, lo aveva trovato strano. Aveva la camicia tutta stropicciata, la cravatta allentata, e un evidente sudore cutaneo.

La relazione clandestina con Pietro si concluse così; con la voglia crescente di iniziare qualcosa di nuovo.

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